La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

Narrativa Barbara Trapido In bilico Traduzione di Maria Baiocchi pp. 320, L. 35.000 Saggi Klaus Schreiner Vergine, madre, regina I volti di Maria nell'universo cristiano Traduzione di Camilla Miglio pp. 240, L. 55.000 Goffredo Fofi Come in uno specchio I grandi registi della storia del cinema pp. 304, L. 48.000 Walter.Lippmann L'opinione pubblica Prefazione di Nicola Tranfaglia Traduzione di Cesare Mannucci pp. 416, L. 38.000 DONZELLI EDITORE ROMA Mario Ajello A colpi di voto Le campagne elettorali tra storia e romanzo pp. 120, L. 12.000 Interventi Renato Brunetta Sud Alcune idee perché tutto non resti com 'è pp. 120, L. 16.000 I centauri Mark Pinson I musulmani di Bosnia dal medioevo alla dissoluzione della Jugoslavia pp. 140, L. 22.000 Libri di idee

LA TERRA VISTA DALLA LUNA Rivista dell'intervento sociale ~ N.8, ottobrel 995 VOCI Giulio Marcon, Una politica per la pace (9), Marino Sinibaldi, Il possibile e l'impossibile della politica (11), Rinaldo Gianola, Il neo-luddismo degli imrrenditori (14), Augusto Battaglia, Vivere con l'handicap (33), . Anita Capozzi, Donne (ricche e importanti) a Pechino (35), Vittorio Giacopini, Un breviario per la sinistra rispettosa (36). PIANETA TERRA PARIGI-MURUROA Mimmo Càndito, Chirac e la bomba (2), Hans Weeken, Un paradiso nucleare. La Polinesia francese (5), Saverio Esposito, L'opinione di Serge July (8). SCUOLA LA SCUOLA PER GLI ALTRI Franco Lorenzoni, Il diritto di raccontarci storie (16), Sergio Kraiskij, Quando gli allievi sono stranieri (22), Ana Maria Gomes, Bambini zingari a scuola (25), Chiara Conotter, La maestra è una "gagia" (29). LA SCUOLA SREGOLATA Marcello Benfante, La scuola da dentro, la scuola da fuori (39), Giannina Longobardi, Le condizioni della gioia (45), Vita Cosentino, Una domanda di senso (47). SUOLE DI VENTO/ 3 Emiliano Morrealè, "L'odio", un'opera prima piuttosto odiosa (50), Michele Esposito, Periferie del Nord periferie del Sud (51), Hugues Bazin, Il movimento hip-hop (52), CINEMA. Roberta Torre, La mafia m musical (55), Luca Mosso, Esiste un giovane cinema italiano fuori dalla "grande famiglia"? (58), Incontri con: Alberto Rondalli e Marce! Cordeiro (60), Gianni Zanasi, I ragazzini del Tuscolano, a cura di Elena Fantasia (62), GIRO D'ITALIA, Thomas Bertacche, "Lavoro culturale" a Udine (66), Andrea Dedda, Storie dal Veneto (67), Davoli, De Sensi, Regio, Samà, Le giraffe dal collo corto di Lamezia Terme (69), Alice Vox, Un centro sociale a Bari (71). LEZIONI Colin Ward, Per un'organizzazione economica dal basso (72), Nicola Perrone, Capitale del risrarmiatore, rendita in solidarietà (78), Antonio Castellaro, Un'obiezione economica: la Banca Etica (80). IMMAGINI . Luigi Baldelli: Dal Kazachstan (tra le pagine 42 e 43). In copertina foto di scena di Lo zio di Brooklyn (regia di C1prì e Maresco) di Philippe Antonello (Photomovie) I disegni che illustrano questo numero sono di Giorgio Bertelli Direttore: Goffredo Fofi. Direzione: Gianfranco Bettin, MarcelloFlores, Piergiorgio Giacchè,Roberto Koch, Giulio Marcon, Marino Sinibaldi. · Segretariadi redazione: Monica Nonno. Collaboratori: Damiano D. Abeni, Roberto Alajmo, Vinicio Albanesi, Enrico Alleva, Guido Armellini, Ada Becchi, Marcello Benfante, Stefano Bcnni, Alfonso Berardinelli, Andrea Beretta, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Luigi Bobbio, Giacomo Borella, Marisa Bulgheroni, Massimo Brutti, Mimmo Càndito, Francesco Carchedi, Franco Carnevale, Luciano Carrino, Francesco Ceci, Luigi Ciotti, Giancarlo Consonni, Mario Cuminetti, Paolo Crepet, Mirta Da Pra, Zita Dazzi, Giancarlo De Cataldo, Stefano De Matteis, Elena Fantasia, Grazia Fresco, Rachele Furfaro, Giancarlo Gaeta, Fabio Gambaro, Saverio Gazzelloni, Rinaldo Gianola, Vittorio Giacopini, Giorgio Gomel, Bianca Guidetti Serra, Gustavo Herling, Stefano Laffi, Filippo La Porta, Franco Lorenzoni, Luigi Manconi, Ambrogio Manenti, Bruno Mari, Roberta Mazzanti, Santina Mobiglia, Giorgio Morbello, Cesare Moreno, Emiliano Morreale, Marco Mottolese, Maria Nadotti, Grazia Neri, Sandro Onofri, Marco Onorati, Raffaele Pastore, Nicola Perrone, Giuseppe Pollicelli, Pietro Polito, Georgette Ranucci, Luca Rastello, Angela Regio, Bruno Rocchi, Luca Rossomando, Bardo Seeber, Francesco Sisci, Paola Splendore, Andrea Torna, Alessandro Triulzi, Giacomo Vaiarelli, Federico Varese, Pietro Veronese, Tullio Vinay, Emanuele Vinassa de Regny, Paolo Vineis. Grafica: Carlo Fumian. Hanno contribuitoallapreparazionedi questonumero: Pina Baglioni, Claudio Buttaroni, Monica Campardo, Marco Carsetti, Silvana Chiodi, Giuseppe Citino, Pietro D'Amore, Ornella Mastrobuoni, Simona Zanini. . I MANOSCRITTINON VENGONO RESTITUITI La terra vista dalla Luna iscritta al Tribunale di Roma in data 7.7.95 al n° 353/95. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Edizioni La Terra vista dalla Luna s.r.l. Redazione e amministrazione: via Cernaia 51, 00185 Roma, tel. 06-4467993 (anche fax). Distribuzione in edicola: SO.DI.P. di Angelo Patuzzi spa, via Bettala 18, 20092 Cinisello Balsamo (MI), tel. 02-660301, fax 02-66030320. t li ca Stampa/ StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale - Via VignaJacobini 67/C - Roma Finito di stampare nel mese di ottobre 1995

PIANETA TERRA PARIGI-MURUROA Mimmo Càndito Hans Veeken Serge July CHIRAC E LA BOMBA Mimmo Càndito Sono passati quattro mesi da quando - il 13 giugno - il presidente Jacques Chirac ha comunicato la decisione francese di rompere la moratoria nucleare, con un programma di otto test sperimentali nel sottosuolo degli atolli polinesiani. In quattro mesi il programma ha realizzato le prime prove, e segue ora il calendario fissato ufficialmente. Ma a fronte delle proteste e dell'indignazione ecologista sollevata in ogni parte del mondo, finisce l?er apparire più significativa, o~gi, più ricca d1 implicazioni e di interconness10ni, la reazione che ha seguito la scelta dell'Eliseo, piuttosto che quella stessa scelta. Questo ribaltamento di una gerarchia razionale dei valori politici (al primo posto dovrebbe stare la rottura della moratoria, che è una decisione potenzialmente a rischio per l'intero pianeta, mentre la reazione di protesta dovrebbe essere relegata in un ruolo subordinato) rivela come i test del Pacifico abbiano aperto un processo di crisi dove gli attori e le situazioni svolgono parti non sempre prevedibili. Il magma mediatico I poteri presidenziali di scelta sul nucleare sono stati esercitati da Chirac in forma corretta, non soltanto istituzionalmente - cioè nel1' ambito delle prerogative assegnate all'Eliseo - ma anche dal punto di vista del rapporto con l'opinione pubblica, con un discorso che spiegava estesamente ai francesi le ragioni - politiche e tecniche - che spingevano a roml?ere la moratoria voluta in passato dal presidente Mitterand. Chirac poteva prevedere una quota ragionevole di opposizioni nell'ambito internazionale, e il test sotterraneo effettuato a maggio dalla Cina gli dava una misura credibi-· le del grado massimo di sensibilità che casi