Alfabeta - anno III - n. 29 - ottobre 1981

Mensile di informazione culturale Ottobre 1981 Numero 29 • Anno 3 Lire 2.500 Printed in Italy Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo lll/70 t1•1~••d=t•;t4• la musicacome scelta. POCHIVIO FIBI Sergiu Celibidache Bruno Walter Oara Haskil Rudolf Serkin Benedetti Michelangeli R. Canosa: I processo speciale* A. Porta: La voce (racconto) * A. Mang .. o: L•lnmlag.._rlo sociale F. Leonettl: Montale a,,-Ai1to dalla chiesa «nera» A. Breton, S. Colllnet, M. Duhamel, A. Masson, T. Tzara: I cadavere squisito P. Volponi: Piero, supplemento cl'lnclaglnl * E. Balllstl~ Indagine per Glnzbwg * C. Bertelll: Un qua .. dlfflcle Cfr. * Testo: -■llanl In Daclà, a cura di C. Salarls; Bell~uchanlt, a cura di R. 8e1tm.:&oll e P. Gllelllnl G. Dorfles: O.la t111lll.1oderno * A. Bonh Oliva: Un'aperta lnattuallhì * A. Boatto~ La palcanaula A. Porta: Napoleon-Gance * O. Calabrese: Teoria dell'esule* M. Ferrarls: Le llelle tecniche* C. Formentl: D.1.0. G•E. Slmonettl: Sulla fllrcla * L Gnu:loll: Derrlda l'ultimo* ■1a•ou1 *Lettere* Po•le di F. Fo111111 e E. s.-gulnetl Glonlale del Glonlall: L'enclcllca "Lallorem exercens» * .._glnl: I cadavere squllllo bibliotecay,, ,obia, iv

Ottobre '56: 25 anni fa, l'insurrezione di Budapest sANDORKOPACSI La rivolta degli operai nell'appassionante racconto del questore di Budapest. edizioni e/o Via Monte Altissimo, 7 Roma -PACFIC secondaedizione •Totalmentesprowisto di deboleue per il trascendente, Arbasino gusta l'Oriente per una sorta di curiosità continentale, una golosità rara ed effimera,fatiscente (Nepal)e irrespirabile (Giappone) con esempi di gran stile (Cina)e di saggia miscredenza (Giava)". Giorgio Manganelli, Europeo .clo vediamo laggiù, in mezzo a quello sterminato palcoscenico, ben saldo sulle sue gambe di dubitatore, illuminista, armato del suo fedele, inverosimile mazzo di chiavi, a provarle una dopo l'altra mentre recita un unico, lunghissimo "a parte· senza mai dire "'io"... Educato, serio, quadrato, incompreso Art>asino•. Fruttero & Lucentini, L'Espresso •Come Borges di libri inesistenti, cosi Alberto Art>asinosi fa recensore di paesi "che non ci sono": ossia che non si danno "in natura"con quel fascinodiGrandOpéra- o al caso, da operetta - e neppure con l'orrore sgangherato che Art>asino infonde loro nei suoi reportages di viaggio•. Giuliano Gramigna, Corriere della sera •l'ironia è qui un battesimo dell'Equatore, che la passare dallavistadelle cose allaresa del loro senso profondo•. Maria Corti, la Repubblica GARZANTI 10 ecayu e Leimmagini diqut:!d!! s ymero I leuori troveranno spiegazioni dettagliate su che cosa erano e su come esattam~nte si formavano• i «cadaveri squisiti» de( surrealisti (Parigi del 1925) negli scriìti'che vengono pubblicati in questo numero per accompagnare i «cadaveri squisiti» disegnati da pittori che giocavano (nel senso più alto del termine), insieme a degli incompetenti. Scopo di questa presentazione (a parte quello di una corretta conoscenza di un fenomeno in Italia ancora quasi ignorato) è tentare di capire fino a che punto certe utopie surrealiste hanno ancora presasu di noi e in quale misura possono essere utilizzate. Ciò che entusiasmò André Breton e i suoi amici quando si resero conto di che cosa stava nascendo da quel gioco infantile dei «petits papiers» («bigliettini») ripetuto un po' per caso e un po' perché il recuperodella creativitàinfanti/e non era estraneo al surrealismo, fu lapossibilità di andare oltre la scrittura automatica e di realizzare, in nuce, la profezia di Lautréamont: «La poesia verrà falla da tu/li». La scriuura automatica rimaneva, Sommario Romano Canosa Il processo speciale pagina 3 Antonio Porta La voce (racconto) pagina 4 Attilio Mangano L'immaginario sociale (Storia dell'immaginario, di Evelyne Patlagean; Immaginazione sociale - L'utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche, di Bronislaw Baczko; Per una storia del movimento operaio, di Vittorio Foa) pagina 6 André Breton, Simone Collinet, Marcel Duhamel, André Masson, Tristan Tzara Il cadavere squisito pagina 8 Eugenio Battisti Indagine per Ginzburg pagina IO Carlo Bertelli Un quadro difficile pagina 11 Cfr. pagina 12 Testo Italiani in Dadà A cura di Claudia Salaris Belli/Schuchardt A cura di Raffaella Bertazzoli e Pietro Gibellini pagine 15-18 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeto» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) che ogni articolo non sia più di una pagina del giornale. cioè al massimo di 7 cartelle di 2000 battute. con un'accettabilità fino a 9-10 cartelle (dovendo altrimenti procedere a tagli e rinvii prolungati); b) che il riferimento diretto sui libri in• infaui, una produzione ancora essenzialmente individuale, mentre i «petits .. papiers» davano la possibilità di lavora;e in molti, di attingere ·risultati che un solò «cervello» non avrebbe mai potuto sperare. «Fare tacere lo spirito critico e liberare pienamente l'attività metaforica dello spirito» era un fondamento della scrittura surrealista,poterlo realizzare collettivamente sembrava un sogno, ed era alla lei/era un sogno, sollecitato a nascere e a agire come linguaggio sociale durante una veglia oziosa e piacevole (scrive Breton: «il tempo era dedicato al piacere e niente altro»). Ciò che valeva per i «biglie/lini» doveva servire anche per i disegni e i colori, e qui la riprova fu notevole, secondo la testimonianza di Simone Collinet, che sollolinea una scoperta essenziale: la partecipazione di chi non aveva talento di pillare non erameno creativa di chi aveva invece talento grandissimo, e proprio questa partecipazione teneva aperta in permanenza «unaporta sull'ignoto». Precisamente: «La poesia verrà fatta da tutti». Ora noi sappiamo che l'utopia surGilio Dorfles Ossia antimodemo (E se non ha più stile si chiamerà postmoderna, di Andrea Branzi; Architecture at the Crossroad, di Ada Louise Huxtable; Considerazioni su «modem» e «postmodem», di Lodovico B. di Belgiojoso; Meaning inArchitecture (Il significato in architettura), di C. Jenks & G. Baird; Bizarre Archùecture; The Language of Postmodem Architecture, di C. Jenks) pagina 19 Achille Bonito Oliva Un'aperta inattualità pagina 20 Alberto Boatto Lo psiconauta pagina 21 Omar Calabrese Teoria dell'esule pagina 22 Maurizio Ferraris Le belle tecniche (La questione della tecnica, di M. Heidegger; A partire da Marx e Freud, di J-F. Lyotard) pagina 23 Carlo Fonnenti D.1.O. pagina 25 Luigi Grazioli Derrida l'ultimo (La carte postale, di J. Derrida) pagina 27 Giornale dei Giornali L'enciclica Laborem exercens a.cura di lndex - Archivio Critico del- /' Informazione pagina 30-31 Poesie Franco Fortini pagina 6 Edoardo Sanguineti pagina 10 Finestre Francesco Leonetti Montale avvinto dalla chiesa «nera» pagina 7 Paolo Volponi Piero: supplemento d'indagini pagina 9 Antonio Porta Napoleon - Gance pagina 21 dicati in apertura (con tutti i dati bibliografici. prezzo e pagine compresi) giunga a una sostanziale valutazione orientativa,insieme agli apporti teorici e critici dell'autore dell'articolo sul tema; c) che. insieme alla piena leggibilitàdi