la sfinge collana di psicoanalisi diretta da Glauco Carloni Marie Langer MATERNITÀ E SESSO a cura di Giorgio Sacerdoti l.13.000 Donald Meltzer LA COMPRENSIONE DELLA BELLEZZA e altri saggi di psicoanalisi a cura di Anna Baruzzi L. 11.300 LA PSICOANALISI TRA SCIENZA E FILOSOFIA a cura di Enzo Morpurgo l.13.300 Luis A. Chiozza CORPO,AFFETTO E LINGUAGGIO psicoanalisi e malattia somatica a cura di Carlo Traversa L. 8.800 Wilfred R. Bion IL CAMBIAMENTO CATASTROFICO a cura di Francesco Corrao inpreparazione storia della scienza collana diretta da Paolo Rossi Massimo Parodi TEMPO E SPAZIO NEL MEDIOEVO Enrico Bellone LA RELATIVITÀ da Faraday a Einstein " , I l.6.600 l. 5.400 Loescher università / monografié Guido Ferraro STRATEGIE COMUNICATIVE E CODICI DI MASSA Marcello Carrnagnani l.6.300 LA GRANDE ILLUSIONE DELLE OLIGARCHIE • stato e società in America Latina (1850-1930) l.8.800 scienze dell'educazione collana dirett<1d, a Maria Corda Costa Robert M. W. Travers PSICOLOGIA DELL'EDUCAZIONE un fondamento scientifico per la pratica educativa L. 12.000 César Birzea GLI OBIETTIVI EDUCATIVI NELLA PROGRAMMAZIONE Fausto Fiorini I SISTEMI EDUCATIVI problemi e metodi di analisi la ricerca enciclopedia monografica per una cultura di base diretta da Maria Corda Costa Anna Maria Nada Patrone l. 5.600 l. 5.400 LA ccBORGHESIA11ITALIANA NELL'ETÀ COMUNALE l. 3.300 Giancarlo Scoditti CULTURE ORALI, L'ESEMPIO DELL'ISOLA DI KITAVA L. 2.000 I.novità.I Giulio Del Tredici Uno in meno Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 208, lire 7.000 I . Io non ho dubbio che in Italia esista una zona che si può chiamare «civiltà letteraria» nella quale, prima o dopo,,i veri valori vengono riconosciuti. Sta di fatto che gli abitanti di questa cittadella, ultimo baluardo di fronte alla barbarie avanzate (e che avanzi nessuno ha il minimo dubbio, basta vedere lo spazio che viene concesso da certi Grandi Settimanali ai Falsi Narratori...) scrivono troppo poco sui giornali e sui settimanali che si autodefiniscono «di cultura», per una vecchia, simpatica mania, ora un po' kitsch. In caso contrario avremmo dovuto leggere ben altro sul secondo libro di Giulio Del Tredici (il suo primo fu pubblicato da Einaudi e s'intitola Tarbagatai) e non avremmo dovuto essere costretti a leggere frasi del tipo «giochi gratuiti» o «divertimenti non necessari», prese di peso dalla manualistica del perfetto recensore acefalo o invece con cefalo ma da riempirsi con interventi esterni. .. Ci sono stati anche critici che lo hanno riconosciuto pubblicamente, ma sono di quelli che ancora difendono la cittadella assediata, e a costoro vada tutta la gratitudine di chi si ostina a occuparsi di letteratura e di scrittura! Uno in meno è un romanzo d'attualità e sull'attualità di quelli che qualunque vero scrittore avrebbe voluto scrivere. C'è dentro una rabbia e insieme un piacere di reagire a quell~ rabbia, di renderla feconda e vitale con lo scrivere, che solo da una grande tra~ dizione può arrivarci: e allora faccia- -mo, in senso positivo e con animo ral~ legrato, il gran nome di Gadda, non a caso ben poco amato maestro proprio da quei medesimi «critici> che mostrano un certo qual lieve e sussiegoso disprezzo per Del Tredici. Curiosa (profetica?) la dedica di Del Tredici, che cosi suona: «la dedica a chi: ma a nessuno, va' a da via 'I cu». E nella pagina successiva: «anzi, no; a qualcuno si: a Morselli Guido conterraneo mio/ vittima/ dell'industria del libro». Esagerazioni? Certo che si, ma in parte. Dentro c'è il senso di una minaccia che incombe, il deserto della cultura, anche per colpa di molti «uomini di cultura». Per fortuna Del Tredici non è una vox clamans in deserto, è ancora in buona compagnia, ma ci rivela che il deserto ha conquistato nuovi territori che in un tempo non lontano erano ancora ricoperti da una qualche forma di vegetazione. Antonio Pona Rosa R. Cappiello Paese fortunato Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 122, lire 8.000 Uscito tardi nella stagione letteraria, ormai nell'estate, questo romanzo non ha avuto l'attenzione critica che meritava; eppure basta aprirlo che ne schizza fuori quasi un.fiotto