Alfabeta - anno III - n. 29 - ottobre 1981

definizione della «coscienza politica del proletariato organizzato• e la soggettività proletaria empirica. ' E possibile interrogarsi sull'immaginario sociale e anche sulla sua funzione attiva, oltre che su quella di riflesso e di falsa coscienza? È possibile immettere la nozione stessa di immaginario sociale nel marxismo oltre la nozione di ideologia? Nell'importante studio storico sull'utopia e la rivoluzione francese BronislawBaczko dedica l'ultimo capitolo a un tentativo di definizione sistematica dell'immaginazione sociale. Da un lato egli fa riferimento ad alcune osservazioni di Tocqueville sull'immaginazione sociale operante nell'epoca pre-rivoluzionaria in Francia («... Al di sopra della società reale, il cui statuto era ancora tradizionale ... si andava costruendo a poco a poco una società immaginaria, in cui tutto sembrava semplice e coordinato, uniforme, equo e conforme alla ragione. Gradualmente l'immaginazione della massa abbandonò la prima per rifugiarsi nella seconda ... e infine si visse in ispirito in quella città ideale che gli scrittori avevano costruito•), dall'altro analizza nel suo lavoro il costituirsi del tema utopico come immaginazione rivoluzionaria che rimane comunque interna a un sapere «alto• che arriva a incontrarsi con le culture subalterne solo nel corso del processo rivoluzionario stesso. Quel che qui ci interessa sottolineare è comunque il tipo di generalizzazione che Baczko stesso effettua sul tema dell'immaginazione sociale. Dopo aver designato come sociale l'attività immaginaria orientata appunto in direzione del sociale e che produce rappresentazioni molteplici espresse in immagini di noi stessi, degli altri e della società considerata come un tutto unico, Baczko definisce l'immaginazione sociale come un insieme di «fantasmi• relativi alla coesione o alla disgregazione di una società, alla sua stabilità o ai suoi conflitti, ecc. «L'immaginazione sociale svolge un ruolo di stabilizzazione - essa contribuisce alla legittimazione di un potere o all'elaborazione di un consenso sociale che richiedono simboli e miti, modelli dominanti di comportamento, sistemi di valori e di divieti; essa opera nella comprensione della vita sociale come nel mascheramento dei suoi meccanismi. Elemento regolatore e stabilizzatore, l'immaginazione sociale è tuttavia anche la facoltà che consente di non considerare i modi di sociabilità esistenti come definitivi e come i soli possibili, ma di ideare altre forme e altri modelli». C'è dunque un ruolo doppio. insienaria passa necessariamente attraverso il rinnovamento dell'immaginario sociale; essa è anche una battaglia che ha come posta il dominio e il potere nell'ambito simbolico». Ma come indagare e lavorare sull'immaginario sociale? Baczko da storico ne analizza gli effetti sul tempo .lungo, a partire dalle sue permanenze e dalle sue inerzie. «L'immaginazione sociale manifesta una certa inerzia e opera sui tempi lunghi; riproduce un patrimonio talvolta secolare di simboli e di stereotipi, di inimicizie e di spe-. ranze. Ma attraversa anche periodi 'caldi', caratterizzati da uno scambio particolarmente intenso fra 'il reale' e 'i fantasmi'. da uoa maggiore pressio- , • '\ • . ' , .. me legittimante-stabilizzante e prefigurante di nuova sociabilità nell'immaginario sociale. Mentre il rapporto fra potere e immaginario sociale come costituzione di procedure simboliche di persuasione e di legittimazione di gregarismo e di passivizzazione, è stato da tempo individuato e studiato, il ruolo dell'immaginario sociale attivo, eversivo, anticipante, è il campo nuovo che è necessario indagare. «Le idee e i sogni non fanno le rivoluzioni, ma come le si potrebbe attuare senza i sogni che esse generano? - osserva sempre Bazcko - Una crisi rivoluzio- ,_ I ne dell'immaginario sul modo di vivere la quotidianità, da esplosioni di passioni e di desideri». I n questo scambio tra il reale e i fantasmi, in questa pressione dell'immaginario sul quotidiano, si apre un campo di ricerca che si sposta dal piano dell'analisi storiografica a quello dell'analisi sociale. Quanto meno, come indicazione metodologica, essa offre spunti sul modo stesso di analizzare le forme del rapporto tra essere sociale e coscienza. È il dibattito apertosi con la storia sociale ma non è solo questo, c'è parziale allusione e riferimento politico a una diversa metodo'.'