Alfabeta - anno III - n. 29 - ottobre 1981

aggiungere, quella dell'esule sembra essere divenuta in certi casi perfino una professione, simile a quella ottocentesca del quatorzième a Parigi nell'Ottocento. Come là nacque la professione del partecipante all'ultimo momento ai tavoli di banchetti in cui figurassero per errore soltanto tredici invitati, cosi oggi nei paesi industrialmente avanzati quella dell'esule è professione parassita ma talora redditizia. Solgenytsin ad esempio. O lo scacchista Victor Korcnoj. O i molti mediocri professori universitari sovietici accolti recentemente a braccia aperte nelle università americane proprio nel momento in cui i tagli di bilancio eliminano numerosi docenti stranieri. È si pensi, infine, alla manovra statunitense contro Cuba, diretta non ad una seconda Baia dei Porci, ma alla messa in crisi del sistema attraverso una creazione forzata di esuli. N on vorrei essere frainteso. Negli ultimi esempi non c'è nessuna volontà di minimizzare il buon diritto e la militanza dei profughi dai paesi del socialismo cosiddetto «reale». La nazionalità degli esempi è puMartin Heidegger «La questione della tecnica• tr. it. in Id., Saggi e disrorsi Milano, Mursia, 1976 pp. 194, lire 7.500 Jean-François Lyotard A partireda Man: e Freud Milano, Multhipla, 1979 pp. 260, lire 6.000 11 trionfo della tecnologia, la sua penetrazione in ogni livello della realtà, non si è risolto-come sarebbe stato logico supporre- in una alienazione irrecuperabile, in una enfasi della ragione strumentale, nelle utopie negative profetizzate negli anni trenta da Huxley, Orwell, Lang... Al contrario, nel mondo della tecnica si aprono per l'uomo nuove prospettive di esistenza, esperienza, espressione. Il dato più visibile e sconcertante di questo processo è sicuramente il trapassare della tecnica nel suo opposto, l'estetica: se per molto tempo la tecnica era apparsa come il campo del brutto, del finalizzato, dell'utilitario, se tutta una tradizione umanistica ci aveva insegnato ad apprezzare !'«aura> unica e spirituale dell'opera- ora invece siamo più disponibili verso la bellezza delle metropoli e dell'opera d'arte in quanto prodotta tecnicamente. Di fronte a questo stato di cose, si pongono almeno due interrogativi. In primo luogo, ci si può domandare se la sensibilità nei confronti delle valenze estetiche della tecnologia sia un dato propriamente «epocale•, che contraddistingue in modo specifico gli ultimi decenni di questo secolo (cioè. con larghissima approssimazione. quella che Lyotard definisce come «età postmoderna•)- o se non risulti piuttosto come il recupero di estetiche anteriori, per esempio di quelle delle avanguardie storiche, che già all'inizio del secolo avevano registrato ampiamente le eventualità estetiche presentì nella tecnologia. In secondo luogo, restano in gran parte oscuri i motivi per cui il mondo della tecnica, invece di trasformarsi nel Brave New Wor/d di Huxley, in una tecnocrazia totalitaristica e poco umana, si è rivelato per molti versi più ramente casuale. Quel che mi interessa è soltanto sottolineare come uno degli ultimi, forse l'ultimo, dei miti rivoluzionari sia stato progressivamente svirilizzato operando strettamente su di un piano comunicativo. Al veleno dell'esule, il sistema risponde iniettando-un po' di antidoto. E quel che più è preoccupante, è che purtroppo molti che avrebbero diritto alla denominazione di origine controllata «esule», finiscono per cadere in trappola autorappresentandosi esattamente nella maniera con cui il sistema ha svalutato la rappresentazione dell'esule vero. Alludo, ad esempio, alla formazione un po' snobistica di veri e propri «club dell'esule», come il caffè Saint'André des Arts a Parigi, dove si possono trovare numerose rappresentanze di aspiranti esuli italiani, con quell'atteggiamento b/asé che ottanta anni fa lo stesso Simmel, nel saggioche ho già citato, definiva tipico del «tipo metropolitano». Se l'esule, però, è stato svalutato sul piano comunicativo, resta il fatto che la cronaca quotidiana, anche del nostro paese, registra molti esuli veri. Il sistema, insomma, continua ad esiliaP. Eluard, A. Breton, Nusch Eluard, cadavere squisito, I9i9 re; costringe