l'enciclica 11LClbOi-eexmercens '' 11 15 settembre L'Osservatore Romano pubblicava il testo latino del- • l'enciclica che, dalle prime due parole, prende il titolo Laborem exercens (nella traduzione italiana, diffusa il giorno stesso alla stampa, l'inizio suona: «L'uomo, mediante il lavoro ...»). Interamente dedicata al tema del lavoro umano, la Laborem exercens è la prima enciclica di argomento sociale dopo la Populorum progressio di Paolo VI, che risale al 1967. Dal punto di vista informativo, è un caso da manuale. L'evento è interamente controllabile, essendo costituito da un testo di pubblico dominio; non è giunto inatteso, perché preannunciato con largo anticipo; non è anomalo, perché non si tratta certo della prima enciclica e neppure della prima enciclica sociale. Inoltre, l'importanza e il generale interesse dell'argomento, le circostanze di attualità (situazione polacca, etc.), la figura stessa di Giovanni Paolo II caratterizzano l'even_tocome un tema di larga risonanza, anche «popolare», permettendo di destinare ad esso spazio e mezzi. Infine, il caso è esemplare perché tutti gli organi di informazione si trovano, in linea di massima, nelle medesime condizioni di partenza: si tratta semplicemente di «comunicare» il documento e di fornire una interpretazione, o meglio di aiutare il lettore a interpretarne il significato. Di fronte a questo caso esemplare, a questo «semplice» compito è possibile analizzare e misurare con precisione le capacità informative dell'attuale modello di lavoro giornalistico. E bisogna dire subito che, stando ai risultati, c'è poco da stare allegri. Quale opinione poteva farsi il lettore attraverso la stampa quotidiana? Dai numerosi articoli di commento che sono stati pubblicati si poteva ricavare - come vedremo- tutto e il contrario di tutto. Il caso della Laborem exercens mostra che la nostra stampa si sta avviando verso un regime di «commento selvaggio» in cui l'informazione appare come una sorta di residuo appena tollerato. Con la sola eccezione del quotidiano Dcli Popolo, nessun giornale fra quelli esaminati nella nostra analisi (oltre al Popolo, Corrieredella Sera, Il Gwrnale, Il Gwmo, ll Messaggero, La Repubblica, La Stampa, Il Tempo, Il Sole -24 Ore, Il Manifesto, L'Unità e L'Avanti!) ha pubblicato il testo integrale dell'enciclica. E fin qui si potrebbe anche capire. Un documento che occupa tre o quattro pagine del formato tradizionale non è molto «appetibile». Ciascuno pubblica le encicliche della chiesa sua: La Repubblica si premura di consegnare al lettore il testo integrale della Relazione annuale del Governatore della Banca d'Italia,. L'Unità quello del discorso di Berlinguer alla Festa omonima, Il Popolo quello delle encicliche pontificie. Gli altri possono limitarsi ai sunti: si sospetta che i lettori possano fare a meno anche di quelli e, del resto, si sa che molti fanno a meno anche dei giornali, alibi eccellente per ogni disinformazione perpetrata in nome del non-lettore, del lettore «popolare», del lettore «distratto», del lettore «da catturare». Ma il punto centrale è un altro. Ci si può limitare benissimo a selezionare i passaggi più significatividel testo; l'essenziale è che al lettore sia fornita una guida qualificata al perco_rsoargomentativo del testo, alla comprensione dei nessi e dei termini più complessi, alla collocazione del testo nel contesto in A cura di lndex-Archivio Critico dell'Informazione. cui èsso assume significato (le precedenti encicliche sociali, la prassi della Chiesa, etc.) Prima di sciabolare giudizi, di far piovere sul malcapitato lettore una gragnuola di commenti su un oggetto che rimane per lui misterioso, occorrerebbe agevolarlo nella conoscenza di esso. Il ricorso all'«esperto», al «parere», al «commento» non ha nessun senso semanca lamediazwne informativa dell'oggetto. Ciò rimane