siPIANETATERRA o mili sembrano sollecitare in reazione immediata; si diceva perciò pronto a sostenere ora gli effetti provocati da, test francesi ..No1_1ha però saputo prevedere quanto a congiunzione di due fatton - il contesto temporale e l'angoscia rinnovata della Bomba - avrebbe potuto incidere su quella scala di reattività, deformandone indici e misura. La voluta ignoranza del primo fattore, il contesto temporale, è stato un errore di grossolana volgarità intellettuale. I giorni della ripresa delle esplosioni _nu~leari- la prima s~ttimana di agosto - comc1devano drammaticamente con i giorni del cinquantesimo anniversario di Hiroshima e Nagasaki: il valore simbolico della contemporaneità diventava in quei giorni l'elemento dominante nei messaggi dei media e avrebbe acquisito perciò un incastro moltiplicatore capace di imprimere al messaggio una durezza di impatto direttamente proporzionale alla forza evocatrice di sciagure e distruzioni che il ricordo di Hiroshima porta con sé da sempre. Nella politica il timing è un fattore decisivo; ignorarne l'importanza è un errore che ha un alto costo. Ma è soprattutto il secondo fattore - l'angoscia della Bomba - che trasforma completamente natura e analisi politica del fatto, i test francesi. Se ci si dovesse fermare a una lettura dei riscontri tecnici che le esplosioni nel Pacifico avevano avuto nel passato sull'ecosistema polinesiano, gli elementi di rassicurazione sarebbero almeno pari a quelli del dubbio e della perplessità critica. (Quella lettura è stata anche confermata dai nuovi riscontri di agosto e di settembre). Però le sollecitazioni sull'immaginario sono arrivate da altre fonti, emotive alcune, di memoria storica altre, e la loro azione ha aperto una linea di frattura insostenibile pe~ lo scenario disegnato da Chiara, allargandone 1 contorni a una dimensione planetaria. La caduta del muro e la fine del comunismo sembrano aver causato, se non la fine della Storia per come diceva Francis Fukuyama, almeno la ruvida cancellazione delle angoscie di un olocausto nucleare nato dalla scontro tra le due Superpotenze. L'improvviso irrompere ora dei trinchetti di Greenpeace su tv_e giornali di ogni parte del mondo ha catalizzato un recupero immediato di quelle angoscie troppo presto rimosse, dilatandone poi l'efficacia grazie all'utilizzo diretto che i "guerrieri verdi" facevano del sistema e del linguaggio mediatico. La spettacolarizzazione della politica trovava nell'incursione di Greenpeace una forma di esaltazione innegabile: l'oggetto reale del

ontrasto - il rischio di una contaminazione adiaottiva dell'ecosistema - diventava seconario rispetto alla guerra tra Rainbow e Mari1afrancese, e i giochi d'acqua del "guerriero", • sue astuzie, l'incursione dei gommoni, l'asalto dei paras, si facevano parti di un più omplesso fronte di lotta, che portava diretta- '1ente in campo il processo di formazione del- . decisioni istituzionali. È stata tanto incisiva prepotente, questa trasformazione genetica, a arrivare a invadere perfino gli spazi di quelautonomia della politica che costituisce un attore fondamentale di equilibrio nella vita ei sistemi democratici. Il confronto non è chiuso. Greenpeace ha >erduto la prima parte della guerra, SJ>arendo ai media per sopravvenuta sottrazione del 1roprio copione (il sequestro delle due navi di lainbow). Però il forte grado di consenso che e sue operazioni si erano guadagnate in ogni >aesedel pianeta apre comunque una crisi sule legittimazione del potere. Ne sortisce un di- >attito che società mediatica e istituzioni poliiche devono sviluppare. Alain Leroux, in Reour à l'idéologie. Pour un humanisme de la •ersonne (P.u.f., Parigi), ha scritto di recente he "le ideologie sono morte ed è meglio co- ,i", però ha anche diretto un invito "a riconsilerare le finalità della politica". E Jacques Deors, se pur rifiuta categoricamente di "cercare .libi possibili per spiegare una certa miseria !ella politica", dice anche che "oggi i media ono nel cuore della società dell'informazione, ·d emotività ed emozioni stanno dentro le notre società. Ma il dovere di tutti è farsi consaJevoli del pericolo che c'è dietro, il dovere è di are uno sforzo d'innovazione intellettuale e di igore politico che dia spessore e \Ualità alle nostre avventure collet1ve". Non pare che si vada ancora I di là di un procedere incerto su m terreno che si indovina stimoante e però anche pericoloso; ma 'individuazione del nuovo territoio di ricerca è già una sfida aperta, Jer la quale il nschio delle scorciaoie ingannevoli e delle delegittinazioni sta soprattutto in quella orma nascente di "videocrazia" he Paul Virilio descriveva un anno a al momento dell'elezione vittoiosa di Silvio Berlusconi. Who'safraidof big badwolf? La sicura convinzione che l'atonica francese vada attribuita al ge1erale De Gaulle - e alla sua ela- )razione di una dottrina della farce le frappe - è riapparsa congiuntanente alla decisione nuclearista di Chirac. Ma l'uso di quella convinlione è possibile soltanto parzialnente, e cioè per quella parte che ✓Uole attribuire al nuovo presidene francese un orgoglioso progetto li riportare la Francia - attraverso 1uesto suo mandato appena avviao - a un ruolo centrale negli equiibri internazionali. Su "Le Figaro" I primo ministro Alain Juppé ha ,critto di recente: "nessun nuovo >rdine mondiale ha ancora rimpiazzato il vecchio ordine della ,;uerra fredda. Sulla scena si fanno vanti nuùve potenze, e non sempre si mostrano ben disposte verso di noi. Occorre serenità diplomatica ma anche preparazione. La Francia ha il dovere di ammonire i sui alleati europei che nuove minacce rimpiazzeranno, o già hanno rimpiazzato, le vecchie di un tempo ormai finito". In queste parole il dovere di un ruolo di guida appare come una scelta implicita che spetti alla Francia: e la scelta è in concertazione con gli "alleati europei" se questo è possibile, ma resta ugualmente come una solitaria consapevolezza illuminata se gli "alleati:' non ~apran1:10as_colta~e. Il prof ilo politico d1 Chirac, 11suo carattere, la sua stessa storia personale, lo proiettano all'interno di questo progetto comunque di grandeur; e danno ragione della spregiudicatezza con la quale si è mosso nella decisione di rompere la moratoria nucleare. La sua affermaz10ne individuale era anche l'affermazione dela Francia, in un contesto che - come ha scritto Kissinger nel suo Diplomacy - "è decisamene ostile ad accettare la perpetuazione di un ruolo di Parigi come centro della politica europea". In realtà la Francia è fortemente impegnata nel processo di integrazione europea e resta decisamente ancorata alle frontiere diplomatiche e militari dell'Alleanza Atlantica; ma, almeno per quanto riguarda una Nato in fase di ?rofonda trasformazione ideologica e strategica, l'impegno francese non può essere considerato a nessun titolo come una scelta asso- .luta e immodificabile. È infatti convinzione comune a tutti gli inquilini dell'Eliseo che le divergenze con Washington, non sotlanto sono sem?re possibili, ma siano anche a rischio di farsi msanabili. Permane dunque sullo sfondo il problema di una organizzazione autono- ~ PIANETATERRA

