La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

sembra reagire al radicale mutamento di scenario politico e culturale rappresentato dalla caduta dei socialismi con un senso di soffocamento. L'incubo che pare chiqdere le porte al futuro si è recentemente condensato in un'immagine e una formula di crescente ·popolarità - la usano Stefano Rodotà, i giovani dei Centri Sociali, i leader verdi ...: il Pensiero Unico, ossia il temuto dominio planetario di un'unica concezione del mondo che subentra all'età della dialettica e dei conflitti politico-ideologici. Sul piano dell'interpretazione storica, questa formula non fa che riprendere e rovesciare le tesi di Francis Fukuyama sulla "fine della storia"; e in realtà pare contraddetta. dal moltiplicarsi di ragioni di scontro anche violento su scala mondiale, tra stati e all'interno di essi. Ma anche a voler essere indulgenti verso quest'uso disinvolto, il senso di una formula apparentemente così suggestiva sembra in realtà ridursi alla constatazione del dominio mondiale delle leggi del mercato e dei suoi valori. Sul terreno teorico e politico, un'osservazione del genere appare pressoché irrilevante: è come lamentarsi del fatto che tutte o quasi le società umane abbiano deciso di costituirsi in stati o addirittura del fatto che gli uomini vivano in società... Astrattezze tipiche di un'arida tradizione intellettuale. Ma per rimanere su un piano più immediato, si potrebbe obiettare che il trionfo del mercato - ammesso che sia così totale e definitivo - è avvenuto per concrete ra~ioni su cui forse sarebbe meglio riflettere ancora, se è vero che quel minimo di democrazia, libertà e benessere diffusi sul pianeta, o almeno una parte di esso, si sono rivelati inseparabili dalle istituzioni e dal1' economia di mercato. Che il senso della _politica sia la libertà, come icasticamente sosteneva Hannah Arendt, o che essa serva a "ottenere un tenore di vita decente ... poter- . si sfamare ogni siorno, essere sicuri che i figli avranno un minimo di opportunità ... e un orario che conceda un resto di energia quando si è compiuta la giornata di lavoro" come più prosaicamente scriveva Qrwell, si dovrebbe riconoscere, magari a malincuore, che questi obiettivi soYQQ_ n? stati raggi~nti ~on magg1<;>raeppros~1maz1o~e propno nei paesi con un economia di mercato - ammesso che una formula così astratta abbia senso. Ma non è certo questa la sede per affrontare una discussione simile. Piuttosto quello che stupisce è l'incapacità di _affrontare apertamente le conseguenze di questa situazione. La sinistra da sempre innamorata dei profili alti della politica e della sua dimensione creativa, innovativa, uto_picapare ignorare che c'è ,oggi un solo piano su cui questa tensione viene realmente sfidata: è quello· di conciliare mercato, morale, giustizia sociale - ovvero di ridurre la reciproca inconciliabilità. A una sinistra tanto attratta dalle imprese nobili è titaniche, sfugge che questa è oggi la vera "fatica di Sisifo", come l'ha definita Vaclav Havel, già intellettuale dissidente e oggi presidente della Repubblica Ceca, uno che questo peso se l'è assunto, praticando quella che è, secondo la Arendt, la più antica tra tutte le virtù politiche: il coraggio. "Bisogna cercare - ha detto Havel - altri strumenti per regolare quello che l'economia di mercato non sa regolare da sola": elementare, decisiva, titanica impresa. (E incidentalmente si può notare come il riferimento all'antico mito greco non sia fuor di luogo: "anche la lotta verso le cime basta.a riempire il cuore di un uomo" secondo Albert Camus, Il mito di Sisifo). La generazione che viene Perché a certa nostra sinistra (ma diciamo pure a tanti di noi, a una parte di noi stessi) questa fatica appare poco attraente? Forse perché, come diceva Dietrich Bonhoeffer, teologo protestante ucciso dai nazisti, "è molto più facile affrontare una questione mantenendosi sul piano dei principi che in atteggiamenti di concreta responsabilità". Oggi è il "principio responsabilità", come lo ha defmito Hans Jonas, che dovrebbe ispirare ogni cultura di sinistra, più che la cura dei propri ortic~lli _el'os~e,ssione della p:ropna 1dent1ta. Responsabilità verso i lontani, i diversi, i futuri; quelli che non vediamo e quelli che verranno. Ma accanto a Jonas citerei Ernst Bloch, accanto al princ1p10 responsabilità il "principio speranza", e cioè la passione del mutamento, la sfida continua della trasformazione, la critica di ogni rigidità, ripiegamento, resa. È straordinario che nel pieno della tempesta più sanguinosa del nostro secolo che costringeva a decisioni immediate e tormentate, Bonhoeff er identificasse così lucidamente e generosamente "la domanda ultima", ossia, diremmo noi, il senso e il fine della politica: "Quale potrà essere la vita della generazione che viene". Questo è oggi l'impossibile della politica, quello che non sa dare e che è necessario chiederle. La responsabilità verso le generazioni che verranno e questa proiezione verso il futuro - e non l'antagonismo ideologico o l'alternativa programmatica - sono l'assenza decisiva, il mortale peccato d'omissione della politica. Persino gli ecologisti, che questo nodo lo hanno spesso proclamato se non altro come slogan, ne trascurano il valore, perdendosi piuttosto in futili discussioni sulla propria fisionomia e collocazione. Qui si esprime un disagio che non è solo italiano. Basta pensare al travaglio dei laburisti inglesi per capire come la discussione che stiamo affrontando abbia ormai una dimensione internazionale; o, per dirla meno enfaticamente, come la sinistra sia ovunque alle prese con gli stessi problemi, persino a prescindere dall'ipoteca comunista sul suo passato. Ovunque pare dividersi tra idealisti e realisti o tra tradizionalisti e modernizzatori, ovunque lamenta il dissolversi della propria identità e lo scolorire dell'antica, radicale divisione tra destra e sinistra. Questa crisi ha ragioni com_plicate e profonde, che molti ident_ificanonella deterritorializzazione economica e culturale, nel declino della nazione e della dimensione nazionale dei problemi e dei conflitti. La globalizzazione finanziaria sposta troppo in alto, troppo lontano da noi e dalla sfera su cui possiamo influire, le decisioni capitali; e riduce la politica alla gestione, il dibattito e le scelte politiche a varianti tecniche di gestione. Nell'epoca in cui un banchiere di un paese forte con una mezza frase mette in discussione equilibri economici, politici e sociali di un intero

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