S i continua dunque ad enumerare i sintomi e i fatti, gli eventi, non solo, ma a circoscriverli pure con rigore, allo scopo di penetrare nel dopo-il-moderno, secondo quello sforzo paradossale e forse ironico che dobbiamo ogni volta affrontare per mettere piede semplicemente là dove già sostiamo e ci muoviamo: l'oggi, il presente. In questa enumerazione molti eventi attendono, come la scoperta del nuovo continente da parte di Colombo che ha inaugurato la modernità, di chiudere questa stessa modernità ed aprire invece a ciò che viene dopo, il postmoderno o il dopo-il-moderno. Questo compito di chiusura e di apertura non spetta solo alla nudità dei fatti, ma anche alla determinatezza della nostra cultura e alle sue intenzioni, che interpretano e danno peso, senso alla semplicità dei fatti stessi. Per parte mia assegno i posti inaugurali, nella genesi del dopo-il-moderno, a due eventi, ad un tempo circoscritti e di raggio amplissimo. Il primo si configura come un processo di spaesamento che, discendendo dall'immaginario, ha finito per investire realmente, fino a dislocarla, la totalità del pianeta Terra. Il secondo, in stretto rapporto col primo, consiste nell'elaborazione da parte della Terra del suo Doppio. Mentre al primo ho assegnato il nome di «spaesamento ecumenico>, al secondo ho dato quello di «stadio dello specchio della Terra»; quest'1lltimo, come è ovvio, rappresenta una molto libera estensione di un ·termine lacaniano. Con lo «spaesamento ecumenico» io ho inteso istituire un. parallelismo fra le tecniche di dislocazione di Duchamp - non solo di Duchamp - e le operazioni condotte dall'universo tecnologico, fra il laboratorio mentale dell'arte equello di von Braun. Il laboratorio tecnologico ha raccolto, non so quanto inconsapevoln,tente, l'ereditàlezione del maestro dada, trasferendola però dal piano linguistico su cui sostava, a quello della realtà. Se con l'invenzione del ready-made Duchamp è arrivato a spaesare il singolo oggetto, la combinazione fra i.razzi spaziali a propellente liquido e il gigantismo dei mezzi di comunicazione è riuscita a spaesare, non già la ruota di bicicletta o il troppo celebre W.C., bensl il mega-oggetto, il pianeta Terra. Il readyO luogo Nessuno può dubitare che la sistemazione dell'area del Colosseo sia eccellente. La riprova si è avuta col trionfo del film colossal Napoleon di Abel Gance proiettato per la prima volta a Parigi, all'Opéra, nel 1927 e ora ricostruito con un lavoro di ricerca (il film era andato «disperso») durato circa vent'anni. Arrivare al Colosseo è entrare in un'area magica, tuno può accadere; così un film genialepuò esprimere cento, mille significati e contraddirli tutti e disperderli nella notte per lasciare agli spettatori le immagini pure, che trovano nelressere film, e nient'altro, il loro significato ultimo. Dunque la dichiarazione di Abel Gance, «Il cinema è il culmine della vita», vapresa alla lettera. Forse è questa la ragione della capacitàdi confronto delle immagini filmiche con quelle di un simile luogo econ le stesse immagini naturali, la pioggia, la luna a tratti incombente. La politica Come si sa lepolemiche sull'assessorato alla cultura di Roma, retto da Nicolini. continuano. Ma l'episodio più recente sbalordisce. Prima di Nicolini gli assessoratialla cultura non li voleva nessuno, nessuno dava peso alla domanda di cultura della genie. Nicolini ha dimostrato coi fatti come si può rispondere a questa domanda di cultura a tutti i livelli, dalla poesia (Caste/porziano) al circo (Via Giulia). Dunque funziona e l'operazione Colosseo è il Lo psliiì'Cluta made, ultimo ed assoluto è questa stessa Terra, osservata, ispezionata, spiata dai satelliti artificiali ed inquadrata dal satellite lunare. È tuttavia giusto sottolineare un capovolgimento nell'intera operazione. Mentre Duchamp nel suo atelier sperimentale ha spostato l'oggetto, conservando al suo posto lo spettatore, la scienza e la tecnica hanno invertito i termini del rapporto: hanno conservato