tipo espositivo piuuosto che saggistico. sia dato dove è utile e possibile un cenno di spiegazione o di richiamo ai problemi e agli accertamenti anteriori sull'argomento o sul campo. La ~aggiore ampiezza dell'articolo o il suo carattere non recensivo sono sempre realista è rimasta tale per mancanza assoluta di strutture adeguate, dal momento che la prova di laboratorio ha dato esitipositivi. çerto, non è dello che dal laboratorio si possa passare direi/amen/e e senza problemi alla «grandeproduzione», ma a un laboratorio più vasto direi senz'altro di sì, anche se ciò, al momento, appare non attuabile. La poesia è oggi «fatta datulli» in un altro senso: che viene utilizzato il linguaggio di un'intera società e non solo quello coltivato negli orti chiusi di quella che un tempo venivachiamata «leueratura». Oggi le tecniche letterarie, assolutamente indispensabili, si nutrono di ogni possibile linfa linguistica. Ma qui comincia un altro discorso ancora e verrà l'occasione per affrontarlo; limitiamoci, per ora, a rendereomaggio allemille e una intuizioni feconde dei surrealisti. A.P. Testi e illustrazioni raccolti da Arturo Schwarz Gianni-Emilio Simonetti Sulla farcia pagina 26 Blackout Augusto Finzi L'avvelenamento di un rigagnolo può uccidere un mare pagina 29 Lettere Lei/ere di Claudio Bozzi, Alda Merini, Valter Vecel/io pagina 29 lmmagiui Il cadavere squisiti> alfabeta mensile di informazione cullurale della cooperativa Alfabeto Comitato di diretione Nanni Balestrinj, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Redazione Vincenw Bonazza, Maurizio Ferraris, Carlo Fermenti, Marisa Giuffra (segretaria di redazione), Bruno Trombetti (grafico) Art director Gianni Sassi Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redai.ione e amministrazione Via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Coordina1ore edi1oria/e Gigi Noia Composizione GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, Milano, Tel. 5392546 Tipografia S.A.G.E. S.p.A., via S. Acquisto 20037 Paderno Dugnano (Milano) Distribuzione Messaggerie Periodici Abbonamento annuo L. 25.000 estero L. 30.000 "(postaordinaria) L. 35.000 (posta aerea) Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale a.r.l. via Caposile 2 20137 Milano Conto Corrente Postale 15431208 Autorizzazionedel Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981. Direttore responsabile Leo Paolazzi Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati proposti direttamente dalla direzione del giornale, perché derivano da sceltedi lavoro e non da motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione sono esaminati, ma la rivista si compone prevalentemente di collaborazioni su commis.sione. Il Comitato direttivo N.B. Gli articoli devono essere inviati in triplice copia. L'autore deve indicare: indirizzo, numero di telefono e codice fiscale. m&m media & messaggi Linguaggi, figure, scenedelle culture rivista quadrimestrale Il primo numero Il Tempo e la Parola sarà in libreria a novembre contributi di: Addamo, Baget-Bozzo, Baudrillard, Bauleo, Bette/la, Bifo, Bonfantini, Caprettini, Corghi, De Biagi, De Maria, Devèze, Di Nola, Fabbri, Fara, Favini, Ferraris, Folin, Guenot, Lipovetsky, Mecatti, Namer, Niola, Ossola, Panica/i, Pardo, Poole, Sanavio, Scalia, Tartaglia, Troisio, Viri/io. BLOOM EDIZIONI Via N. Tommaseo, 13 35100 Padova MANTOVA 30/31 ottobre I novembre LE ROVINE DEL SENSO u artioli t baJ t bartoli g bartpl)!çci J baudnllard p bellasi g barucchello p fabbri a finkielkraut n gasbarro n {uhmann Jf yotard u nespolo mperniola f rella pa rovatti p virilio introduzione: p meneghetti s trom61ni as&essorati alla cultura del 1 comupe .e ciel a prov1nc1a 01 mantova tt;atro bibieqa via accademia

L o cstile itaJianp,. nel diritto è stato semptc caraUerizzato dal convincimento, diffuso da tempo immemorabile ed inculcato in tutti i giuristi sin dal momento della loro formazione come tali, che il cdiritto,. è una disciplina autonoma da tutte le altre, che può essere compresa o perfezionata per me120 di uno studio sistematico. Nell'ambito di questa concezione, l'opera degli studiosi del diritto è assimilata a quella di tutti gli altri scienziati (non solo csociali,. ): essa non si interessa tanto della soluzione dei problemi pratici quanto della ricerca della verità cscientifica,., dei principi ultimi o fondamentali, non si occupa dei casi individuali, ma pressocché esclusivamente dei problemi generali, in una parola cnon è tecnica, ma scienza pura»i. L'applicazione del diritto al caso concreto si muove in piena coerenza con questo presupposto. AI giudice viene fornito un insieme di c·principi• di ricerca metodologici i quali, applicati agli articoli di legge, non possono non consentirgli di trovare la cesatta• soluzione del problema concreto portato al suo esame, senza grandi difficoltà e senza troppi patemi d'animo. All'interno di questa visione del mondo, la vivente complessità del sociale sulla quale il giudice è chiamato ad intervenire, è totalmente messa in parentesi e questa cepochè> è addirittura considerata come una operazione indispensabile per una corretta amministrazione della giustizia. Si badi: non è che lo cstile italiano,. neghi l'esistenza di dati sociali irriducibili alla norma o di giudizi di valore. Se lo facesse si coprirebbe di ridicolo, posto che gli uni e gli altri esistono o non sono in alcun modo negabili. Questo cstile» ne riconosce invece la esistenza ed anche l'importanza, ma nel contempo li espelle totalmente dal mondo «incantato• del diritto, oggetto dei suoi studi. Questo o sarà un mondo di pure forme o non sarà. 1 conflitti, sui quali il giudice interviene, sono, per il giurista italian style, conflitti giuridici, non conflitti sociali. Le norme sono per lui la materia prima, i fenomeni che egli studia; esse costituiscono per lui degli autentici cfatti». S ul finire degli anni sessanta· questa struttura, immobile e consolidata da tempo, viene messa in discussione, non tanto nel csilenzio• delle riviste giuridiche e delle discussioni accademiche, ma sulle prime pagine dei giornali. Una parte, indubbiamente piccola, ma assai combattiva, del corpo giudiziario contesta pubblicamente il modello tradizionale di diritto che esso è chiamato ad applicare, dichiarando a chiare lettere che le norme giuridiche non sono neutrali, ma hanno un inc. dubbio carattere di classe, che il giudice no~ è un interprete neutro delle norme, ma un elemento di una struttura, in una parola che la forma giuridica tradizionale nasconde una sostanza innegabile di cpoteri• di classe. La rivolta contro il formalismo giuridico non si presenta inoltre come una protesta di giudici singoli, ma viene organizzata da una struttura stabile, Magistratura Democratica, sorta all'origine per gestire in modo «moderno• il formalismo tradizionale, ma alla fine approdata dopo varie traversie alla negazione stessa di quel formalismo. Il centro dell'attenzione nell'ambito del diritto si sposta cosl dalle «fonti• (e dalla teoria giuridica) all'operare concreto dei giudici, il quale per la prima volta <prevale• suglialtri due momenti. Non è qui