La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

Saggine Norberto Bobbio DESTRAE SINISTRA Ragioni e significati di una distinzione politica Nuova edizione riveduta e ampliata . . .. con una nsposta a1cnt1c1 pp.144, L.16.000 Piero Bevilacqua VENEZIA E LEACQUE Una metafora planetaria pp.144, L.16.000 Hagen Schulze IL RITORNO DI EUROPA La nuova Germania e il vecchio continente Introduzione di Angelo Bolaffi Traduzione di Camilla Miglio pp. 64, L. 12.000 Biblioteca Bolingbroke L'IDEA DI UN RE PATRIOTA a cura di Guido Abbattista pp. 256, L. 38.000 Narrativa Olivier Rolin PORTSUDAN pp. 112, L. 22.000 Traduzione di Maria Baiocchi Premio Fémina 1994 BibliotecaGinoBianco DONZELLIEDITORE ROMA Interventi Renzo e Vittorio Foa DEL DISORDINE E DELLA LIBERTÀ Padre efiglio tra incertezze e speranze pp. 126, L. 18.000 Centaùri Angiola Ferraris SEIL VENTO Lettura degli «Ossi di seppia» di Eugenio Montale pp. 72, L. 22.000 Ruggiero Romano BRAUDEL ENOI Riflessioni sulla cultura storica del nostro tempo pp. 144, L. 28.000 Saggi Michael Doran CÉZANNE Documenti e interpretazioni Rilegato, con 8 tavole fuori testo a colori pp. 230, L. 60.000 Paolo Virno PAROLE CON PAROLE Poteri e limiti del linguaggio pp. 176, L. 35.000 Aldo Masullo ILTEMPO E LA GRAZIA Per un 'etica attiva della salvezza pp. 136, L. 35.000 Libri di idee

LA TERRA VISTA DALLA LUNA Rivista dell'intervento sociale N.l, febbraio 1995 IL BISOGNO DI POESIA Andrea Zanzotto: Currunt (17), Giovanni Giudici: Dom Tischberg; Fatina (17), Fernando Bandini: Bird-watching (18), Amelia Rosse/li: Pavone/prigione (18), Carmelo Bene: da Vulnerabile invulnerabilità necrofilia in Achille. Versioni da Stazio Omero Kleist (19). VOCI Goffredo Fofi: Questa rivista (2), Vinicio Albanesi: Buffet Italia (3), Piergiorgio Giacchè: La cultura del maggioritario (4), Marino Sinibaldi: Una confusione piccola piccola (7). Roberto Alfjmo: C1 sono stupidi e stupidi (20), Paolo Crepet: La solitudine degli adolescenti (21), Stefano La/Ji: Gli anziani come problema (24), Rinaldo Giano/a: Il nodo dell'orario di lavoro (26), Edoardo Cernuschi: I muti e gli invisibili (27). Marcello Flores: Europa dopo il muro (58), Mimmo Càndito: Il Nord e il Sud e i nuovi barbari (59), Antonio Marchesi: La pena di morte, ancora (61),Joaquin Sokolowicz: Medio-Oriente:.la pace e i suoi.nemici (62), Lucia Annunziata: L'America è vicina (64). ]ohn Berger: Intellettuali (76). PIANETA TERRA AFRICA Ryszard Kapuscinski: Sussulti nel buio (11). Andrea Berrini: Nairobi: una città come le altre? (13), e nell'inserto le fotografie di Tom Stoddart dal Ruanda. SCUOLA A COSA SERVE? Guido Arme/lini: Il respiro dei bambini (29). Bardo Seeber: Luoghi d'incontro (35), Grazia Fresco: Anni magici, al nido? (37), Andrea Rosso: Al voto! Al voto! (39), Luca_Rossomando: Agitazioni. Studenti a Napoli (40). SALUTE E MALATTIA IL PUNTO SULL'AIDS Damiano D. Abeni: L'Aids in Italia. Storia e presente (43). Adrienne Rich, Glenn Philip Kramer, Anthony H echt: Poesie "inmemoria di David Kalstone ( 45), Maria Nadotti: Non vedo, non sento, non parlo. Gli intellettuali italiani e l' Aids (49), Luigi Pagano: Aids e carcere (55), Silvana Quadrino: Morire dove (56). LA CITTÀ E IL SUO GOVERNO Giancarlo Consonni: Dialogo tra un viandante e uno scienziato (66). Stefano Benni: Il romanzo della città (69), Ada Becchi: Il governo delle città (72), Gianfranco Bettin: Dalla disgregazione alla complessità (74). LEZIONI Primo Levi: Capire e far capire. Dichiarazioni raccolte da Milvia Spadi (78). IMMAGINI Tom Stoddart: Apocalisse Ruanda (tra le pagine 42 e 43). La vignetta a pagina 8 è di Altan. La foto di copertina e quelle della sezione Scuola sono di Roberto Koch. I disegni che illustrano questo numero sono di Emilio Tadini. Direttore: Goffredo Fofi. Direzione: Gianfranco Bettin, Marcello Flores, Piergiorgio Giacchè,Roberto Koch, Giulio Marcon, Marino Sinibaldi. Segretaria di redazione: Monica Nonno. Redazione: Damiano D. Abeni, Roberto Alajmo, Vinicio Albanesi, Enrico Alleva, Lucia Annunziata, Ada Becchi, Marcello Benfante, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Andrea Beretta, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Luigi Bobbio, Giacomo Borella, Marisa Bulgheroni, Massimo Brutti, Mimmo Càndito, Francesco Carchedi, Franco Carnevale, Luciano Carrino, Francesco Ceci, Luigi Ciotti, Giancarlo Consonni, Mario Cuminetti, Paolo Crepet, Mirta Da Pra, Zita Dazzi, Giancarlo De Cataldo, Stefano De Matteis, Grazia Fresco, Rachele Furfaro, Giancarlo Gaeta, Fabio Gambaro, Saverio Gazzelloni, Rinaldo Gianola, Vittorio Giacopini, Giorgio Gomel, Bianca Guidetti Serra, Gustavo Herling, Stefano Laffi, Filippo LaPorta, Franco Lorenzoni, Luigi Manconi, Ambrogio Manenti, Bruno Mari, Roberta Mazzanti, Santina Mobiglia, Gior&io Morbello, Cesare Moreno, Emiliano Morreale, Marco Mottolese, Maria Nadotti, Grazia Neri, Sandro Onofri, Marco Onorati, Raffaele Pastore, Nicola Perrone, Pietro Polito, Georgette Ranucci, Luca Rastello, Angela Regio, Bruno Rocchi, Luca Rossomando, Bardo Seeber, Francesco Sisci, Joaquin Sokolowicz, Paola Splendore, Andrea Torna, Alessandro Triulzi, Giacomo Vaiarelli, Federico Varese, Pietro Veronese, Tullio Vinay, Emanuele Vinassa de Regny, Paolo Vineis. Grafica: Carlo Fumian. Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Paolo Areni, Pina Baglioni, Marco Bencivenga, Claudio Buttaroni, Marco Carsetti, Giuseppe Citino, Pietro D'Amore, Sergio Lenci, Ornella Mastrobuoni, Marco Onorati, Giuseppe Pollicelli, Piero Pugliese, Emanuela Re, Simona Zanini. Numero uno in attesa di autorizzazione dal tribunale di Roma. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Edizioni La Terra vista dalla Luna s.r.l. Redazione e amministrazione: via Cernaia 51, 00185 Roma, tel. 06-4467993 (anche fax). Distribuzione in edicola: SO.DI.P. di Angelo Patuzzi spa, via Bettala 18, 20092 Cinisello Balsamo (MI), tel. 02-660301, fax 02-66030320. Stampa: StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale - Via VignaJacobini, 67/c - Roma Finito d.istampare nel mese di febbraio 1995

Questarivista GoffredoFofi · Questa rivista nasce dalla convinzione che, nell'Italia di oggi, considerando una definizione sociale e antropologica di essa di più lunga durata che non sulla base di un contingente successo delle destre, che ci sembra rispondere agli interessi di precisi blocchi di potere ma anche all'ideologia della vasta maggioranza dei suoi abitanti, sostanzialmente benestante, sia necessario ri- . . . com1nc1are a ragionare e a operare partendo da pochi, precisi punti fermi. Essi sono di ordine morale: oltre l'abuso che ne è stato fatto, la parola solidarietà ha per noi un significato grandissimo, assieme ad altre parole di cui, ugualmente, la politica ha abusato, anche quelle più usate dai movimenti, come ambiente o pace, o quelle rispondenti a valori àltrettanto importanti quali uguaglianza, o libertà, o verità. E sono di ordine pratico: ci interessa confrontarci con (e proporre il confronto fra) coloro che agiscono nella realtà a partire da collocazioni professionali specifiche così come da scelte di partecipazione volontaria a iniziative che affrontano i problemi del disagio, dell'emarginazione, della disuguaglianza. Il nostro scopo è di servizi<?,un servizio partecipe, attivo, propositivo: far conoscere esperienze solide e positive, e le loro difficoltà; dare spazio alle minoranze attive e alle loro 'posizioni contribuendo anche, quando possibile, con la pubblicazione di materiali teorici, scientifici e informativi alla lorcf crescita, insieme al-la nostra; di riproporre in modi attuali il progetto di "lunga marcia attraverso le istituzioni" che fu una delle grandi intuizioni "politiche" (di critica della politica, di trasformazione nei modi di intendere e di fare ·1a politica) del '68, presto soffocata dai vecchi modelli ideologici e organizza ti vi; ma di collegare questa "marcia" (priva di qualsiasi connotazione militaresca!) a quella di chi, fuori dalle istituzioni, nella società, BibliotecaGinoBianco nei suoi spazi minati, nascosti, ~argi_nali, a, rischio, s_ioccupa d1 chi non e ancora m grado di affermare e difendere da solo le proprie capacità di modificare la propria condizione. Ci occuperemo così di "società" e del "sociale" a più livelli, in più modi, con la riflessione teorica e con la conoscenza scientifica, con l'inchiesta e con la descrizione di condizioni e di interventi, con il confronto tra posizioni, con la denuncia, con la cronaca, con la pubblicazione di testi e documenti, con l'elaborazione e la proposta di possibili soluzioni per situazioni piccole o grandi di particolare disagio, di particolare urgenza. Ci occuperemo di funzionariato e ci occuperemo di volontariato; di associazioni e di movimenti e di comunità; di diritti e di doveri; di centri e di periferie (e considereremo la città, il discorso sulla città, perno di ogni più ampia disanima sociale e di ogni progetto futuro) e naturalmente anche, con l'Italia, ci occuperemo del mondo, perché è impensabile che qualsiasi tipo di chiarificazione sulla nostra realtà possa prescindere da una visione globale, dal rapporto tra la nostra realtà e quella di altri paesi. Con il 1989 è finita una storia, è finito un secolo. Non tutti hanno voluto o vogliono rendersene conto, come non tutti, anzi pochissimi, sembrano disposti a riconoscere la portata internazionale che qualsiasi scelta nazionale deve avere, anzi ha. Non ci interessano invece le distinzioni, al nostro interno o nella nostra società, tra credenti e non credenti, tra chi è nato al Nord e chi al Sud, tra· chi agisce nelle grandi e chi nelle piccole realtà. Siamo in molti a dividere la convinzione che quando si ricomincia daccapo si deve partire da quegli elementi di unione che possono attraversarci. Cerchiamo di essere (e ci rivolgiamo a) persone di buona volontà, che per rafforzare questa volontà sanno di doversi mettere in discussione, di dover tagliare dei