ma di difesa per l'Europa, e Chirac - nel tentativo di riacchiappare il consenso crollato precipitosamente - ha spiegato più volte ai _eartner europei che la ripresa dei test nuclean andava vista come l'adeguamento di una struttura di servizio destinata alla difesa comune. Principale destinatario di ~uest'offerta era, naturalmente, la Germania di Khol, anche se poi è difficile trovare una coincidenza rassicurante tra la visione federalista che dell'Unione Europea ha Bonn e il progetto di alleanza di nazioni che tuttora ne conserva Parigi. Ma il programma di realizzazione della Bomba nacque m Francia nel '54, con Pierre Mendès France (ben prima, dunque, di De Gaulle), poco dopo che la Germania di Adenauer aveva recuperato il diritto di riarmarsi: preoccupata allora di un risorgere del militarismo dall'altra parte del Reno, Parigi riversava sull'acquisizione della tecnologia nucleare la garanzia di una capacità convincente di difesa. Il cerchio della storia si chiude ora in questa presunta destinazione comune dell'armamento atomico; solo che la Germania ha detto, nelle parole del suo ministro degli Esteri Klaus Kmkel: "noi abbiamo preso una posizione chiara e definitiva contro ogni progetto nucleare autonomo, e non abbiamo alcun interesse a una partecipazione in quello degli altri, nemmeno se debba passare attraverso la porta di servizio". Noi non abbiamo paura della Bomba La crisi dei test francesi arriva contemporaneamente al decantarsi della crisi bosniaca. La congiunzione delle due storie timette in primo piano il problema del ruolo dell'Alleanza Atlantica, che _poiè - in altre parole - un _problema dei ruoli che Europa e Stati Uniti si asPIANETATERRA segnano nelle prospettive del futuro. Come Chirac prefigura - nella ripresa dei test - uno scenario di possibili divaricazioni tra le due s_p<;>nd~ell'Atlantico,. allo s_tesso~odo _ildecisivo intervento amencano m Bosnia - 'fissando la misura dell'impotenza diplomatica europea - ha confermato il grado distinto di autonomia che Washington si riserva nei confronti dei partner europei. Questa autonomia tradisce un'irritazione diffusa (anche se per ora decisamente contenuta) della politica americana; l'irritazione, l'impazienza latente della quale fa mostra la nuova maggioranza repubblicana nel Congresso, è un segnale che supera i limiti ristretti di una fase congiunturale, e pare giungere fino al corpo stesso delle relazioni strutturali tra i due mondi. La storia e la geografia vanno mutando progressivamente, l'America di oggi somiglia poco a quella venuta fuori dalla seconda guerra mondiale, quando ancora la cultura, la società, l'immaginario, erano fortemente caratterizzati dalla tradizione europea. Oggi le ondate di immigrazione dall'Asia e dall'America Latina hanno rovesciato gli antichi equilibri consolidati dai secoli e sempre meno l'America riconosce la forza naturale di un legame con il passato degli antenati venuti dal vecchio continenle. Wall Street poi vede nell'anello del Pacifico il nuovo motore dello sviluppo, assai più interessante delle incertezze e dei ritardi con i quali si muovono le economie europee: "The Economist" ha calcolato che verso il Pacifico si muove già la metà delle correnti di traffico commerciale che passano per l'Atlantico, e l'Asia è destinata ad essere - nelle parole di un suo editoriale - "il più grosso mercato già per la fine del secolo". È anche vero che Clinton progetta un Transatlantic Free-Trade Area, che metterebbe insieme un gigante - Nordamerica ed Europa - capace di produrre quindici milioni di miliardi di dollan. Ma intanto lo spostamento del baricentro nelle relazioni commerciali internazionali porta a un'inevitabile revisione delle saldature politiche, ed Europa e America si vedono proiettate oggi dentro dinamiche che registrano un progressivo allentamento dei vecchi legami. Questa divaricazione crescente di interessi si propone con evidenza drammatica soprattutto nelle fasi di crisi, quando il dovere delle scelte impone ai ruoli ngidità obbligate, che nessuna accortezza diplomatica riesce a coprire. L'Istituto francese di relazioni internazionali ha studiato uno scenario in evoluzione che vede nel nuovo secolo un Occidente ancorato a una realtà ormai forzatamente bipolare, Stati Uniti ed Europa. L'analisi dell'Isututo - nelle parole del suo presidente, Thierry de Montbrial - dice che soltanto questa struttura "può comunque equilibrare l'immensità di una Cina lanciata a sviluppare tutti gli aspetti del suo enorme potenziale economico e militare". Riappare così - nell'assenza di un meccanismo internazionale di sicurezza collettiva - il compito da assegnare alla deterrenza nucleare nella sicurezza regionale europea, e si ricompone il progetto di Chirac. Resta però da valutare quanto queste cornici di riferimento possano ancora contenere le profonde mutazioni che si disegnano nelle relazioni mondiali. ♦

UN PARADISO NUCLEARE: LA POLINESIA FRANCESE Hans Veeken (traduzione di Monica Campardo) Hans Veeken, medico, collabora con l'associazione Médecins sans frontières. Questo intervento è tratto dal "British Medicaljournal" del 19-8-95. ♦ La terra è nostra madre. Gli uomini provengono dalla terra.Dobbiamo rispettare sempre nostra madre, non far esplodere bombe nel suo ventre. Il nostro benessere proviene dalla terra.La distruzione della terra porterà alla distruzione della vita. Qacques Jhoray, Presidente della Chiesa Evangelica della Polinesia Francese) "La sperimentazione nucleare ha rovinato il paese", sostiene un medico francese. Ci siamo conosciuti al porto di Tahiti mentre guardavamo la nave di Greenpeace, la Rainbow Warrior, salpare per l'atollo di Mururoa. "E l'effetto", continua il medico, "non è solo la contaminazione dell'ambiente dovuta al pulviscolo radioattivo e alla dispersione delle radiazioni dei residui situati nelle profondità dell'atollo, ma è soprattutto lo sconvolgimento dell'ordine sociale del paese. Prima che iniziassero gli esperimenti nucleari lo stato era autosufficiente, la popolazione viveva di agricoltura e pesca. Oggi il paese è vincolato alla Francia, le importazioni sono dieci volte superiori alle esportazioni. È uno stato artificiale: circa il 15% della popolazione è impiegato nell'amministrazione pubblica. Le conseguenze sono emigrazione, perdita dei valori culturali, ristag1;1~de_ll'agric~ltura, c_am~iamentod_elleabitudm1 ahmentan, prost1tuz1one, alcolismo e disturbi psichici. Il paese è completamente dipendente dalla Francia. La moratoria dei test nucleari aveva costretto la popolazione a pensare a un futuro senza la Francia. La ripresa della sperimentazione ha avuto l'effetto di una nuova dose di droga su un tossicodipendente che ha appena iniziato a disintossicarsi. La Francia deve impegnarsi affinchÈ la Polinesia sia un paese-autosufficiente e non un rottame. con un'eredità a lungo termine di rifiuti nucleari. Potrei mostrarvi le cartelle dei singoli pazienti morti per le radiazioni, ma sicuramente sarete più interessati agli