il caso di fare la storia di Magistratura Democratica e delle sue vicende, abbastanza note nelle loro linee generali, non fosse altro per le campagne di stampa svolte all'inizio degli anni settanta contro di essa, vista come la portatrice di un disegno ceversivo• del funzionamento della istituzione giudiziaria. Quello che va, invece, sottolineato è che nella ideologia di Magistratura Democratica di allora convivevano una accentuata tendenza populistica ed una altrettanto accentuata «volontà di potenza». Sotto il primo aspetto si verificò una andata verso il «popolo» la quale non aveva avuto l'eguale in precedenza; per anni non vi fu meeting di protesta o sfilata o tavola rotonda nelle quali i giudici democratici non fossero presenti ed attivi ispiratori. Il populismo del resto, sebbene sia stato per anni considerato in modo negativo dalla cultura marxiana ufficiale (che poi, sul piano della pratica politica, questa facesse del populismo assai scadente è un altro discorso) costituisce un momento da non disprezzare in nessuna cultura, tanto meno in una cultura come quella giuridica per la quale non il «popolo», ma gli stessi rapporti sociali ai quali si applicano le sue elaborazioni, sono stati sempre esorcizzati come fuorvianti e messi in parentesi. Dopo tutto. è un fatto positivo che sia pure in modo «non scientifico» (!) si metta l'accento sul fatto che, nell'ambito di una stessa società, vi sono persone proprietarie e persone senza proprietà, soggetti detentori di potere e soggetti senza alcun potere, in una parola che la società non è affatto di liberi e di eguali, come la ideologia dominante proclama da tutti i pulpiti. Dall'altro lato, si riscontra nei giudici democratici di quegli anni una innegabile ricerca di potere, nell'ambito di una società in profonda crisi e, come tale, incapace di conservare tutto il potere ai ceti suoi tradizionali detentori. Senza dubbio, la volontà di potere dei giudici democratici all'inizio degli anni settanta fu ingigantita dai media a fini tutt'altro che disinteressati (dispiaceva non tanto la ricerca del potere, quanto il suo uso contro i ceti dominanti). Ciò non toglie che i.Ifenomeno ebbe realmente a verificarsi. In una società in cui il potere da sempre è stato ricercato al fine di favorire (spesso patrimonialmente) se stessi o il proprio clan,la ricerca di potere da parte dei giudici di MD ebbe questo di differente: il potere venne perseguito al fine di riequilibrare, nei limiti (non grandi) delle possibilità dei giudici, un mondo sentito come profondamente diseguale ed ingiusto. La prassi qui si congiungeva al populismo della ideologia, e cercava di realizzarne gli imperativi. Se ha senso parlare di una ricerca «disinteressata• del potere, la ricerca da parte dei giudici democratici nella prima parte degli anni settanta indubbiamente lo fu. Il populismo e la volontà di potenza dei giudici, in quella che si può considerare la fase ascendente del movimento, erano inoltre restati quasi sempre saldamente all'interno della logica giuridica tradizionale. Non vennero mai formulate teorie giuridiche alternative a quella tradizionale, in particolare nessuno, neppure l'ala radicale del movimento, ebbe mai a negare la tradizionale soggezione del giudice alla legge o ebbe a farsi promotore di teorie del tipo «diritto libero», «diritto creato dai giudici» ecc. In particolare furono sempre saldamente mantenuti alcuni principi fondamentali in materia di diritto penale, quello ad psempio secondo cui si può essere puniti soltanto per fatti criminosi bene individuati sulla cui commissione da parte dell'imputato esistano prove inconfutabili. Non venne mai meno, allora, la convinzione che il diritto penale è uno strumento assai pericoloso perché si possa utilizzarlo discostandosi dai principi tradizionali in materia di reato e delle sue prove e che proprio attraverso questi due principi si era passati dal medioevo del diritto al diritto penale delle società liberali. La natura del dissenso giudiziario nei primi anni settanta nel complesso fu-pertanto sana: mise in crisi il formalismo tradizionale, senza mettere io discussione principi che, anche se coinvolti nel formalismo generale, costituivano conquiste autentiche del pensiero giuridico moderno e garanzie insopprimibili delle libertà dei cittadini. Quello che non si è verificato in quella fase, mostra invece una pericolosa tendenza a verificarsi ora. Venuta meno, alla prova dei fatti, la fiducia in una «rivoluzione» imminente che modificasse la società in misura proporzionale alle speranze di allora, man mano si è attenuata anche quella ideologia populista che aveva costituito l'humus sul quale si era mosso il movimento dei giudici democratici di allora. Anche se essa non è venuta meno del tutto, è restata più come espressione di uno stanco rituale che come un principio ispiratore di autentico e fervoroso operare per una reale riforma del diritto e della società, come era stato in precedenza. D'altro canto, se questa componente si è attenuata fino quasi a sparire, la volontà di potenza si è rivelata assai più dura a morire. Il che è abbastanza comprensibile: che di «rivoluzione» o di riforma radicale della società non sia più il caso di parlare appare a tutti evidente; al contrario la società italiana attuale, pur avendo riequilibrato, in favore delle classi al suo interno dominanti, la situazione degli anni passati, continua a restare una società a governo e a gerarchie di comando deboli, situazione non sfavorevole per chi detenga un potere, come quello giudiziario, di una certa consistenza e del tutto sottratto a responsabilità. È nell'ambito di questa nuova situazione che proprio all'interno di Magistratura Democratica si è manifestata per la prima volta una tendenza la quale, se non seriamente contrastata, è suscettibile di arrecare più di un danno alle pubbliche libertà. L a più nota uscita dagli schemi tradizionali del processo penale è quella realizzata dal sostituto procuratore di Padova Calogero (anche lui di Magistratura Democratica) con l'inchiesta del 7 aprile 1979. Il modello di indagine penale seguito da questo giudice è a grandi linee il seguente: in primo luogo si deve accertare la qualità di «sovversivo» nell'imputato (o negli imputati). A tal fine sono sufficienti, ovviamente, gli scritti teorici e le dichiarazioni politiche degli inquisiti. Sulla base di questi dati, ad esempio, nessuno potrà negare che un imputato come Negri sia un «sovversivo• nel senso che a) si è più volte pronunciato con decisione contro il sistema dei rapporti sociali esistenti, b) si è più volte espresso in favore di un suo radicale mutamento, c) non ha escluso che questo mutamento potesse richiedere anche prassi violente. Una volta costruita, in modo fin qui credibile, la figura del «sovversivo», come tipo sociale (anche se non può non rilevarsi fin da ora che non è compito del giudice quello di costruire «tipi» sociali), a questo punto il passo successivo è rappresentato dall'arresto del sovversivo in questione, in quanto appunto «sovversivo» e quindi teoricamente capace di commettere atti di «sovversione». A questo punto la rottura con il pensiero e la prassi giuridica tradizionale è totale: gli inquisiti vengono arrestati non per le azioni da loro compiute (verso la prova delle quali l'inquirente

