La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

ma di difesa per l'Europa, e Chirac - nel tentativo di riacchiappare il consenso crollato precipitosamente - ha spiegato più volte ai _eartner europei che la ripresa dei test nuclean andava vista come l'adeguamento di una struttura di servizio destinata alla difesa comune. Principale destinatario di ~uest'offerta era, naturalmente, la Germania di Khol, anche se poi è difficile trovare una coincidenza rassicurante tra la visione federalista che dell'Unione Europea ha Bonn e il progetto di alleanza di nazioni che tuttora ne conserva Parigi. Ma il programma di realizzazione della Bomba nacque m Francia nel '54, con Pierre Mendès France (ben prima, dunque, di De Gaulle), poco dopo che la Germania di Adenauer aveva recuperato il diritto di riarmarsi: preoccupata allora di un risorgere del militarismo dall'altra parte del Reno, Parigi riversava sull'acquisizione della tecnologia nucleare la garanzia di una capacità convincente di difesa. Il cerchio della storia si chiude ora in questa presunta destinazione comune dell'armamento atomico; solo che la Germania ha detto, nelle parole del suo ministro degli Esteri Klaus Kmkel: "noi abbiamo preso una posizione chiara e definitiva contro ogni progetto nucleare autonomo, e non abbiamo alcun interesse a una partecipazione in quello degli altri, nemmeno se debba passare attraverso la porta di servizio". Noi non abbiamo paura della Bomba La crisi dei test francesi arriva contemporaneamente al decantarsi della crisi bosniaca. La congiunzione delle due storie timette in primo piano il problema del ruolo dell'Alleanza Atlantica, che _poiè - in altre parole - un _problema dei ruoli che Europa e Stati Uniti si asPIANETATERRA segnano nelle prospettive del futuro. Come Chirac prefigura - nella ripresa dei test - uno scenario di possibili divaricazioni tra le due s_p<;>nd~ell'Atlantico,. allo s_tesso~odo _ildecisivo intervento amencano m Bosnia - 'fissando la misura dell'impotenza diplomatica europea - ha confermato il grado distinto di autonomia che Washington si riserva nei confronti dei partner europei. Questa autonomia tradisce un'irritazione diffusa (anche se per ora decisamente contenuta) della politica americana; l'irritazione, l'impazienza latente della quale fa mostra la nuova maggioranza repubblicana nel Congresso, è un segnale che supera i limiti ristretti di una fase congiunturale, e pare giungere fino al corpo stesso delle relazioni strutturali tra i due mondi. La storia e la geografia vanno mutando progressivamente, l'America di oggi somiglia poco a quella venuta fuori dalla seconda guerra mondiale, quando ancora la cultura, la società, l'immaginario, erano fortemente caratterizzati dalla tradizione europea. Oggi le ondate di immigrazione dall'Asia e dall'America Latina hanno rovesciato gli antichi equilibri consolidati dai secoli e sempre meno l'America riconosce la forza naturale di un legame con il passato degli antenati venuti dal vecchio continenle. Wall Street poi vede nell'anello del Pacifico il nuovo motore dello sviluppo, assai più interessante delle incertezze e dei ritardi con i quali si muovono le economie europee: "The Economist" ha calcolato che verso il Pacifico si muove già la metà delle correnti di traffico commerciale che passano per l'Atlantico, e l'Asia è destinata ad essere - nelle parole di un suo editoriale - "il più grosso mercato già per la fine del secolo". È anche vero che Clinton progetta un Transatlantic Free-Trade Area, che metterebbe insieme un gigante - Nordamerica ed Europa - capace di produrre quindici milioni di miliardi di dollan. Ma intanto lo spostamento del baricentro nelle relazioni commerciali internazionali porta a un'inevitabile revisione delle saldature politiche, ed Europa e America si vedono proiettate oggi dentro dinamiche che registrano un progressivo allentamento dei vecchi legami. Questa divaricazione crescente di interessi si propone con evidenza drammatica soprattutto nelle fasi di crisi, quando il dovere delle scelte impone ai ruoli ngidità obbligate, che nessuna accortezza diplomatica riesce a coprire. L'Istituto francese di relazioni internazionali ha studiato uno scenario in evoluzione che vede nel nuovo secolo un Occidente ancorato a una realtà ormai forzatamente bipolare, Stati Uniti ed Europa. L'analisi dell'Isututo - nelle parole del suo presidente, Thierry de Montbrial - dice che soltanto questa struttura "può comunque equilibrare l'immensità di una Cina lanciata a sviluppare tutti gli aspetti del suo enorme potenziale economico e militare". Riappare così - nell'assenza di un meccanismo internazionale di sicurezza collettiva - il compito da assegnare alla deterrenza nucleare nella sicurezza regionale europea, e si ricompone il progetto di Chirac. Resta però da valutare quanto queste cornici di riferimento possano ancora contenere le profonde mutazioni che si disegnano nelle relazioni mondiali. ♦

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==