aspetti della sanità pubblica. I dati sul cancro che probabilmente cercate non esistono: il registro ufficiale non viene compilato o è nascosto, chi può saperlo? Comunque non è possibile consultarlo. Non dimenticate che fino al 1984 la maggior parte dei medici in servizio qui erano militari. Non è una semplice coincidenza che il medico supervisore degli atolli di Tuamotu, che comprende la zona sperimentale di Mururoa, sia tuttora un medico militare". La Polinesia Francese è un arcipelago composto da circa 130 isole situato nel Pacifico a metà strada fra l'Australia e il Sud America. Il territorio ricopre un'area equivalente all'Europa. Sebbene la popolazione arrivi ad appena 200.000 abitanti, il paese è famoso in tutto il mondo per il paesaggio paradisiaco. Basti pensare che l'equipa~gio del Bounty si rifiutò di continuare la navigazione e si stabilì su una di queste isole. Chi non ha mai sognato di andare a vivere su un atollo sperduto abitato solo da pochi indigeni socievoli e di nutrirsi di pesce e noci di cocco? Per questo l'annuncio di Jacques Chirac di voler riprendere gli esperimenti nucleari negli atolli di Mururoa e Fangataufa, nell'estremità sud orientale dell'arcipelago, ha scosso non solo i polinesiani, ma l'opinione pubblica mondiale. Come territorio d'oltremare la Polinesia Francese possiede un governo autonomo, ma dipende dalla Francia per la difesa, la giustizia, le finanze e gli affari esteri. Le isole che formano l'arcipelago sono di origine vulcanica. L'isola di Tahiti, su cui vive metà della popolazione, è la più grande. Le isole minori sono atolli, ossia vulcani sommersi sulla cui sommità si è formato un edificio corallino che emer~e dalla superficie marina e circonda la laguna mterna. Con l'indipendenza dell'Algeria, la Francia fu costretta a interrompere i test nucleari in quello stato. I francesi aecisero quindi che il Pacifico era il luogo più adatto per portare avanti la sperimentazione e fino al 1976 effettuarono 44 test atmosferici, cui se~irono 110 esperimenti sotterranei a 800 metn di profondità nello strato basaltico del vulcano. In teoria dopo l' esf losione i rifiuti nucleari rimangono al sicuro ne basalto e non si disperdono nell'ambiente. Ironia della sorte, nella lingua locale Mururoa significa "luogo del grande segreto". Un bambino senza ano Decidiamo di visitare il paese per verificare gli effetti dei test nucleari sullo stato di salute della popolazione e per valutare la necessità di un intervento umanitario. Papeete, la capitale, è una cittadina di circa 40.000 abitanti e quindi è difficile non dare nell'occhio. In un attimo i giornalisti ci sono addosso. Circolano delle voci: siamo stati mandati dal governo francese, ci siamo imbarca ti sulla nave di Greenpeace, la Rainbow Warrior, diretti a Mururoa. Per strada parlo con una donna: mi racconta che il suo bambino è nato senza ano. "Mio fi~lio è stato operato in Francia, ma non ho mai saputo i risultati delle ricerche. Molti altri bambini nascono senza ano". Un'altra donna mi racconta che nel paese ci sono 15.000 handicappati. Cerco di calcolare una cifra come termine di paragone, ma quali sono le caratteristiche di un handicappato? Un rappresentante dell'organizzazione locale mi dice: "Possiamo farvi vedere persone che soffrono di malattie della pelle, disturbi di vario genere, bambini con braccia più corte del normale: tutte conseguenze degli esperimenti atomici". In questa fase dell'operazione non•mi interessa una parata di malati incurabili. È di fondamentale importanza ottenere dei dati oggettivi, ma è difficile andare oltre l'isterismo dell'informazione. L'alto commissario promette disponibilità; comunque, a questo punto, una visita alla sede degli esperimenti è impossibile. Spera che comprendiamo. Ci rivela alcuni dati informali.

Il livello delle radiazioni è più alto in Europa; l'Australia è più vicina alla Cina (altro paese che compie esperimenti nucleari) che a Mururoa; in Francia non si sono mai verificati casi di smaltimento illegale dei rifiuti radioattivi. In un batter d'occhio vengono fissati un paio di apfuntamenti con le autorità locali. Visitiamo i ministero della sanità e chiediamo direttamente conferma di alcune notizie. Con gli eseerimenti è aumentata l'incidenza del cancro? È vero che vengono fatte evacuare segretamente alcune zone e le persone vengono trasferite a Parigi? L'incidenza delle malformazioni congenite è ,;naggiorerispetto agli altri paesi? Sull'incidenza del cancro potrebbe sembrare facile trovare delle risposte, ma non in Polinesia. "La notifica dei casi di cancro è iniziata nel 1985. Prima di allora non esisteva una raccolta sistematica di dati", ci informa il funzionario. "Comunque, se ci fosse una masgiore incidenza del cancro a causa degli esperimenti lo scopriremmo solo ora perché il cancro insorse alcuni decenni dopo l'irradiazione. Tra le cmque principali cause di mortalità il cancro è al secondo posto, ma non bisogna dimenticare che la popolazione sta diventando più longeva. Attualmente la prospettiva di vita alla nascita è di 66 anni per gli uomini e 72 per le donne. Inoltre, bisogna tener ·presente che lo stile di vita è completamente cambiato". In effetti il numero di obesi che si incontrano per strada è impressionante. Nella Polinesia Francese le malformazioni congenite non vengono notificate: difficile a credersi per un paese in cui quasi tutte le donne partoriscono in ospedale. Se mancano i dati riguardanti tutta la popolazione in senerale, c'è da chiedersi cosa avvenga dei dati specifici risuardanti le categorie a rischio come le migliaia di lavoratori nelle sedi degli esperimenti, i militari, le persone che abitano nelle vicinanze degli atolli e che probabilmente sono stati esposti al pulviscolo radioattivo dei test atmosferici. "Il controllo dei dipendenti SJ;>ettal datore di lavoro" afferma il funzionano. Per questo tipo di patolosie non è possibile effettuare un controllo penodico sistematico. "È difficile tenere sotto controllo le persone che vivono nei pressi degli atolli. Il fenomeno dell'emigrazione è forte ed è quindi impossibile rintracciare il gruppo originario di abitanti. Abbiamo problemi molto più urgenti da risolvere. Gli incidenti stradali sono la causa primaria dei decessi, soprattutto dei giovani. Il numero dei decessi provocati da incidenti stradali nel nostro paese è, in proporzione, il più alto nel mondo. Ci stiamo impegnando molto e stiamo ottenendo dei risultati, ma c'è ancora molto da fare. Abbiamo fatto grandi passi avanti in campo sanitario negli ultimi anni". In effetti, una vasta rete di presidi sanitari copre tutti gli atolli. La maggior parte degli atolli è collegata da una linea telefonica diretta e in caso di necessità si ricorre all'assistenza aerea. Nel paese ci sono 300 medici e a Papeete c'è un ospedale polispecialistico attrezzato secondo gli standard europei. Tuttavia, i costi di questo sistema sanitario non sarebbero sostenibili senza l'aiuto esterno. Il contrasto fra l'alto livello dell'assistenza sanitaria e lo stadio embrionale della raccolta dei dati riguardanti la popolazione a rischio è sorprendente e desta qualche sospetto. In seguito, un medico ospedaliero ci spiega PTANETA TERRA che c'è un'enorme trascuratezza nella notifica dei casi di cancro alla tiroide. "È una forma di cancro molto più comune di quanto risulti ufficialmente ed è decisamente più diffusa che in Francia. Tuttavia, non è necessariamente legata alle radiazioni, ma può essere causata dal gozzo, che peraltro ha un'alta incidenza in quest'area, come si può notare già nei dipinti di Gauguin. 