Gl'Istriani a Vittorio Emanuele II nel 1866

N. 4 . 23 gennaio 1915 PUBBLICAZIOSNETTIMANAL·E ContoCorrenteconlaoosta ~~~~ ( 1 PROBLEMI ITALIANI 1 J ~- ~ 1 -'}e 'Y.\, .J "' I ~ GlI'STRIANI . . l ~f . A ~~ t VITTOERMIOANUELE Il ' f\ /6! 1 v.,,. NEL1866 ]r J<c ~ y :i"' ~( ------ "A'° e-/~ cx\., Ll Rl\VA & c. EDITORI - MILJ\NO .(_i /.:-f~ e ~ ~<r, ~~~-C•f'},~~

PROBLEMI ITfiLllìNI IV. GLI'Sl~RIANI A Vl"fTORIEOMANUELE II NEL 1866 ~ MILflNO RflVfl & C. - EDITORI 1916 B bi oteca Gino Bianco

TIP.LIT.RIPALTA•MILANO Biblioteca Gino 81arÌco

Le pagine che qui ristampiamo sono tolte da un opuscolo La Provincia dell'Istria e la Città di Trieste (Firenze, Tipografia di G. Barbera, agosto 1866) che raccoglie gli atti del Comitato Triestino-Istriano nei mesi di giugno, luglio e agosto del 1866, fra il principio, cioè, della guerra e il principio della pace che fu firmata solo in ottobre. Di questi memoriali ed appelli agli uomini del Governo e alla pubblica opinione, il più importante, l'Appello degli Istriani all'Italia, fu scritto da Carlo Cambi (nato a Capodistria nel 1827, morto a Venezia nel 1884) di cui Attilio Hortis ha detto nell'Archeografo Triestino che « in tutta la sua vita non fece studio o lavoro letterario o scientifico che non avesse intendimento civile », e fu perciò ristampato in CARLO CoMBI, Istria, Studii storici e politici (Milano, Tip. Bernardoni di C. Rebeschini, 1886). Quest' Appello fu presentato al barone Bettino Ricasoli, presidente del Consiglio, l'l 1 agosto 1866, il giorno cioè in cui scadeva l'armistizio impostaci, più elle dall'Austria, dalla Prussia la quale, nostra alleata, aveva il 26 luglio firmato con l' allora comune nemica l'armistizio di Nicolsburg senza 8iblioteca Gino Bianco I'

-4darsi altro pensiero di noi poichè il nostro compito di distrarre in Italia tanta parte dell'esercito austriaco era per essa finito, cioè più non le giovava. Presentando l'Appello al barone Ricasoli il Comitato istriano gli disse: «L'atto qui unito, che ci venne dall'Istria, manca pur troppo di valore pratico ma potendolo avere in appresso crediamo di non doverci rifiutare all'incarico di presentarlo all'Eccellenza vostra ». Per quarantanove anni, da allora, gl'lstriani hanno di/eso con tutte le forze contro tutti gli assalti la loro vita italiana. Noi ristampiamo oggi queste pagine commosse e questi argomenti inconfutabili perchè crediamo giunta ancora una volta l'ora in cui essi debbono riavere un valore praticoper noi e pel Governo. u. o. Biblioteca Gino Bianco

I. A SUA MAESTÀ VITTORIO EMANUELE II RE D'ITALIA Sire I Alle mille voci di plauso che si levano da tutte le parti della penisola sull'annunzio della prossima partenza del Primo Soldato d'Italia pel campo, permettete, o Sire, che si uniscano anche quelle dei devotissimi sottoscritti, rappresentanti le popolazioni italiane d'oltre Isonzo, le quali Vi invocano liberatore e Vi salutano loro Re. Esse erompono dal cuore di Italiani oppressi da quello stesso straniero che Vi accingete a combattere; dal cuore d'ltaliani che vissero sempre della vita nazionale. Essi saranno i guardiani dell'Alpe Giulia, di quell'Alpe che, violata troppe volte dallo straniero, è complemento necessario e sicurezza del territorio nazionale; essi sono i discendenti di quegli arditi marinari istriani che combatterono e vinsero sotto il glorioso vessillo di San Marco. Essi Vi daranno in mano quella Pola che, fin dall'epoca romana porto militare italiano, l'Austria ha ormai convertito in minaccia di tutta la nostra costa adriatica; essi Vi daranno quella Trieste che l'Austria vorrebbe malamente far credere pertinenza germanica. Biblioteca Gino Bianco

-6La grande nazione germanica ha i suoi fiumi reali, i suoi mari aperti al commercio, le sue molte e fiorenti città; essa non può, non deve aspirare a dominii di qua dalle Alpi, ma vorrà piuttosto stringersi in fratellanza sincera cogli Italiani e cogli Stati vicini, e Trieste, appunto perchè città eminentemente commerciale, è il nodo che deve unire i tre popoli. Sire! Giacchè il Cielo fece sorgere i nuovi cimenti non arrestate più il corso della vittoria, che animata dal· valore dell'esercito e dall'entusiasmo dei volontarii, seguirà i Vostri passi. Assai avete avuto la virtù dello aspettare e fu vera forza; ripigìiato ora il vostro naturale ardimento seguite fino all'ultimo la Vostra stella che è la stella d'Italia. Perchè si possa dire l 'italia costituita nella sua unità naturale e veramente degli italiani, perchè si possano dire inviolati il suo diritto e il suo onore e compiute le sue sorti, perchè l'Italia divenga all'Europa guarentigia di ordine e di pace e ritorni e.ficace istromento della civiltà universale, infine perchè si possa dirla libera dall'Alpi ali'Adriatico, è necessario piantare col tricolore italiano la croce sabauda sulla punta Fianona, là dove il primo sprone dell'Alpe Giulia scende a tuffarsi nel proverbiale Quarnaro. Quella punta si noma da antico Pax-tecum. E' là soltanto che si può stringere un patto duraturo di pace quale Europa la vuole. Seguite il presagio e accettate l'invito, o Sire. E' voce di popolo che Vi chiama in quelle parti, è grido di dolore e di speranza che erompe dal cuore di italiani che Vi invocano liberatore e Vi salutano loro R<!. ' Firenze, 18 giugno 1866. Bibl oteca Gino Bianco Seguono settantasei firme di Istriani, Triestini, Trentini, Veneti e Romani.