il pianeta nella sua sede relativa ed apparente, ma hanno provveduto a spiazzare l'occhio dell'osservatore, collocandolo nel di fuori, in un luogo extraterrestre. Con questo accorgimento l'Archimede del dopo-il-moderno ha dimostrato che è possibile spostare il mondo senza ricorrere a nessuna ingombrante base d'appoggio. Sporgendoci da questo osservatorio esteriore, utilizzando lo «sguardo dal di fuori» apprestato dalla tecnica, la Terra si presenta anch'essa come un ready-made di stampo imperfettamente sferico, che rotola davanti ai nostri occhi nei vuoti spazi siderali. Posso sintetizzare questa parabolacompito in una piana formula: passaggio dal ready-made oggetto della modernità al mega ready-made, al super object-trouvé, questa stessa Terra, proprio del dopo-il-moderno. Lasciamo lo «spaesamento ecumenico>per accennare all'altro, congiunto evento, a ciò che ho chiamato «stadio dello specchio della Terra». Lungo l'intera modernità, la·foto prima, poi il cinema ed ultima la televisione,che sono tutte estensioni dello specchio o, meglio, specchi «dotati di memoria», non hanno fatto che duplicare, raddoppiare la realtà: ogni essere.vivente come ogni oggetto si presentano accompagnati dalla loro nitida immagine, tallonati dalla loro incalzante ombra luminosa. Infine il cerchio si è saldato: di frammento duplicato in frammento duplicato, di doppio in doppio, l'addizione delle parzialità si è rovesciata nell'immagine totale e sintetica del pianeta Terra, nel suo Doppio- che possiamo contrassegnare con la maiuscola. Esso è là riflesso dentro la banale vistosità dello schermo televisivo. Per la prima volta la Terra si vede nella sua interezza globale; si rispecchia nella tensione narcisistica di questo verbo. La Terra vede se stessa; la Terra guarda la Terra. Pure lungo questa pista è possibile sottolineare un passaggiocompimento: passaggio da un rispecchiamento, da una duplicazione frammentaria, che è proceduta anarchicamente per accumulo e per addizione-tipica ancora del moderno-, ad una duplicazione globale, planetaria, che contrassegna H dopo-il-moderno. Dopo le parabole che hanno tracciato l'oggeto e il rispecchiamento, lo spazio non può rappresentare che il risultato, il continente infine in cui ci troviamo. Simile continente ostenta un elemento fortemente caratteristico: di costituire uno spazio dislocato, sbilanciato, proiettato nel fuori. È appunto lo spazio del fuori. Tutti i grandi apparati che contano, da quello informativo a quello militare che occupano sempre con lucida determinatezza i primi posti, si sono messi a lievitare nella dimensione<del fuori, trascinando dietro, in una spinta ascensionale ed antigravitazionale, tutti gli esseri e tutte le cose. Con la conseguente elaborazione di un'ottica, di uno sguardo dal di fuori, che ci consegna, nel dopo-il-moderno, l'unico e fondato punto di vista·esteriore per inquadrare questa Terra, trasformatasi nel frattempo in un gigantesco oggetto trovato. L e due operazioni condotte, in un primo tempo ed in viasperimentale, dall'immaginario e successivamente dall'universo tecnologico non sembrano solo concludersi, ma di fatto si sono concluse alla pari. Con questo pareggiamento la realtà ha raggiunto l'immaginario, ma così compiendosi, realizzandosi, l'immaginario moderno ha incontrato il suo traguardo e la sua fine. Come sempre accade, vittoria e tramonto finiscono per coincidere. È proprio perché la realtà ha doppiato il suo gesto provocatorio, che quel Duchamp-coronato-di-gloria, che qualche maltre-à-penser colloca tra i campioni del postmoderno, spicca invece •tra le più malinconiche figure del nostro avant'ieri. Al pari del suo gemello nell'ordine contiguo del doppio e del simulacro, Andy Warhol. L'oggi non segna che questa mortale coincidenza di immaginario e di reale, che assegna all'immaginario il compito di sottrarsi a simile abbraccio paralizzante, di elaborare una nuova strategia, di fare intervenire nuovamente uno scarto, una differenza di livello. Giacché, per