incontenibile di lingua e d'invenzione. Una lin- .gua fortissima e vertiginosa prende il posto di tutto riducendo addirittura l'io narrante dell'emigrata napoletana Rosa R. Cappiello a una terza persona, superandone ogni ragione e intenzione e insieme ogni fatto e vicenda esterna, e stabilendo considerazioni, emergenze, rapporti solo in funzione della propria avvolgente, torcinosa salinità. Nell'emigrazione,-cioè nel tentativo di farsi largo tra gli spazi e la conoscenza di un nuovo Paese, certo la prima cosa che uno mette in discussione è la lingua, la vecchia che si porta dietro insieme con la nuova che incontra e che deve penetrare. Nella sua emigrazione difficile, piagata di vecchi dolori e poco sostenuta da convenzionali speranze, la Cappiello esaspera e increspa la propria per reazione e anche per esplorare con ironia e disin?,nto con quello sperimentatissimo strumento che è l'italiano cotto e insaporito al sole e al calore della società napoletana. Tanto che questa sua lingua diventa l'unica sua dimensione, sia nostalgica che propositiva, di inserimento: addirittura la propria identità. Lingua e identità corrono ed espio-· dono insieme dentro il mondo nuovo degli immigrati poveri di tutto il sud D)editerraneo pullulante di vecchi pregiudizi e miserie e di nuovi mediocrissimi valori; al margine di un'Australia, città e struttura produttive, frantumata e precaria, sconfinata e vuota, spesso ridotta a un angolo di strada con rigagnolo al centro o a un alberello scorticato in fondo a un marciapiede. Rosa Cappiello guarda, tocca e vive con la sua parlata romanzo, riJrovando ancora più grande, e ancora più vivo, fra l'umanità mischiata e confusa e sotto ogni altro dato di colore, incidente, vista della nuova giornata continentale; il vecchio sentimento meridionale della disperazione storica e fisica dei subalterni, di coloro che sopravvivono in lotta perenne contro tutti gli attacchi della società organizzata e dotata di potere. Questo è il nerbo strutturale del romanzo, forte di tutte le usuali, domestiche resistenze di ironia, comicità, ribalderia e di altre nuove che la Cappiello può inventare e impiegare con la sua intelligenza, con la sua penetrazione coraggiosa, socratica, della vita e con la sua bravura, davvero magnifica, di scrittore. Fortunato dunque il paese (e anche doppio, sia quello non abbandonato di partenza, che quello non ancora trovato, di arrivo) che sapesse leggere e nutrirsi di tutte le parole di questa cittadina così libera davanti alla realtà della vita é del vivere, così piena di passione e che proprio con la scrittura sa piegare entral!.lbe, libertà e passione, alle qualità superiori di una ragione critica e liberante. Fortunata intanto la nostra letteratura, davvero il campo più fertile di tutta l'Italia. Paolo Volponi Ray Sugar Lonard-Thomas Heams Incontro valido per il titolo mondiale assoluto dei pesi welter RAI TV 1° Canale 17 settembre Bravi questi nuovi pugili neri, bravissimi. Troppo bravi. Giovani, alti, magri (Heams perfino filiforme, eppure è il «picchiatore>!), coi volti dai bei lineamenti «puliti>, senza un segno del mestiere, rappresentano l'inevitabile sviluppo del processo di spettacolarizzazione televisiva del pugilato, già avviato da Clay. Clay: bello, agile, veloce, ma, soprattutto, istrione. Grande attore che vinceva anche perché alla tecnica ed alla potenza dei colpi accompagnava la consumata abilità di mimo, tale da affascinare e stordire avversari che finivano irretiti dalle sue irridenti schermaglie, dalle gags, dai balletti. È da attore che Oay ha avuto ragione di tanti altri pugili neri che pure sembravano più carichi di rabbia, più decisi ad aprirsi la strada verso un benessere che lui aveva ormai acquisito da tempo. Capitava però che il campione andasse in crisi: fra i pesi massimi il prezzo da pagare è tremendo e, ogni tanto, la maschera televisiva si dissolveva nella smorfia di dolore e di odio, saltava fuori il vecchio mondo di un pugilato che De Niro ha saputo descrivere nella sua recente, magistrale interpretazione della biografia èinematografica di Jack La Motta. Leonard e Heams vanno oltre, molte sbavature sono state eliminate. Non a caso i miliardi non si sprecano più fra i massimi ma fra i welter: peso da ballerini, peso in cui le doti di agilità, velocità, grazia di Clay possono arrivare a livelli di vero e proprio virtuosismo. E, infatti, Leonard e Hearns ballano, si toccano poco, perché schivano entrambi meravigliosamente; gigioneggiano, si provocano con stili recitativi diversi ma entrambi efficaci, per la gioia dello spettatore.