manifesta un certo fastidio), ma pressoché esclusivamente per quello che essi sono. Basta leggere gli ordini di cattura emessi nell'ap_rile1979 contro la dirigenza della Autonomia per rendersene conto2 . Essi sono quasi interamente basati su dichiarazioni politiche degli imputati, tratte dai loro scritti, alcuni dei quali, per di più, risalenti a molti anni prima. Al sillogismogiudiziario penale tradizionale «tu hai tenuto un comportamento concreto vietato dalla legge, io giudice ho le prove (o gravi indizi) di questo tuo comportamento, perciò ti arresto o ti condanno», se ne è sostituito a questo punto un altro «tu sei un cittadino di natura speciale (un 'sovversivo' nel caso di specie) o, meglio, io giudice ritengo, sulla base della tua attività politica e delle tue dichiarazioni politiche, che tu sia un sovversivo, nel frattempo sono state commesse nel territorio affidato alla mia giurisprudenza dei reati politici di 'sovversione', per questo ti arresto e ti condanno». Non si tratta di una ricostruzione arbitraria, o malevola. Sono gli stessi inventori di questa nouvelle vague punitiva a rivelare come le cose realmente stanno dal loro punto di vista, anche se le loro affermazioni sono ovviamente avvolte da notevoli dosi di ambiguità (il metodo reale da loro introdotto è così pesantemente in contrasto con la tradizione e cosi pericoloso per le libertà dei cittadini che, professato in modo esplicito, e sfrondato da tutti i suoi veli, difficilmente sarebbe accettato anche da coloro che pure osannavano i suoi inventori). Cosi il sostituto Calogero in una intervista del luglio 1979 al Corrieredella Sera, alla domanda dei giornalisti «quali prove concrete ha raccolto contro i cosiddetti capi dell'organizzazione? Fatti specifici?» risponde: «Pretendere questo mi sempra ingenuo e sbagliato. L'accusa ritiene di aver individuato non i manovali del terrorismo, ma i loro dirigenti e mandanti. Un dirigente, per la natura stessa del ruolo e del tipo di organizzazione, certamente non va a fare attentati. Sarebbe una rinuncia alla sua funzione che è quella di dirigere e non eseguire. Non mi nascondo che il problema è sottile. Abbiamo infatti di fronte un terrorismo peculiare ed originale. Un operatore del terrore non può praticare terrorismo e, insieme, fare politica. Proprio perché in un partito, e questo è un partito, ci sono ruoli ben definiti che vanno rispettati: al dirigente il compito di dare direttiva, all'organizzatore il compito di organizzare, all'esecutore il compito di eseguire. Per ciò non ci si possono attendere in questo caso prove di fatti terroristici specifici. Noi abbiamo cercato e crediamo di aver scoperto le prove che accusano i dirigenti del partito armato»3 . In una precedente intervista-inchiesta, apparsa su la Repubblica del 6-7 maggio 1979 lo stesso sostituto si era espresso in modo anche più chiaro: «'Noi riteniamo che il gruppo dirigente dell'autonomia organizzata ha programmato azioni contro il lavoro nero, contro la selezione, e così avanti. È accaduto poi che queste azioni, in quegli esatti termini, siano stati effettivamente compiute e rivendicate con volantini delle sigle più diverse; ma tutti contenenti frammenti del programma, le motivazioni indicate nel programma, le tappe future previste dal programma'. Per Calogero questi Lavoce Racconto di Ant nio Porta sono 'segmenti di una strategia che trascende il fatto', l'attentato o il sabotaggio; dunque 'confrontiamo ogni . segmento e vediamo che esso potrebbe rientrare in un deliberato della direzione di Autonomia', anche se è stato rivendicato da una organizzazione terroristica[ ...]>. Nelle stesse dichiarazioni dell'inquirente - come si vede - è la «natura» degli inquisiti e della organizzazione politica da loro diretta, non la qualità e la quantità dei reati e le prove che essi li abbiano commessi (le quali mancano), a giustificare l'intervento duro da lui operato. Ma finché si tratta dei sostituti procuratori di Padova, se grande deve essere la preoccupazione, scarsa deve essere la meraviglia. A tutti sono infatti noti gli stretti legami che una parte di Magistratura Democratica ha con il partito comunista, dal quale l'inchiesta del 7 aprile è stata spalleggiata e difesa fino ai limiti del ridicolo. E questo partito aveva deciso, per ragioni sue sulle quali non è qui il caso di soffermarsi, che l'Autonomia andava comunque distrutta come soggetto politico organizzato. Non può non destare meraviglia, al contrario, il fatto, assai meno conosciuto, che una tendenza analoga si sia manifestata anche in alcuni giudici della sinistra di Magistratura Democratica, sia pure nell'ambito di situazioni assai lontane da quelle di cui si sono occupati i giudici padovani. U na delle piaghe della Sicilia occidentale e di alcune wne della Calabria è costituita dalla mafia in tutte le sue componenti ed in tutte le sue forme. Anche se lontanissima dalla criminalità politica (sono totalmente errate le tesi che assimilano reati politici e delinquenza mafiosa) la criminalità mafiosa presenta con la prima un elemento in comune: essere anche essa costituita su base associativa e operare in modo che, come accade per la criminalità politica, di fatto gli apparati coercitivi di stato non riescano, per varie ragioni, a venirne a capo. Ed allora si tenta nell'un caso come nell'altro, di «sollecitare dolcemente» il diritto penale, al fine di conseguire per questa via quei risultati che il modello tradizionale di intervento represL a voce. Una voce che mi perseguita articolando frasi che il continui a sottrarti a te stesso, vattene, entra nel bosco, non tornare combattere da valoroso in quelle file, ma egli sapeva che essa era comune senso del senso considera frutti di un delirio. Eppure più tra gli umani. «Non scappa. Il ribelle resta al centro della stata il punto di partenza e che ciò che contava era il punto di arrivo, non ho lafebbre. Non sono preda de~'alcool né di qualche altra macchina demoniaca, ma in silenzio, nella sua solitudine. È anche la vita buona». Se qualcuno non ci crede, ali'awenticità dello scritto droga leggera.Una voce che mi invade per costringermi aparlare, a pensando a lui, al ribelle, che io parlo di 'ricorso alla foresta', che ho trascritto,ci metto la data di pubblicazione: 7 agosto 1981. direquello chenon vogliodire, afare laspia. Sì, fare laspia. Si capirà beninteso che la foresta può essere il cuore della grande città». Escluso subito che questo fosse un invito a arruolarmi nell'Arma e subito perché spia e di che cosa. La voce mi dice: metti una lingua al Questa la voce di funger, sembra doppiare la mia, cioè quella che mi a smettere di scrivere e leggere (soprattutto poesie) per non fare posto della vagina e parla. Non sono mica una donna, balbetto. perseguita, che scricchiolanel mio cervello, invece dice il contrario. ghignaregli assassini,lamia Voceha subito trasformato il messaggio Ecco, risponde, parla e sarai come