quanto la situazione resti bloccata in questa condizione di stallo, l'immaginario e la realtà continuano pur sempre ad essere mossi da pulsioni diametralmente opposte. Da una parte, l'universo tecnologico valuta questo super ready-made in cui si è irrigidita la Terra, unicamente come un oggetto da dilapidare e da assoggettare. Ai suoi occhi la mappa terrestre che si dispiega davanti oscilla tra la mappa catastale, la mappa economica Napolet11,~Gance coronamento di un'attività encomiabi• le. Ma che cosa si sta preparando a Roma invece del trionfo (che pure alle recenti elezioni c'è stato)? L 'allontanamento di Nicolini. li quotidiano La Repubblica ha pubblicato il giorno 9 settembre scorso che il Psi ha chiesto la testa di Nicolini durante le trattative per la nuova giunta capitolina. Al suo posto si dice che proponga Paolo Portoghesi. Sia detto con chiarezza:se Portoghesi accetta di « far fuori» Nico/in i sarà necessario escluderlo simbolicamente dal novero dei democratici. Ma, a parte chi si presta al gioco pesante del potere politico dei partiti, tutti sono costretti a rifare un'avvilente constatazione: chi dimostra di valere, di funzionare, in Italia non è gradito a certi politici e quindi viene semplicemente tolto di mezzo. «Ma è appena successo anche a Reviglio, chepure era un uomo loro!» mi hanno fatto osservare alcuni amici con cui si parlava delle scandalose richieste del Psi. È vero, ma a certe violenze non ci si abitua e la condanna è, da parte di tutti, dura e inevitabile. C'è anche da chiedersi dove vivano i politici (e naturalmente non è la prima volta che ce lo chiediamo). La sera di giovedì I O settembre allaprima del film Napoleon durante l'intervallo Andrea Anderman, il regista italiano che pure ha contribuito aportare il film di Gance in Italia, ha tentato un discorse/losemiufficiale. Freddissime se non ostili le reazioni della gente (neppure un tentativo di applauso quando Andermann ha annunciato con voce di flauto che erapresente la signora Mqterrand). La gente considera ogni risposta a_llenecessità culturali come dovuta. La cultura è un servizio dovuto. I politici invece sono in cerca di consenso: ma il consenso non arriva per queste vie, arrivano solo il dissenso e la rivolta se mancano i servizi, compresi quelli culturali. Sembrava che nelle teste degli spettatoripassasse questopensiero: «ilfilm di Gance è bellissimo, è un dono di Gance, prima di tutto, abbiamo il diritto di riceverlo, di goderlo. Che cosa volete voi, che vi ringraziamo perché non lo avete impedito? Avete fatto soltanto il vostro elementare dovere e smetteteladi rompere». Nicolini non è sentito come uno che va in cerca di consensi ma che fa cosegiuste e dovute. Ogni richiestadi supplementi di gratitudine è superflua. La musica Godibilissima l'esecuzione dal vivo della colonna sonora con l'orchestra della RAI di Roma, composta e diretta da Carmine Coppola, padre del regista Francis Ford Coppola. Ma godibile come una musica un po' kitsch da momenti di relax. Il fim di Gance meritava altro. Il compromesso della nuova produzione è evidente (ci deve essere anche la mano del mieloso C/aude Lelouch, senza dubbio ...). Ma il pubblico non era del tutto soddisfatto e ha trovato, come era inevitabile, la musica uno o due livelli sotto il linguaggio del film. La competenza dellamaggior parte del pubblico mi è sembrata fuori discussione. La critica Tutto da sottoscrivere il corsivo di Valentino Parlato su il manifesto del 13 settembre. Nel film di Gance c'è la migliore avanguardia del 900, con tutta la sua intelligenza critica. Per questa ragione Gance aderisce al mito di un Napoleone figlio, testimone e duce della Rivoluzione e insieme ne mostra l'altra faccia, militaresca, paranoica, istrionica. Napoleone porta al trionfo gli straccioni rivoluzionari un momento prima che muoiano di fame ma per farlo si serve anche di un miraggio di rapina: andiamo, saccheggiamo il fertile Piemonte e sarà la prima tappa della nostra ricchezza nuova. Napoleone