La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

paese economicamente più debole - ma nemmeno tanto: stiamo parlando di Germania e Italia: comunque tra i primi cinque, o dieci, del mondo - è evidente che quell'impressione diffusa contiene numerosi elementi di verità. Ma a guardare una serie concreta d1 terreni di conflitto - dalle concentrazioni editoriali all'immigrazione - mi sembra che nonostante opportunismi e trasversalismi, le distinzioni siano chiare. Soprattutto in ltaliil, dove anzi la giovinezza del sistema maggioritario rafforza la virulenza della contrapposizione. E dunque circola a sinistra una paura sbagliata, quella della propria indeterminatezza, dell'incertezza sulla propria identità e i propri confini. Quando, se si guarda ai flussi elettorali ma anche alla distribuzione delle opinioni politiche e dei comportamenti culturali, il problema è l'opposto e gli italiani sembrano oggi divisi in due grandi minoranze, di destra e di sinistra, tra le quali i passaggi ~i campo _ep~rsino 1canali d1 comumcaz10ne sono . . .. ormai ranss1m1. La perdurante impressione di una scomparsa di quella distinzione poggia in realtà su un dato sociologico decisivo: essa infatti non si configura più, se non marginalmente, come contrapposizione di classe. Questa ormai è - dovrebbe essere - un'ovvietà. Ma il problema è che la sinistra si è sempre percepita in termini economicisti o vagamente sociali; e non riesce a elaborare strategie adatte a un'epoca in cui quella forma di identità diventa secondaria. Si sente orfana di quel punto di vista particolare e generale insieme, su cui ha operato infinite mistificazioni, ma che è servito come cemento ideologico-culturale. E non sa sostituirlo con altri punti di vista, con altre priorità. C'è nella storia italiana recente un caso esemplare di questa incapacità: la riforma del sistema previdenziale. Tema che metteva in campo una serie gigantesca e affascinante di questioni: il rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro, la solidarietà con le generazioni future, i modelli di vita di una società J?Ostindustriale e postlavonsta. E che la sinistra ha invece saputo affrontare (e provvisoriamente risolvere) solo da un punto di vista sostanzialmente economicistico. Dividendosi, ancora una volta, tra chi tende a ridurre tutto a un problema tecnico, quasi solo di equilibri contabili, e chi si è affidato alla solita proclamazione di principi astratti. Personalmente ho apprezzato di più il coraggio pragmatico dei primi. E continuo a non capire perché tra le tante utopie possibili - che so: il lavoro redistribuito su un arco di vita ~aggiore, per ~iberare temp~ d1 vita, re1mp1egare quahta umane disperse, recuperare energie e socialità - la sinistra che si vuole radicale abbia ripiegato sulla più meschina e, alla lettera, reazionaria di esse: lo stesso rendimento economico per lo stesso tempo di lavoro. Ma le due posizioni sono in fondo figlie della stessa tradizione e hanno rivelato una speculare miseria culturale: su copioni opposti e complementari, si è msomma recitata la solita commedia della sinistra. L'idea che lì si giocasse un pezzo di futuro, che lì si sfidasse proprio l'attuale debolezza della politica, ha appena sfiorato contendenti impegnati a calcolare rendimenti e privilegi. E invece si tratta di una di quelle questioni su cui si decide l'avvenire della nostra civiltà, i valori su cui si orienterà. Se il possibile della politica sta dunque oggi nella capacità di ridurre i pericoli di questa imponente transizione a una società diversa, l'impossibile, ciò che manca ma di cui c'è assoluto bisogno, è una politica di civiltà che risponda alle sfide reali del nostro tempo. Un politologo francese, Sami Nair, ha recentemente provato - in un'intervista apparsa sul "manifesto" del 28 settembre - a rispondere alla domanda decisiva: quali forze sociali e culturali sono oggi in grado di elaborare una politica di civiltà in un sistema mondiale che genera individualismo aggressivo, tribalismo etnico, egoismi particolaristici, vale a dire "tutto ciò che la civiltà ha combattuto dal XVIII secolo". Vorrei riportare la sua risposta scusandomi per la lunghezza della citazione: "Ci sono due tipi di risposte. Una astratta, l'altra realista. La prima sostiene che ci vogliono delle utopie, che si deve pensare l'impossibile. Dietro questa corrente, che 'è internazionale, ci sono due idee: o che l'utopia marxista era cattiva e quindi bisogna trovarne un'altra, opy_Qs;J_

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