- 7 - I I. A. S. E. IL COMMENDATORE EMILIO VISCONTI-VENOSTA MINISTRO DEGLI ESTERI DEL REGNO o'JTALIA Eccellenza! Nessuno in questo momento sa meglio di V. E. quale periodo difficile attraversi la questione dei Confini d'Italia fra il vario cozzo degli interessi europei. Non nuovo nella lotta nella quale anzi avete colto altri allori, oggi sono rivolti sopra di Voi, più che mai attenti, gli sguardi• della Nazione. Essa è fidente nel senno e nella lealtà vostra e dei vostri colleghi, presieduti da tale la cui proverbiale fermezza è di lietissimo augurio all'Italia. (1) Nullostante il paese non è senza trepidazione, perchè se badiamo alla storia, la diplomazia troppe volte si è lasciata sedurre dal desiderio di conservare il vecchio. Essa tardi s'induce a far ragione all'inevitabile svolgimento e progresso delle idee e dei fatti. Spesso ha creduto di assicurare paci e non ha concluso che tregue, dopo le quali, più presto che non lo s'immaginasse, scoppiarono di nuovo e più che mai accanite le guerre alle quali aveva preteso impor fine anzi tempo. Noi vi scongiuriamo, Eccellenza, a fare in modo che ciò nel presente caso non si rinnovi. Nativi di Trieste e dell'Istria, provincie per ogni rispetto italiane, ma non ancora confessate tali da tutta la diplomazia, noi trepidiamo al pensiero d'una pace prematura, e trepidiamo non solo come Istriani, ma come Italiani; chè la doppia qualità ne costituisce in noi una (l) Il berone Bettino Ricasoli. Biblioteca G ro Bianco

-8sola. Noi non sappiamo concepire un interesse italiano, che non possa essere nello stesso tempo europeo. Presentemente dunque non resta a noi che accennare ai principali argomenti d'ordine più elevato e, universale, in forza dei quali deve risultare: essere l'annessione di Trieste all'Italia vero interesse europeo, e condizione inevitabile di quella pace sola e finale che sta giustamente nel desiderio di tutti. Come il Trentino è la chiave del Quadrilatero e dei piani Lombardi cosi le tre provincie unite di Gorizia, Trieste ed Istria colle alture del Carso e il porto fortificato di Pola, sono la porta del Veneto e di tutto il nostro versante adriatico per terra e per mare. Pola è stata creata dall'Austria con intendii:nento non di difesa ma di aggressione. Se l'Austria dunque vuol essere leale, deve con la Venezia amministrativa rinunziare francamente tutti i territorii cisalpini : chi desidera che ella abbia ancora vita fra gli stati europei deve consigliarglielo; ed essa se· conosce il suo interesse, deve oggi non solo rassegnarvisi, ma affrettarsi a farlo. I territorii già detti sono necessarii a noi. A lei ali 'incontro, cedute o perdute che abbia le otto provincie del Veneto, riescono indifferenti ed inutili; peggio ancora le riescirebbero di peso, le sarebbero, siccome eterogenei ed avversi, un pericolo permanente. Mentre a noi sono uniti per continuità di valli, di fiumi, di pianure, di monti, di mare, da lei sono staccati e divisi per una cerchia non interrotta di alpi. Nè si dica che rinunziando a noi queste alpi, ella resti esposta da parte nostra agli attacchi, o che cedendo I'Istria, perda ogni ingerenza, ogni sbocco sull'Adriatico. Questi sono assurdi sofismi eh 'essa ha ripetuto fino alla B bli-:iteca G ro Bianco

- 9,- noia e al ridicolo : essi ormai non possono illudere alcuno. Noi non domandiamo già tutto il grosso delle. Alpi, ma il solo versante che tributa le acque ali' Adriatico. Padrona del versante opposto, il quale non scende precipite come il nostro, ma si svolge in altipiani e in vallate alpine lentamente digradanti, essa ha sempre il vantaggio sopra di noi, chè la sua discesa sul nostro territorio è stata e sarà sempre più facile che non la nostra salita sul suo. Essa ha inoltre per propria difesa la linea di molti fiumi, di molte riviere; essa ha finalmente altri monti, altre alpi, quelle della Stiria, della Carinzia, del Salisburgo che ne rinterzano le difese. Perdonate, Eccellenza, se vi ripetiamo cose notissime, cose che vi saranno venute cento volte sotto la penna. Non le ripetiamo per smania di dottrinare ma perchè in momenti supremi per l'onore e le sorti della nazione, nessuna verità è inutile a ripetersi e ogni cittadino onesto deve stringersi meglio che può al suo Governo. Se le nostre idee combinano con le vostre, tanto meglio: fatelo constare alla Diplomazia; dite che gli argomenti dell'Austria sono ormai svelati e giudicati sulla piazza; che il Popolo d'Italia è un popolo che pensa e non si acqueta se non gli viene fatta giustizia, se non gli viene accordato il suo, tutto il suo territorio fino alle Alpi, fino all'Adriatico, che nell'estremo punto nord-est prende il nome di Quarnaro. Voi potete farvi mallevadore che l'Italia costituita così nella sua unità naturale sarà all'Europa raro esempio di pace, di giustizia, di moderazione, e ritornerà davvero, ma allora soltanto, efficace stromento di civiltà universale. Quanto diciamo è di tale evidenza, che una Diplomazia imparziale non potrnbbe negarlo. B•blioteca G'ro Bia11co

- IOIn nome adunque delle popolazioni delle nostre provincie vessate in modo crudele dall'Austria, e per amore deg!'interessi e della dignità nazionale, noi vi preghiamo, Eccellenza, e insieme a Voi preghiamo l'intero Consiglio dei Ministri e il suo Capo: - date alla questione di Trieste e dell'Istria che è a dire del Confine orientale, tutta la importanza che merita; portatela sul terreno vasto dell'interesse europeo, e vincerete di lunga mano ogni resistenz{l; chè la stessa gravità ed urgenza della cosa, suggeriranno i mezzi sicuri di vincere. Col nuovo assetto che va necessariamente a prendere l'Europa, è interesse della civiltà che ci sia un'Italia soddisfatta e forte; ma tale non sarà mai senza la frontiera delle Alpi Retiche, Carniche e Giulie, e senza i porti che la natura le offre sulle coste dell'Istria a compenso di quelli che le ha negato sulla restante costa adriatica che corre da Otranto a Grado. La nazione tiene gli occhi rivolti al! 'esercito ed alla flotta; pensa che una mossa sollecita, ardita, dandoci il possesso di quelle terre, renderebbe più agevole il compito della diplomazia e offrirebbe alle popolazioni la bramata occasione di smentire co' fatti i dubbii che alcuno ancora si ostina di muovere sul loro conto. Nel ripetervi adunque l'alta fiducia che abbiamo in voi, nell'intero Consiglio dei Ministri e nell'illustre sµo Capo, non vi taceremo la speranza che la memoria del grande Cavour ispiri e al Governo e al Comando del- !' armata di terra e di mare, deliberazioni pronte, concordi ed energiche, quali sono richieste dall'interesse e dall'onore dell 'I talia che aspetta, ma sente in ogni sua parte piena la vita, e vuole essere intera, per esistere non solo, ma per occupare il posto che ormai le compete in Europa. Firenze, 14 luglio 1866. Biblioteca G ro Biarico