ponti, aprirsi a. ,, nuove realtà, cercare nuove alleanze. Ci occuperemo di trasmissione della cultura, di scuola, di mezzi di comunicazione. Quello dell'educazione ci sembra un settore fondamentale della nostra realtà, e forse quello più carente e dagli effetti più nefasti. La scuola non è all'altezza dei bisogni della nostra sqcietà, è spesso inutile, serve spesso al solo mantenimento di una corporazione di insegnanti priva di scopi collettivi come di talenti, e al contenimento di masse di bambini e di adolescenti, via dalla strada e dal mercato del lavoro. Sulla scuola insisteremo quasi ossessivamente, da dentro e da fuori di essa, convinti che la scuola sia cosa di troppa importanza perché siano solo gli insegnanti a doversene preoccupare. Ci occuperemo molto meno di mezzi di comunicazione di massa, per il motivo che questo è uno dei terreni più inquinati e inquinanti per ogni dibattito, oggi; ce ne occuperemo, bensì, anche non occupandocene, contrapponendogli altri modi di comunicare, altri progetti di comunicazione, e nella convinzione che le minoranze attive all'interno di un~ società debbano parlare alle maggioranze senza tradire o adattare il proprio linguaggio al loro, e anzi esigendo da loro il rispetto delle proprie posizioni, dei propri linguaggi. Ci occuperemo presto, e con particolare attenzione, anche di giovani. Non solo come oggetto di interventi e come partecipi di disagi, ma anche come produttori di culture, da discutere con loro, anche in rapporto a finalità collettive, a idealità comuni. Il nostro programma di lavoro è ampio, vario, delicato. Ha già ora molti collaboratori ma altri ne cerca, e chiede ai lettori sia un sostegno pratico - la diffusione della rivista, abbonamenti "normali" e, preferibilmente!, sostenitori - che un contributo di idee e di materiali. Se sapremo operare degnamente, i nostri lettori saranno automaticamente dei possibili collaboratori, poiché saranno lettori che non solo "si tengono informati" ma che, agendo attivamente in campi specifici, avranno molto da insegnare a noi come ad altri lettori di campi diversi dal loro, ma mossi da convinzioni in grado di diventare, pian. piano, un progetto dav- .vero comune. ♦

Buffet Italia Vinicio Albanesi Ripensando i nove mesi del governo della cosiddetta seconda repubblica e volendo fare un bilancio dal versante delle politiche sociali, viene in mente l'immagine del buffet di un matrimonio bene. Un'immagine irriverente, ma puntuale e soprattutto insistente. Gli sposi sono radiosi, la chiesa, i suoni, gli addobbi meravigliosi; i partecipanti, tirati a lusso, con i profumi caratteristici della buona borghesia, fanno salotto, scamb ian1 osi sorrisi e complimenti. Il momento clou, checché se ne dica, è il pranzo: i genitori degli sposi hanno scelto la formula moderna del buffet, invece che il solito lungo e pesante pranzo. È preferibile una grande tavolata alla quale gli invitati potranno accedere liberamente, scegliendo che cosa e in che quantità mangiare. Non si è badato a spese: nella parte sinistra gli antipasti, nel corpo centrale del tavolo qualcosa di sostanzioso a base di carne e di pesce, nella parte destra un segmento rusticano di porchetta, prosciutto e formaggio pecorino. A disposizione, nemmeno a dirlo, aperitivi, bevande, vini di ogni genere. Esclusa la frutta, il dolce sarà servito con il taglio della torta. Nel momento x~ quando gli sposi, dopo le foto scattate nella villa dove il verde è abbondante, fanno ingresso nella sala, inizia l'arrembaggio. Le buone maniere, espresse chiaramente durante la cerimonia, a stento frenano gli istinti famelici ·degli invitati. Nel primo quarto d'ora, i camerieri gestiscono faticosamente la richiesta di cibo che gli invitati, ammassati al tavolo chiedono come passerotti affamati. Man mano che la scorta di commestibili è consumata, anche il livello di accesso alla tavolata si abbassa. Saziata la fame, ritornano, tra BibliotecaGinoBianco gli invitati, i sorrisi, le buone maniere, i complimenti. Gli sposi, ormai spossati e sfatti, tagliano la torta, brindano incrociando le braccia e distribuiscono le bomboniere. Fa l'apparizione il proprietario dell'albergo che elargisce sorrisi e saluti, sicuro che tutto è andato bene, secondo gli accordi presi. Questa immagine è stata ossessiva perché, ripensando al governo e alla sua attività, è evidente che il problema non è il governo, ma sono gli elettori: un po' come nella parabola. Il nodo non sono gli sposi, ma gli invitati. Come non costituiscono problema i camerieri-ministri e il proprietario dell'albergo-Presidente. Nell'Italia degli anni Novanta è prevalente il desiderio di buffet: da parte di chi ha sempre partecipato ai pranzi e questo è evidente, dagli addetti ai lavori che, come i cani, riconoscono presto padroni chi dà loro da mangiare, ma anche per chi, solo saltuariamente, partecipa al pranzo. Ogni analisi politica, se vuole essere seria, deve fare i conti con questo desiderio di festa e di