15.000 litri di latte di cocco Il giorno seguente visitiamo l'istituto per la sicurezza e la protezione nucleare. "Sorvegliamo sia l'ambiente che la catena alimentare di tutta la Polinesia", spiega il direttore. Dalla conversazione emerge che il controllo degli alimenti viene effettuato in tutta la Polinesia a eccezione della sede degli esperimenti. ~La·sede degli esperimenti non è abitata stabilmente e non offre nessun tipo di alimento" ci spiegano. Ci sembra ancora strano. Siamo subissati di cifre. "Bisogna bere 15.000 litri di latte di cocco di Tahiti prima di ingerire la quantità massima di cesio 137". Sembra davvero difficile. "Gli alimenti più contaminati sono quelli importati. I più radioattivi sono il latte in polvere eurol?eo dopo l'incidente di Chernobyl o l'acqua minerale contenente radiazioni naturali" ci informa. I vari sray, curie, rem e i loro moderni successori, sievert e becguerel, sono tutti al di sotto dei limiti accettabili. Un altro funzionario entra nella stanza: "Da oltre 20 anni lavoro sull'atollo e ogni giorno faccio il bagno nella lasuna". Secondo le loro misurazioni l'irradiazione provocata dai test sotterranei è trascurabile. Ma è mai stata rilevata da scienziati esterni? I tre studi autonomi sull'atollo autorizzati dalla Francia sono stati condizionati dallo stesso tipo di restrizioni: poco tempo a disposizione, accesso limitato alle informazioni e dati di base insufficienti. E q_ualisaranno gli effetti a lungo termine dei rifiuti radioattivi contenuti all'interno dell'atollo? È difficile immaginare le reali modalità dei test. La cavità contenente i rifiuti radioattivi viene sigillata definitivamente? Perché i test non vengono effettuati a una profondità maggiore dei 1.000 metri attuali? Si continua a lavorare sulla cavità provocata dall' esplosione? Le cavità in cui avvengono i test sono collegate tra loro? La risposta è troppo sbrisativa per essere vera: "Il materiale nucleare viene isolato dall'esplosione stessa; questo è tutto". E altrettanto superficiale è l'opinione dei funzionari sull'importanza di sorvegliare le condizioni di salute dei lavoratori: "Non abbiamo il diritto di sorvegliare le persone dopo che hanno lasciato il lavoro. Teniamo sotto controllo l'ambiente e fino a quando il livello delle radiazioni rientra nei limiti non è necessario sottoporre le persone a delle verifiche". Il medico militare con cui parliamo è un esperto in campo nucleare e anche lui è convinto che le conseguenze degli esperimenti sull'ambiente siano irrilevanti. "I livelli di radioattività sono talmente bassi che abbiamo delle difficoltà con i limiti di soglia delle nostre attrezzature di rilevamento. No, l'ambiente non viene danneggiato. C'è persino il progetto di creare un parco nazionale a Fangataufa: l'abbondanza di uccelli è davvero notevole". E il rischio di cancro per i lavoratori? "Il rischio per una dose così bassa di radiazioni non è noto, ma è probabile che sia nullo" sostiene il medico. E la verifica delle condizioni di salute dei militari? "Solo una dozzina di mi-

litari, per un incidente, hanno assorbito la dose massima di radiazioni pari a 15 rem. In Polinesia sono i medici, soprattutto i radiolo~i, a essere esposti al maggior numero di radiazioni." È abbastanza sicura la Costa Azzurra? Non potendo visitare Mururoa, cerchiamo di raggiungere un atollo vicino. "La nave parte regolarmente?" chiediamo a un uomo di Gambier. "Sì" ci risponde sicuro. "Con che frequenza?" "Una volta al mese." "E per il ritorno?" L'uomo sembra perplesso per la domanda. Scrolla le spalle e risponde: "Il mese successivo, naturalmente." Abbandoniamo quindi l'idea del viaggio. Il giro di visite ai vari funzionari ci ha procurato delle informazioni utili. L'irraaiazione effettiva provocata dagli esperimenti sotterranei sembra minima, ma tutte queste cifre sono fornite dalle autorità. Perché il governo non permette a degli scienziati esterni di svolgere ricerche approfondite sull'atollo? In questo modo si potrebbe realmente contrastare l'isterismo diffuso. Greenpeace non ha mai ottenuto l'autorizzazione a effettuare i rilevamenti nelle vicinanze dell'atollo. Nel 1985 la nave ecologista venne affondata dai servizi segreti francesi provocando la morte di un membro dell'equipaggio (i due agenti segreti furono condannati a 10 anni di prigione). Molti polinesiani si chiedono: "Se gli esperimenti sono sicuri, perché i francesi non li fanno in Costa Azzurra?" Il livello minimo di irradiazione nell'ambiente non esclude completamente i rischi. Anche a Chernobyl le autorità sostenevano che il rischio era pari a zero. Il rischio di incidenti non è mai da escludere. Nel 1985 un ordigno nucleare esplose a 400 metri, cioè a metà del cunicolo sotterraneo; nel 1981 un uragano colpì l'isola e scagliò nella laguna una lastra di cemento e le scorie radioattive sottostanti. Le conseguenze a lungo termine dei rifiuti atomici sull'ambiente sono imprevedibili. È davvero impossibile che m futuro si verifichino casi di dispersione di radiazioni e contaminazione dell'ambiente? La mancanza di verifiche delle condizioni di salute delle persone è una negligenza gravissima. Non sono in grado di sostenere la tesi del divieto assoluto dei test atomici; alcuni sono convinti che dal dopoguerra la minaccia nucleare ha mantenuto il mondo in uno stato di equilibrio pacifico. Sarebbe opportuno, comunque, adottare degli standard etici fondamentali, perché il peso della sperimentazione grava sulle spalle dei polinesiani. In 30 anni la loro società si è trasformata da "paradiso dell'economia di sussistenza" in un paese dominato dal potere del denaro e dipendente dalla Francia. Prima la popolazione viveva di pesca, ora l'alimento principale è diventato il croissant. Questa trasformazione ha sicuramente favorito il progresso, ma ha portato la felicità? Il governo francese ha l'obbligo morale di prendere in considerazione questi aspetti e di investire nella formazione di una società stabile, anziché abbandonare al proprio destino una società handicappata con chili di scorie radioattive nel sottosuolo. Di fondamentalè importanza sarebbe un controllo sistematico dei lavoratori e degli abitanti. esposti ad alte dosi di radiazioni all'epoca degli esperimenti atmosferici. Un'operazione estremamente. impegnativa, ma sicuramente meno costosa della sperimentazione. Se i francesi intendono continuare a eseguire i test nucleari dovranno assumersi la piena responsabilità del loro programma e fare tutto il possibile per proteggere la popolazione locale dagli effetti collaterali di una dimostrazione di forza non richiesta. N.B. Questoarticoloriportadelle opinionipersonali e non riflette laposizione ufficialedell'organizzazione internazionale médecins sans frontières. ♦ PIANETATERRA