- 11 - III. A. s. E. IL GENERALE LA MARMORA Eccellenza! Gli unici stranieri che fermarono stanza entro il nostro confine sono gli slavi, venuti prima dell'800 poi a varie riprese nei secoli XVI e XVII. Ma i primi, slavi del nord, condotti dai franchi in condizione di servi, sebbene avversati a principio 'dalla stirpe latina, ebbero poco appresso lavoro e libertà sopra suolo istriano; e i secondi, slavi del sud, scampati alla scimitarra del turco, furono accolti come ospiti coi quali si divide la casa e la mensa. Agli Slavi delle Alpi Giulie è commisto anzi tutto il sangue dei veterani latini che stettero a guardia di quell'importante confine, poi sono frammiste famiglie italiane immigrate da varie parti e a varie riprese, mentre l'Istria al mare, passata dal dominio romano-bizantino al dominio veneto per dedizione spontanea, durata in questo fino al 1797, e caduta insieme con Venezia soltanto per la pace fatale di Campoformio, l'Istria al mare, diciamo, è coi territori di Aquileia, Grado, .Monfalcone, Trieste, una vera continuazione della Venezia marittima, e quasi si direbbe un avamposto dell'antico Dogado. Più tardi dal 1805 al 1810, fece parte del Regno d'Italia, sotto il preciso nome di Dipartimento dell'Istria. Ma chi domanda ai Pedemontani, ai Valtellinesi, ai Tridentini, od ai Siculi il certificato d'origine? Quanti vedevano nella penisola italica un'accozzaglia di razze blloteca Gino Bìdnco

- 12 - diverse, prnnte a distruggersi tra di loro, ben hanno dovuto ricredersi. Tale sarà, non è a dubitarsi, dell'Istria. Essa è paese italiano; chi tenta dividere le sue popolazioni fa opera peggio che vana; e nessuno osi dire che alla concordia di sentimenti e di volontà abbiano fatto o facciano eccezione Trieste o Gorizia. Le rivalità di Trieste e Venezia son cose viete, da mettersi a fascio con quelle di Firenze e Pisa, di Venezia e Genova, e di cento altre italiane città. Qualche fatto dell'antica aristocrazia Goriziana che or più non esiste, o di mercatanti senza patria attendati temporaneamente a Trieste, non potrebbe aver peso nei destini del paese. II paese tutto è italiano da antico e fu sempre riconosciuto per tale : si ricerchino le storie, ma le storie sincere. Già nel terzo decennio del secolo XVII contro le finzioni dell'arciduca Ferdinando II si levarono concordi la corte di Roma, i capitoli della Germania e l'ordine di Malta a proclamare i Goriziani di nazione italiana. E nel secolo XVIII gl'Imperatori Carlo VI, Giuseppe II e Leopoldo II, dopo iterati e pertinaci tentativi dovettero smettere affatto l'idea di introdurre l'uso della lingua tedesca nei paesi italiani di confine, cioè a Gorizia, Gradisca e Trieste. Così nell'ordinanza imperiale 21 dicembre 1732 e nei decreti aulici 26 marzo 1787 e 29 aprile 1790. Generale-Ministro I La fortuna d'Italia vi creò una posizione nella quale potete rendervi benemerito del1'Europa. Voi sedete oggi, in Parigi stessa, al posto dell'immortale Cavour. Seguitene il grande esempio; osate!· Dite dunque che la Venezia vera non s'arresta là dove hanno posto il confine amministrativo del Regno lombardo-veneto, ma si stende all'Alpi ed all'Adriatico e per togliere finalmente ogni dubbio, a quel seno B~blìotecaGino Bianco

I - 13 - dell'Adriatico che si dice Quarnaro. Dite che l'Italia stesa su due mari, ha ben diritto di poterli navigare liberamente; ma uno di questi, l'Adriatico, è costituito così che non si può arrischiarsi di correrlo senza pericolo d'essere portati sotto il cannone di Pola, e dite che a Venezia non si arriva senza rasentare le coste dell'Istria. Tirate sulla carta una linea da Ancona alla punta Fianona, ove cala a mare il primo sprone dell'Alpe Giulia, e mostrate che il tratto d'acqua che resta al nordovest della linea non è propriamente un mare, ma è tutto un golfo chiuso intorno a terre italiane, quasi continuazione di queste e indispensabile ad esse. Dite che la costa italiana da capo d'Otranto alle paludi di Aquileia, quasi priva di porti, bassa, argillosa, piena di dune, di scanni, ha bisogno dei porti dell'Istria, e dite poi che senza il possesso dei versanti meridionali ed occidentali dell'Alpe Giulia I'I talia resta apert~ nella parte appunto ov'è più vulnerabile. Dite che le tre grandi vie che si dirigono a noi dalle valli della Drava, della Sava e della Culpa, per i varchi del Predii, di Lubiana e di Fiume, hanno troppe volte e troppo a lungo servito al trasporto di armi e d'armati a danno d'Italia; è tempo che restino sgombre a servigio del commercio pacifico, che giovino all'affratellamento dei popoli slavi, tedeschi e italiani, i quali e per ragione di vicinanza e per la stessa diversità d'origini, d'inclinazioni, d'interessi, di fini, hanno mille motivi di favorirsi e d'amarsi. Firenze, 4 giugno 1866. Questo memoriale doveva essere inviato al Generale La Marmora in Parigi qualor.: egli vi fosse andato a rappresentare Il Regno d'Italia, ma non avendo avuto luogo il Congresso proposto da Napoleone terzo, fu accompagnato con lettera 16 giugno quando ei si disponeva a partire pel campo. Una copia dello stesso memoriale fu presentata pochi giorni appresso al Barone Bettino Ricasoli, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia. 1bl1oteca Gino Bianco

I - 14 IV. A. S. E. IL COMMENDATORE AGOSTINO DEPRETIS MINISTRO DELLA MARINA DEL REG~O D'ITALIA. Eccellenza! L'Istria è un posto avanzato rimpetto alla Laguna alla quale si attacca mediante gli isolotti e le paludi di Grado, di Marano, di Aquileia; è un pezzo di terreno staccatosi dalle nostre Alpi e scivolato sul nostro mare; è a noi quasi un molo d'approdo, e un luogo di necessaria poggiata. Le flotte Romane e le Venete svernavano a Pola che, secondo il mutare dei secoli, fu succursale di Aquileia, di Ravenna, di Venezia: le triremi venete si armavano nel porto Quieto; le navi, grandi e piccole che su per l'Adriatico si dirigono a Venezia, hanno bisogno di far poggiata al nuieto, a Umago, a Pirano. A Venezia non si va senza rasentare le coste dell'Istria, e nessuna flottiglia, sia pure a vapore, potrebbe avventurarsi in certe stagioni nell'alto Adriatico, senza pericolo d 'essere portata sotto il cannone di Pola. L'Istria d'altronde è italiana per origini, veneta per dedizione spontanea. Caduta con Venezia nel 1797 in forza della malaugurata pace di Campoformio, è giusto, è necessario che con Venezia risorga: altrimenti non ne soffrirebbe la sola Istria, ma Venezia con essa. L'Istria formò parte del primo Regno d 'Itali a dal 1805 al 1810 e, quando ritornò in mano dell'Austria, questa le promise di accomunarla alle aitre provincie Venete, promessa che more austriaco non fu mantenuta. Nel 1840 e nel 1859, a clamore di popolo, e mediante i suoi /3 blioteca Gino Bianco

