Gl'Istriani a Vittorio Emanuele II nel 1866

- 20 studiosi; italiano il pulpito e italiano il teatro; italiane infine le leggi, di cui si hanno luminosi docu·menti fino dal milleduecento in quegli statuti municipali foggiati alla romana, che regolavano la vita civile di questi paesi, mentre in non poche illtistri parti della rimanente Italia non vi aveva che signori feudatarii e plebe inconscia di sè, del suo passato e del suo avvenire. E bellissimi nomi vanta l'Istria tra i migliori ingegni d'Italia. Chi non conosce il Vergerio e il Flaccio, tanto celebri nella storia della Riforma, il Satorio, caposcuola delle scienze mediche, il Muzio, emulo del Davanzati, l'economista Carli, il Carpaccio e le sue tele, le musiche del Tartini, a non dire di cento altri che di qui partirono ai seggi più onorati nelle università di Padova, di Pisa, di Bologna e di Roma? La civiltà dunque è tutta nostra, nostro tutto che costituisce la vita di un popolo, il suo decoro, il suo diritto a corrispondenza di affezioni e di cure presso i fratelli; e ciò dai più lontani tempi fino a noi, dai tempi in cui sorsero qui i grandi monumenti di Roma fino a questi giorni nei quali, se la povertà fu retaggio di noi Istriani, non c'è venuto meno il sentimento per ogni italiana grandezza come lo attestano le costanti nostre aspirazioni, associate con fatti ad ogni opera patriottica che sia stata prodotta per affermare l'Italia, e punite dallo straniero colle carceri, coi bandi, con ogni maniera di tirannie; aspirazioni di cui certo non sono ultima prova gli iterati scioglimenti delle nostre Diete e dei nostri Consigli municipali, con esempio superiore ad ogni altro nell'impero austriaco, anche solo in ragione di numero e di confronto a provincie cento volte più popolose e alle stesse provincie italiane compagne nel servaggio : aspirazioni infine largamente tradotte nel più bell 'atto

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