Pieros:upple1g@d"'°indagini li bel libro Indagini su Piero di Carlo Ginzburg ha certamente il merito di scoprire alcuni misteri piccoli e grandi dentro una parte considerevole de/l'opera del grande maestro rinascimentale legato a molti progetti della corte di Urbino.. Ma alla fine della lettura si è indotti a continuare le congetture eperché si prolunga l'ammirazione per il modo in cui tanti incastri storici e logici sono stati mossi pagina per pagina, e perché non si resta completamente convinti e appagati da tutte le conclusioni che Ginzburg allinea con secca rapidità, specialmente quelle sopra La tavola della Flagellazione (e specialmente per uno di Urbino che come tutti i suoi concittadini sente in quella tavola l'essenza della sua città). L'indagine ginzburghiana ha tante ragioni e fa alcune vere scoperte sulla Flagellazione, ma trascura del tutto un elemento fondamentale della vita del quadro, che pure all'inizio rileva e mette fra i punti di partenza. L'elemento è questo: a chi apparteneva Lapreziosa tavoleua? Seguilo immediatamente da quest'altro, altrettanto grave: perché è rimasta a Urbino? Ginzburg nellaprima pagina del cerzo capitolo del libro, che si apre appun10sulla Flagellazione, riporta.la nota di un inventario (da presumere urbinate) del 1744 dove è indicato che Latavola si trovava nella sacrestia del Duomo. /11 possesso quindi della Curia Urbinate, che come tutte Leconsorelle aveva ed ha per i propri beni e tesori appositi capicoli canonici e riguardi particolari. Questo possesso pieno ed effettivo spiega appunto perché il quadro sia rimasto in Urbino e perché non abbia seguico insieme con i beni dei Duchi la via per Firenze dentro i carri dotali dell'ultimo rampollo della Signoria, Vittoria Della Rovere che nel 1631 lasciava la città per andare sposa a un Medici fiorentino. In quei carri la non avvenente maritanda si portava via anche tutta la quadreria ducale, compresi, ahimè, il dittico con i ritrattidel duca Federico e della moglie opera dello stesso nostro Piero, che oggi sono costretti a mostrarsi dentro i forestieri Uffizi, lontano da casa e dalle colline /e/tresche e proprio, a guardarli con Jina attenzione, denunciando insieme con la fierezza una languida punta di nostalgia. E non è da ritenere che l'avidissima (e anche molto ghiotta) Vittoria nel suo traslocoprestigioso a Firenze po1esse dimenticare e lasciare qualcosa, tantomeno di così prezioso, giacché si eraprecostituita un inventario minuzioso nel quale persino le tende e Lepezzuole erano indicate misurate e convogliate. Dunque la Flagellazione è rimasta in Urbino perché era di proprietà della Chiesa. Ora riprendendo il Ginzburg, la tavola sarebbe stata commissionata a Piero da terzi (non importa adesso sapere chi siano questi) e allo scopo di farne un regaloal duca di Urbino. Ma è verosimile, per usare un termine che il Ginzburg usa in situazioni analoghe, ritenere che poi questo signore abbia a sua voltapassato il regalo ricevuto (cosi toccante per Lui e così importante) in donazione aa altri, sia pure alla Chiesa del proprio Ducato? Non sarebbe stato uno sgarbo troppo grosso nei confronti del morto indicandolo in Oddo Antonio, conte predecessore e fratellastro di Federico e non nel figlio di questi Buonconte. Tale indulgenza portò il Longhi a datare il quadro molto presto, troppo presto rispetto anche alla sua analisi stilistica, cioè poco dopo quel- /' anno 1444 in cui gli urbinati insorti uccisero quel disgraziato Oddo Antonio, tutto preso per tutta Lasua gioventù da una prepotenza incontenibile e da Va/emine Hugo, André Brelon, ,:aduvere squisito, 1929 del primo donatore, epoi tanto autorevole e gradico? C'è da ritenere che nella catena di questipassaggi qualche anello sia molto debole. Tanto da non reggere al peso onesto di diverse argomentazioni dello stesso Ginzburg aproposico del problema ermeneutico come delle identità dei trepersonaggi raffigurati in primo piano e come anche delle date di esecuzione del dipinto. Argomentazioni tutte da condividere insieme con Le conclusioni stesse cui giungono. I tre personaggi in primo piano sarebbero dunque Buonconte, figlio del duca Federico e ai suoi Latidue intimi amici del padre