me, come un dio, come una C'è un'altra contraddizione: anche ]unger parla, anzi non ha mai nel senso voluto: vai eparla. Non è un disonore fare la spia di fronte donna, un corpo celeste. lo sono la mela. Sono la tentazione, parla e smesso diparlare;perché dovrei sceglierlosoltanto io il silenzio? C'è al/'orrore. Escluso anche il ricorso, poco eroico, alle lettere anonisarai libero. Tu sei il diavolo, mi è facile rispondere, e io ti taglio un'altra contraddizione ancora:se i brigatistidel Bambin Gesù (non me, non ho preso alcuna decisione e sono andato a parlare col mio l'uccello se non te ne vai. Provaci,provaci, mi irride, e taglieraiil tuo ho intenzioni blasfeme, si sono chiamati loro così, io prendo nota e amico scrittore e poeta di cui avevo accettato le motivazioni del uccello credendo di tagliare il mio. Provvedi in tempo, continua, basta) sono in realtàuomini di Stato, e non ho ragione di dubitarne, silenzio («non è il mio mestiere fare il poliziotto»). Gli ho detto: salvati. anzi sono sicuro che se potessero peggiorerebbero di molto anche «Ammetti che io sia venuto a sapere qualcosa di importante su un Questo il teatrino, divagatorio, depistante: la voce mi vuole dire questo Stato attuale (in parole volgari: meglio questo casino che il pi-esumo brigatista, rosso o nero non importa, al momento, o non altro e non ci riesce. Ma allora, sono io stesso la voce e subisco gli lager)perché un ribelle, come io mi sento d'essere, non si affretta a dovrebbe importare, tu chefaresti almio posto? Andresti all'Arma a inganni dell'inconscio quando si ostina a parlare d'altro, a mentire denunciarne qualcuno, se lo conosce? Proprio per questa ragione: dire quello che sai?» La sua risposta: «A parte il fatto, che il colore per lagola! Sì, lagola, che tuba come quella di una tortora in amore, perché un ribelledeve in ogni casopreferire uno Stato che è il minore rosso è comunque meglio di quello nero, anche quando è tradito, tuba nel desertodellamia stanza, e articolasuoni tubanti come questi dei mali a quello che è senza dubbio il peggiore dei mali, come i bagnato di sangue innocente, è grave quello che dico ma è quello che che descrivo: esci, vattene,sali sulla collina,nasconditi e n, dove non sempre vivi seguaci di Stalin stanno sognando di attuare. Dunque provo, tu, oltre che diventare una spia, faresti pure lafigura dell'imti può vedere più nessuno, prova a parlare a un cespuglio solitario, deve parlare, se sa. becil/e,come direbbe Totò. Sono certo di una cosa:quelli dell'Arma spinoso, ardente,prova a dirgli quello che non vuoi dire a nessuno e Vattene, insiste la voce, la foresta ti aiuterà. Vivrai in silenzio, ne sanno già sicuramentepiù di te, sul conto di chiunque, e agiscono tanto meno allaPolizia. La Polizia? Ma che c'entra?Ecco l'ipocrita, come un animale, ti esprimerai a ululati, asquittii, a fischi di merli, ti o non agiscono a seconda di ciò che ritengono convenga alle indagisepreferisci i Carabinieri,l'Arma, fa lo stesso, ma devi andarea dire basteràper sopravvivere. Quando tornerai tragli uomini non aprirai ni. lo preferisco dire: al controllo della società, attuale o futuro, ciò che sai. L'Arma, mi pare già meglio, un misto di maschile e più bocca, saraidefinitivamente convinto che leparole sono vane. È parziale o totale. Li metteresti in imbarazzo, in definitiva, scombifemminile, come l'Asta, la Freccia:tutti, tutte tentano di raggiungere chiaro che la voce fa dell'ironia, che tenta di aggirarmicon glisfottò, nando loro una parte del gioco che sanno condurre meglio di te e di il bersaglio. Bello. Vado dai rappresentanti della Freccia, Sezione puntando su un mio irrazionalemoto o impennata di ribellione. Ma me, perché ne conoscono tutte le componenti. Tu e io forse ne Azzurro, e dico quello cheso. In sogno. Fingo di sognare, di delirare non c'èpericolo, so che il silenzio è nemico, laprova eccolaqui, che intuiamo una centesima parte». eparlo. Loro prendono nota, verbalizzanoanche i sogni, conoscono sto scrivendo-parlando ai miei possibili lettori, che sto cercando di Sono rimastosenza parole, come nel punto in cui ci si rende conto bene la coscienza inquieta delle spie. coinvolgerli nella persecuzione di cui sono vittima. Non solo: sto che quello che ci viene detto o consigliato lo sapevamo già. Quindi Ma qui conviene che io faccia un passo indietro. La vecchia cercando di capirechi ha ragione, quale è la sceltagiusta:fare laspia una doppia parte di imbecille: esterna e interna. Anzi tripla: anche questione se un cittadino debba o non debba fare la spia una volta contro i nemici-amici dello Stato o stare zitto e aspettare, che se la nei confronti della voce. Ora, aparte l'inutilità dellamia miliranza in• che sia a 'conoscenza di fatti che possono interessarela cosiddetta sbrighino loro, i militari opposti, quelli della Freccia,della_Fia_mma, qualità di spia, la parte dello sciocco che voglio evitare, non posso autorità giudiziaria, questa subdola questione retorica l'avevo da come preferite. accettarequesta motivazione del silenzio (ammesso e non concesso, tempo risolta, ricordando una frase di un mio amico scrittore:non Ma tu da che parte stai? Hanno il diritto di chiedermi a questo come si dice, che io sappia davvero qualcosa, ciò di cui dubito. ritengosia un mio compito né uno dei miei doveri fare il poliziotto. I punto i miei possibili /euori. Non vorrai darci ad intendere che la Sarebbe più giusto dire: immagino di sapere qualcosa...). Quella poliziotti facciano i poliziotti, non è questo il mio mestiere. Convin- Voce sia fuori di te, la Voce è tua, è uno dei cuoi duplicaci,delle tue vera, autentica,decisiva, è l'altra:non voglio, non posso fare la spia, cente, fino al momento in cui l'ennesima azione delle Brigate del proiezioni, stiamo assistendo a un teatrino interiore, a nienle altro. in ogni caso. Bambin Gesù, sì, proprio quelle, come uscite dal film di Buiiue/, ti Mi è facile replicare: interiore è una parola vuota, lo sapere, quali Temo che la mia impossibilità abbia radici araviche, irrazionali, mette in crisi:l'imperativo che così suona: occorrefermare gli assas- sono i confini tra dentro e fuori? Tra ciò che riceviamo dalla cultura da socierà primitiva, motivazioni moralistiche, basate sull'antica sini, ha una sua presa. Facciamo una prova immaginaria: se tu lo del nostro tempo e quello che vi opponiamo? Solo per quesra,agio- distinzione tra il bene e il male. Ebbene sì. La spia è il male. Sento la potessi, per un caso, lo consegneresti un assassino alla giustizia? ne, io credo, quello che vi sto raccondando ha un senso. Già, io da schiena chemi bruciasotto il ferro del marchio, della S impressaper Primadi rispondere bisognafare unapremessa: possono rispondere cheparte sto?A impedirmi di rispondereè arrivatoancheun articolo sempre. Fare la spia è tradire il fratello, ucciderlo, perché significa soltanto coloro che hanno visto morire un uomo ammazzato da un, che ho conservato e che tengo qui sottomano, di un illustre uomo di metterlo in bana del più forte, dell'Autorità. Pensiamoci un momenaltro uomo (o da una donna naturalmente). Io posso rispondere: ho cultura, di un fine letterato, come si suol dire. Ha detto cosi: «Dinan- tÒ,anche laleggedeipaesi ademocrazia liberaleèsempre dallaparte visto agonizzare un uomo sparato da_.una donna (che non voleva zi alla strage di Bologna Dante ci può insegnare una cosa sola, del più debole, almeno in teoria. 