dono - e anzi, poco a poco, tende a scomparire. • Riprendendo Adorno, ma senza le pregiudiziali negative che ne caratterizzavano l'analisi, Lyotard sosteneva, nel 1974, che bisogna «abbandonare il rifugio offerto allo spirito dalla classe delle'opere d'arte' e in genere dei segni( ...) e non riconoscere più come artistiche che delle iniziative o eventi; quale che sia il campo istituzionale in cui si producono» (A partire da Marx e Freud, p. 152). Il declino della centralità del soggetto, la vanificazione degli ideali di progresso, la scomparsa di sedi e autori deputati in campo estetico, sono fatti molto eterogenei e difficilmente commensurabili. Ma bastano, credo, a segnalare lo scarto tra le estetiche delle avanguardie e quelle metropolitane attuali. Soprattutto, possono facilitare la comprensione del secondo problema che ci eravamo posti inizialmente (perché la tecnica non abbia avuto gli esiti catastrofici che ci si poteva logicamente attendere, ed è invece trapassata nell'estetica). Se infatti vogliamo riassumere la novità del nostro rapporto con la tecnica in questo fin de siècle, non resta che dire: prima (nell'ottocento;all'inizio del novecento) eravamo attivi rispetto ad essa; ora, invece, siamo passivi. Non nel senso che siamo diventati apatici o inattivi (la tecnologia ci sposta, ci trasforma, intensifica la nostra esperienza); ma nel senso che abbiamo progressivamente abbandonaio quelle funzioni attive, decìsionali, progettuali, che a lungo si sono collegate alla tecnièa intesa come strumento del dominio dell'uomo sulla natura. Essere sensibili alla bellezza tecnologica non significa più lodare le cromature delle automobili; significa trovarsi in quella disposizione, estetica per eccellenza secondo le definizioni canoniche, per cui si contempla disinteressatamente, sospendendo soggettività, interesse pratico, progettualità. Un tempo, queste «sospensioni» del soggetto, che mette tra parentesi le proprie finalità, erano sindromi acute e transitorie, che si svolgevano in teatri, musei, gallerie e letture; dopo di che si ritornava a progettare, a calcolare e a dominare. Ora, invece, il fenomeno si è cronicizzato. Vanificando Soggetto, Progetto, Progresso, la tecnologia ci ha trasformati in esteti e fliìneurs al di là delle nostre volontà: la tecnica procede, e noi stiamo a guardare, con un interesse che è sempre più estetico e sempre meno pratico-calcolante. M a l'autonomizzarsi della tecnica non riguarda soltanto la sua recezione da parte dei soggetti. Investe anche la sua natura specifica che, dispiegandosi, rivela progressivamente la propria essenza, al di là delle interpretazioni proiettive che ne avevamo dato. Se siamo diventati esteti, abbandonando il «pensiero calcolante», è lecito supporre, almeno in via ipotetica, che la scarsa esteticità della tecnica non fosse un suo attributo specifico, ma l'effetto delle intenzioni umane che, facendo della tecnologia uno strumento di dominio, ne cancèllavano le valenze estetiche. Così come è plausibile che le utopie negative alla Huxley fossero l'esito di una proiezione antropomorfica, per cui si immaginava che la tecnica, potenziandosi, divenisse un grande Soggetto, carico di volontà di dominio e di interessi pratici, e asservisse gli.uomini; che divenisse una specie di Hitler o Stalin in acciaio. Se questo non è avvenuto, e se anzi la tecnica è risultata persino bella. probabilmente quelle proiezioni antropomorfiche non erano fondate, non coglievano l'essenza della tecnologia, che è qualcosa di più misterioso, e ha poco a che fare sia con le fa,ntasiedegli uomini, sia con l'insieme degli oggetti tecnici così come ce li rappresentiamo. Questa tesi è stata esposta con molta chiarezza da Heidegger nella sua conferenza del 1953 La questione della tecnica. Dove si trova non solo una bellissima analisi della tecnologia; ma soprattutto una serie di utili proposte circa l'atteggiamento che ci conviene tenere nei suoi confronti. In primo luogo, Heidegger sostiene esplicitamente che l'essenza della tecnica non si identifica con l'insieme de-· gli oggetti tecnologici; per cui, quando si tesse l'elogio delle metropoli e dei computers, si considera un campo molto esteriore e. in fondo. poco qualiA CINQUANT'ANNI DALLA SUA FONDAZIONE, GUANDA E LIETA DI ANNUNCIARE L'USCITA DE «L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA» ficante. Di qui, incidentalmene, il fatto che certe analisi dell'estetica metropolitana non siano, quasi, databili, epossano valere, sostituendo nomi e luoghi, per la Parigi di Baudelaire come per la New York di Andy Warhol. In definitiva, il passaggio dai lampioni a gas alla telematica non è, in quanto tale, rilevante: ciò che conta .davvero è la dimensione totalizzante (e spossessante nei confronti della soggettività) che la tecnologia ha assunto solo negli ultimi decenni: e che non concerne gli oggetti, ma appunto una «essenza», che non ci è chiara, e rispetto alla quale continuiamo a essere proiettivi. Ed è proprio questa essenza ciò