e di lui stesso e anche suoi grandi estimatori e maestri, Bessarione e Bacci. «Il giovane è morto», è la categorica affermazione di Ginzburg; ma non è una sua scoperta perché già il grande Roberto Longhi scrivendo dello stesso quadro era giunto alle stesse conclusioni, anche se aveva confuso, per una sottile indulgenza letteraria verso Le leggende popolari, l'identità un'altrettanta sfrenata quanto costosissima passione per i cavalli più nobili e veloci del mondo. Federico u,;a volta salito al trono l'avrebbe fatto ricordare, secondo la leggenda, da Piero con un dipinto nel quale la sua tragica vicenda venisse accompagnata, trasfigurata, dallapietà di un confronto ideale con il Cristo alla colonna e sotto le fruste: Lui che era stato incatenato e fustigato da cattivi consiglieri, rimessi appunto nel dipinto ai suoi Lati,indifferenti superbi ricchi grondanti di sete e broccati preziosi e di disprezzo, i due cattivi consiglieri, certi Manfredo Pio e Tommaso Agnelli. Il giovane biondo e ricciuto al centro, vestito idealmente di una tunichetta e a piedi scalzi (a differenza dei due ai Lati) è dunque Buonconte, morto diciassettenne di peste sulla strada di Napoli, figlio prediletto e speranza fervida non solo del padre e del ducato urbinate ma de/l'Italia intera. E le date questa volta coincidono, anche considerando la progressione stilistica di Piero: Buonconte muore nel 1458 e il dipinto è degli anni 1459-60. E alloraperché non proseguire dritti nel senso di quella figura e della sua morte, LeggerneLapaterna costernazione e di seguito la volontà di non dimenticare le qualità, le speranze, i progetti del figlio insieme con le nobili amicizie che lo sostenevano e quindi di onorarne, sostanziarne la memoria con un quadro di quell'ottimo pittore di casa che poi erauno dei pilastri della cultura della Signoria? Perché mettersi in giro per andare a cercare un committente abbandonando Lepiccole storie per Le rotte delle crociate e gli spazi spigolosi dei grandi progetti politici? Non sarebbe meglio restare proprio davanti alla scena, dopo poi che uno è riuscito con tanta maestria a individuarne I'avvenimento i protagonisti e la data, e seguirne il movente più diretto e certo? La mia altro non è che una rispettosa richiesta di riapertura delle indagini. Magari posso accompagnare un elemento di sostegno. Anche la pala pierfrancescana della Madonna con l'uovo sospeso sulla testa e Federico ai piedi che prega in ginocchio e a mani giunte dentro l'armatura di condottiero, pala detta oggi, ahimè, di Brera, sarebbe un altro dipinto commemorativo di una morte illustre e questa volta della moglie del duca, Battista Sforza, la stessa del dittico degli Uffizi. A parte Lasomiglianza fra Laduchessa e la Madonna è vero che S. Giovanni Battistache apre a sinistra la formazione dei santi schierati in onore della Vergine, siccome portatore del nome della duchessa defunta • non è coperto della consueta succinta pelliccetta, ma di due bellissimi manti colorati, di seta e di velluto, adatti appunto a cingere membra ducali: e sotto tali manti indossa apelle una camiciola ruvida e verde, proprio indumento e colore da Luteosecondo Leantiche usanze locali. A riguardo c'è un ampio, dettagliato studio di uno storico urbinate, Fert Sangiorgi, il cui testo non posso citare come meriterebbe avendolo Lasciato fra Lemie carte urbinati. La Madonna dell'uovo e LaFlagella- ~ione avrebbero dunque lo stesso committente e la stessa funzione commemorativa per la quale dallamano del duca commosso e celebrante passava110alla Chiesa, a ornare le mura di qualche cappella sepolcrale. E questa pare proprio che ci fosse, ai tempi di Federico,attigua alla chiesa conve111ua- /e di S. Francesco dai cui edifici fu poi i11corporataverso Lametà del seicento. Dalì Lapala della Madonna con l'uovo passò presto al mausoleo dei Duchi di S. Bernardino, non appena fu ultimato verso la fine del 400, tanto che per il trasloco e per /'esigenze del nuovo sito devozionale dovette sopportare una considerevole anche se non pregiudizievole riduzione, come appunto il recentissimo restauro breriano ha riscontrato. Da S. Bernardino fu asportata (trafugata alla venerazione e alla cultura di