La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

voro dal potere d'acquisto. Allora Robert Theobald reclamava "la garanzia di un reddito annuo" per ogni cittadino americano come diritto costituzionale e John Kenneth Galbraith si batteva per quello che definiva Compenso Ciclico Graduato, un sussidio di disoccupazione che aumentava quando l'economia subiva un arresto, cosicché la gente continuava a spendere mantenendo alto il livello di occupazione, come aveva sostenuto ancora prima Keynes, mentre diminuiva con il raggmngimento dell'occupazione totale. Ma vi siete accorti che ormai nessuno parla più di occupazione totale? Secondo le previsioni di Galbraith "in futuro arriveremo all'abolizione degli svantag~i economici e del disprezzo sociale legati alla disoccupazione involontaria._ In tal modo la gestione dell'economia sarà molto più semplice". Ma nel 1960 aggiunse "ancora non ci siamo riusciti". Né tantomeno l'obiettivo è stato raggiunto negli anni Ottanta. Dopo due decenni di radicalismo e di reazione, alcune delle stesse persone che negli anni Sessanta sostenevano che nell'era dell'automazione e della cibernetica l'etica del lavoro era superata, negli anni Ottanta, alle soglie dell'era dei microprocessori, protestano contro i tagli ai loro poco più che simbolici programmi di creazione del lavoro operati da governi che devono affrontare l'era dei microprocessori. Tutti gli elaborati calcoli sulla lunghezza di una giornata, una settimana o una vita lavora- · tiva m una società razionalmente organizzata risalgono all'epoca in cui l'occupazione era pressoché totale, ma con l'aumento della disoccupazione hanno iniziato a perdere di significato. Si continuano comunq_uea fare previsioni. In un rapporto commissionato dall'Ufficio del Consiglio dei Ministri britannico, il professor Tom Stonier dell'Università di Bradford afferma che, all'inizio del prossimo secolo, solo il 10% dell'attuale forza lavoro sarà necessario al soddisfacimento delle necessità e dei desideri di una società tecnologicamente avanzata. Nessuna delle previsioni è abbastanza plausibile da allontanare definitivamente la minaccia che incombe sul mondo del lavoro e le prospettive a breve scadenza di politici ed economisti sono ancora più sconfortanti. Non riusciamo a credere sul serio che il settore industriale britannico o americano riuscirà a riconquistare i mercati perduti o che robot e microprocessori riusciranno a creare posti di lavoro, se non in misura minima rispetto a quelli eliminati. Non riusciamo a creqere nemmeno che la grande impresa possa offrire delle soluzioni. Persino l'iniziale fiducia nell'espansione economica del terziario o dei servizi per recuperare i posti di lavoro persi nel settore produttivo è stata smentita dalla dimostrazione di Jonathan Gershuriy dell'Unità di Ricerca della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università del Sussex, secondo cui nelle società occidentali l'occupazione nel settore dei servizi è già in fase di declino. Gershuny, comunque, lascia intravedere un barlume di speranza che potrebbe permettere di guardare al futuro con una prospettiva diversa. Secondo lo studioso, il declino dell'economia dei servizi è accompagnato dall'emergenza di un'economia del self-service, un fenomeno analogo a quello della lavatrice automatica di casa che si può dire ha soppiantato l'industria della lavanderia. Similmente negli Stati Uniti Scott Burns, autore di The Household Economy (L'economia domestica), afferma che "gli Stati Uniti subiranno una trasformazione dovuta unicamente all'inevitabile processo di maturazione e declino dell' economia di mercato. Lo strumento di questo cambiamento positivo sarà l'unità domestica la famiglia rivalutata come elemento produttivo potente e relativamente autonomo". L'unico modo per sconfiggere la disoccupazione è liberarci dall'idea di impiego. L'economia ?reindustriale era, tutto sommato, un'economia domestica e l'antica espressione americana "uomo in affitto" per indicare un lavoratore dipendente implica una certa perdita di libertà rispetto al semplice cittadino, la stessa condizione espressa, del resto, dalla vecchia definizione socialista della classe operaia come l'insieme di individui che non possono vendere nient'altro che la propria forza lavoro. Il termine stesso "occupazione" ha cominciato ad assumere il significato moderno solo dopo il 1840, mentre l'uso del termine "disoccupazione" nel significato attuale è ancora più recente. Non dobbiamo dimenticare che il lavoro salariato e persino la produzione industriale esistevano già prima della rivoluzione industriale stessa. Verso la metà del XVIII secolo Adam Smith nel suo The Wealth of Nations (La ricchezza delle nazioni) riferiva che in ogni parte d'Europa per ogni lavoratore autonomo ne esistevano venti dipendenti, fornendoci un classico esempio di divisione del lavoro. Un secolo dopo Marx arrivava alla conclusione che la condizione definita come alienazione dell'operaio era causata dalla perdita del possesso dei propri strumenti, prodotti, abilità, spazio e tempo. In tutte le cronache della rivoluzione industriale in Gran Bretagna emerge il fatto che gli operai erano costretti dalla fame ad accettare le rigide regole del lavoro salariale. Ritengo che la descrizione classica sia quella di J.L. e Barbara Hammond nel loro libro The Town Labourer (L'operaio urbano). Gli autori osservano che l'operaio dell'industria domestica "lavorava per più tempo, ma era il suo tempo; sua moglie e i suoi figli lavoravano, ma rimanevano vicino a lui e non c'era nessun potere esterno al di sopra delle loro vite; la sua casa era soffocante, ma poteva uscire in giardino; aveva dei periodi di disoccupazion!;!,ma poteva sfruttarli per coltivare l'orto. Le forze che governavano il suo destino rimanevano, in un certo senso, esterne alla sua vita quotidiana; non sovrastavano e coinvolgevano la sua casa, la famiglia, i suoi movimenti e le sue abitudini, le ore di lavoro e le pause per i pasti". Secondo loro: "Nelle diverse valutazioni degli aspetti positivi e negativi del lavoro in fabbrica, nessuno degli economisti del tempo ha mai considerato il senso di disagio e di violenza subito da un uomo nel passare da uno stile di vita in cui poteva decidere quando fumare, mangiare, zappare o dormire a uno in cui veniva chiuso a chiave in una stanza e per quattordici ore non aveva neanche il diritto di fischiare. La sensazione era di iniziare una vita triste e opprimente come quella di un carcerato. È solo tenendo ben presente questo sacrificio morale che è possibile comprendere la ragione per cui i filatori a mano si rifiutarono di andare a lavorare alle macchine filatrici nelle fabbriche nonostante la prospettiva di salari molto più alti. Tale rifiuto è un fatto fondamentale nella storia dell'industria tessile del cotone". Il confronto tra guesto ritratto degli albori dell'orribile vita in fabbrica e le interviste agli

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