cibo. Non si spiegano altrimenti le maggioranze oggi prevalenti in Italia. Se infatti una buona base di invitati tut~la i pro_pri interessi, le magg10ranze si ottengono solo aggregando anche chi spera, domani, di partecipare non ad un solo banchetto, ma alla festa perenne; è vero in Italia, ma è anche vero in Inghilterra, in Germania, in Francia, negli Stati Uniti. Il proprietario dell'albergo continuer~ ~ pr?1!1et!ere ci_bo, i camenen-ministn contmueranno a servirlo: il problema rimane la voglia degli invitati. Questa storia continuerà fino a quando gli invitati, o almeno alcuni di essi, non si accorgeranno che il buffet costa caro e gli inviti e regalie in realtà sono pagati da, loro, come in ogni festa di matrimonio che si rispetta. Prima che questo avvenga, probabilmente si cambierà albergo, con diverso proprietario, con altri camerieri-ministri; si cambierà menu: ma fino a quando questo resta il sogno dell'abbondanza, ciò che avviene all'esterno dell'albergo non interessa più di tanto gli invitati. Il nocciolo duro di tutta la vicenda politica italiana, soprattutto per chi patisce incertezza, precarietà, fame è che la maggioranza è benestante. I precari culturali, contrattuali, sociali sono minoranza: a loro restano briciole dell'abbondanza ch·e i più consumano per sé e solo per sé. Quale· risposta dunque? La prima ipotesi è la distruzione di tutti gli alberghi dove si approntano banchetti e buffet. E operazione pericolosa e tutto sommato impossibile: guardie giurate, valletti, servitù sono pagate per l'integrità degli ospiti. Se poi l'operazione non riesce, c'è il carcere a vita, senza sconti e senza garanzie. La seconda ipotesi è più probabile. Far capire che il gioco non può durare all'infinito: chi non ha grandi risorse non può sperare di far partè di un mondo troppo dispendioso e di lusso; presto o tardi saranno cacciati dal banchetto o si autoespelleranno non essendo in grado di pagare il conto. Fino a quella data il tempo· di attesa sarà lungo. Decenni, se si guarda l'Inghilterra o gli Stati Uniti; un po' meno la Francia. Ma se le cose cambiassero, non è detto che la situazione migliorerà qualitativamente. Una maggioranza alternativa potrà essere "ap-

pena" più sensibile, accogliente e solidale; "appena" perché rimarrà maggioranza se non esagererà, se non allarmerà, se non sarà "estremista". Avrà il ricatto del grande centro che è il medesimo dell'attuale maggioranza. In fondo le formule che si adoperano per l'alternanza, centro-destra e centrosinistra Si discostano solo leggermente tra loro. Non più differenza di quanta ne corre tra r~pub_blicanie democratici amencam. La terza ipotesi ci sembra più saggia: un ripensamento g~obale, minoritario, n?n vmcente, ma tenace e seno. Bisogna affrontare le problematiche vere che sottostanno agli insulsi slogan propinati in questi ultimi mesi. Democrazia, economia sociale, lav:oro, previdenza, sanità, scuola. Questi nodi vanno affrontati nel mondo dei grandi scenari dell'ambiente, dello sviluppo, della pace, dei consumi, dei rapporti nordsud, est-ovest. Probabilmente gli strumenti, culturali e politici, attualmente a disposizione per una simile operazione non sono molti; ma, a ben pensare, non sono stati mai molti nelle transizioni epocali. Perché di fatto siamo nella transizione. Il prevalere della destra nel mondo occidentale non è segno di forza, ma di debolezza: è segno di difesa, di arroccamento, di disperato tentativo di fermare la storia. In altre epoche gli stessi tentativi: ma la storia transita verso nuove sintesi. E nelle sintesi i poteri, le culture, le economie, gli equilibri cambiano. Non riusciamo a prevederli nei dettagli, ma altri popoli, altre culture si affacceranno sul palcoscenico. La funzione della minoranza è di immaginare le sintesi future. E uno dei modi infallibili di ritrovarsi all' appuntamento è di individuare i crocevia: quei fenomeni che non possono essere saltati, perché con essi bisognerà, comunque, fare i conti. Proviamo a individuarli. Il primo è il rapporto consumi-sviluppo. Non può continuare all'infinito l' accelerazione dei consumi per permettere lo sviluppo. Questo processo si incepperà. A quando, ad esempio, abbasseranno la produzione di automobili? O quello dei diserbanti? Se non saranno le economie politiche a farlo, penseranno le conseguenze sul1'ambiente ad imporlo. Il secondo nodo è la costruzione della democrazia reale. Non potranno essere tacitati all'infinito i popoli poveri; se non altro perché hanno dalla loro parte l'alto indice della natalità e perché dovranno essere i futuri fruitori di beni e consumi prodotti. Nessuno, nella storia è stato sempre e solo consumatore. Il terzo nodo è la cultura occidentale prevalente. Con l'ingresso nella storia che conta di nuove culture, cambieranno sintesi dottrinali e approcci ideologici. Cambierà la visione del mondo. Il quarto nodo è la scienza: chi ne avrà le redini, a che cosa sarà diretta, chi se ne servirà? Da ultimo la comunicazione: cambieranno anche i ~od~ e gli strumenti del comumcare. Non si tratta di immaginario, ma di reale: i sintomi sono sotto gli occhi di tutti. La civiltà occidentale è in esaurimento: termifler-à per autosfinimento, per le contraddizioni che si porta addosso. Coscienti. di questo, è indispensabile andare al di là del reale, almeno nei limiti di persone della vecc-hia cultura. Questo può essere un programma: occorre però un lavoro critico, duro, molto umile ed intelligente, con la consapevolezza di essere all'inizio di un lungo cammino. Senza la prosopopea delle sintesi e delle conclusioni. Senza la pretesa di essere grandi salvatori. Inseguire il contingente, d'altra parte, oltre a non servire, produce depressione; tutti abbiamo assistito alla pochezza e alla tristezza della recente crisi di governo. Piccoli giochi di nullità presuntuose. È tornato il momento di sognare e di costruire: al di là delle macerie che ci circondano. ♦ Laculturadelmaggioritario PiergiorgioGiacchè La cultura politica non è soltanto quella che fa difetto ai politici, ma anche (e soprattutto) quella che è diffusa in eccesso fra la gente. Da questo punto di vista - di una cultura vasta e lata, o se si vuole esagerare, antropologicamente intesa - la politica si riduce forse a segni spiccioli e a significati generici, ma non per questo la sua dinamica è ininfluente. Anzi, vista la povertà di una cultura politica "alta", quella che si compone dei pareri e degli umori dell'elettore "basso" (e soprattutto di quello "medio"!) diventa la sola disponibile e interpretabile. A questo livello, la cultura politica è quasi integralmente coincidente con il comportamento elettorale; con buona pace e soddisfazione di tutti quelli che la politica la gestiscono, non si danno più altri modi e momenti in cui l'azione o il pensiero politico si mescolino alla vita quotidiana della gente. Certo, si scende ancora in piazza e da qualche tempo persino la destra benpensante e agiata ha riscoperto i cartelli e i cortei, ma le nuove regole, da una parte impongono di separare la protesta economica e sociale dalla politica (guai se in uno sciopero si chiede la caduta del governo!), e dall'altra suggeriscono di leggere ogni manifestazione non sindacale come una puntata dell'ininterrotta campagna elettorale. D'altronde è vero che negli ultimi tempi, in Italia, il voto è divenuta una scadenza fissa del ciclo dell'anno; anzi, si avvia a diventare un rito che si ripete ad ogni passaggio di stagione, come se fosse giusto pretendere fino a tre, quattro raccolti all'anno da una campagna in cui non si seminano ormai che bubbèJle e zizzania. BibliotecaGinbBianco

Fra aumento della,.quantità e diminuzione della qualità, le elezioni magari si rinviano (come è appena successo) ma restano l'unico metro e l'unico argomento "politico" a disposizione di tutti. E persino loro sono ridotte al1'osso, nel senso che, lungi dal costituire un momento di maggiore sensibilizzazione politica, le elezioni sono sempre più attese e vissute come una riffa: non è più vero che la gente non le vuole, anzi sono probabilmente tanti gli elettori che le vorrebbero fare sl?esso, per pote~si ~limentar~ di sempre nuovi e mcessanti risultati. In fondo, le elezioni sono soltanto il sondaggio ufficialè, fra i tanti che eccitano il gioco della politica nostrana e sui quali si esaurisce quello "straordinario e rivitalizzato inte:~sse per la poli_tica" che tutti i commentaton mostrano di apprezzare. Le idee come i programmi, le scelte come i princìpi, non sono più oggetto di discussione, né diventano i punti di riferimento per le aggregazioni degli elettori (già "partiti"): quello che conta sono i "poli" ovvero gli schieramenti in campo, e i "leader" ovvero i personaggi in grado di far colpo sulla gente. Ma anche queste varianti sono destinate ad appiattirsi, giacché i poli in definitiva devono diventare due - uno di centro (che guarda a sinistra) e uno invece di centro (esposto verso destra) - e i personaggi possono a lungo restare nel mazzo, anonimi e invisibili. In politica, come per le carte, bastano e avanzano tre figure per ogni seme: di più, sarebbe difficile ricordarsele e diventerebbero perfino controproducenti ai fini di una ben congegnata cattura del consenso. Questa progressiva opera di semplificazione, che ha il suo perno nell'equazione fra cultura politica e comportamento elettorale, viene certo da lontano, ma ha guadagnato completezza e consapevolezza da quando si è introdotto il "maggioritario". Una modifica che tutti dichiarano parziale e imperfetta, eppure enfatizzano come "rivoluzione pacifica" degli italiani, fondazione della Seconda Repubblica, passaporto per l'Europa, eccetera eccetera. Ci si è così persi in festeggiamenti o adattamenti, ma assai poco si è speso nell'analisi e BibliotecaGinoBianco valutazione degli effetti del nuovo sistema elettorale sulla mentalità e le scelte degli italiani. C'è invece - ed è forse più sig_nificati'Y~e incisiv_ade!