COSA AVEVA IN MENTE CHIRAC? L'opinione di Serge July SaverioEsposito Il sette settembre scorso, "Libération" ha pubblicato un editoriale del suo direttore a proposito dei test atomici francesi a Mururoa. July vi ricordava come già nel '91, e precisamente il 15luglio, i francesi avessero,Procedu: to a un esperimento nucleare nell atollo d1 Mururoa, seguito da altri sei invece degli otto che erano stati preannunciati, e che questo non sollevò nessuna contestazione important~: l'opjnion_e ~ubbyca se ne er~ disinte.ressata, s1tratto anzi di un non-avvenimento massoluto", ed era appena quattro anni fa. Cos'~ succe~so eh~ g~ustific~la divers~ reazione agli esf eriment1 d1 quest est~te? Risponde JulY.: "I mondo è molto cambiato, da allora·. La fine della guerra fredda, l'apertura internazi_onale, la moratoria sugli esperimen~i nu_cl~ar_i e i rischi di proliferazione, la necessità d1ridefinire le minacce che si presentano in un mondo nuovo, eccetera eccetera. Ma·Chirac, preso nella sua interminabile corsa all'Eliseo, di questa immensa trasformazione non si è proprio accorto. Si era in attesa di u~ uom~ specificamente preparato per la funzione d1 presidente. Quel che colpisce è la discrepanza: quando eg1iha precip~tosamente _annun~iatoi! 1° giugno scorso la ripresa degli esperimenti francesi, ha proprio sfogliato il colpo. Pensava di dare ai francesi e al mondo la prova che grazie a lui la Francia finalmente riprendeva la scena, che lui era un vero presidente e non un. presidente alla meno. peggio, e non aprena eletto si affrettava a ricevere la sacra unzione del nucleare. Come se la sua autorità in guanto capo dello stato dipendesse proprio da questo. Politico impaziente, riteneva eviden: temente in tutta sincerità che la ripresa degli esperimenti era il _terreno ideai~ P..e~una splendida dimostrazione della sua vmhta presidenziale. L'atterraggio è stato brutal_e. Il mondo e i francesi (chiamati a fare da testimoni) hanno vist_oun pr~sid~nt~ in flagran_t~delitto planetario sbagliarsi d1 epoca. V1S1011:e meschina della sovranità e assenza totale di riflessione su quella che potrebbe essere una nuova dottrina della dissuasione, quella del dopo-guerra-fredda: si inventa in forma di catastrofe la dissuasione che miri a mettere, naturalmente a termine, la dissuasione francese al servizio della comune difesa europea, senza che i primi che que~ta cosa. riguarda_sian~ sta: ti peraltro i_nformat~della ripres~ d~1~anc1.Gli esperimenti nucleari sono smommi d1messa a punto di nuove armi. Ma per qu~le uso? C~:,ntinua a non esserci nessuna dottrina strategica. Il dibattito che si sviluppa stentatamente atPIANETATERRA () torno a questi esperimenti non riguarda la nocività ecologica dei lanci ma i rischi di proliferazione, riguarda il c~ttivo _esempiodat~ dalla Francia per la conquista di un vantaggio che resta in verità misteriosissimo, a meno di voler considerare che sono i desiderata della potentissima lobby nucleare francese a imporsi pesantemente sul nuovo_presidente, come ~u ogni presidente eletto d1 fresco. E que~to, m materia di sovranità, non è quel che si dice un buon esempio. . . Da allora il _pre~1dentedella Repubblica rema da spezzarsi la schieni per riaffer~~re ~•occasione di f artenza e decreta la mob1htaz10ne ~enerale a vertice dello stato. Moltiplica le miziative sui media e in diplomazia: l'~nergia spesa in quasi tre mesi dalla nuova équ1p~del presidente è anch'essa immensa. All' opm10ne pubblica francese non sfugge affatto questo dispendio, e essa non apprezza affatto che questo spreco di energia non venga rivolto a ciò per cui <;:hirac è .s~atoelett<;>e, ci_o~!I sociale - e lo dice a tutti 1sondaggi poss1b1h.. Gli elettori non hanno voluto alla testa dello stato una specie di meccanico. esecutore di altri voleri ma un uomo capace d1far muovere le linee del paesa~gio ..Se il pro_blema.del: la dissuasione non è il primo a cui pensmo 1 francesi, esso resta nonaimento un problema essenziale. Il dibattito teorico sul suo uso resta tutto da affrontare. Mitterrand ha chiuso cinquant'anni di storia prendendo l'iniziativa di bloccare gli esperimenti, ma non ha gettato le basi di una nuova dottrina. Toccherebbe a Chirac farlo. Ci si aspettava con interesse di vedere all'opera su questo terreno l'ult!n:i,o della stirpe gollista. E sarebbe stato prefenb1le cominciare di qui, prima di riprendere g!i esperimenti. Invece si è preferito mettere il carro davanti ai buoi a riprova, se ancora fosse stato necessario, che argomento dell'iniziativa presidenziale non era certo. l' e".oluzion: della . dottrina. Peccato. Certo, 11discorso e solo rinviato e c'è da scommettere che la prova attuale servirà da seduta per l'esame di riparazione del nuovo presidente." July ricorda la vignetta dell'annaffiatore annaffiato pubblicata proprio su "Libération" a proposito di Chirac, e così conclude: "A tutt'oggi la principale vittima della ripresa de- . gli esperimenti nucleari nel Pacifico si chiama Jacques Chirac. Non ~•~ motivo di_ralle_grarsene, perché non solo e 11suo margme. d1 n:i,anovra .in guanto capo dello stato clie viene mtaccato; viene colpita anc~e la F~ancia, che subisce sulla scena mternaz10nale 11colpo negativo di· un lancio destinato innanzitutto a inaugurare il regno di Chirac. E proprio non se ne sentiva il bisogno." ♦

Una politica per la pace Giulio Marcon La politica nostrana in questi ultimi tre anni ha accentuato il suo storico e tradizionale provincialismo. Si trascorrono le settimane a discutere sulle date delle elezioni, dei pettegolezzi nei poli, della casa di D' Alema e altro: in alcuni casi si tratta di cose importanti, in altre di questioni ai poco conto. Su tutto prevale la pochezza di una cultura e di una prospettiva politica che non va, nel migliore dei casi, oltre le "regole" ed il funzionamento del sistema politico. Partiti e personale politico si scontrano ferocemente all'interno di un'autosuffcienza del "politico" e di una decisa afasia verso la società e i problemi di fondo che dobbiamo affrontare in questo scorcio di fine secolo. Non che in altri paesi occidentali vada meglio: populismo, nazionalismo e liberismo sono le componenti sperimentate del cocktail della nuova politica del mondo civilizzato, e non solo. Impazza la suggestione del "modello asiatico": sviluppo economico senza protezioni sociali, riduzione dei diritti, governo autoritario dei conflitti. N elio stato-nazione come nel villaggio globale, questa è la nuova tendenza delle grandi oligarchie internazionali e delle leadership moderatenazionali: Gingrich, Aznar e Berlusconi ne sono alcuni degli interpreti più sinceri. In ogni caso, c'è un limite di fondo. La politica attuale è ritagliata sullo stato-nazione, mentre l'economia, la comunicazione e l'ambiente procedono sulla strada della globalizzazione. Si creano nuovi centri di potere (oligarchie, strutture finanziarie e di