un certo numero di persone al volontario allontanamento; costringe militanti e democratici a pagare per un'idea. Il caso 7 aprile _ormainon consente più dubbi di sorta. Il guaio è, però, che Il conjlùto urbano la stessa nozione di esilio per delitto di parola si è venuta trasformando. L'esule, in sostanza, non è più solo colui che se ne va. È anche uno che, fisicamente, rimane. Ma, anche rimanendo, è parimenti «saltato via» dal luogo di cui, come ho detto, è proprietà. Accanto all'esule in moto da luogo, c'è, insomma, l'esule in stato in luogo. L'esule statico è una figura fortemente contraddittoria. È anche lui espropriato di un luogo, ma non è «costretto» fisicamente ad andarsene. È come se ne fosse già andato. Apparentemente è nelle condizioni di prendere decisioni: dunque non ha la possibilità di atteggiarsi a perseguitato. E se anche sceglie la strada del deleuziano «nomade», si tratta di un percorso già bruciato. Tutte le espropriazioni sono già avvenute, soprattutto quelle comunicative. Dunque, si tratta di un esule privato della sua voce, espropriato anche dell'unico luogo che nel senso più lato ancora gli apparteneva. L'esule statico è inoltre un esule tipicamente metropolitano, perché vive nell'unico luogo delle decisioni centrali, cioè nell'unico luogo degno di espropriazione. Ed è un solitario, come già diceva Simmel, perché gli Lé belletecniche vivibile di altre epoche meno tecnologizzate. E, probabilmente, la risposta a queste due domande risiede proprio nel nodo arte-tecnica;~ cioè verosimi~ le che proprio il riconoscimento della specificità estetica della tecnologia contemporanea spieghi anche la nuova «vivibilità» offertaci dall'universo della tecnica giunta al suo massimo splendore. Quanto al problema della novità del!' «estetica metropolitana» rispetto alle estetiche delle avanguardie, parrebbe che, quanto a oggetti e intenzioni, non vi sia stato un grande progresso. Tutte le avanguardie (e penso soprattutto ai·Futuristi), si qualificavano pnncipalmente per l'abbandono dei temi naturalistici e dei toni auratici delle poetiche ottocentesche, SQStituiti dall'elogio delle locomotive, dei tram e della guerra tecnologica. Prima che Coppola filmasse gli attacchi in elicottero di Apocalypse Now, Marinetti aveva scritto qualcosa di molto simile per la battaglia di Adrianopoli (1912): stessa passione per la bellezza tecnologica della guerra; stesso culto per la potenza e la velocità; addirittura una vaga parentela di mezzi espressivi (collage visivo in Marinetti, che utilizza descrizioni e onomatopee; «contaminazione» con A. 1\-lunun,Y. T,mguy e ullri, cadavere squisito, L915 Maurizio Ferraris Wagner in Coppola). I temi, gli oggetti e le poetiche non risultano quindi sufficienti per distinguere l'estetica delle avangua~die da quella degli anni ottanta; è anzi possibile risalire ancora più indietro, in pieno ottocento, per trovare estetiche «metropolitane• molto esplicite: che differenza intercorre tra gli elogi di New York come città in cui si riconosce l'umanità futura, e le descrizioni di Baudelaire della Parigi ottocentesca? Non è escluso che il ricordo non ancora troppo remoto di questa visione otto-novecentesca della tecnica sia proprio ciò che ci ha resi tanto disponibili nei confronti della nuova estetica metropolitana, che ci ha fatto accogliere con tanta naturalezza l'esito non catastrofico del trionfo della tecnologia. M a se ci spostiamo dal piano delle poetiche a quello delle trasformazioni teoriche, noteremo che lo scarto tra l'enfasi otto-novecentesca della tecnologia, e il modo in cui arte e tecnica si rapportano attual- ·mente, è molto grande. Credo che si possano riconoscere almeno tre punti che qualificano il carattere «epocale» della nuova estetica metropolitana. In primo luogo, c'è una vistosa traA. Breton, V. Hugo, P. Eluard, N. Eluard, cadavere squisito, 1930 sformazione del rapporto del soggetto con la tecnica. Là dove le avanguardie scorgevano un trionfo del soggetto come artefice del mondo, dominatore della natura, promotore della storia, gli uomini degli anni ottanta vedono una tecnica che, per una forza sua propria, priva di rapporto con la natura, la storia e l'uomo, assume