\ - 15 - , · m~nicipii, l'Istria domandò e ridomandò d'essere unita ali Venezia, ma sempre indarno perchè l'Austria rimase pa rpna della situazione. Nel 1797 gl 'I taliani si commossero 'pel distacco dell'Istria dalle provincie di terraferma come ne fanno fede varie pubblicazioni di quell'epoca. Una di queste, stampata per ordine del Governo centrale del Padovano, Polesine di Rovigo e d'Adria negli Annali della Libertà Padovana, termina con queste significanti parole : - « Patriotti Lombardi, la libertà del- « l'Italia sarà sempre contingente sinchè l'Istria rimane « soggetta alla corte di Vienna ... L'Istria è una provincia cc italiana che vi appartiene per natura; è una parte in- « tegrante dell'ex Stato Veneto che vi appartiene per conce venzione... Gl' Istriani sono vostri fratelli... Essi vi << furono compagni indivisibili nella comune schiavitù, « essi reclamano il vostro soccorso ora che siete liberi « e indipendenti. Prima che un trattato tribuisca ali 'in- « vasore austriaco la proprietà della provincia, prima che « giunga il tempo in cui sarà inutile ogni sforzo, Italiani, « scuotetevi, e se non l'amore dei vostri fratellL non cc l'oggetto del loro benessere, vi muova almeno il vostro « proprio interesse, la causa della vostra libertà sempre « contingente e compromessa fìnchè sarete disgiunti dal- « l'Istria ... Non permettete che si disgiunga da voi una « parte preziosa di voi medesimi; non permettete che cc periscano in questa separazione le speranze della vo- « stra prosperità. Armatevi, se d'uopo, e accorrete a « strappare dalle mani dell'invasore ciò che è pur vostro, « e i vostri fratelli benediranno per sempre la mano che « avrà spezzate le loro catene. » Così pensavano gli italiani del 1797 riguardo al- ! 'Istria! Potrebbero pensare diversamente quelli del 1866? Pirenu, 13 luglio 1866. B blioteca Gino Biarco

- 16 - V. APPELLO DEGLI ISTRIANI ALL'ITALIA PRESENTATO IN FIRENZE L'l l AGOSTO 1866 AL BARONE BETTINO RICASOLI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI / Perchè l'Italia sia guarentigia di pace all'Europa, conviene ricomporla a famiglia politica in tutta la sua unità tipica. Monca e quindi scontenta e bramosa di altri eventi, ella avrebbe in sè la ragione, la necessità di nuovi dissidii e conflitti. Ogni signoria cisalpina, non italiana, sarebbe offesa e pericolo a lei, e peggio ancora la schiavitù della sua politica, impedita nel più largo e più fruttuoso e più nobile sviluppo, e nominatamente nella libera scelta delle alleanze, dal J;,isogno precipuo d'integrare lo Stato. Ora, le Alpi che formano l'eterno confine della penisola italiana, girano a tergo dell'Istria non meno che nel Piemonte, nella Lombardia e nella Venezia più propriamente detta. Anzi quel tratto che inchiude nell'Italia queste provincie, dette fino da Roma la Venezia Superiore, pigliò bene a ragione> il nome di Alpi Venete mantenutosi assieme a quello di Giulie, ch'è non meno italiano e glorioso, attraverso a tutti i tempi. Dal Tricorno, il gigante alpino che si alza sopra le scaturigini dell'Isonzo, corrono esse tra le regioni della Drava, della Sava e della Culpa e quelle dell'Adriatico; fra contrade che mandano il tributo delle loro acque B blioteca Gino Biarco (

- 17 - ai piani del Danubio e quindi al mar Nero, e le terre che s'inchinano sullo stesso continente italiano e i cui fiumi si confondono nello stesso mare con quelli della vallata padana. La natura adunque non fu incerta nemmeno sui termini orientali d'Italia, elevando sì notevole barriera a separare paesi che in tutto il loro aspetto recisamente si differenziano sl che anche l'occhio profano scorge tosto, allo stesso calore dell'aria, alla temperatura, alla vegetazione, quanto va disgiunto od unito per legge inalterabile. L'Isonzo, l'aulico confine dell'Italia, impostale da Vienna, è fiumicello che rimarebbesi pressochè ignorato ove all'Austria che è astuta nelle sue previsioni, non fosse caduto in mente di formare poc'oltre alla sua sponda destra, una distinta amministrazione per la luogotenenza imperiale di Venezia. Allora pure che su quel fiume imperavano i conti di Gorizia e poi gli arciducali d'Austria di faccia alla Veneta Repubblica, non era già tutto il suo corso il confine dei due dominii, ma altre acque ancor minori, e fossati e segni di privati poderi più addentro nella pianura e nei monti del Friuli. Quelli adunque che appresero in confuso ad arrestare la Venezia al suo oriente in sui margini di un rigagnolo, dovrebbero per mostrarsi conseguenti alle loro reminiscenze storiche, ·cedere all'Austria anche la riva destra dell'Isonzo, già accordatale, per la fretta degli ordinamenti non definiti nella formazione del napoleonico Regno d'Italia, quando pure, a fronte di ciò si annetteva al Regno stesso il dipartimento dell'Istria.· ( 1). Cessino quindi alla fine tali nozioni di geografia d'Italia, le quali non abbiano altro fondamento che nelle insidiose mire delle cancellerie austriache. La geografia della nostra patria va per noi imparata dalla natura che Biblioteca Gino Bianco

-18ce l'ha fatta e non da quanto vorrebbe l'Austria per serbarsi le sue lusinghe di rivincita. E conoscere e volere casa nostra è il primo nostro dovere, nè le civili nazioni potrebbero non ammettere ch'esso è pure un diritto nostro. E quali popolazioni stanziano su questa estrema regione d'Italia? Si prendano ad esame le stesse statistiche austriache, e si vedrà come, ali 'infuori di alcune rustiche tribù di slavi sparseci sui monti dal turbine degli eventi, tutto sia qui italiano. Prima ancora che Roma portasse sulle vette del!' Alpe Giulia le sue aquile vittoriose, un fiorente popolo italico di cui v'hanno memorie non poche, abitava queste contrade: popolo italico della cui lingua si hanno ancora preziosi avanzi nel dialetto di alcune parti del! 'Istria, e che fuso da prima col popolo latino e poi col veneto, si mantenne cosl saldo nel suo genio nazionale, da durare incorrotto tra i più gravi pericoli, e in sulla porta dei barbari, e con razze straniere propriamente a ridosso, e nell'oblio sciagurato degli stessi fratelli, in quel lungo periodo di schiavitù austriaca che decorse dai trattati di Vienna. L'Istria che è una parte distinta della regione italiana d'oltre Isonzo nè va confusa coll'Istria amministrativa a cui furono aggregate anche popolazioni transalpine, l'Istria nella sua unità naturale e storica e colla sua capitale Trieste, conta di popolazione italiana ben oltre i due terzi, sì che per la stessa ragione del numero pretende a buon diritto d'essere annoverata fra le famiglie etniche d'Italia. Ma che sono poi gli Slavi che troviamo sugli ultimi lembi del nostro confine, come ne troviamo nel Friuli occidentale e troviamo Francesi nella Valle d'Aosta e Albanesi nelle terre napoletane? 8 blioteca Gino Bianco

