La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

Schmitt; l'immancabile Popper e l'ineffabile Giovanni Sartori; Piero Gobetti (che ritorna in auge) e Jean-Marie Guéhenno (che proprio in auge, forse, non è stato mai). No, non mi sembra "la lista" il problema vero. E forse neppure la "cultura politica" in senso stretto che essa esprime, comprime e condensa, è veramente poi così scandalosa. Ovvio: Che leggere? è un piccolo manifesto "filo liberale". Ma qui il discorso porterebbe certamente lontano (e molto probabilmente da nessuna parte). Ammetterlo, in fondo, non costa mica tanto. Oggi siamo più o meno tutti liberali. E almeno per quanto riguarda il "quadro di riferimento esterno alla convivenza civile democratica" (G. Gaeta) - i diritti, le regole, le relazioni tra stato e mercato - e la vera natura delle forze in campo, cioè l'arrogante "illiberalità della destra italiana" (M. Sinibaldi)2, si tratta forse di un approdo obbligato, di un esito magari non esaltante ma - temo, tutto sommato - necessario. Con questa destra, con questa cultura istituzionale, il "filo liberalismo" è in ogni caso un male minore. Le risentite polemiche estive sulla sinistra che "deve essere liber al" o sulla sinistra che "non vince se non è pop", le scaramucce politico-editoriali tra i clerico-liberisti di "Liberal" e i neopopulisti di "Reset", mi sembrano francamente deprimenti. Le edicole non sono precisamente uno straordinario campo di battaglia. Il '.'cielo di Austerlitz" sta da un'altra parte. Ma da un'altra parte, però altrettanto distante dal "cielo" e dalla "terra", anche la smaliziata vena pedago~ica dei nostri "sette saggi" si infila puntualmente in un vicolo cieco. Già lo sappiamo, non è un problema di "lista" o di "liberalismo". Muniti di incrollabile buon senso, sottili, ra$ionevoli, sporadicamente brillanti, talvolta - eccezionalmente - spiritosi, Bobbio e compagni guidano il "buon democratico" (incautamente in cerca di una guida) in una specie di regione consueta ma strana, in una zona dove l'aria è tersa ma tutto è terribilmente noioso e conciliato. In una dimensione (per usare una parola lo~ora che forse dovremmo ritornare a usare) ottusamente, uniformemente, definitivamente borghese (e bll forse troppo ottusa, troppo uniforme e troppo borghese per scandalizzarci). A scanso di equivoci preferisco precisarlo subito: non sto invitando nessuno a leggere (soltanto) i fumetti o a uscire di casa per bruciare auto in sosta, cestini, vecchiette, cassonetti. Non ho in mente niente di esageratamente punk. Però è sinceramente disarmante: per una singolare convergenza i "sette" (meno uno) ripetono in modo ossessivo la stessa analisi e la stessa ricetta. La democrazia è preziosa ma fragile. Mediocre ma essenziale. Mezzo avvisato (e mezzo salvato) il "buon democratico" sa a questo punto come regolarsi. Che debba leggere (parecchio) è piuttosto evidente (tutti dovrebbero leggere un po'). Ma che tipo di libri, che genere di letture possono salvarlo? Qui il ritrovato conformismo, la virtuale ortodossia di una sinistra che se non vince oggi forse trionferà domani, la monocorde, consolatoria, ripetitività della bibliografia tradiscono il limite forse più grave di una mentalità molto scontata, di uno stile - politico e teorico - irrimediabilmente prevedibile. Secondo le minuziose indicazioni di Che leggere? l'universo (noioso) del "buon democratico" è un universo speculare, angusto, perfettamente bidimensionale. Ma questo sdoppiato cosmo di periferia ha bene o male anche un mito fondante, con una genesi, una storia, un nome abbastanza precisi. Che leggere? non si discosta mai da una premessa decisiva: la politica è "l'anatomia" della società, la sua dimensione centrale ma minacciata. Così la vischiosa piattezza del presente, almeno, diventa leggermente più leggibile. Accade tutto sub speciepoliticae. Esistono naturalmente le resistenze, i pesi, le incertezze, gli intoppi, le beghe meschine del reale. Il buon democratico, questo, lo capisce bene (e lo traduce subito nel suo linguaggio): la politica tende a incepparsi, gira a vuoto, si blocca interlocutoriamente su se stessa. Ma il "buon democratico" - che legge esclusivamente libri, trattati, manuali, libelli, opuscoli di teoria politica3 - naturalmente non si fa sorprendere; è un habitat, questo, che in fondo conosce anche troppo bene. Che leggere? suggerisce insomma una sdolcinata, scontata, rassicurantissima terapia omeopatica. La politica (reale) si cura con dosi equilibrate di (teoria) politica. Con una soprendente fiducia nelle potenzialità "auto-riflessive", nell' auto-sufficenza, nella translucida centralità del mondo politico, Che leggere? contrappone così alla squallida ripetitività "terrena" di una vita pubblica astiosa, banale o inutilmente ipocrita e cerimoniosa, l'incontaminata volta "celeste" delle idee: il venerabile repertorio di ricette, analisi, sintesi, profezie, anatemi, scongiuri e delucidazioni che rappresentano la parte migliore e più sensibile del pensiero politico moderno. Forse il vero segreto di Che leggere? sta tutto in un'assioma (la politica come "anatomia") e m una semplice petizione di principio: se il mondo (politico) 'è a tratti penoso, a tratti deludente, dobbiamo inventarci una tradizione. Che leggere? voleva essere (poteva essere) un libro "utile". Uno ·strumento per pen-

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