- le novita partitiche degli ultimi tempi - una "cultura del maggioritario", che si è propagata fra le pieghe e le piaghe del malsano rapporto tra politica e società civile, per di più con dichiarati scopi terapeutici se non addirittura salvifici. Come poi si siano realizzati i due principali obiettivi del maggioritario, quello di garantire la stabilità del governo e quello di stabilire una sorta di democrazia diretta, ognuno vede da sé. A meno che non si voglia ammettere che "non c'è stato il tempo·", che in troppi "hanno remato contro", che qualcuno ha addirittura "tradito" e che in definitiva anche il Maggioritario - proprio come è successo al povero Berlusconi - "non l'hanno fatto lavorare". No, il maggioritario, anche se non ha funzionato, ha lavorato benissimo, proprio perché tutto queHo che non si è avverato nella realtà, è comunque passato nella cultura e nella testa della gente. Il successo dei piccoli slogan appena citati, è infatti dovuto più all' ~fficacia e alla pronta presa del nuovo sistema elettorale nella pubblica opinione, che non al tanto decantato e vituperato potere televisivo. La diffusa convinzione che l'opposizione non deve ostacolare la maggioranza, che il parlamento deve considerarsi subalterno al governo, che i partiti si devono annullare nel polo che li contiene e che il leader maximo non può essere sostituito se non ricorrendo al responso delle urne, non sono i facili frutt~ della campagna pubblicitaria di Sua Emittenza, ma i risultati di una complessa ma convinta adesione della Gente al nuovo sistema elettorale e alla sua cultura. Berlusconi & soci hanno soltanto scelto di sfruttare più a fondo e per primi questa buona disposizione, hanno insistito più e meglio di altri nella difesa strenua e radicale del "maggioritarismo", lo hanno· spinto fino all'eccesso plebiscitario, ma solo dopo .aver compreso che le nuove regole del gioco elettorale, ancorché incomplete, erano già state interiorizzate e approvate dalla · maggioranza degli italiani; ovvero, dopo che avevano liberato opzioni e opinioni più · drastiche e preparato il terreno a metodi e linguaggi più sbrigativi dell'anticq e complicato politichese, software della Prima Repubblica. Insomma, il maggioritario, almeno. momentaneamente fallito come riforma politica, è però da subito riuscito come rivoluzione culturale ed ha contribuito ad orientare "a destra" la mentalità degli elettori .. Ma "a destra" in che senso, visto che la modalità e la mentalità dèl maggioritario ha da tempo cittadinanza in ogni. partito liberale e democratico (cioè sia in quelli democratico-liberali di sinistra che in quelli liberal-democratici di destra)? Ammettiamo allora di adoperare in senso arcaico e malevolo questo termine - ormai felicemente riabilitato - per collocare in una parte avversa (alle nostre convinzioni e posizioni) taluni nuovi modelli culturali che si possono considerare effetti (o difetti) del maggioritario e che - lo ribadiamo - hanno una pene- . '. trazione e un importanza superiore a qualunque mobilitazione e manipolazione televisiva. Questi effetti (ma potremmo anche dire queste "cause" del maggioritario, se è vero che erano da tempo negli auspici dell'elettorato italiano) si possono sintetizzare in due cambiamenti, o magari appena in due convincimenti: 1. la persona al posto del partito; 2. il vincitore al posto dell'eletto. Il primo punto si è affermato come l'obiettivo ufficia-. le del sistema maggioritario,

al quale era stata in fin dei conti affidata - dai partiti - la missione di abbattere il potere dei partiti. Anche chi si lamenta di averlo subìto, ha infatti in realtà sfruttato l'avvento del maggioritario per accelerare il proprio improcrastinabile "rinnovamento", affidandolo, anziché ai lunghi e incomprensibili travagli éongressuali, alla semplice ricetta di facce nuove che si sostituiscono di colpo agli emblemi vecchi. Così il Pli è diventato Biondi e la Dc si è rivelata in Casini; così, l'estrema desfra è stata assolta dalla pacata voce da presentatore di Fini (identica a quella di Mike Bongiorno) e l'estremismo di sinistra si è dissolto nell'elegante erre moscia di Bertinotti. Si dirà che da sempre i leader hanno avuto un loro potere, e talvolta persino un loro fascino, ma mai hanno trattenuto tutto per sélo spazio dell'immagine. Non si tratta ancora di culto della personalità, ma la loro griffe è almeno pari a quella degli stilisti di fama: sufficiente a lanciare una linea e a sostituire_una sigla che la _gentenon trattiene nemmeno m memoria (e che dunque non sembra poter passare alla storia). Cos'è l'Ude? il Cccl? il Prc e perfino il Ppi? Affermare però che "ai partiti si sono sostituite le persone" non vuole certo dire che le forze politiche si siano identificate e riassunte nei loro segretari: la rivoluzione è stata elettorale e dunque questo superamento dei partiti riguarda piuttosto i candidati e gli elettori. Il vero "faccia a faccia" elettorale è il loro, ed è in questo confronto