~ provocazioni cessano solo quando vanno a segno i rari colpi duri: nelle riprese in cui avviene si arriva al uono dei gong fra impercettibili segni di solidarietà, «son cose che capitano ma non facciamoci vedere troppo dal pubblico>. Al primo scambio veramente duro Heams va giù. Il combattimento è finito dopo 14 riprese di affascinanti evoluzioni. Ma anche la drammatica conclusione. malgrado una plateale éaduta fuori dal ring, avviene secondo stile: il combattimento viene fermato dall'arbitro in tempo perché un eccesso incontrollato di violenza non rovini le immagini televisive. Grandi sorrisi e arrivederèi alla prossima puntata. Intendiamoci: nessun rimpianto per il sangue, le facce feroci e tutto ii resto. Ciò che dà fastidio è lo stile da discomusic, mentre si sa che gli «attori> pagano indubbiamente ancora con tremendi danni fisici queste loro rappresentazioni apparentemente così asettiche; ciò che urta è questa regia che cerca di non far vedere la sofferenza, di farla sparire così come viene fatta sparire quella di altri atleti-attori televisivi, della gente che salta, corre, ecc. L'animalità delle sofferenze che ogni sport professionistico richiede possono essere soggetto di epopee giornalistiche. Di qualche libro o film, ma sono così poco televisive. Regione Marche Lorenzo Lotto nelle Marche D suo tempo, il suo influsso Ancona, 4 luglio - 11 ottobre 1981 Questa mostra è importante anche per una qualità che è stata sottolineata quasi fosse un difetto: avere immerso il lavoro di Lorenzo Lotto nelle Marche nel lavoro di tutti gli altri pittori operanti nell9 stesso territorio. Si ha cosi modo di studiare attentamente quali e quanto difficili sono i passaggi che portano da un'opera di gusto e intelligente a un'opera decisamente di genio (di fatto definiamo «genio> questo passaggio ritenuto impossibile). Appare evidente che la questione della genialità non è legata tanto alla qualità della pittura (ci sono molti maestri poco geniali) ma a un'intuizione che precede il fare pittorico e che è legata più alla storia della cultura umana che a quella della pittura. Preciso: legata a un'intuizione che sa prendere corpo in una visione della vita così come essa è resa possibile in un determinato momento della storia della nostra cultura (da allora il «momento> diventa acquisizione duratura, patrimonio sociale). , La genialità di Lorenzo Lotto diventa ancora più manifesta se la sua opera viene messa a confronto con quella del «divino> Tiziano, il grande rivale, colui che gli aveva precluso ogni possibile committenza a Venezia. Ma i comittenti potevano sì accettare l'interpretazione della crisi definitiva dell'umanesimo così come da Tiziano veniva proposta (e rimando per questa interpretazione a quello che continuo a ritenere un ottimo e indispensabile studio, mi riferisco al libro di Augusto Gentili, Da Tiziano a Tiziano, edito dalla Feltrinelli) non invece il riscatto di quella crisi che, pare a me, viene proposto dal Lotto a chiare lettere: trasferire «in basso> l'accesa divinità del vivere, non più sentito come dono o ferita di dèi in declino ma come trasfigurazione dell'umiltà popolare. La condizione «inferiore> viene riscattata fino a quasi irridere quella superiore: basti pensare ali' Annunciazione di Recanati, alle storie di Santa Lucia di Jesi, e agii affreschi «a fumetti> della Cappella Suardi di Trescore Balneario, questi ultimi eseguiti in cambio del puro sostentamento materiale, il classico «piatto di minestra> tutti i giorni. Il Lotto ci appare sublime perché infuoca la nostra quotidianità. Il cielo cupo e fragoroso della Crocifissione di Monte San Giusto è cielo nostro, lirico cielo di una tragedia personale. a.p.
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