1patti leonini sono vietati. Fare la essereabbandonata) per più di una settimana. L'uomo è morto, la l'implacabile sforzo di lrovare gli assassini e di impedire concreta- spia è accettareun patto leonino, offrire inpasto l'animale, agnello o donna adesso è libera, fa quel che lepare, si è perfino risposata. La mente altricrimini, rimandando ad altraoccasione la letturadei suoi jena che sia, alle belve che comunque hanno la vittoria in tasca giustizia,contantodiprocesso,sièliberatafacilmentediquelmorto. versi». Questo perché: «Le giornate di Bologna (dove si è /erto (prima o dopo: anche i rivoluzionari vogliono lo Stato). lo non lo no. Dante ne~'anniversario dellaStragedel 1980) assumono, nonostan- posso indossare gli scivali neri lucidi e impugnare una pistola nera, A questo punto mi sro mettendo su un percorso obbligaro (e con te i loro nobili ma patetici intenti, una sinistra comicità: è facile lucida, impugnare la morte. Non stascrittoda nessunaparte che non me, temo, i miei lettori che possono sentirsi prevaricati), con una immaginpre il ghigno degli imputaci assassini e dei loro impuniti si deve ma sta scritto che è un diritto della difesa, del difendersi, il ,.. risposra unica. Ma non è così. La risposta rimane sospesa, e il complici e mandanti, dinanzi alla convinzione che un recital possa tacere.Èquellochechiamiamodemocrazia,cioèstaredal/apartede/ "' percorso bloccato, devialo, da un sentimento contrascante,che mi contribuire a sconfiggerli». popolo. Dall'altra parte ci sono pronte e ardenti le tenaglie della -~ nascesempre, ogni volta che ci penso, da una certezza:che l'appara- Penso che il furore sacro che animava lo scrivente doveva essere tortura: per farti parlare. È possibile, mi chiedo, questo paradosso: e,, to che chiamiamo Stato ci è nemico. Anzi: ilprimo nemico, l'unico in quasi accecanteperché di «imputati assassini»non ce n'è, in linea di chi sta dallaparte della veragiustizia deve srarezitto; deve difendergrado di annientarci. Cioè di annientare me come qualsiasi altro massima, almeno prima della condanna definitiva, e nel casoparti- si? Sempre? .... ~ cittadino, innocenie o colpevole. Qualunque apparato di potere colareproprio nessuno, neppure in attesadi condanna: non c'èpisla Anche la Voce sta zitta, ormai, ha smesso di delirare. È stara .... ~ statale si mette in moto con funzioni di sopraffazione. Sentimento valida, ci sono solo i morti, come sempre, entracinella viradi tutti e sconfitta su un punto, che io le ho obbedito parlando, scrivendo -e estremo? Anarchia? Qualunquismo? Eccetera, eccetera. Tutti i con i quali dobbiamo ogni giorno impararea convivere. lo credo che questo raccontosu di lei, non per dare risposre,solo per fare doman- ~ nomi che tentano di colpevolizzarmi. lo non ci casco, io sto con se una lettura di Dante fa ghignare gli assassini sia cosa buona e de. Le spie hanno so/cantocerrezze,salvo poi a pentirsene. Manca ~ Ernesl Jungerquando dice: « È necessarioche in ogni uomo cisia un giusta: è giusroche i nosrrinemici ghignino di quello che noi pensia- loro soltanto laprima certezza:quella dell'orrore di essereuna spia. s:: ribelle all'erta, perché può tornare il tempo di resistere ancora, e mo sia il culmine dell'umano, il linguaggio.Ma non è finita, manca Arriva dopo, a volle, ma è cardi,sempre troppo tardi, e non rimane s, resisterecome ribelli.Il rivoluzionario è un uomo di potere, di Stato. appunto la fine di quello scritto che così suona: «Eschilo, sulla sua che rinunciarealla vira.È quesro, in definitiva, il prezzo che si paga j Ricosrruiscelo Stato cheprima ha demolito. li ribelle è silenzioso». tomba, volle un epitaffio che ricordassesolo la sua milizia contro i per divemare una spia: tutla la vira,perché hai odialo un fratello. <l., È quello che mi ha detto anche la voce: se non hai coraggio, se Persiani, e non la sua operapoetica. La poesia gli aveva insegnatoa 22.23 agosto 1981 -;;._ _________________________________________________________________________ ,

sivo è ritenuto incapace di conseguire. Come a livello politico si è costruito un modello di «sovversivo» perseguibile come tale, cosi si è tentato di costruire un modello di «mafioso», anch'esso perseguibile come tale, indipendentemente o quasi dal fatto che gli siano concretamente attribuibili comportamenti criminosi specifici. Questo è avvenuto in alcune prassi giudiziarie adottate in Calabria da alcuni giudici di Magistratura Democratica. La utilità e la validità di queste prassi sono state esplicitamente rivendicate in più occasioni. In un articolo apparso sul giornale Magistratura democratica del 1979, ad esempio, si legge: «Il processo alla nuova mafia della provincia di Reggio Calabria si è concluso agli inizi dell'anno con la condanna di ventotto 'personaggi di rispetto', dei sessanta imputati, ad oltre duecento anni di carcere per il reato di associazione per delinquere. Pur non essendo frequente l'affermazione di responsabilità di boss mafiosi, riteniamo tuttavia che non sia tanto l'esemplarità della condanna il dato interessante del processo, quanto l'analisi che del fenomeno, e delle sue implicazioni politiche, i giudici di Reggio hanno fornito e le tecniche probatorie adoperate per l'accertamento dei fatti in un processo tipicamente indiziario. La novità di queste ultime si _evidenzia già con le indagini bancarie disposte a vasto raggio nella fase dibattimentale, durante la quale l'ampio spazio dedicato all'interrogatorio di esponenti politici e pubblici amministratori preludeva anche al tipo di motivazione che avrebbe caratterizzato la sentenza, non l'uso dell'asettico tecnicismo con cui i tribunali sono soliti esaminare le fattispecie criminose (eppure l'assenza dal banco degli imputati di personaggi politici avrebbe favorito questo vizio professionale), ma lo sforzo di spiegare come la delinquenza mafiosa possa trovare nel tessuto economico, sociale e politico di una certa realtà meridionale terreno fertile per il suo rafforzamento~ am{Iloderna\Jlen_toI.l tribunale di Reggio, attribuendo dignità processuale a risultati extragiuridici cui erano pervenute sinora indagini economiche, sociologiche e politiche, ha insomma rotto la caratteristica di corpo separato che contraddistingue l'ordine giudiziario, approdando a conclusioni che ben si accordano con una corretta analisi di classe della mafia- 4 • Nella sua ordinanza di rinvio a giudizio il giudice istruttore di quella città aveva scritto: «solo in rarissimi casi è stato possibile acquisire la prova diretta ... della esistenza di una associazione mafiosa. Sarebbe tuttavia aberrante, proprio per una situazione per sua natura impeditiva di tal genere di prova, rinunciare alla valutazione critica della condotta di vita di determinati personaggi, delle significative situazioni in cui si trovano costantemente coinvolti e dei