- 19 - Sono Slavi di venti e più stirpi, non già scesivi a mano armata, ma pacificamente importativi dai dominatori di queste provincie per popolare le terre disertate dalle guerre e dalle pesti. Avvenne appena nell'ottocento il primo trasporto di siffatta gente, e poi man mano fino al secolo XVII a più di cento riprese, le cui epoche sono segnate con esattezza dalla patria storiografia : opera infelice a cui fu intesa particolarmente la repubblica di Venezia che in luogo di permettere si facessero fitti gli slavi nella Dalmazia, qui nell'Istria li traduceva, dove tutto era pronto a togliere loro la nativa fierezza e italianarli. Stranieri fra loro fino a non intendersi e stranieri agli Slavi d'oltre Alpe, essi sono foglie staccate dal1'albero di loro nazione, e nessuno per fermo avrà potenza di rinverdirle sul ramo da cui furono scosse. Essi vissero e vivono senza storia, senza memorie, senza istituzioni, tutt'altro che lieti di loro origine e desiderosi di essere equiparati a noi. Veneratori del leone di San Marco e memori di quel mite reggimento, imprecano ali'Austria che li ridusse all'indigenza, nè mancherebbero per sicuro, tolta che fosse loro la paura del carnefice, di votare tutti e di grand 'animo, non meno degli italiani, l'unione al Regno d'Italia. (2). Non sorge invece un villaggio in cui si agiti un po' di vita civile, il quale non sia prettamente italiano. Il carattere nazionale è spiccatissimo in _ogni sua esteriore manifestazione. Il vestito, gli usi, le tradizioni, le leggende, i canti, i proverbii sono italiani : italiana I'architettura dall'umile casolare al palazzo pretorio, alla cattedrale; italiani il pennello e lo scalpello che decorano i tempi e i pubblici edifizii; italiane le istituzioni tutte di beneficenza, di istruzione, di chiesa; italiane non meno le fraglie del popolo che le accademie degli Bibl oteca Gino Bianco

- 20 studiosi; italiano il pulpito e italiano il teatro; italiane infine le leggi, di cui si hanno luminosi docu·menti fino dal milleduecento in quegli statuti municipali foggiati alla romana, che regolavano la vita civile di questi paesi, mentre in non poche illtistri parti della rimanente Italia non vi aveva che signori feudatarii e plebe inconscia di sè, del suo passato e del suo avvenire. E bellissimi nomi vanta l'Istria tra i migliori ingegni d'Italia. Chi non conosce il Vergerio e il Flaccio, tanto celebri nella storia della Riforma, il Satorio, caposcuola delle scienze mediche, il Muzio, emulo del Davanzati, l'economista Carli, il Carpaccio e le sue tele, le musiche del Tartini, a non dire di cento altri che di qui partirono ai seggi più onorati nelle università di Padova, di Pisa, di Bologna e di Roma? La civiltà dunque è tutta nostra, nostro tutto che costituisce la vita di un popolo, il suo decoro, il suo diritto a corrispondenza di affezioni e di cure presso i fratelli; e ciò dai più lontani tempi fino a noi, dai tempi in cui sorsero qui i grandi monumenti di Roma fino a questi giorni nei quali, se la povertà fu retaggio di noi Istriani, non c'è venuto meno il sentimento per ogni italiana grandezza come lo attestano le costanti nostre aspirazioni, associate con fatti ad ogni opera patriottica che sia stata prodotta per affermare l'Italia, e punite dallo straniero colle carceri, coi bandi, con ogni maniera di tirannie; aspirazioni di cui certo non sono ultima prova gli iterati scioglimenti delle nostre Diete e dei nostri Consigli municipali, con esempio superiore ad ogni altro nell'impero austriaco, anche solo in ragione di numero e di confronto a provincie cento volte più popolose e alle stesse provincie italiane compagne nel servaggio : aspirazioni infine largamente tradotte nel più bell 'atto

- 21 - nazionale da quella numerosa schiera di giovani nostri, che accorse presta sotto le armi d'Italia, e che già ebbe a suggellare con la vita l'amore della patria comune. In che dunque saremmo da meno degli altri, per subire l'indicibile sciagura di vederci sacrificati all 'Austria, di portare ancora le catene del secol1,1renostro nemico, mentre ogni altra famiglia italica avrebbe trovato pietà e giustizia? Con Roma queste nostre provincie furono sempre regione d'Italia e fuori di dubbio la più gelosa come lo provano i monumenti militari di cui ammiriamo ancora i numerosi avanzi, e che lungo tutta questa frontiera aveva eretto il genio romano di contro alle nazioni d'oltralpe. E quando queste, fiaccata la potenza dell'impero, irruppero di qui a depredare ed asservire l'Italia, furono le genti della Venezia marina e dell'Istria che meglio d'ogni altra ne salvarono il nome costituendosi a reggimento di liberi comuni (i primi comuni italiani dell'evo medio) sotto la nominale signoria di Bisanzio. Continuò poscia sempre generosa la lotta contro gli stranieri, Longobardi, Slavi, Avari, Unni, Saraceni, sì che sappiamo fino da allora affidato l'onore del veneto ·vessillo o, come dicevasi in quei tempi, l'onore del beato Marco, alle galee e alle armi alleate degli istriani. Nè il feudalismo della campagna, imposto da Carlo Magno, franse i tradizionali propositi di questa provincia, chè, sebbene italiana fosse la corona a cui ne veniva ascritto il territorio rustico, i municipii preferirono Venezia e pugnarono, per lungo volgere d'anni, con tanta tenacità e concordia di voleri contro la signoria dei marchesi e contro il succedutovi patriarcato di Aquileia che fino dal millequattrocento si trovò anche l'Istria marchesale sotto il diretto dominio della Repubblica. B;blioteca G 110 Bianco

22 - Che se Trieste seguì per fatale necessità di tempi altro destino, costretta a dedicarsi al protettorato degli arciduchi d'Austria quale libero comune che continuò a dominarsi da sè e ad esercitare perfino i diritti internazionali, ciò nulla toglie ali 'indirizzo storico della parte principale di questa ragione ch'è l'Istria e che restò sempre, senza interruzione qualsiasi, legata alla fortuna della più italiana potenza d'Italia. I nipoti dei prodi che militarono a Legnano e a Salvore (le più splendide battaglie della storia degli italiani) vanno pur essi superbi della più bella e legittima nobiltà, nè questa dovrebbe essere disconosciuta da alcuno dei fratelli, i quali, a dire senz'ira il vero, non hanno tutti intieramente pure le memorie dei loro avi, per quella maledizione delle guerre civili e degli invocati stranieri, di cui la piccola Istria non si macchiò mai, e senza la quale vergogna essa potè lunghi secoli brandire armi repubblicane per glorie italiane, mentre altrove in Italia si faceva corteggio a francesi, spagnoli e tedeschi dominatori. Tanta è la nostra fiducia che· siffatto ordine di considerazioni basti di per sè solo a rendere piena ragione al nostro assunto, che di null'altro facciamo richiesta agli uomini di Stato che non sia lo studio dell'importanza strategica della frontiera orientale d'Italia; lo studio della necessità in cui versiamo, di prendere le nostre posizioni sull'Adriatico, per riparare la lunghissima costa della penisola, che corre dalle venete lagune a Santa Maria di Leuca. Possiamo noi italiani pretendere meno dagli italiani? Dalla sella di Saifnitz sopra Tarvisio (la precipua fortezza che Napoleone I proponevasi di edificare allo Bibl•oteca Gino Bianco