qualità estetiche, sotto gli occhi dei soggetti, che ne sono gli Utenti accidentali e gli spettatori passivi. Scompare la immagine dell'homo faber, sostituita da una considerazione della potenza autonoma della tecnologia. Il nocciolo più produttivo di temi come la simulazione, la seduzione, la falsificazione,dibattuti in questi ultimi anni da Perniola e Baudrillard, consiste forse proprio nella registrazione degli effetti estetici del declino della centralità del soggetto: non più promotore della storia e della ideologia, l'uomo risulta più disponibile verso le sollecitazioni estetiche provenienti dalla tecnica, cioè da un mondo che non è né vero né falso, ma che produce immagini, informazioni, sensazioni innaturali. Insieme al soggetto come produttore della storia, e più in generale del «senso• si attenua anche la mitologia del Progresso, il quale sembra ormai . . . I I ;•tlJ ' '\ Germaine, Jeannelle, Y. Tanguy, G. Hugnet, cadavere squisito, 1935 sono tolte tutte le possibilità di aggregazione e di comunicazione. In più, è un esule diffuso, e per un motivo non più strettamente ideologico, ma quasi semplicemente tecnico. È possibile cancellare la mitologia dell'esule, infatti, solo concependo molti esuli. Si annulla l'eroe quando ci sono troppi possibili eroi. Questa società sta cominciando a comprimerè le forze che mirano al suo rinnovamento costruendo eccessi di possibile velocità, e annullando cosi la passionalità dell'eroismo. È per questo che la insistenza di Berlinguer sulla «differenza» (cioè sull'esilio morale) comunista non produrrà nessun esito apprezzabile. Essa è comunicativamente perdente, perché troppe figure di «esuli» circolano oggi nel campo della politica. Compresi Sindona, Gelli, Longo, Rizzoli e Tassan Din. Dell'esule che dice di essere esule, insomma, si comincia a diffidare un po' troppo. E d'altra parte l'esule diffuso non può più dire di essere esule. Le notizie su di lui, sono impossibili: sarebbero, parafrasando Wiiliam Morris, News from Nowhere, «Notizie da nessun luogo». svolgersi al di là delle intenzioni dei soggetti, e quindi tende a sganciarsi da una possibile storia della emancipazione e della salvezza. Sino a quando la·tecnicasi è identificata con i,lprogresso dell'umanità, il nuovo, il Moderno hanno assunto connotazioni immediatamente positive e soteriologiche (liberazione dell'uomo dalla fatica e dal bisogno; realizzazione del destino trionfale della umanità, ecc.). Quando invece il progresso diviene un· fatto autonomo, separato dal senso della storia, l'elogio della tecnologia non è più incompatibile con il ricorso a istanze arcaiche. Si tratta di un fenomeno molto visi- ~ile nell'immaginario estetico della nostra epoca: nelle me.tropolicontemporanee non si cerca tanto il Moderno come razionalità e progresso, quanto piuttosto qualcosa che ne è l'archeologia e la memoria (i grattacieli disabitati, le città morenti, le rovine della modernità); e la fantascienza, come proiezione del nostro ideale di tecnologia, fa costantemente uso di contaminazioni tra il vecchio e il nuovo (mentre la fatascienza ottocentesca, alla Jules Verne, ambiva a rappresentare il Nuov!) per eccellenza). In terzo luogo, l'autonomia anche estetica della tecnica rispetto alle intenzioni dei soggetti, si conferma nella progressiva vanificazione del concetto di opera, sostituito da una esteticità diffusa, non localizzata. Quando le avanguardie riconoscevano i caratteri estetici della tecnologia, lo facevano attraverso opere, individuavano sedi specifiche. Boccioni dipingeva la bellezza del movimento e del metallo; in ogni caso, si supponeva la presenza di un autore capace di dare luogo, forma e intenzioni, alle qualità estetiche implicite nella tecnologia. Viceversa, la bellezza della tecnica contemporanea è del tutto esplicita, almeno nel senso che non richiede di essere valorizzata o localizzata da soggetti qualificati. È un processo che già Adorno aveva riconosciuto con chiarezza, sebbene in negativo, scorgendovi il segno di una irrecuperabile decadenza del gusto, per cui l'artista diviene il semplice esecutore di intenzioni, sensazioni, volontà che lo ecce- ...

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