La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

GIROD'ITALIA FUCINE MERIDIONALI:· UN CENTRO SOCIALE ABARI Alice Vox Alice Vox studia all'Università di Bari. ♦ Immaginate una realtà urbana del Sud, in cui disoccupazione, disgregazione sociale, degrado ambientale e assenza di verde, J?OVertà di spazi di socialità collettiva, progressivo impoverimento della vita culturale, dilagare della criminalità compongono il tipico guadro della questione meridionale degli anni Novanta. Aggiungetevi alcune particolarità come la cultura mercantile e l'egemonia bottegaia, uno spirito che, più che imprenditoriale, è speculativo, una giunta comunale di destra, ma né migliore né peggiore di 9.uelleche l'hanno preceduta, l'assenza di servizi e di politiche sociali. In tal modo avrete Bari, la città in cui alcuni giovani hanno osato pensare a delle "fucine meridionali". "Fucine Meridionali" era il nome di una fabbrica metalmeccanica, una delle più antiche dell'area industriale barese, che negli anni Settanta fu teatro di alcune importanti lotte operaie. E "Fucine meridionali", circa un anno e mezzo fa, divenne il nome di un collettivo di giovani donne e uomini, e del loro progetto. Un nome che contiene il significato di ciò che (più o meno) quelle persone avrebbero realizzato, occupando e costruendo un centro sociale autogestito. Il progetto era quello di creare uno "spazio liberato", magari ridando vita a uno dei tanti contenitori della città vuoti e abbandonati, realizzandovi una sorta di laboratorio collettivo, di fucine appunto, e di fucine legate alla specificità meridionale, in cui ripensare la stessa funzione dello spazio e della produzione. Un luogo in cui "riciclare" e "inventare" una moltituaine di cose; in cui riutilizzare tutto ciò la cui utilità è stata dimenticata; in cui trovare nuove forme di aggre$azione, di produzione, di socialità e anche d1 lotta, laddove troppo spesso i diritti fondamentali sono negati o controllati da qualcuno che "comanda", sia esso un politico, un mafioso o uno speculatore. Di contenitori abbandonati, quelli delle "Fucine meridionali" ne hanno rimessi in vita quattro: la sede dismessa del Servizio di Igiene Mentale, un mercato coperto, due caP,annoni, una ex-scuola materna; dovendo resistere contro chi considera scomoda la loro presenza e dovendo contrastare tre sgomberi; dunque creando in ciascuno di questi luoghi, sia pure per un tempo breve, uno "spazio liberato" in cui ognuno potesse cercare oi riprendersi auCO tonomamente ciò che gli viene quotidianamente negato: cultura, socialità, musica, produzione e circolazione di saperi. In realtà nelle città del Sud molto spesso i centri sociali costituiscono per gruppi di giovani (e non solo) uno dei pochissimi modi per uscire dai quartieri-ghetto, là dove i luoghi di a~gregazione sono praticamente inesistenti e dilagano criminalità, microcriminalità e spaccio. Essi sono una risorsa per il "tempo libero", poiché offrono un'alternativa ai costosi· locali e birrerie; ma non sono soltanto questo, poiché organizzano servizi come doposcuola, consultori, biblioteche, centri di accoglienza per immigrati. Lo scopo dei centri sociali, tuttavia, non è quello di elargire servizi, ma di far sì che coloro che li frequentano divengano so~getti capaci di riappropriarsi della gestione dei propri bisogni. Per questo e per altro i centri sociali sono scomodi e, soprattutto nelle città del Sud, non solo incontrano l'ostilità delle giunte comunali e delle forze dell'ordine, ma anche il costante tentativo, da parte dei diversi clan e famiglie malavitose che si spartiscono i quartieri (spesso col silenzioso consenso del ceto politico dominante), di "riprendersi" il "loro" pezzo di territorio. Questa azione di controllo è un durissimo ostacolo all'esistenza dei centri sociali al Sud, poiché si rischia di finire schiacciati tra l'ostilità delle istituzioni, da un lato, e la forza delle bande criminali, dall'altro. Le quali sono forti anche grazie alla estensione di una cultura della prepotenza e della sopraffazione, veicolata da un sottoproletariato delinquenziale diffuso. Così agli occupanti delle "Fucine meridionali" non è bastato proclamare "né eroina né polizia" per proteggersi dal rischio che la malavita di quartiere tentasse di riprendersi quel pezzo di territorio e di mercato. Ed è stata una sottovalutazione fatale. Una serie di risse provocate ad arte nel centro sociale e il rifiuto degli occupanti di accettare la logica dello scontro (peraltro del tutto impari), che avrebbe portato a una vera e propria guerra con il clan, hanno condotto la maggioranza degli occupanti alla decisione di "traslocare" per ripensare e riflettere su quell'esperienza e cercare di proporre su basi diverse e più mature il loro antico progetto. ♦ SUOLEDI VENTO

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