che il partito è sembrato opportunamente venir meno, mentre più che il metodo maggioritario è lo stile dell'Uninominale che ha caratterizzato e mutato entrambi i poli del confronto: quando emerge il nome e il volto del candidato, dall'altra involontariamente si esalta anche l'individualità dell'elettore. Decidere se votare una persona al posto di un'altra, equivale infatti ad operare una scelta, che - oltre alle conside- . . . . raz10m superstltl sui propn interessi e sui comuni ideali - tiene conto dell'efficace "rappresentazione" del candidato, più che della sua effettiva "rappresentanza". Se il candidato acquista una sua autonomia costruendo ed esponendo la propria Immagine (al posto di quella del partito), davanti BibliotecaGinoBianco ad essa l'elettore sente di disporre di una più ampia e nuova libertà, ed avverte una sua accresciuta centralità: non gli possono raccontare balle, qui ~i tratta di scegliere facce e capacità personali. Non che s'illuda di non poter essere ingannato, ma senz'altro si ritiene più competente: in fondo è come al cinema o a teatro. O meglio, come davanti alla TV. Anche chi non è un grande conoscitore d'uomini ha comunque una vasta espenenza di spettatore e un'indubbia capacità di consumatore. Sono queste virtù personali ad essere messe alla prova nel confronto diretto con il candidato e la sua rappresentazione, ed è appunto per questa via che il maggioritario riesce a far sentire maggiorenne ogni elettore. Forse non è ancora fuori dalla tutela del partito, ma nella sua scelta sente di poter far rientrare i suoi gusti, come a dire qualcosa di infinitamente più affidabile e più autentico delle sue opinioni. È così che s' a~era la prof ezia della sua liberazione: ogni singolo elettore, magicamente sciolto dall'odiosa dittatura ideologica e dal ricatto clientelare, si riscopre proprietario individuale del proprio voto. Diventano trascurabili o perfino ingombranti le aggregazioni o le mediazioni tradizionali: al posto dell'Unità che fa la forza, ci si ricorda piuttosto di come l'individualità faccia la Libertà. Quel primo mezzo articolo della Costituzione, provvidamente ripetuto da Berlusconi, che recita "La sovranità appartiene al Popolo... (omissis)", ha lo strano potere di far sembrare regnante ogni singolo elettore, oggi che il termine collettivo del Popo1 o appare come un'arcaica astrazione, a fronte della trionfante e concreta confezione narcisistica in dotazione a ciascun Cittadino. È infatti sull'identità personale dell'elettore (moltiplicata per milioni, ma mai più sommata ad un'altra) che si basa il nuovo stile e il nuovo messaggio demagogico di tutti i partiti: la propaganda politica non si spreca più nelle promes,se e nelle rassicurazioni, ma si spende tutta in un frenetico ininterrotto plauso all'intelligenza dell'elettore (consumatore, telespettatore, ecc.), al suo essere sempre più in alto e più avanti delle idee e dei programmi del partito avversario, alle cento prove della sua competenza e serietà, alle mille che testimoniano il suo essere depositario naturale della verità. Ciò che conforta e convince l'elettore non tanto della sua sovranità quanto della sua "verità" (la verità politica, ché quella assoluta si sa è insondabile e da tempo appartiene al Mercato) è che finalmente dalla somma dei voti scaturisce la "vittoria". In questo il maggioritario ha davvero rivoluzionato le vecchie abitudini: al t~mpo de~ proporzionale non e era partito che non potesse dichiarare di avere vinto o almeno "tenuto", con grande irritazione dell'elettorato che si sentiva gabbato. Adesso, lo stesso confronto diretto, collegi o per collegio, non lascia adito a dubbi: uno soltanto può essere il vincitore. Al termine della contesa e della conta, non si dirà più "sono risultati eletti" i seguenti candidati, ma sarà chiaro quali deputati e quali partiti "hanno vinto". La cosa è talmente pacifica che, dopo quel fatidico 27 marzo dell'anno scorso, non . . . per convmz1one ma m omaggio alla convenzione del maggioritario, tutti si sono affannati a dichiarare i vincitori con una _correttez_zaesemplar~. La stona, ma pnma ancora 1 numeri, dimostravano intanto che mai si era visto un risultato più incerto, una maggioranza così spuria e traballante. Ancora nessuno sa chi abbia ad esempio la maggioranza in Senato; e inoltre, se Forza Italia è stata da tutti considerata vincitrice, lo si è dovuto al calcolo proporzionale dei suoi voti, e non al risultato ottenu- . . to m seggi. Ma questi sono dettagli oppure imperfezioni che non minano la certezza e soprattutto la soddisfazione del nuovo rapporto tra elettori e vincitori. Si ha una maggiore deferenza ma anche una maggiore fiducia nel vincitore; ci si sente insieme a lui vincente o, se è andata male, pronti per la rivincita. L'Italia è ritornata ad essere divisa come ai bei vecchi te»ipi di quando la politica tirava forte: si tratta di un gioco più superficiale ma non per questo meno gratificante - e meno cattivo. In nome della vittoria (e della verità), partiti (ed elettori) quasi uguali nelle propo~te e ~ut~i francamente mcons1stent1, s1 ergono muro contro muro, fanno esibizioni muscolari, aumentano le pau-