comunicazione transnazionali, gruppi di potere economici multinazionali), mentre la politica non riesce a governare né i processi internazionali, né tanto meno la dimensione nazionale di questi problemi. C'è un processo di depotenziamento delle istituzioni internazionali: le grandi istituzioni finanziarie ed economiche internazionali (Fmi e Banca Mondiale) non controllano che una piccola parte dei flussi e delle transazioni internazionali. Bastano alcune operazioni di oligarchie e di gruppi economici e il sistema monetario e finanziario internazionale entra in crisi. Il G7 non ha che un piccolo peso nel controllo d1 questi processi. Per non parlare dell'Onu. C',è un percorso di autonomizzazione dalla politica dei processi globali (economia reale, comunicazione, fi- <:...._ ·-· _·<·2·-:· --- -.. :'·- nanze), che sono via via sempre più incontrollabili nelle sedi democratiche ed istituzionali, che ne risultano sempre più impoverite Ecco perché il movimento per la pace e della solidarietà mternazionale ha messo al centro della propria azione le questioni della democrazia e dei diritti internazionali (alla pace, allo sviluppo, all'ambiente), impegnandosi _per il rafforzamento e la riforma democratica delle Nazioni Unite. Prima congelate dalla guerra fredda, poi caricate di eccessive aspettative nel dopo '89 ,cui non potevano dare risposta, sono oggi in crisi. Prive di risorse, d1coesione politica, di un mandato chiaro sono la vittima delle indecisioni e del ritorno delle politiche nazionali nei paesi più forti. Organizzando la marcia Perugia- Assisi, il 24 settembre scorso il movimento per la pace ha voluto indicare un possibile progetto politico: di fronte ad un mondo sempre più governato dalla selvaggia anarchia dei gruppi di interesse più forti, solo la strada di una soslia minima di democrazia internazionale può limitare lo scoppio di conflitti ed ingiustizie m ogni angolo del pianeta. Di fronte a questo complesso di temi anche l'Ulivo , pur nella variegata articolazione di posizioni dei gruppi che compongono la coalizione, manifesta dei limiti di elaborazione e di iniziativa. Il programma di Prodi è in questo senso esemplificativo: poche parole sula prospettiva dell'Onu, una idea dell'Europa sul "modello renano", a due o P,iù velocità; una struttura rrulitare interamente professionalizzata (pur se positivamente accompagnata dalla

prorosta di un servizio civile nazionale); uno scenario internazionale di imervento economico con una forte accen tu azione tecnocratica e competitiva che non tiene conto dell'impatto enorme, anche qui da noi, del sottosviluppo del sud del mondo. Un'impostazione che rischia di essere di vecchio tipo, pur se corretta da alcune dosi di solidarismo e con tratti di "volto umano": la politica estera ( e della difesa ) non è il pezzo forte di Prodi. Forse dipenderà dai cattivi consiglieri, ma si avverte il problema di fondo. La politica estera e il contesto internazionale mancano di un'adeguata commisurazione su questo scenario globale della proposta politica che viene avanzata per l'Italia. E anche la pace rischia di essere un'invocazione rituale, della quale non si capiscono i contenuti e le implicazioni di un rrogramma politico per l'Italia ( e l'Europa ) di · fine secolo. Quali potrebbero essere questi contenuti ? Intanto una politica estera autonoma e originale che individui due direttrici fondamentali: il Mediterraneo (specificatamentente Maghreb e Medio Oriente) e i Balcani con un ruolo di cerniera e di ponte di dialogo e di aiuto economico. In secondo luogo un'azione più autonoma per la riforma delle Nazioni Unite. Tralasciamo i termini di questa riforma, di cui si sta dibattendo in questi giorni: consiglio di sicurezza, seconda camera da istituire, corpo di polizia internazionale permanente. È importante che l'Italia più che l'ultima delle grandi potenze, diventi l'avanguardia di quei paesi di media importanza che richiamano - attraverso la democratizzazione delle Nazioni Unite - l'esigenza di avere un ruolo più significativo nel consesso internazionale. Non si tratta di dare vita ad un nuovo movimento di non-allineati, ma di paesi che escano fuori dalle vecchie logiche della guerra fredda - occidente, Nato, terzomondismo - e si pongano sul terreno della rivitalizzazione delle istitu- . zioni internazionali e democratiche. In terzo luogo è realistica e doverosa (lo propone l'Onu) la riduzione del peso delle armi e dell1esercito: istituendo, sì, un servizio civile YQQ_ nazionale, ma diminuendo le · spese militari, optando per l'Onu e non per la Nato, lavorando per una sicurezza comune e non per la difesa dei più forti e dei privilegiati. La politica estera del nostro paese è stata inesistente, come politica autonoma e originale, a causa del contesto internazionale dei quarantanni di guerra fredda. Da qual~ che tempo se ne occupano politologi molto polemici e sempre molto ideologi, fino a riprodurre le mode della geopolitica, desli interessi nazionali, della riscoperta della patria e così via. Anche una politica estera e della difesa , democratica , di sinistra , non c'è mai stata in questo paese. Certo non lo era quella del Pci ai tempi della guerra fredda, appiattita sulla logica del blocco sovietico. E se è stata originale lo è stata proprio grazie al progressivo distaccarsi. dalle posizioni di quel blocco. L'eurocomunismo fu una delle sue espressioni più significative. La vera novità di questi ultimi tempi è che i confini tra politica estera e politica interna sono sempre più labili. Tra i due poli, su questi temi c'è una certa marmellata ( se non si tiene in gran conto delle sparate nazionaliste - poi rimangiate - di Alleanza Nazionale e di quelle antieuropeiste di Martino) e il residuo di consociativismo qui, non è stato ancora pienamente scrostato. Naturalmente sui temi della pace non si fanno alleanze, e sui problemi della politica estera non si perdono le elezioni. Lo scenario internazionale non chiama più a a grandi divisioni interne, espressione della lotta politica a livello internazionale. Ma questa sottovalutazione è sempre di riù una forma di irresponsabilità politica di fronte alla crescente globalizzazione. Nell'Ulivo e nelle forze democratiche manca ancora una cultura politica, una riflessione adeguata, un programma di punti convincenti e realizzabili che riguardino una collocazione positiva, di pace e di cooperazione, nel contesto europeo ed internazionale. Per la pace si possono fare molte cose; e molti programmi di g?ve~no possono assumerne 1sp1raz10ne e direttrice di marcia. Bisogna disarmare l'economia, la politica e la società. Mercificare e mercatizzare anche il servizio di leva è sbagliato, oltre che enormemente costoso. Si decida invece di ridurlo, di limitarlo, di metterne a disposizione una parte per l'Onu per le missiom di pace. Una moderna Europa carolingia è una miopia, come lo è stata Maastricht. Si lavori invece per realizzare blocchi regionali più ampi che includano le tre Europe ( oggi foriere di guerra ) di cui parlava Galtung in un precedente numero della Terra vista dalla