Urbino) per ordine di Napoleone 11e/I 8/ I e assegnataal nascentemuseo milanese. Triste destino di Urbino, alla quale tutti e con le ragionipiù diverse e opposte hanno sempre portato via qualcosa... Destino che ancora oggi dura. Può consolare appena il fatto che l'incaricato napoleonico che andò a fare inventari e a requisire non vide o non capi La Flagellazione: che era finita probabilmente per Lasua dimensione poco adatta alla maestosità dei nuovi altari barocchi nella sacrestiadel Duomo, o che magari qualche scaltro sacrestano più di qualche timoroso canonico abbia rapidamente saputa nasconderla dentro uno scomparto degli stupendi amplissimi armadi di noce che cingono quei Locali. E se un bel giorno la Chiesa Urbinate avanzasse la richiesta alla nostra Repubblica (Ministero dei beni ambientali e culturali - Museo di Brera - Galleria Nazionale delle Marche, Urbino) della restituzione dell'una e de~'altra tavola? Carlo Ginzburg Indagini su Piero Torino, Einaudi, 1981 pp. 110, lire 10.000 Indagine P.,m~,~ Ginzburg P osso chiedere, agli editori di Alfabeca, spazio per una elaborata discussione sulle Indagini su Piero, di Carlo Giozburg, Einaudi, 1981, ora che il battage pubblicitario è cessato? Improvvisamente, attraverso i suoi attacchi, molti amici hanno scoperto che anch'io avevo scritto anni fa su Piero e l'esplicita ostilità del Ginzburg nei miei riguardi può far pensare che ci sia fra me e lui (che non conosco personalmente) quell'affinità che provoca sincere inimicizie. No, non c'è nulla del genere. La mia monografia del 1971 di 880 pagine a largo formato e con caratteri tipografici minuti, segue il modello tradizionale, ordinando secondo una cronologia da me ritenuta logica le opere, discutendo senza disonestà la bibliografia precedente, studiando le condizioni fisiche dei dipinti e pubblicandone per la prima volta le radiografie o gli schemi delle giornate, nel caso di affreschi. Posso averlo fatto goffamente e in modo inattendibile (è quello che il Previtali scrive su Rinascita 29, del 17 luglio 1981, per elogiare maggiormente il Giozburg, dichiarandomi quasi come in un medaglione di concorso universitario, «non cultore della materia»), ma certo ho tentato di evitare il neopositivismo degli iconografi ora di moda, e dovendo fare delle ipotesi, ho cercato di paragonare fonti o documenti coevi, non quelli lontani 40-50 anni; ho tenuto contò la complessità della cultura del '400, che non è certo riconducibile ad un unico personaggio divenuto chissà perché di moda. Dirò alla fine quale è la ragione principale della mia delusione, leggendo il libretto su Piero, ma vorrei qui semplicemente chiedere ai lettori del Ginzburg e dei suoi recensori di non volermi considerare un insensato, o addirittura un colpevole in quanto più di trent'anni fa avrei introdotto (secondo alcuni) questo tipo di studi in Italia. L'iconologia è correa di vari eccessi, che vanno da ciò che ho definito «fantaiconologia» ad una serie di letture generiche e banali, giustificate in genere dal fatto che si può scrivere un saggio iconologico anche senza aver visto l'originale di cui si parla (ed io cui si sono scoperti frammenti di legno, oggetti immaginari, anche topi per merito della illeggibilitàdelle fotografie disponibili). Ma in genere il suo scopo è di interpretare il soggetto d'un'opera, specialmente quando questa è ricca di elementi simbolici. Mai mi è capitato di leggere degli studi in cui l'iconografia fosse usata, prevalentemente, per difendere una ipotesi cronologica, cioè la datazione di un'opera non datata. Certo, non si può dipingere il ritratto d'un personaggio ancora non nato, ma anche in questo caso processi di idealizzazione rendono difficile attribuire l'età del modello e tanto più stabilire l'anno di esecuzione, in quanto anche i grandissimi, come Tiziano, copiavano ritratti precedenti. La datazione d'una idea è possibile: ad esempio in un dipinto con la congiunzione di astri usati per esperimentare la teoria della relatività di Einstein o in temi di cronaca o legati ad una moda di rapido consumo. Ma quando si passa all'imitazione di immagini classiche, si può avere un
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==