- 23 - schermo d'Italia) sino al promontorio di Fianona, apronsi tre varchi nel grembo dell'Alpe Giulia cioè quelli del Predii e di Ciana-Fiume ai due lati e il centrale di Nauporto o di Adelsberga, ed è attraverso a quest'ultimo che fila la via maestra dell'Austria verso il mezzogiorno. è di qui che sull'unica strada ferrata la quale tragittasi oltre la intiera cinta delle Alpi nostre, si versa propriamente dal mezzo della monarchia austriaca, come avvenne pure da ultimo, il nerbo delle sue forze contro l 'I tali a. Ora la linea dell'Isonzo non copre alcuno di questi passi, e nettamente lo disse il gran capitano che schiuse gli eventi del! 'età nostra. Se l'Italia non vuole le più gelose chiavi del Regno nelle mani dell'Austria, se non vuole insediata questa sul nostro suolo al più esposto suo fianco, signora delle alture che dominano l'Isonzo e della pianura del Frigido ossia del Vipaco che è una continuazione naturale di quella del Friuli, è mestieri che sull'Alpe Giulia, chè quanto a dire sul proprio confine geografico, pianti pure il proprio confine strategico, come suggeriva e pressava si facesse il maresciallo Marmont già governatore di queste provincie. E a tale officio di difesa si presta mirabilmente l'Istria posta com 'è di fronte allo sbocco del varco principale, e di fianco così alla vallata del Frigido come all'altro passo di Ciana o di Lippa. Campo naturalmente asserragliato dai monti della Vena e del Caldera essa -ci permette di impiegare un corpo del doppio minore del nemico per barrargli l'ingresso del Regno; essa può realizzare il progetto di un quadrilatero italiano sugli ultimi nostri confini d'oriente, in quella avventurosa posizione, che, mentre comprende tutto eh 'è nostro, è ad un tempo l'unica per tutta coprire l'Italia dal suo lato orientale. Bene a ragione dunque il primo Biblioteca G ro Biéll1CO

- 24Napoleone la segnalava siccome il complemento del regno italiano dopo averla già fino dal 1797 chiamata provincia importantissima della Venezia. (3). Nè basta la necessità del sistema difensivo terrestre chè l'altra della tutela delle nostre coste è di uguale e forse maggiore momento. Da Aquileia a Lecce quale costa, confine marittimo non abbiamo noi a difendere I Sarebbe dunque sommo difetto di non possedere una flotta nell'Adriatico, e sommo errore crederci regno solidamente costituito senza che la nostra flotta in quelle acque superasse di forze I 'austriaca. Di ciò vanno persuasi al certo anche i più sbadati, anche quelli perfino che stimano degnazione loro l 'occuparsi di sl alto interesse italiano. Ma non tutti misurano le conseguenze della indisputabile necessità, non tutti pongono mente, che noi non terremmo flotta nel1'Adriatico senza aver nostro sul mare stesso un vero porto, un vero arsenale di guerra, e che questo porto e questo arsenale assieme non possiamo lusingarci di conseguire nè da Venezia, nè da Ancona, nè da Brindisi, che sono pure il meglio che si abbia a ciò in su quel lido: lido basso, piano e sabbioso, senza sviluppo d'insenature, con rade mal sicure ed ancoraggi pochi ed infidi, incerto, instabile, profondamente corroso e smarginato da gran copia di fiumi, di canali e di stagni, nonchè esposto ai venti levantini che ne contrastano la navigazione. (MENIS - Il Mare Adriatico - Zara, 1848). E rispetto ai porti di Ancona e Brindisi, non fu ormai posto in evid.<!nza che, per quanto denaro vi si profondesse, non ne otterremmo che stazioni navali di secondo ordine. Non sono poi essi, e particolarmente quello 8 blloteca Gino Bianco

- 25 - di Brindisi, da serbarsi ai commerci più vitali della penisola? Ed anche senza ciò, dove mai sarebbe modo, come pur dovrebbesi, di formarne fortezze primarie, per custodirvi le ricchezze di quell'arsenale senza di cui il porto stesso è pressochè nulla? Ma è bensì Pola che ci dà pienamente quanto ci occorre: Pola ch'è testa di ponte di Ancona, come già Io fu di Ravenna e di Venezia; Pola che ben può dirsi la Spezia dell'Adriatico, e con posizione strategica ancor più felice, ,aprendosi il vasto e ben sicuro e ben difendibile suo porto ,propriamente sulla punta estrema di quel campo naturale dell'Istria che sta sì dappresso ai varchi dell'Alpe Giulia e s'intramette, come a dividerne il mare, non meno delle terre e delle nazioni che là s'incontrano, fra il golfo di Venezia e il Quarnaro che l'Italia chiude. Occupando quel porto, fossimo pur battuti al confine, noi saremmo in grado di rifare le nostre sorti. Padroni dell'Adria invero, noi di là ricondurremmo al campo e sui fianchi del nemico le nuove schiere, le munizioni e provvigioni nostre, e varremmo a tagliargli le vie dei rinforzi, a staccarlo dalle basi della Carniola e Croazia. E tutto ciò senza rischio, perocchè negli ultimi casi è sempre da Pola che riporteremmo in seconda linea, dietro il Po _e sull'Appennino, le nostre divisioni dell'Istria. Meno giusto potrebbe sembrare a taluno quanto viene affermato intorno ai rapporti germanici del commercio di Trieste. L'erroneo asserto messo innanzi nel Parlamento italiano da illustre generale e ministro, s'ebbe già contro le proteste dei Triestini, e le proteste furono lasciate sussistere in tutto il loro valore dalla stessa Dieta di quella città quando, ammonita dal Governo a disdirle, coraggiosa vi si rifiutava e però veniva sciolta. B blloteca Gino Bianco

