Gl'Istriani a Vittorio Emanuele II nel 1866

28 E noi siamo forti se volenti : abbiamo esercito e flotta, il cui valore fu provato, e se ci mancò la fortuna, non subimmo per nulla alcuno di quei disastri che costringono a ritirarsi dal cimento e permettono di piegare il capo al destino senza arrossire. Non ci fermeremmo anzi alle spalle di un nemico che, prostrato altrove, leva di qui le tende per rivalicare le Alpi? Dove dunque la ragione dell'atteggiarsi a vinti, e spandere ignobili lamenti e più ignobili consigli di rassegnazione? Più delle sconfitte in ogni modo nuoce le molte volte alle sorti di un popolo la esiguità degli spiriti. Il nostro giovine Regno, che tanto ebbe d'uopo del soccorso straniero, non può aspirare a potenza senza glorie assolutamente proprie. La virtù delle armi è condizion~ indispensabile a cementare l'unità della nazione, avvegnachè altrimenti il più legittimo orgoglio resta insoddisfatto e i partiti addoppiano passioni e pericoli allo Stato, e il Governo si fa molle nella umiliata sua coscienza e nello spregio che lo incoglie in casa e fuori. Nè, se in noi parla assieme alla ragione l'affetto, ci crediamo men giusti argomentatori di chi impone silenzio al cuore, e a questo prezzo, ma non senza offendere in uno la logica dell'onore nazionale, si dà pregio di riposato ingegno e di saggezza. Ma tra la cieca passione che esige l'impossibile purchè ne venga arma di partito, e la singolare saggezza di chi pregusta, come pure udimmo in questi giorni, la buona amistà d'Italia con l'Austria signora di provincie e di frontiere italiane, e i cordiali nostri rapporti coi fucilatori dei naufraghi di Lissa, ancor padroni del già sempre nostro Adriatico, Biblioteca Gino B1arco

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