il compito del giornalista. Invece si è, ancora una volta, riproposta la divisione di ruoli fra «giornalista» ed «espertoopinionista» che è una delle caratteristiche strutturali peggiori dell'attuale modello giornalistico. Il giornalista opera e scrive su una materia che non controlla egli stesso al livello necessario; non può qu.indi esercitare quella funzione analitico-inguato, comunque nettamente inferiore a quello occupato dal torrente di «commenti» e «opinioni». Si ripresenta cosi il paradosso che impone al lettore di dedurre il contenuto dell'informazwne dal commento anziché dall'informazwne stessa. A questo si riduce la ricetta corrente del giornalismo «facile-e-piacevole»: ma nessuno ci ha ancora convinto che sia facile e piacevole leggersi una serqua di commenti rituali. Da questo punto di vista, non fa nessuna differenza se la «ritualità» consiste nel dire tutto il bene possibile dell'enciclica o nel criticarla ferocemente. Esiste una «irriverenza rituale» che è ormai divenuta un canone, un genere giornalistico, con i suoi specialisti, i suoi codici, i suoi ammiccamenti. Il caso della Repubblica è, da questa angolazione. del tutto esemplare. La analisi. Il giorno successivo sono invece di turno i commenti di Giorgio Bocca e di Baget-Bozzo, drasticamente negativi: anche in questo caso lo spazio di analisi del testo è minimo. Il pluralismo sembra essere salvo, grazie ad una abile alternanza di elogio rituale e di irriverenza altrettanto rituale. Ma, al di là del breve articolo di Del Rio, necessariamente generico, il lettore non ha acquisito nessun elemento su cui fondare la propria opinione: ha semplicemente letto le opinioni altrui. Il legame effettivo di queste opinioni con l'oggetto, con il testo, rimane al di fuori del suo controllo. Non si creda, però, che nelle altre testate le cose siano andate meglio che in R~pubblica. Prendiamo il Corriere della Sera. In prima pagina c'è un articolo di fondo di Barbiellini Amidei. Si traIla di un commento di tipo classico. 1t' ./4,· ~ alla conoscenza del testo,. e non solo alla conoscenza delle personali opinioni dello scrivente. Naturalmente, mons. Biffi fornisce una esegesi dal punto di vista ecdesiastico, manca la mediazione giornalistica rispetto al le.ttore, il quale non è ingrado di ricorrere al testo per una verifica. In ultima istanza, il lettore del Colliere, più che all'enciclica, ha accesso all'esegesi di monsignor Biffi, corretta da un bordone di «opinioni» disparate. Qualcuno potrà pensare che, in definitiva, stiamo sollevando delle sofisticherie e che per le normali esigenze del lettore comune - che non è né un vaticanista né un teologo - la sintesi informativa offerta, per quanto incompleta, è tuttavia sufficiente. Ma proprio qui sta il nocciolo del problema. Che cosa rimane di un evento, di un testo, di un processo sociale quando viene spogliato delle sue ambiguità, delle sue contraddizioni, della sua complessità? Una immagine rituale e stereotipata, buona solo per dare spunto a un basso continuo di «commenti» ridotti a chiacchericcio, a deposito di argomentazioni retoriche. Chiunque legga il testo della Laborem exercens non può fare a meno di notare la forte carica di problematicità e anche di ambiguità; spesso affiorano vere e proprie contraddizioni. Si pensi al passaggio cruciale sulla «socializzazione» dei mezzi di produzione. In un brano si legge: «... è anche da non escludere la socializzazione, alle opportune condizioni, di certi mezzi di produzione» (paragrafo 14, terzo capoverso). Poco più avanti, però, si parla della socializzazione dei mezzi di produzione non più come «eccezione», ma come «traguardo~ , _,.,.-:::;:; (ultimo capoverso). Nel paragrafo 15, /.P ,. 1 \ tutta la tensione si scarica su un «addì- \ ,,.,-1 rittura» di interpretazione quantomai ' -· f f_ incerta: «Se accettiamo che per certi, _ . fondati motivi, eccezioni possorro esL....:z~...J2;....,.,.."