La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

con quell'indizio e capisci..." · Leonardo: "Per immedesimarti tu ripensi e vedi se quella cosa ti è successa già una volta, per esempio come hai fatto ad aiutarti da solo m un giorno difficile... e poi lo aiuti". Ripensare alla propria esperienza, provare a ricostruire attraverso frammenti i perché di ciò che accade a un altro, ascoltare con amicizia... Mi sembra che le parole dei bambini offrano diverse direzioni verso cui orientarsi, anche se in molti dubitiamo dell'affermazione di Paolo, che considera possibile che tutto ciò avvenga "senza che uno si trasformi". Ma a questo punto l'intervento di una bambina che raramente si fa avanti nell'esporre i suoi pensieri, pone alla nostra attenzione un nuovo problema. · Valentma: "Mio fratello, quando litighiamo, dice sempre: tanto io lo so come sei fatta: non mi dai mai niente! E invece io tante cose gliele ho date ... un sacco di volte!" Il fratello di Valentina, sapendo già come è fatta la sorella, la inchioda a una identità e a un giudizio che impedisce ogni trasformazione. E il suo, come tutti i giudizi ossificati, si trasforma fatalmente in un pesante pre-giudizio. Lo slittamento del discorso operato da Valentina mi sembra particolarmente interessante perché mette in luce tutte quelle situazioni in cui noi, presumendo di sapere com'è l'altro, veniamo letteralmente accecati dalla nostra presunzione. A questo punto pongo il problema di come ci si possa identificare in qualcuno le cui espei:ienze sono del tutto diverse dalle nostre. Come faccio a capire, ad esempio, come vive una donna anziana che dimentica sempre ogni cosa? Gianluca: "Puoi intervistare persone che sanno il motivo per cui ci si scorda delle cose, oppure fare come abbiamo fatto noi l'anno scorso, quando abbiamo intervistato la nonna di Chiara che non sa leggere." Valerio: "Sì, risentenao il nastro tante volte abbiamo capito i problemi della nonna analfabeta di Chiara!" Ascoltare e riascoltare più volte una storia apparentemente lontana e mcomprensibile, allungare il percorso della conoscenza passando anche per esperienze di altri ... Il conversare dei bambini continua a offrire spunti. Enrico: "Immedesimarsi vuol dire entrare nella storia di un altro vivendo quello che ha fatto un'altra persona. Per esempio, se uno è vissuto per venti anni nella giungla, per capirlo devi vivere anche tu venti anni nella giungla". Anna Maria: "E non è detto che ti riesca, perché bisogna vedere se anche a te capitano le stesse avventure che ha vissuto lui. E poi devi avere il coraggio, lo stesso coraggio che avevalui". Un po' sconsolato, sostengo che se davvero l'unico modo di immedesimarsi in un altro sta nel vivere esattamente le sue stesse esperienze, quali speranze abbiamo di avvicinarci alla vita di chi è radicalmente altro da noi? "Ma no, basta che gli vai dietro, che lo perseguiti - suggerisce candidamente Chiara - non sospettando che tra perseguire uno scopo e perseguitare un altro l'ironia del linguaggio scava un abisso. Valeria: "Con mia sorella mi è capitato un giorno che, svegliandoci, abbiamo pensato un pensiero nello stesso istante, ci siamo immedesimate ..." Mentre prosegue il dialogo mi accorgo che le parole di questa discuss10ne tra bambini l ( ( stanno piano piano delineando dei possibili percorsi per affrontare il problema di come educare ed educarci all'apertura all'altro. Riassumo al_loraq~i le_prime in~~c~zi<?ni emerse: corpo, immagmaz10ne e am1c1zia;mdizi e libere associazioni per avvicinarsi a una storia lontana; memoria, ricordo delle proprie esperienze; ascoltare e riascoltare: la necessità della ripetizione; coscienza del limite che ogni tentativo di immedesimazione necessariamente comr,orta; il desiderio di portare aiuto come possibile tramite. Quest'ultima indicazione ci porta verso il significato più intimo della parola compassione, sulla quale varrebbe la pena di riflettere a fondo, se vogliamo rispondere al problema sollevato da alcuni bambmi, che negano ogni possibili~à di identificazione quando manca una esperienza comune. Io mi auguro che non sia necessario condividere concretamente ogni esperienza dell'altro per potersi intendere. Ma sul come arrivare a un'intesa vera e profonda sono molte le domande che rimangono aperte. Gli insegnanti finalmente di fronte a domande legittime Quel c.hesi può dire, essendone felici, è che la scuola finalmente si trova di fronte a un bel numero di domande legittime, cioè di domande a cui nessuno sa ancora fornire risposte. E molte di queste domande, tra l'altro, è impensabile tentare di risolverle nel chiuso di una singola istituzione. Condividere esperienze tra chi opera in campi diversi diventa allora fondamentale, così come a mio avviso è centrale lo scambio che ci dovrebbe essere tra educazione e arte. Qualche immagine per spiegarmi. La danza. Un gruppo d1 bambini, arrivando nella Casa-laboratorio di Cenci per un campo-scuola, si stupisce incontrando un giovane nero. Nei più prevale la diffidenza. Alcuni arrivano a promettersi che con quello lì non ci andranno mai. Dopo meno di tre giorni tutti i bambini litigano tra loro per potere andare con Joao a imparare la danza capoera. Cosa è successo? È successo semplicemente che il nostro ospite e animatore brasiliano si è presentato ai diffidenti bambini undicenni di una città del centro Italia con il linguaggio universale della sua arte. A metà del campo Joao per loro non era più "un negro". Joao finalmente era Joao, e credo abbia lasciato una traccia significativa nella memoria di molti bambini. Il teatro. Per un anno, con i bambini di una quinta elementare, ci cimentiamo nella difficile impresa di mettere in scena il racconto orale della vita di Rigoberta Menchù, trascritto da Elisabeth Burgos. Al termine di un anno di lavoro Debora così descrive ciò che le è accaduto: "La notte, come chiudevo gli occhi, vedevo il teatro. Una notte mi sono sognata che eravamo in cerchio e cantavamo nella loro lingua. Sembravamo proprio indigene. È una cosa importante perché è come se mi venisse dal cuore. Era come ai poeti l'ispirazione. Delle volte mi venivano in mente delle cose brutte, così mi svegliavo terrorizzata, ma pensavo che nello spettacolo ci devono essere anche cose terrorizzanti, anche il pubblico deve avere dei momenti di brivido. Il teatro è emozione. La notte come andavo a dormire speravo di fare uno di questi sogni. È molto importante, perché io credo che le cose più belle sono le cose

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