luna: l'Europa cattolico-protestante, l'Europa slavo-ortodossa, L'Eurasia islamo-musulmana. Un'economia competitiva dell'Italia e dell'Europa che non si faccia carico delle contraddizioni del modello di sviluppo acuisce la forbice della povertà e e mette a repentaglio anche la nostra sicurezza: la bomba demografica e migratoria è pronta a scoppiare. I bisogni sociali irrisolti sono foriere di nuove guerre civili, anche metropolitane. Pochi hannff oggi un pensiero politico globale. La tradizione socialdemocratica dopo Brandt e Palme non ha più un respiro teorico e culturale di quella ampiezza. Quella comunista o post-comunista,ha avuto in Gorbaciov il suo ultimo interprete. In questi giorni il Primo Ministro svedese Carlson (socialdemocratico) ha reso noto il rapporto sulla "governabilità globale", parente dei precedenti rapporti di Brandt e Palme. Chi ne parla? Quale effetto hanno nel dibattito politico della sinistra italiana ed europea? Men che zero. Sarebbe già tanto se si sapesse di che si tratta. In realtà, l'unica istituzione e l'unica persona che ancora pensano nei termini di un approccio globale e guardando alle grandi questioni dell'umanità - pace, ambiente, sviluppo - sono la Chiesa cattolica e Papa Wojtila. Con tutti i loro limiti. Che sono tanti. Il pensiero politico democratico, ci offrirà in futuro, qualcosa di meglio? ♦

Il possibile e l'impossibile della politica MarinoSinibaldi '\' La politica statascreditata,nei temp_ni ostri,dalla violenza e dallacommedia, soprattuttodallacommedia. (Nicola Chiaromonte) Nei mesi alle nostre spalle, la caduta di credibilità della politica ha conosciuto in Italia una nuova accelerazione. Non solo per l'ennesimo scandalo, quello rubricato come Affittopoli, che pure proprio per la sua banalità ha effetti devastanti nell'impoverire ogni residua dignità e nobiltà della politica: essa appare infatti non come la sfera in cui dibattere pubblicamente quali diritti spettino ai cittadini e qual'è la strada per renderli effettivi, ma come l'attività che privatamente li $arantisce, stabilendo i confini della nomenclatura che vi ha accesso. E non nelle forme enormi, e perciò distanti, delle grandi fortune realizzate con Tangentopoli; ma in quelle minime e vicine del favoritismo straccione che ha colonizzato la nostra vita collettiva. Se Tangentopoli appartiene alla sfera del privilegio, ossia a quella dimensione della vita socialeverso la quale gli italiani sembrano da secoli rass esnati, Affittopoli si presenta mvece sotto la luce della prepotenza: piccola, se vogliamo, e perciò ancora più inaccettabile al modesto senso comune che circola in questo paese. Ma detto questo, le ragioni dell'impopolarità della politica in Italia sono ben più profonde di uno scandalo che magari sarà presto rimpiazzato da un'altra più grande o anche solo più squallido. Segnali di questa imJ?opolarità, marginalità, sfiducia si manifestano da anni. E invece è già nel lavoro di interpretazione di questi sintomi che la sinistra continua ad accumulare ritardi e superficialità. A partire da un"imprecisa ricostruzione della loro storia e da una perdurante tentazione ideologica, che funziona come una comoda scorciatoia per attribuire o deviare responsabilità. Un segnale di questi atteggiamenti sta nell'idealis_ticae fasulla contrapposizione che capita spesso di ascoltare tra la p_oliticacom'è e quello che era (quando? negli anni Trenta, Cinquanta, Settanta?). Si tratta di rimpianti infondati. Certo, in altre epoche l'identificazione con cam_piideologici diversi poteva dare l'impressione di una contrapposizione radicale e presentarsi come la l?recondizione di un'alternativa. Ma questa era moralmente discutibile e storicamente impossibile. E comunque a chi oggi lamenta come tutto si riduca a tirare Lamberto Dini un po' più a destra o un po' più a sinistra, vorrei ricordare che dal p1:mtodi vista delle tattiche politiche quell'impasto di noia e spregiudicatezza è una costante italica, che ha fun- _zionatoanche in tempi di feroce scontro sociale. Nei mitici anni Settanta, per esempio, lo stesso dilemma si presentava in termini ancor più sgradevoli: Giulio Andreotti (Giulio Andreotti!) doveva governare con i voti dei fascisti o dei comunisti? E a pochi apparve intollerabile che lo facesse, in un breve arco di tempo, con i voti .Prima degli uni e poi degli altn ... C'è in questo paese una vischiosità della politica - e ancor prima della società, probabilmente - che rende frequenti i passaggi in cui la politica, come "arte del _possibile", si presenta sotto forme grottesche. Ma la politica, ricordava Nicola Chiaromonte nei suoi taccuini (il Mulino ne ha pubblica ti una parte col titolo Che cosa rimane), "è anche l'arte dell'impossibile": è questa, per venire al cuore del problema, la dimensione che pare scomparsa dalla scena politica e culturale contemporanea. Nella sinistra questa assenza viene comunemente lamentata e rimpianta come "fine dell'utopia". Questa formula è però straordinariamente ambigua: in primo luogo perché allontana dall'oggi (e da noi, dal nostro impegno quotidiano) le responsabilità ma anche perché in genere nasconde il riferimento a un'elaborazione, quella marxista, le cui numerose realizzazioni si sono mostrate giganteschi esempi di uto)?ia negativa. In quella nostalgia c'è però una perversa razionalità: è stata infatti l'esistenza virtuale di quest'altra dimensione - un'altrove nel mondo o nella storia futura - che ha consentito alla politica di consolidarsi come lo spazio di un'incessante attività di compromesso e consociazione, di produzione di conformismo di massa e di emarginazione delle minoranze dissidenti. Per la sinistra proprio il simulacro di quell'altrove - utopico o e sanguinosamente reale che fossegarantiva la nobiltà di tale attività (ne occultava, cioè, l'ignobiltà) e permetteva di associarsi più o meno tatticamente e moralmente, con grande libertà, nel corso della sua storia con personaggi ben peggiori di Lamberto Dini. Sisifoe il PensieroUnico Forse è anche per le comode ricadute che aveva sul piano tattico ed esistenziale e per la copertura che rappresentava verso ogni compromesso politico e privato, che molti a sinistra rimpiangono la stagione dell'ideologia. Molti più di quanto non si cr -la:un giornalista più acuto 1.., gli altri ha recentemente notato che se D' Alema infine confessasse ai suoi iscritti che beh, insomma, noi crediamo ancora nel comunismo, sarebbe travolto dagli applausi (ma non c'è bisogno di ipotesi maliziose: alle feste del'Unità Bertinotti risulta regolarmente tra i più applauditi). E' dunque chiaro ormai che la sinistra non riesce a elaborare il lutto di quella perdita: un lustro o poco più dall'89 sono un tempo storicamente breve ma r,oliticamente enorme. E le difficoltà politiche e culturali di oggi sono anche figlie di questa incapacità. Oltre che con questo più o meno confessato rimpianto, la sinistra - la sua parte viva o anche solo inquieta, quella che obbedisce all'imperativo laico del "cercate ancora"- YQQ

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==