-_:J..;,:.;'::.O· 1,;-;_______ _::_ __________ .:_...:, _ _:_..:. ___ _...1!!!!!!!!~~~~:~::- __ j sere fatte-al principio della proprietà privata- e nella nostra epoca siamo Y. Tanguy, A. Massone altri, cadavere squisÌlo, 1925 formativa senza la quale il parere cade nel vuoto. L'opinionista, l'esperto o presunto tale, fa il suo discorso presupponendo l'esistenza di un precedente livello informativo, che invece è mancato. Il risultato è la confusione, la Babele attraverso la quale finisce per imporsi l'immagine accreditata dai titoli e dai commenti più «suasivi», indipendentemente dalla loro aderenza al testo e ai problemi che esso pone. Qui bisogna fare subito due osservazioni: la prima è che il «vaticanista» è nel nostro giornalismo una figura in via di estinzione; la seconda è che al testo e/o alla sua illustrazione è stato concesso uno spazio del tutto inadeY. Tu11guy,A. Massu11e allri, cadavere squisito, /925 sintesi del documento è ridotta ad un paio di colonnine. Tutto lo sforzo esplicativo poggia su un breve articolo di Domenico Del Rio, che non può andare al di là di una succinta presentazione e di alcune osservazioni, pur interessanti. A questo punto il gioco è fatto: in base alla povera informazione che il lettore diligente può aver estratto, si apre il gioco dei commenti. In prima pagina, lo stesso giorno, 16 settembre, compaiono due articoli, firmati rispettivamente da Giorgio Benvenuto e da Vittorio Merloni, presidente della Confindustria. Entrambi tracciano un elogio di tono rituale dell'enciclica, senza addentrarsi in una Y. Tunguy, A. Musson e altri, cadavere squisito, /925. -----addirittura testimoni che è stato introdi tono nettamente elogiativo, privo di dotto il sistema della proprietà 'sociave_D!,~dicazioni di lettura. In lizzata' ... > (sottolineatura nostra). pagine interne, viene pubblicato il soli- E che dire di una cosi ambigua riafto spunto: un paio di colonne. Qui non formazione della proprietà privata in c'è neppure la presenza di un articolo una enciclica dove torna, quasi come che accompagni il sunto e lo illustri: si un ritornello, il leit-motiv della «priosalta direttamente a una batteria di rità del lavoro nei confronti del capitacommenti (mons. Franco Biffi, Giu- le»? Noi ci attendiamo che la stampa ci seppe De Rosa e Giuseppe De Rita) e aiuti a comprendere queste ambiguità, a una batteria di interviste (Lama, almeno a comprenderne le possibili Benvenuto, Camiti, Merloni, Rosati). cause e i possibiliesiti. Non è tollerabiCommenti, interviste e qualche artico- le un'informazione che nasconda queletto di contorno si sviluppano su ben ste ambiguità, con sunti e interpretanove colonne. zioni riduttive dove i termini dialettici Solo l'articolo di monsignor Biffi, dell'ambiguità sono arbitrariamente rettore della Pontificia Università soppressi neUadirezione che torna più Lateranense, offre una esegesi utile comoda. Un giornale ha tutti i diritti di dare una propria interpretazione e valutazione, ma non possiamo concedergli il diritto di sostituireil testo in nome della gestualità rituale e della propaganda. Y. Tunguy, A. Mussun ,, ultri, cadavere squisito, 1925 Orientamenti e schieramenti La tavola che riportiamo cerca di sintetizzare in un solo indicatore il rilievo che ciascuna testata ha accordato all'enciclica. Come si vede, il nostro indicatore tiene conto di diversi parametri; ogni testata offre un diverso profilo, una diversa combinazione di fattori, che sono riducibili a una scala quantitativa solo in via di approssimazione. Tuttavia l'indice quantitativo è interessante e può essere utilmente confrontato con l'orientamento «qualitativo» che si esprime nelle titolazioni e negli articoli di commento.
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