- 26 - E noi pensiamo innanzi tutto che saranno bene i triestini i giudici più competenti dei loro interessi. Che s~ vogliamo toccare anche in sè la questione, ci torna facile comecchè &stretti a molta brevità dalla natura di questo scritto, di togliere ogni dubbiezza. Ormai il gran fatto, su cui è vano chiudere gli occhi, sta in ciò che la Germania commerciale va tutta a settentrione. Ivi i suoi porti naturali di Amburgo, Brema e Lubecca; ivi le relazioni con la Francia, coll'Inghilterra, col Belgio, con l'Olanda, colla Scandinavia, colla Russia e coi paesi transatlantici dove ha diretti rapporti quasi unicamente per mezzo di quelli empori i; ivi una triplice linea di strade ferrate che fanno pendere i suoi mercantili interessi verso il Baltico e particolarmente verso il mar del Nord, a tutta ragione detto germanico; ivi la defluenza delle principali vie fluviali della patria alemanna; ivi gli aiuti di fianco -che già vanno ed andranno meglio in &ppresso, degli stessi porti di Marsiglia e Genova; ivi lo sfogo della corrente centrale dei commerci italiani, appena siano aperte alla locomotiva le Alpi della Svizzera e del Tirolo sull'antica strada veneziana di Norimberga; ivi infine la Prussia, che terrà l'egemonia politica ed economica della nazione germanica. Quale necessaria connessione invece del porto triestino con quei paesi, se perfino a Lubiana, a brevissimo tratto dall'Adriatico, giungono da Amburgo i coloniali; se i manifattori di Boemia e Moravia reclamano quella città come il loro principale stabilimento; se gli stessi centralisti di Vienna, instando per la soppressione del portofranco di Trieste, fanno palese il loro interesse di piegare a un solo versante commerciale anche la Germania austriaca; se infine non è già la Germania a tergo di Trieste, ma sì la Slavia con la Carniola e con parte della Carinzia e di Stiria? , 81bhoteca Gino Bianco

- 27 - E dopo ciò sarà necessario a Trieste di rimanersi congiunta a uno Stato che ha sì poco interesse economico da tenerla, e sì poca voglia e forza di giovarla? Per l'Istria poi è questione suprema di vita o di morte. Ed invero presentiamo noi che l'Austria sarebbe tutta nel già tentato divisamento di spegnere la nostra italianità, per toglierci dal cuore degli italiani e sopprimere così l'incentivo delle affezioni patriottiche alla loro politica. Quindi e scuole e tribunali fatti tedeschi e slavi, e una burocrazia straniera, investita di pieni poteri a infliggerci ogni guisa di tormenti. E di tal modo se la Slavia la quale è sveglia anch'essa e balda di giovanili spiriti va incontro all'avvenire, farà tutto suo nell'Adriatico, che potrà o vorrà allora l'Italia? Sostare è prudenza se ciò che non tocchiamo in presente non ,ci può mai sfuggire in appresso; ma non così quando urge il pericolo di non conseguirlo mai più. Difatti l'Italia troverebbe qui oltre alle già discorse difese della sua frontiera, spertissimi marinai, ricchi boschi per le costruzioni navali, carbon fossile. E vedemmo quindi l'Istria anche per questo formare parte del primo Regno d'Italia, allora pure che Gorizia e Trieste n'erano escluse e una strada militare esservi stipulata nei trattati internazionali condottavi con molto interessamento da quel Governo. E quando si formarono sotto il diretto dominio di Francia le provvisorie provincie illiriche, mostruoso amalgama di genti e di cose disfarmi, lo stesso Governo italiano appoggiava insistentemente i voti e le proteste dell'Istria a non essergli sottratta, e otteneva per allora gli fossero mantenute almeno le leve dei marinai e le amministrazioni delle saline e dei boschi. Biblioteca Gino Bianco

28 E noi siamo forti se volenti : abbiamo esercito e flotta, il cui valore fu provato, e se ci mancò la fortuna, non subimmo per nulla alcuno di quei disastri che costringono a ritirarsi dal cimento e permettono di piegare il capo al destino senza arrossire. Non ci fermeremmo anzi alle spalle di un nemico che, prostrato altrove, leva di qui le tende per rivalicare le Alpi? Dove dunque la ragione dell'atteggiarsi a vinti, e spandere ignobili lamenti e più ignobili consigli di rassegnazione? Più delle sconfitte in ogni modo nuoce le molte volte alle sorti di un popolo la esiguità degli spiriti. Il nostro giovine Regno, che tanto ebbe d'uopo del soccorso straniero, non può aspirare a potenza senza glorie assolutamente proprie. La virtù delle armi è condizion~ indispensabile a cementare l'unità della nazione, avvegnachè altrimenti il più legittimo orgoglio resta insoddisfatto e i partiti addoppiano passioni e pericoli allo Stato, e il Governo si fa molle nella umiliata sua coscienza e nello spregio che lo incoglie in casa e fuori. Nè, se in noi parla assieme alla ragione l'affetto, ci crediamo men giusti argomentatori di chi impone silenzio al cuore, e a questo prezzo, ma non senza offendere in uno la logica dell'onore nazionale, si dà pregio di riposato ingegno e di saggezza. Ma tra la cieca passione che esige l'impossibile purchè ne venga arma di partito, e la singolare saggezza di chi pregusta, come pure udimmo in questi giorni, la buona amistà d'Italia con l'Austria signora di provincie e di frontiere italiane, e i cordiali nostri rapporti coi fucilatori dei naufraghi di Lissa, ancor padroni del già sempre nostro Adriatico, Biblioteca Gino B1arco

- 29 - v1 e una saggezza ben diversa, la saggezza di chi si rispetta e rispetta meglio la nazione, confortandola a non mostrarsi al disotto del suo nome e della sua fortuna a non abdicare ai suoi più vitali interessi, solo perchè men facile dell'addormirsi nell'ingloriosa quiete ne sia il conseguimento. uall'ls,ria, il 27 luglio 1866. B blioteca G ro Bianco

- 30 - NOTE. ( l) Queste dovrebbero essere norme rn!gari. Nondimeno citiamo il trattato di Campoformio 17 ottobre 1797 (.Veumann, tom. I, pag. 57u, e illartens, Tom. VI, pag. 423) confermato rispetto a queste provincie del trattato di Lunéville 9 febbraio 1910 (.\ieumaun, rom. Il, pag. I, e Martens, tom. VII, pag. 286) perchè in relazione ai successivi trattati di Presburgo 26 dicembre 1805 e di Fontainebleau, 10 ottobre 1807 (Neumann, tom. Il, pag. 185, 198, e Martens, tom. VIII, pag. 388) si vcgga come l'Austria possedesse domini i anche sulla destra sponda dell'Isonzo prima del 1797 e ne tenesse alcuni anche dopo Fontainebleau, quantunque l'Istria allora, e fino dal 1805, fosse stata già r,tolta al breve suo dominio ed unita, colla sua Venezia, al Regno d'ltal:a. Vedi il decreto di aggregazione 30 marzo 1806 nu111ero 34, art. lii (Bollettino delle leggi del Regno d'Italia, P. I. del 1806, pag. 250) e poi quello di organamento 29 aprile 1806, N. 55 (!. c., pag. 388) e l'altro della divisione definitiva dei dipartimenti 22 decembre 1807 n. 253 (I. c., P. !Il del 1807, pag. 1401). L'Istria come all'art. VI, fu divisa nei due distretti di Capodistria e di Rovigno, e in sette cantoni, che furono Capodistrb, Pirano, Pinguente, Parenzo, Rovigno, Dignano e Albona. Dai riferiti atti risulta poi ancora, che, fermato pure il regno d'Italia all'Isonzo, non ne rimaneva già esclusa l'Istria. Anche nella pegg,ore ipotesi adunque confine dell'Isonzo non volle mai dire esclusione dell'Istria dall'Italia. Lo stesso Napoleone ordinava una strada militare che congiungesse attraverso i possedimenti austriaci di Trieste e di Goriz;a, il dipartimento italiano dell'Istria al maggior corpo del Regno, quando questo aveva per termine la linea dell'Isonzo (Thiers, Cons. e lm;,. iib. XXXVlil) e giudica11a anzi necessaria la pro1:incia istria11aai/a difesa di tal linea. (Lettera del Vicerè Eugenio al duca di Ragusa in data del 27 settembre 1806). '3 bliotecaG,noBia'1co