rapporti da cui sono continuamente ed alternativamente legati e ciò nel contesto della situazione ambientale, dell'essenza e delle tipiche esplicazioni della istituzione mafiosa». Indubbiamente i delitti mafiosi sono gravi e meritano una severa punizione (sotto questo aspetto i «persecutori• della mafia hanno assai maggiori giustificazioni dei giudici intervenuti contro l'Autonomia operaia), ma anche in questo caso, il modello di intervento giudiziario prescelto, sebbene carico di riferimenti alle masse popolari e al loro controllo permanente sul funzionamento della giustizia, va recisamente respinto, per i pericoli che da una sua generalizzazione possono derivare alle pubbliche libertà. Come ha esattamente osservato un gruppo di magistrati milanesi, critici verso l'approccio «calabrese• al fenomeno mafioso, il modello adottato da quei giudici finisce per dar luogo a una forzatura e ad una deformazione dei principi informatori del «giusto processo penale», nel momento in cui si prescinde dalla raccolta di indizi precisi volti all'accertamento di singoli specifici fatti criminosi e si imbocca invece eia strada di una prassi giudiziaria improntata pressoché esclusivamente al cosiddetto tipo di autore• 5 • Le iniziative padovana e calabrese sulle quali ci si è soffermati più a lungo anche perché sono state accompagnate da una sorta di rudimentale teorizzazione, costituiscono del resto soltanto i casi più clamorosi di allontanamento dai principi tradizionali del reato e della sua prova. Tutta una serie di iniziative giudiziarie in qualche modo collegate alla repressione del terrorismo mostrano un atteggiamento disinvolto (è il meno che si possa dire) nei confronti dei principi tradizionali della prova nel processo penale. 11modello di intervento penale sopra analizzato non è del resto nuovo come potrebbe sembrare. li «tipo di autore» è stato infatti elaborato molto tempo fa, all'inizio degli anni quaranta di questo secolo, nella Germania nazista. li principio fondamentale di questa scuola era che il diritto penale non deve colpire i fatti vietati dalla legge, bensi le persone che tengono una certa condotta, punite non tanto per aver commesso delle azioni vietate quanto per essere quelle che sono, cioè dei «devianti», per non aver tenuto cioè una condotta diversa da quella in concreto tenuta. . \H\,. ~, ln altri termini, se alcuni tipi umani scelgono di comportarsi in modo diverso da come si comporta la maggioranza, essi vanno puniti più per aver compiuto questa scelta che per aver commesso determinati fatti vietati dal codice penale. li «tipo di autore» non era del resto restato soltanto una creazione teorica di giuristi operanti nella fase del tardo nazismo. Esso aveva avuto al contrario anche degli inizi di applicazione pratica in una sentenza del Tribunale supremo del Reich germanico il quale, in una sua decisione del 1941, aveva fatto propri i suoi postulati. La materia era costituita dallo sfruttamento di prostitute ed il Tribunale aveva considerato come elemento decisivo per l'affermazione della responsabilità la qualità di souteneur e precisamente la constatazione che l'imputato era apparso come un uomo ca cui si può attribuire il comportamento di souteneur>. Questa qualità non era stata «dedotta» dall'esame degli elementi tipici del reato (appropriazione dei guadagni della prostituta, favoreggiamento della sua prostituzione ecc.), ma da altri penale, il quale ha sempre colpito, nella sua fase «moderna», fatti in contrasto con l'ordinamento, non modi di essere ritenuti criminosi. Così P. Nuvolone, dopo aver rilevato che l'ambiente penalistico tedesco era dominato da due correnti di pensiero, quello biologico e quello idealistico e che erano espressione del primo le misure sempre più gravi di indole repressiva ed eugenetica prese contro la delinquenza, del secondo le teorie della espiazione, del sano sentimento del popolo, dei concreti ordinamenti della·çomunità e del Tiitertypus, non aveva potuto fare.a meno di concludere che i due indirizzi non erano dopotutto inconciliabili e che avevano una parte in comune, la Weltanschauung nazionalsocialista•. E un giurista altrettanto conservatore del Nuvolone, G. Bettiol aveva scritto che «la tipicizzazione dell'autore in contrapposto alla tipicizzazione de.11'.az_ionpoen è espressipne (almeno ,· tendenziale) di un coz,zo tra opposte ideologie politiche, sebbene non si possa negare che in concreto i 'tipicizzatori' dell'autore del reato si sono in prevalenza ispirati a ideologie antiliberali [...]. Coloro invero che vogliono garantita al massimo grado /a libertà individuale contro ogni arbitrario intervento dell'autorità, invocheranno, in nomi; della sicurezza giuridica, chiare e precise fattispecie nelle quali l'azione delittuosa sia chiaramente tipicizzata e modellata nei suoi aspetti caratteristici; mentre coloro che, invece di una formalizzazione della giustizia, preferiscono una pronuncia che - come si afferma - sia espressione di una esigenza di giustizia sostanziale, rivolgeranno lo sguardo alle caratteristiche della personalità dell'autore e cercheranno Ji--inquadrare questa in un determinato schema che sia possibilmente aderente alla realtà sociale. Gli è che proprio ai fini di una giustizia sostanziale la prima delle due strade è la più facile e la più sicura, mentre la seconda, per la difficoltà di fissare i momenti tipici dell'agente piuttosto che dell'azione, può finire in una astratta e pericolosa nebulosità»7 . Il «tipo di autore• non era del resto una pura creazione dello «spirito tedesco», ma un momento terminale di apporti diversi, anche di origine estern·aa quello «spirito•. Vi si riscontravano ad esempio anche tracce della teoria della «personalità» delinquenziale o dell'«uomo delinquente», predestinato biologicamente a cadere sotto i rigori della legge penale. clahorata elementi come il carattere dell'indivi- -------..,..----------. duo, gli ambienti che frequentava, la fama di cui godeva ecc. La valutazione complessiva della personalità dell'imputato non era stata pertanto più fatta soltanto ai fini della determinazione della pena (maggiore o minore durata della reclusione ad esempio), bensi addirittura come condizione della stessa operatività della norma incrirninatrice (colpevole o no). La ideologia sottostante a questo modello di intervento repressivo non era sfuggita, almeno in Italia, a tulli coloro che si erano occupati della questione. In particolare tutti avevano, sia pure con varie sfumature e con grande prudenza (eravamo, dopo tutti, «alleati») sottolineato che esso era stre11amente collegato con la concezione del mondo proprio del nazionalsocialismo e che era difficilmente armonizzabilc con la tradizione liberale del diriuo /',rn.\.