che. - J/ \_ .. -- - Ò; • • .J . I //; f, Y. Tanguy, A. Massun e altri, cadavere squisito, 1925 secondo Heidegger, va ricercato, attraverso una specie di catarsi che metta tra parentesi la nostra soggettività e la nostra rappresentazione della tecnologia. Heidegger scrive che non possiamo capire l'essenza della tecnica «finché ci limitiamo a rappresentarci il nostro rapporto con la tecnicità e a praticarla, a rassegnarci ad essa o a fuggirla. Restiamo sempre prigionieri della tecnica e incatenati a essa, sia che la acc,ettiamocon entusiasmo, sia che la neghiamo con veemenza. Ma siamo ancora più gravemente in suo potere quando la consideriamo qualcosa di neutrale: infatti questa rappresentabimestrale, lire 3.500 zinne, che oggi si tende ad accettare con particolare favore, ci rende completamente ciechi di fronte all'essenza della tecnica» (La questione della tecnica, p. 5). Il problema della tecnica non si risolve, quindi, a un livello di giudizio, politico in senso lato (come amministrare la tecnologia; se impiantare centrali nucleari oppure no; se usare certe tecnologie piuttosto che altre). Non solo per una inevitabile insufficienza del giudizio, che risulterebbe fatalmente proiettivo, antropomorfico, e quindi tendenzialmente catastrofico. Ma soprattutto perché, come Heidegger scrive poco più sotto,/' essenza della tecnica non ha nulla di tecnico: per cui non ha nulla a che fare con l'«uso», il «dominio», come caratteristiche proprie della rappresentazione che della tecnica si fa l'uomo. S ecQndo .Heidegger, infatti, l'essenza della tecnica consiste nella im-posizione, cioè in una sollecitazione, in un appello, che essa rivolge all'uomo, modificandolo, trasformandolo, anche decretando la fine della sua missione storica. Con toni fortemente nietzscheani, Heidegger ricorda che la tecnologia, nel suo dispiegarsi di potenza, ripetizione, de-soggettivazione, conduce l'uomo in un al di là di se stesso, in cui si può anche leggere .la fine del soggetto come dominio e violenza, quale si è affermato nella tradizione occidentale. .Ppssono sembrare sensibleries da .ontologo reazionario che abita in • cam.pagna, come sosteneva Adorno criticando Heidegger; e non è escluso che in una prospettiva politica lo siano davvero. Però vale la pena di prenderle in considerazione, in quanto propongono una soluzione non ovvia, e ancora poco considerata, del rapporto tra l'uomo e la tecnica. Perché Heidegger, distinguendo nettamente la tecnica (come dominio, e manifestazione della volontà di potenza dei soggetti) dalla sua essenza (come im-posizione, appello lanciato all'uomo, eventualmente decreto della estinzione del soggetto come funzione egemone), scioglie un nodo molto vecchio e intricato, per cui la tecnologia viene di volta in volta connessa o con l'arte, o con la potenza, senza neppure supporre che ciò che nella tecnica è estetico non ha probabilmente nulla a che fare con il potere e il dominio. Di questa confusione sono stati certa□ente vittime i Futuristi, i cui trasalimenti per la guerra tt~nologica potevano a buon diritto essere qualificati come fascisti. Quindi Benjamin, nel '36, faceva benissimo a opporre alla esteticizzazione della guerra la politicizzazione dell'arte; e Adorno e Huxley avevano ottimi motivi per paventare l'avvento di un universo amministrato, in cui si verificasse il trionfo della alienazione e del dominio. È però anche vero che le previsioni catastrofiche non si sono avverate; e non è escluso che ciò dipenda proprio dal fatto che la tecnica, nella sua essenza, non appartiene all'uomo, e non ne condivide le cattive inclinazioni. In ogni caso, il trionfo della tecnologia si è rivelato molto educativo: ha frustrato i soggetti, vanificandone almeno in parte le peggiori tendenze alla egemonia e alla progettualità sconsiderata, rendendoli più sensibili verso sollecitazioni estetiche e non finalizzate. Il che non esclude, evidentemente, il problema politico dell'amministrazione degli oggetti tecnologici; in breve, non neutralizza l'atomica. Ma indica anche come le eventuali responsabilità sarebbero, appunto, politiche, e non avrebbero rmlla a che fare con la bellezza della tecnica e con le nuove esperienze che essa ci offre. Il nesso arte-tecnica non è l'unico rapporto possibile che l'uomo può instaurare con la tecnologia, ma è probabilmente il migliore. Come scrive Heidegger concludendo la sua conferenza: «Poiché l'essenza della tecnica non è nulla <jitecnico, bisogna che la meditazione essenziale sulla tecnica e il confronto decisivo con essa avvengano in un ambito che da un lato è affine all'essenza della tecnica e, dall'altro, ne è tuttavia fondamentalmente distinto. Tale ambito è l'arte. S'intende solo quando la meditazione dell'artista, dal canto suo, non si chiude davanti alla costellazione della verità riguardo alla quale noi poniamo la nostra domanda». • BIMESTRALE DI ATTUALITÀ E CULTURA CHE RIPRENDE UNA DELLE PIÙ ANTICHE E PRESTIGIOSE TESTATE ITALIANE
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