- 31 - Trieste e Gorizia infine furono staccate dall'impero austriaco col trattato di Vienna 14 ottobbrc 1809 (Neuma1111, tom. II, pag. 309, e Martens, tom. I, pag. 217). Assieme a parti di Carinzia, di Carniola e di Croazia, colle quali si formarono poscia quelle provincie illiriche che recarono per la prima Yolta cotal nome straniero al di qua delle Alpi. Essa per altro, quale governo francese interposto a Italia e ;\ustria, non era una vera separa,ione dal regno italiano (Thiers, Cons. e Imp., lib. XXVlll) ma ordinamento inteso a completare il possesso del Friuli. (Notes de Napoléon sur les provi11ces illyriennes. 111émoires du maréchal Marmont, ,·o!. Il, lib. IX): ordinamento provvisorio, che non doveva togliere all'Italia, nell'ultima sua rifusione, quanto era ed egli stesso aveva giudicato suo per diritto e per necessità di esistenza. (Thiers, 1. c.). (2) Nel 1848 quanti villaggi slal"i furono interpellati intorno alla nazionalità che desideravano fosse riconosciuta nell'Istria, risposero l'italiana. I relatavi protocolli sono custoditi nell'archivio del Municipio di Capodistria. E quando il Governo domandò or sono pochi anni, ai villaggi slavi dell'Istria, se volessero italiano, slavo o tedesco il Bollettino de!lc leggi tutti risposero : italiano. Sono questi slavi, infine, ,che all'annunzio della Repubblica di Venezia tumultuarono in pift luoghi, mentre fuori di qui, come na,ra J'Antonini nel suo Friuli Orientale (Milano, Vallardi, 1865) si abbatterono i leoni di San Marco. (3) L'argomento è svolto largamente e con le rispettive citazioni dei più autorevoli git!dizi, nella Frontiera Orientale d'Italia (Politecnico, voi. Xlii, 1862), nella Importanza strategica del!' Alpe Giulia (Rivista Contemporanea, fase. di aprile 1866) e nelle anzidette opere del Bonfiglio. Che il Veneto senza de Alpi Giulie sia scoperto, lo videro tutti anche in passato. Leonardo Donato, procuratore di San Marco (come leggesi nella Storia del Friuli del Palladio) ammoniva caldamente il senrrto a pro\'\·edere alla salvezza della Repubblica essendo il Friuli non difeso dsll'lsonzo ma porta disserrata agli oltramontani. E lo stesso Palladio indica il cammino di costoro su quella Strada H u11garorum, rhe da Ciana appunto e per la Carsia, di sopra all'Istria, metteva nel cuore delle venete provincie, e di cui dice anche il Giambullari nlla sua Istoria, lib. Il. E quindi ben ricorda l'illustre Correnti (Annuario statistico italiano, anno 11) che la regione più insidiala all'Italia è la stra porta orientale, l'Istria. Perciò Venezia mirò sempre a conquistarsi i confini naturali rag• giungendo lo scopo nella guerra contro Massimiliano; e non se ne sarebbe rimossa, ove la lega di Cambrai non le avesse fr~nto l'im• presa. B bliotecaGinoBiarco

- 32 - A con\'incer&i di questi intenti la Repubblica che pur era padrona ddl'lstria, a rivendicare all'Italis tutta la sua frontiera orientale, veggasi p. e. tra i vecchi storici, Raffaello Caresino presso Muratori (Rerum ila/. script., voi. XII, pag. 473), e, dei più vicini a noi, l'austriaco lllorelli (Storia di Gorizia, rnl. I, Gorizia, Seitz, 1854-1855) il quale narra come l'Austria temesse che Venezia o presto o tardi avrebbe tentato di estendere il proprio confine dalle rive dell'Isonzo ai sommi vertici delle Alpi Giulie per congiungere i suoi dominii di terraforma all'Istria e signoreggiare gli ampi varchi della Carsia. E difatti il Luogotenente della Patria Vido Morosini (Relation del Mafico, N. Vido Morosini ritornato Luogotenente della Patria del Friuli, presentato i11 collegio a dl 22 febbraio 1570. (Udine, Trombetti•Murero 1657) scrivera : A ovviare a questa furia turchesca et impedire ii sur, passaggio, io stimo che 110n si possa farlo nè più facilmente nè più comodamente che al/i medesimi passi del Camio e del Carso ... lo tengo impossibile il poterli ostare nè al fiume Lisonzo nè in altri luoghi della patria. Ma sopratutto sarà bene Napoleone I che meriterà fede. Fu egli che chiamò l'Alpe Giulia compimento del Regno Italico (Thiers, lib. XXIII), - che giudicò non sarebbe l'Austria esclusa dall'Italia senza che la linea del!' Adige fosse portata ali' Alpe Giulia (corrispondenza tra Berthier e Marmont, nelle Mémoires di quest'ultimo, lib. IX, Schonbrunn, 28 e 3 I decembre 1805; Linz, 28 gennaio 1806 : Monaco, 5 e 26 febbraio), - che disse. Palmanova non atta a difendere nemmeno l'Isonzo (Mémoires, Marmont, voi. Il, lib. IX), - che distingueva l'Istria nella sua importanza tra le altre venete provincie (Nota diplomatica di Bonaparte ai plenipotenziari austriaci, in data del 28 luglio 179i, riferita da Daniele Pallaveri nel suo Campoformio, Firenze, Le Monnier, 1864), - e che dettò perfino sia pure con frase esagerata, che l'lstrie l'empc,rfe par la convenance et par la valeur intri11sèq'ue de beaucoup sur la Lombardie (Mémoires pour servir à l'histoire de France sous Napoléon. Paris, 1825, voi. VI pag. 545). Onore quindi al generale Guglielmo Pepe, che nel 1848 scriveva al magnanimo Carlo Alberto : Sire, vi saluterò Re d'Italia, quando avrete passato l'Isonzo (Antonini, Friuli Orientale; Milano, Vallardi, 1865, pag. 463). BibiotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==