ama e insieme finge di amare Eugenia de Beauharnais:suona tutta ironica la battuta dell'attore Talma che ha appena finito di dare una lezione di recitazione amorosa all'impacciatissimo Generale: «Quanto dovete amarla!». , Anche l'aquila è simbolo di un destino ma anche segno della sfrenata rapacitàmilitaredi Bonaparte. intensità delle immagini, vitalità del linguaggio cinematografico e insieme critica della storia e dello stesso linguaggio di cui si denunciano i limiti proprio quando Gancepassa genialmente ai treschermi paralleli. Altra sequenza chiave, quella del ballo delle vittime: C'è in queste immagini un risentimento moralistico e nello stesso istante un recupero della vitalità erotica. con contrassegnate sopra le materie prime e ogni altro genere di risorse, e la mappa militare, comprendente però una sola sezione del clausewitziano «teatro di operazione» odierno, che dal terrestre si è ingrossato fino ad annettersi l'extraterrestre. Dall'altra parte l'immaginario, spinto da una pulsione interna impastata di ingordigia conoscitiva, ludica e nutritiva ad un tempo, pone sempre il medesimo super ready-made, la Terra, come un geroglifico, una x, una immensa Sfinge, un enigma affascinato e fascinatore, ma anche appetibile a ciascun senso. La mappa che rimanda lo specchio-schermo si configura adesso come una carta di esplorazione e di decifrazione, come un territorio da percorrere con lo sguardo e da divorare con l'avidità della bocca e del sesso. Facendo mio uno splendido vocabolo introdotto da Ernest Jiinger, ho chiamato questo possibile viaggiatore attraverso gli spazi dell'immaginario, questo nomade allucinato, «psiconauta». Con una netta, evidente contrapposizione all'altro nomade messo in orbita dall'universo tecnologico: il «cosmonauta». Al punto di incrocio fra questi due opposti percorsi si situa il mio libro, Lo sguardo dal di fuori, come al pari esso si pone concettualmente all'incrocio delle concomitanti nozioni di «spaesamento ecumenico» e di «stadio dello specchio della Terra». La maggior differenza tra queste due figure di naviganti si colloca nell'ordine del silenzio e della sua rottura, della presenza o dell'assenza dei segni. Mentre nel corso del viaggio il «cosmonauta» non dà notizie del viaggio, come non le ha mai date, lo «psiconauta» è colui che tenta con ogni mezzo di trasmettere notizie. Una testimonianza capitale resta la pagina di Henri Michaux, là dove questa cavia poetica arriva ad anticipare, nello stupore, nell'angoscia e nella vertigine, quelle notizie attorno all'ascensione, che undici anni dopo di lui, i «cosmonauti», che pure hanno compiuto materialmente l'ascensione, quelle notizie non sono stati in grado di trasmettere. Solo Valentino Parlato ha notato l'essenzialità dellapresenza di Antonin Artaud come punto di forza del/'avanguardia. C'è da·aggiungere che la straniante demenzialità della recitazione di Artaud nel personaggio di Mara/ rende ancora più tagliente la critica della Rivoluzione. Analoga osservazione vale per l'interpretazione estetico-paranoica data da Abel Gance ai personaggio di Saint Just, da lui stesso interpretato. La pioggia. I giornali I frequenti, ma non troppo, scrosci di pioggia della serata di giovedì IO non hanno turbato .il pubblico che si era adeguatamentepreparato all'evenienza con impermeabili e ombrelli. Piccola ma significativa smentila dei romani a chi li vuole improvvisi e timorosi del cielo acquoso. All'uscita la vendita dei giornali del giorno dopo (o del giorno ormai iniziato, dal momento che il film èfinito all'una e un quarto, circa). Per un attimo si può anche credereche l'Italia non sia poi tanto provinciale. Abel Gance Napoleon Comune di Roma, Assessorato alla Cultura al Colosseo, 10-12 settembre 1981 Al momento di passare questo scritto (16 settembre) sembra certa la riconferma di Nicolini.Benissimo.Resta la gravitàdella richiesta socialista: evitiamo di ripetere simili exploits.
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