\O, ( (·nk l:lwml, ,\fon Hur. Ptml t:luard, cadavere squisito,· 1936 ca. da Lombroso e dalla sua scuola (Ferri), anche se nella costruzione dei tedeschi l'elemento biologico veniva ricacciato in secondo piano e la «personalità criminale» veniva costruita prevalentemente sulla base di criteri giuridici•. E neppure vanno sottovalutati gli apporti di Cari Schmitt e della sua teoria dell'amico-nemico, dispiegata dal suo propugnatore prevalentemente sul terreno politico, ma dispiegabile ed utilizzabile con facoltà anche fuori di quello, per costruire una condizione di radicale incompatibilità «giuridica» tra modi di essere accettati come normali e status-condotte da estirpare integralmente nell'ambito della «comunità nuova» costruita dalla Germania nazista. La eliminazione radicale, in quella «comunità», di tutta una serie di «tipi» umani (l'ebreo, l'omosessuale, lo zingaro, il pazzo, il comunista ecc.) quale che fu la via seguita p~~ .realjZUjrla (int,ervento ama ministrativo o condanna penale), conferma, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il principio dell'amico-nemico venne abbondantemente utilizzato anche nelle strutture amministrativogiuridiche, finendo per costituire un criterio formale di condotta del Terzo Reich anche in settori diversi da quelli della pura lotta politica. Indubbiamente si può ritenere che risuscitare modelli nazistici di diritto penale non rientra nelle intenzioni di nessuno dei giudici indicati nella prima parte di questo scritto (neppure del -sostituto Calogero). E tuttavia, le teorie giuridiche (come tutte le teorie del resto) hanno questo di particolare che, una volta formulate, tendono a godere di vita propria e ad operare a di là delle intenzioni (anche buone) di coloro che se ne sono fatti portatori. In una dimensione politica caratterizzata da un conflitto sociale profondo, anche se sotterraneo, vi saranno sempre delle parti politiche per le quali il controllo di questo conflitto è una necessità primordiale (e non è detto che queste parti nelle società attuali si collochino solo e sempre a destra). Che questo fine sia perseguito facendo un uso alquanto disinvolto delle regole sulla prova nel processo penale, può anche essere considerato da queste «parti• come un male accettabile. Ne deriva che anche le teorie giuridiche formulate e seguite in vista di scopi all'inizio condividibili e contro soggetti difficilmente difendibili (i mafiosi ad esempio), potranno allora rivelarsi assai pericolose per la conservazione delle libertà. È inevitabile porsi a questo punto la domanda perché proprio il gruppo dei giudici democratici abbia costituito il terreno sul quale si sono sviluppate le prassi descritte (e, quel che più preoccupa, le connesse teorizzazioni). • Le risposte sono molte e su tutte prevale la quasi completa istituzionalizzazione del gruppo o meglio il modo in cui questa istituzionalizzazione ha avuto luogo. Magistratura Democratica era nata sul punto di confluenza tra il giurista «selvaggio» ed il giurista riformatore, in un momento nel quale vi era posto e per l'uno e per l'altro. Può dirsi addirittura che la maggior parte della sua presenza nei media è stata assai più merito dei primi (con le loro dure polemiche pubbliche contro la corporazione dei giudici) che non dei secondi i"quali,tutto sommato, mai hanno reciso del tutto i legami con la dimensione tradizionale del ruolo. Con il passare degli anni, ed ilmutare della situazione, i giuristi «selvaggi• sono stati quasi del tutto ridotti al silenzio e lo strumento principale a loro disposizione, costituito dalla «interferenza», vale a dire dalla pubblica critica delle decisioni (sentenze, ordini di cattura ecc.) emessi da altri giudici di orientamento conservatore, è stato visto con sempre maggiore fastidio all'interno di MD, fino ad arrivare ad un suo abbandono di fatto. Scomparsi i tentativi di giurispru~ denza alternativa, cessate le interferenze, il gruppo vivacchia tra qualche convegno e qualche protesta contro i frequenti interventi di legislazione penale eccezionale, ai margini dell'establishment, dalla sinistra del quale non lo differenziano più né linea politica, né exploits individuali, ma soltanto la rozzezza dell'establishement stesso che continua, almeno in certe sue parti, a mantenere nei sui confronti antiche diffidenze ed antichi timori. La sua volontà di potenza non si esercita più contro le istituzioni come all'inizio della sua storia, ma al loro interno ed in loro difesa. Forse era inevitabile che questo accadesse. E tuttavia la inevitabilità della parabola cui MD è soggetta non deve impedire che al suo interno, come all'esterno, si denunzino prassi giudiziarie le quali, anche se nate dalla cultura del gruppo, appaiono pericolose per le libertà di tutti, in ogni caso, assai più pericolose di quelle tradizionali alle qu:ili esse l!l!Pi-!:~n~".o~ost(tuir- , si. La teoria del reato-fatto e quella della prova nel processo penale sono infatti conquiste alle quali nessuno intende rinunciare, quali che possano essere i sostenitori (e le giustificazioni da essi addotte) del loro invocato abbandono. Note , 1) J.H. M~rryman, fl.o stile itaiiànq:' la dottrina>, in Rivista trimestrale di diriJto e procedura civile, 1966, p. 1179. 2) Essi sono pubblicati nel volume Proces• so alla Autonomia a cura del comitato 7 aprile e del collegio di difesa, Lerici Editore, 1979. 3) Corriere della Sera, 5 luglio 1979 4) Processo allamafia; realtàprocessuale e considerazioni politiche, a cura del gruppo calabrese di Magistratura Democratica in Magistratura Democratica marzo-giugno 1979, p. 37 e ss; vedi anche l'intervento di G. Conte, A. Di Marco, C. Macrì e V. Macrl al convegno svoltosi a Palermo su «Mafia ed istituzioni» nei giorni 18-20 aprile 1980. 5) L'approccio giudiziario al fenomeno mafioso, intervento a cura di un gruppo di giudici milanesi al citato convegno sulla mafia. Nello stesso documento si sostiene che il metodo seguito dai giudici di Reggio Calabria non è detto si debba rivelare più pagante di quello tradizionale, sempre che questo sia seguito con la dovuta serietà e si conclude nel senso che, anche nelle zone maggiormente inquinate dal fenomeno mafioso, ci si deve battere perché diventi possibile portare avanti processi alla mafia che siano in grado di abbandonare il «tipo di autore> a favore di una strada che passi attraverso l'accertamento di specifici fatti delittuosi, dai quali prendere le mosse per la costruzione di struttureprobatorie meno arrischiate. In risposta a questo testo, in un corsivo apparso su Il Manifesto del 24 aprile 1980, Fare il giudice nel cuore della 'ndragheta, il giudice istruttore di Reggio Calabria G. Gambino dichiarava di non condividere le preoccupazioni dei garantisti relative all'uso delle «massime di esperienza> sociali alle quali il tribunalenon aveva in ogni caso attribuito una importanza esclusiva o prevalente. Le affermazioni di Gambino non sono tuttavia tali da rimuovere le ambiguità che si riscontrano nelle scelte dei giudici calabresi. 6) P. Nuvolone, «A proposito di ui:aasentenza del Reichgericht sul Tatertypus», in Rivista italiana di diritto penale, 1941, p. 47 e ss. 7) G. Bettiol, «Azione e colpevolezza nelle teorie dei 'tipi' di autore», in Rivista italiana di diritto penale, 1942, p. 5 e ss. 8) Vedi su ciò E. Florian, «Nuove differenziazioni di delinquenti - I delinquenti tipici in relazione alla parte speciale», in La giustizia penale, 1941, p. 4

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