La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

tutto nel significato che i bambini stessi mi comunicavano, dall'universo dei bambini di strada che conoscevo prima. E ambedue differivano dal modello d1 infanzia dominante sia in Brasile che in Italia: un'infanzia che vive tra la casa e la scuola, in nuclei familiari ristretti. Quin1i,_ come minimo, i modelli di infanzia che m1 s1presentavano erano tre. · Il più delle volte quando si parla di modelli alternativi di infanzia, ci si limita a descrivere il modello "altro". Tale erocedura, a mio parere, comunica un messaggio im_plicito sullo status del nostro modo di vivere rispetto gli altri: dato che ci viviamo dentro, non sentiamo il bisogno di esplicitarne le caratteristiche, lo conosciamo, è scontato, basta indicarlo con poche espressioni, anche perché, vista la sua complessità, non è possibile riassumerlo senza ba- . ,, _,, i.· J., , ,· ,, /· nalizzarlo 2 • Così il nostro modello diventa lo sfondo sul quale e a partire dal quale si valutano gli altri, spesso in un movimento mentale inconsapevole. Nel tentativo di non incorrere nella stessa procedura, per completare il quadro dei tre modelli che ho chiamato in causa, darò una breve descrizione di quello indicato prima come "dominante", che si riferisce alla concezione di infanzia delle società industrializzate. La moderna nozione di infanzia appare caratterizzata da due insiemi di idee: separare i bambini dagli adulti e definire la famiglia ideale come un'unità nucleare composta da bambini protetti e da adulti rrotetton; separare i bambini dagli adulti ne processo di produzione. La condizione di bambino richiede protezione dal lavoro, o dall'attività lavorativa e provvigione di training3. Nei contatti con i bambini e le bambine rom, per un periodo abbastanza lungo, ho provato una forte s_ensazionedi estraneità davanti a situazioni, persone, emozioni e pensieri sia miei che dei bambini che progressivamente venivo a conoscere. Ciò che mi colpiva maggiormente era la percezione di incontrarmi con una realtà che mi sfuggiva e allo stesso tempo era densa, consistente. Mentre per i bambini di strada la ricostruzione dei rapporti con la famiglia di origine era uno dei eunti delicati del lavoro, con i bambini rom s1 trattava invece di conoscere un modo specifico, ma ben solido e strutturato, di vivere 1 rapporti familiari. Un modo che si presentava per me per alcuni aspetti riconoscibile e per altri del tutto nuovo: La novità più rilevante di questo tessuto I ( di rapporti consisteva nel fatto che la sua motivazione fondamentale non era di tipo socioeconomico, come avveniva nel caso dei bambini di strada. Sembra manifestarsi, nel caso degli zingari, on rifiuto sulpiano culturale di proletarizzarsi4. In altre1arole, il dato culturale o la scelta culturale era i punto di partenza sul quale riflettere per riuscire a capire i rapporti con gli zingari e anche la loro condizione sociale. Questo approccio non è scontato come può apparire a prima vista, specie se si tiene conto del modo in cui siamo abituati a pensare le differenze, modo che si è maturato sulla base delle differenze sociali. In linea teorica si può dire che i fattori che generano le differenze sociali sarebbero da estinguere: in questo caso l'ideale sarebbe una stessa situazione sociale garantita a tutti. Invece, sul piano dei rapporti tra le diverse culture, le differenze dovrebbero per principio mantenersi5. Un tale ra~ionamento, portato sul campo delle questiom legate alla scuola, implica, ad esempio, la capacità di discernere tra le modalità comunicative che l'allievo porta dall'ambiente culturale di origine e la sua difficoltà a far proprie le modalità comunicative dominanti, che la scuola si prefi~ge di insegnargli. Invece, spesso la qualifica d1 "culturale" si riserva a un campo di comportamenti estremamente limitato. Ciò si è verificato ad esempio nel caso degli alunni "indiani" in Nord America, il cui comportamento comunicativo era ritenuto disadattato, mentre ciò che veniva considerato come la "loro cultura" riguardava i canti, le fiabe, la confezione di collane, l'arte tradizionale e il cibo6. D'altra parte, è anche noto che l'atteggiamento di passività e di chiusura nelle situazioni scolastiche è un modo di far fronte all'impossibilità di imparare nella quale spesso si possono trovare i bambini che provengono da altri ambienti culturali, diversi aa quello al quale la scuola fa riferimento. Con questi frammenti di storie e riflessioni ho cercato di presentare alcuni aspetti della questione della scolarizzazione dei bambini zingari all'interno dell'ottica, più ampia della scolarizzazione delle minoranze culturali. Ho tentato di sfuggire alle formulazioni già scontate (la dichiarazione del diritto al mantenimento della propria identità culturale; l'affermazione della positività dell'incontro tra diverse tradiziom culturali o dell'appartenenza contemporanea, specialmente da parte delle

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