. logia, almeno questo ci sembra che inalcuni interventi insieme storici e politici come quelli di Vittorio Foa risulti abbastanza esplicito. Nell'introduzione alla raccolta dei suoi scritti storici Foa dice infatti che la strada aperta dalla stessa storia sociale è stata percorsa finora solo in piccola parte. «Più lentamente, invece, ci inoltriamo nei nuovi spazi che ora si aprono. La negazione di ogni visuale ideologica globalizzante, di un processo storico come finalizzazione rispetto a un disegno (o a un destino) precostituito, e quindi come Progresso, deve portare alla disaggregazione della ricerca e del racconto, alla rivalutazione del particolare, e questo non perché il 'piccolo' sia in sé bello ma perché attraverso di esso si arriva a cose più grandi e finora sconosciute o trascurate». In questo rapporto fra analisi del particolare e ricostruzione di una diversa complessità sigioca non solo una strada di ricerca storica più ricca ma forse anche una metodologia di nuova inchiesta sociale e nuova prassi politica. Penso alla analisi della complessità stessa della vita proletaria, compresi i suoi stessi scambi tra reale e «fantasmi» come zona inesplorata. Quando Foa, legandosi a una critica èlei meriti e dei limiti dell'operaismo, riconosce che il prezzo pagato per una più acuta intelligenza del lavoro è stato però quello di chiudersi nella fabbrica «perdendo cosi la dimensione complessiva del soggetto proletario, non solo i suoi interessi (e la coscienza di questi interessi) ma anche i sentimenti, le passioni, i condizionamenti di ogni tipo•, accenna proprio a questo nodo fondamentale. Cosa comporta infatti riferirsi al nesso lavoro-vita come coscienza del sociale e conoscenza anche dell'immaginazione, che è insieme passiva (alienata) eppure rigurgitante di scambi molteplici col reale? Se la stessa produzione di immagini della società non è solo rappresentazione illusoria, sovrastruttura che si eleva al di sopra delle forme di proprietà, se dentro l'immaginazione sociale si agitano dinamiche di legittimazione e fantasmi di diversa sociabilità, come conoscere tutto ciò e cosa si innova? «Questo non significache all'economia, come canone di interpretazione del comportamento operaio e di quello padronale si debbano sommare meccanicamente altri criteri - sociologici, antropologici, psicologici, biologici- ma che l'approfondimento di altri aspelli della realtà finirà con l'irtj/uen- ~areemodificare le stesse categoriedell'economia» (Foa, ma la sottolineatura è nostra). È possibile dunque introdurre la nozione stessa dell'immaginazione sociale in rapporto alle categorie della critica dell'economia politica? Credo di sl, puntando proprio a una rottura teorica e politica con un concetto «economicistico» di produzione come produzione di beni materiali (che, fra l'altro, non è neanche quello marxiano ma la sua riduzione all'homo economicus) e a un suo decentramento, per una nozione di produzione-riproduzione dei nessi sociali. Ma è già un altro discorso. Montalaevvintodallachiesa<<nera>> L'opera di Montale non consente questo ufficib religibso. lo sto inpiedi su unapanca del Duomo. Alcuni stanno in piedi dove si poggiano i ginocchi, altri sull'assedovesisiede. Mi giunge un alleluia, mi giunge la dizu,ne di luoghi del vangelo sulla morte del Cristo. Ora ficco la vistaattraverso un castel- /erto, che nella navata centrale so"egge la lampada televisiva, poco oltre la macchina da presa. Penso. A traili. Seccamente. Durante le percezioni. li testo di Monta/e non si deve usare, assumere con l'ideologia, spostare di valore. Vedo la scatola lunga del corpo, lontana, nell'angolo di sinistra, con fila di visi dei notabili, e sull'altare il cranib episcopale, poi il maestoso cappello, la voce recitante. È il 14 settembre' 81 alle quattro, ieri l'altro è morto Montale; si è letto di una resistenza discreta dei suoi, e di una sua straordinaria scelta: che sulla lastra ci sia solo la data finale, non l'arco di anni ma la realtà che la lastra semplicemente preserva (di un peribdo logorante sino al ritorno ne/l'inorganico). Così mi sembra. Ora l'officiante del rito dice parole riferite a lui. Dice che alcune volte, nella casa di cura, Montale ha risposto al sacerdote, nella sera, pronunciando le prime parole delle preghiere. E sono questi, dice, piccoli segni dei quali «ci accontentiamo». Distingue fra il «transitorio» - gli eventi che non vanno trascurati - e l'essenziale; e dice che anche Montale distingueva cosi. li vescovo peri} traccia 1tna distinzione inesalta. Certo Montale aveva l'ironia verso la passwne quando è versata nella «doxa», non nella conoscenza. E pe/ questo dubitava delle illusioni vitali se hanno forma assoluta. Se non sono connesse alla loro contraddizione interna e allaloro incertezza. Ugualmente corrodeva isegni apparenti del/'«alto». lo mi attendevo che sul sagrato del Duomo, stabilita la cerimonia pubblica, uscisse il vescovo a dire egli pure la sua lettura, la sua versibne: ci sarebb,, allora in questo spazio il senso riconosciuto della parola di poesia, plurale ,. polisemico, non equivoco. Sale invec<' l'incenso; seguendo/o con l'occhio .,i scorge l'altezza delle colonne e si sent<' una proposta di vanità delle cose che si fanno e si dicono. Seguo una suora giovane cercando d'identificarmi in lei per un trailo. Lei pure sale sulla panca, sporge l'occhio. ha qualche scarto. E la massa la turba un poco. Ed è tallonata da un'anziana che è meno turbata e meno curiosa. La massa ci turba, così scentrala nella ci11tì d'oggi e con oscure tendenze insensate: e l'alto ci turba anche più. Al telefono Leo (Porta) mi diceva di meltere in Alfabeta l'immagine della bara di Pasternak portata dai gwva11i poeti: invece Montale non ha voluto così; e chi lo porterà? È certo che il componamento di Montale contrasta col suo libro; c'è sempre questo contrasto del comportamento; ci fu anche in Brecht. E ricordo un certo imbarazzo di Elio Villorini quando se ne parM. Ricordo: fu dopo un incontro memorabile alla Gelateria Pozzi con Montale, Bo, So/mi, dove lo accompagnai; io ero stato zillo; erano diversamente zilli anche loro, i grandi in gruppo, inaccostabili, con un segreto Francesco Leonetti di esperienza comune; Villorini zufolava come se lui fosse un giovane meri- . diona/e (e w, allora?). Poi a casa di Ginella si par/t} di Montale così /aurereato e ufficiale, dicendo: «Mah». Co.nversando ieri ha dello Paolo Volponi cht>q1umdosi ,·uol<' 11011 essc~re O. Oomingu1.:z.Bcllmcr. Hugn..:1. Marce! Jean, cadavere squisito, 1935 assunti dalla chiesa bisogna lasciare indicazioni assai nelle e precise. li punto che ora mi emerge in mente è che il testo /euerario, come quello filosofico e non diversamente, non ha una semplice superficie linguistica, ma un interno delle parole. E che certo, oltre una certa soglia di errori od oscillazioni, il comportamento si deposita nel testo. E l'indicazione del testo è assai netta. All'aria aperta, terminando la funzione; è più impressionante /a folla ché ha scelto lo spettacolo puro, non mischiato col mistico. Allende i minuti della discesa dallo scalone, la seconda parte, che è dello Stato. Fanfara breve dei bersaglierischierati. Due drogoni in vista. Sento uno scarto d'onda, tempestivo, con voci che domandano «dov'è? e lui?» perché non vedono (già, con proiezione degli occhi) il carisma di Pertini. Si spostano parecchi, «è di là»; tornano. lo discosto scorgo solo amici clialta figura, Einaudi, Forti, nel gruppo in qualche modo smarrito della funzione consumata, che segue la scatola portata ali'automobile dalle divise militari de/l'apparato, del «corpo», della macchina. lo non andai a Roma quando la chiesa rossa avvolse Pasolini. Allora, tuttavia, c'era un riscallo dallo «scandalo» del diverso, del dissenziente, del/'assassinato. E ancora non c'era irreversibile il compromesso storico con la carriera di tanti moderati. Andandomene, mi vengono in mente altre immagini. La fuga di macchine, al funerale di Viuorini, dopo l'indugio sulla darsena di chialle di sabbia in via Gorizia. Un'altra volta Fortini che mi dice al/'orecchio precisamente: la cremazione richiede una tessera rinnovata ogni anno. (Ed è terribile, come ho visto con la mia prima moglie.) Mi allontano. Si deve tenere fermo che Montale è uno spartiacque nello, senza Petrarca, non ricomposto, non idillico, ma forte, con·dialettica negativa, e con un dubbio di tipo rigoroso o ironico (epistemologico) sulla certezza: come una forma-di discrimine, una certezza più souile, senza peri} evasione, senza sfumatura; senza informale. Non c'è il quadro di Dante, di ùh' Italia che è come il mondo, efferata, enorme (cosi diceva di Dante, poco fa, Manganelli). Ma c'è il rigore interiore acre. Questo che è ora ingoiato dalle «macchine molari», dalle istituzwni totali. O forse è una questione di principio, da vecchi anarchici o leninisti come in pochi siamo rimasti a circolare, il ballersi su questi punti, difendere tali varchi. L'efferata enorme Italia è questa dove cammino allontanandomi nella piazza: è la metropoli piena di tumori, termitai, buchi; che Argan con sgomento nella voce diceva imprevedibile, né si riferiva ali'estetico, né al visibile. Sto cercando di nuovo che cosa difendo, che cosa vorrei vincere, bollendomi, se vale lapena di scrivere (senza scrivere né il romanzo storico né lapoesia ricomposta). Certo, l'avversario non èpiù l'irrazionalismo come ai tempi di Lukàcs. L'avversario mi pare che oggi sia il nominalismo, la smaterializzazione, la struttura simbolica resa assoluta, la riduzione del tessuto solli/e e negativo al nulla sontuoso, del reale difficile al fantasma, della «verità relativa» al vuoto di senso Cerimoniafunebre·per Montale piazza del Duomo Milano, 14 settembre 1981

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