La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

difficile: in Francia c'è un'associazione che circuita i film trascurati dalle grandi sale e questo, con il concorso di enti pubblici un po' meno miopi, consente ai giovani di proporre e realizzare film a basso costo con una certa tranquillità. In Italia questo sembra davvero impossibile. Insomma, bisogna pensare al cinema come a una forma d'arte. E se è arte, necessita di una serie di condizioni per essere realizzata. Se invece si considera il film come un prodotto, allora sarà sempre più difficile fare film non omologati. Per Quam mirabilis non ho dovuto affrontare questo genere di problemi perché ci ho messo soldi miei. È stato un imperativo morale farlo in quel modo. Mi domando cosa sarebbe successo se avessi dovuto produrlo con 9ualcun'altro. Non so se mi sarebbe stata lasciata la libertà necessaria. Vedendo moltissimi dei lavori più recenti, che sono spesso in 35 mm, ho maturato questa convinzione: che il confronto con una produzione vera - non una grossa produzione, ma una produzione con una certa autonomia economica e finanziaria - imponga scelte linguistiche medie. Perché qualcuno si decida a produrre il film bisogna rassicurarlo. Hai assolutamente ragione e questo è un dramma terribile. Se scrivi una sceneg~iatura dove risultano evidenti delle scelte narrative che non sono in linea, i casi sono due: o sei un grande autore riconosciuto e fai quello che vuoi, o sei un "giovane autore" e allora o hai i santi in paradiso o non c'è nienete da fare. Oppure sei furbo e fai credere di fare una cosa e poi ne fai un'altra. Credo, ad esempio, che Pappi Corsicato per Buchi neri abbia fatto una scenggiatura che il produttore ha immaginato in un altro modo, mentre lui ha fatto qualcos'altro. Senti delle affinità con i lavori degli altri film-maker italiani? Non molte. La mia è una conoscenza molto parziale, ma da quello che ho visto fra Locarno e Arcipelago mi sembra che pochi facciano una ricerca sul linguaggio; i più lavorano sulla trovata, sulla sorpresa, sull'escamotage finale. Prevale, mi sembra, quel cinema italiano carino, simpatico e ammiccante, tutto strizzatine d'occhio, col quale io non sento nessuna parentela. Dai colleghi ai maestri. Quali modelli avevi in mente girando Quam mirabilis? / critici vi hanno riconosciuto parentele con Bresson, Dreyer ... Parlare di maestri è I)lOlto buffo, perché a parte Thérèse di Cavalier, che ho visto prima di girare Quam mirabilis, i film di Dreyer e Bresson sono andato a cercarmeli solo dopo. Sento una strettissima adesione sul piano intellettuale ai principi estetici di Bresson, ma in questo momento mi interessano di più Bergman, il cinema giapponese e soprattutto Dreyer. Trovo che il suo modo di fare cinema sia di una modernità spaventosa, nonostante sia un autore così lontano nel tempo. Pensiamo all'uso dell'inquadratura nella Giovanna d'Arco. O all'uso della carrellata e della panoramica in Ordet. O ancora allo sconvolgimento delle convenzioni sulla direzione di sguardo in D~es Ir:ae. Apre _degliori_zzonti che alt_rimenu noi, confiantl come siamo entro orizzonti linguistici estremamente angusti, neanche immagineremmo. ♦ SUOLEDI VENTO o CINEMA I RAGAZZINI DEL TUSCOLANO Gianni Zanasi a cura di Elena Fantasia Il film Nella mischia è l'opera prima di Gianni Zanasi, regista trentenne nato a Modena. Ha collaborato con Carlo Mazzacurati come assistente alla regia di Un'altra vita. Nel '93 il suo cortometraggio Le belle prove è stato premiato a Bel/aria e a Torino. Presentato quest'anno a Cannes nella "Quinzaine", unico film italiano insieme a L'amore molesto di Martone in concorso, Nella Mischia è stato apprezzato dalla critica per il modo "leggero" e quasi "tenero" di rappresentarela difficile realtà a.ellaperiferia romana. Ed è proprio questa l'originalità del film: evitare le scene eclatanti di violenza giovanile che l'abitudine e la ripetitività hanno ridotto a stereotipi senza forza. Zanasi descrive le piccole esperienze quotidiane di un grlfppo di adolescenti del quartiere Tuscolano sofjermandosi sulle sfumature. Innocenza, rabbia, delusione, sfrontatezza, autoironia passano di volta in volta sullefacce dei protagonisti, trapelano dai loro gesti. I ragazzi sono gli stessi del cortometraggio, di cui il regista ha ripresoalcuni minuti nelle scene iniziali e finali de[film. La loro età è 9uella in cui tutto è semplice e da provare. Per 'alzare qualche soldo" è sufficiente ingegnarsi un po', rubare una racchetta, rifilare centomila false alla vecchietta dell'alimentari. Per costituire una società non servono contratt~ firme, notai. Basta rubare qualche cassetta di pomodori, un po' d'iniziativa, e faccia tosta. Ma se lavorare è duro, nemmeno rubare è così semplice. E i ragazzi vanno incontro alleprime umiliazion~ alle prime sconfitte, tanto che arrivano alla consapevolezza che "sefacciamo una rapina ci arrestano appena scendiamo dall'autobus, hai capito come". Lo sguardo semplice e sottile che caratterizza il film è statoparagonato allo stile di Truffaut, anche se il regista nega di averlo voluto citare consapevolmente. Mancano forse nel film momenti di contrasto e di scontro con il mondo adulto, sempre piuttosto condiscendente e comprensivo, anche se il dialogo di Lorenzo, uno dei ragazzi del gruppo, con il principale che lo ha scopertoa rubare i pomodori dimostra che i giovani assorbono sì, i valori del mondo che li circonda,ma ne registrano anche, istintivamente e con schiettezza, tutte le contraddizioni. È un percorso mediante il quale il regista ci mostra ilpassaggio dall'ingenuità dell'infanzia all'esperienza delle difficoltà del quotidiano, esperienza in cui è inevitabile che l'ambiente abbia un peso considerevole. Nella mischia non vuole essere un film di denuncia sul degrado delle borgate romane, né vuole impartire insegnamenti, bensì una cronaca delicata, ma non superficiale, seguita da uno sguardo curioso, allegro, ma nello stesso tempo sensibile e acuto.

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