re (ed anche i rischi reali) del1' eversione. La differenza sta molto poco nei programmi e dunque è quasi tutta nel potere. Chiunque "vinca" dei due o più poli, tutti ormai moderati, sembra dover diventare un estremista. - Certo questo non è scritto nel maggioritari9, ma nella sua breve storia. E illuminante comunque che il primo vincitore sia stato particolarmente incapace e di troppo bassa statura democratica. La protervia politica e l'ottusità sportiva del berlusconismo non sarà la malattia obbligatoria di ogni polo vincente, ma il gusto prepotente della Vittoria (al posto della partecipazione olimpica alle Elezioni) ha intanto già contagiato quella cultura del maggioritario che ognuno adopera come ricambio ideologico della nostra cultura politica. I sondaggi in questo non sbagliano. Non sono mai attendibili nei quiz dettagliati e pettegoli _allaSant<?ro,ma una cosa la ripetono rncessantemen te: la maggioranza sta sempre dalla parte del vincitore. Come può altrimenti succedere che un imprenditore prima edile e poi editoriale, sodale di Craxi e beneficiato da Mammì, rubricato nella P2, attorniato da amici ed avvocati postfascisti, alleato con due formazioni di cultura uguale e contraria, entrambe di bassissima lega, capo di un governo che ha fatto ministro Ferrara e ha confuso Matteoli con Mattioli, che ha arrancato per mesi senza produrre nient'altro che una legge finanziaria approvata con la condiscendenza e il concorso dei suoi oppositori ... Come è possibile che sia ancora frainteso dai più come il migliore statista a disposizione, uomo di sicura fede democratica, simbolo della modernità e difensore della libertà? È semplice. Ha vinto. C'è ancora chi crede che la causa della vittoria sia la televisione, ma quello che qui si vuole sottolineare è il suo effetto. Forse si è soltanto di fronte ad un cattivo esempio, ma per ora è certo che la Persona e la Vittoria sono di per sè in grado di correggere - in senso maggioritario - la già scarsa sensibilità democratica degli italiani. . L'impressione è che questa trasformazione abbia contribuito a rilanciare la parola democrazia ma non il valore. BibliotecaGinoBianco La democrazia non si identifica nelle "regole" che tutti invocano, ma nei princìpi che molti hanno archiviato. Il maggioritario, come ogni altro meccanismo che sembri conveniente od opportuno, può darsi che sia la soluzione di un problema ma non è lo svolgimento a senso unico di un tema che ha ben altra ampiezza e ben più possibilità di quella democrazia anglosassone o (( . ,, . . . compiuta cui rnnegg1ano tutti i partiti. La democrazia è anzitutto un problema di cultura e proprio questo fa la differenza tra le elezioni all'inglese in Inghilterra e l'agognato loro accoppiamento con il girone all'italiana. E se non si vuole partecipare all'orgia demagogica, bisognerà infine riconoscere che noi italiani abbiamo tante buone qualità, ma non possiamo certo fare affidamento sulla nostra capacità e intelligenza politica. Se qualcuno ha dei dubbi, o gli dispiace ammetterlo a livello personale, guardi i suoi rappresentanti eletti. O anche, soltanto, la loro penosa "rappresentazione". (E qui il maggioritario forse non c'entra, ma come dice la parola stessa, aumenta in modo sconcertante la visibilità della nostra minorità) ♦ Sottoil cielo, in Italia, unaconfusionepiccolapiccola Marino Sinibaldi ·cominciando questo progetto, non ripeteremo la banalità sinistrese per cui grande è la con/usione, la situazione è dunque eccellente. In primo luogo perché, come è chiaro a tutti, in questa fine di secolo la situazione non è affatto eccellente, in Italia e fuori. Ma anche perché non è poi così grande la confusione. Quello che sta accadendo nel nostro paese è il contraddittorio, incompleto ma vistoso e tutto sommato rapido ricostituirsi di una nuova cultura egemone. Essa nasce per riempire un vuoto, quello che si è aperto negli anni alle nostre spalle, dopo la distruzione delle vecchie appartenenze ideologiche, confessionali e sociali. Tutte le subculture presenti nell'Italia dal dopoguerra a oggi, di destra, di centro e di sinistra, hanno in realtà cooperato perché questa consumazione si producesse. Forse il processo di modernizzazione di un paese straordinariamente arretrato e antiquato richiedeva necessariamente questo prezzo. Ma oggi siamo- in grado di misurare, molto limpidamente, che tra i valori della modernità che questo paese ha fatto propri ne manca uno fondamentale: una solida, equilibrata, consapev0le cultura democratica. Così accade che la modernizzazione italiana - e la sua recente postmodernizzazione - avviene non negando ma enfatizzando molti dei tratti caratteristici e dei connotati tradizionali della sua storia. Per i quali si può ricorrere alla categoria, benché ambigua, del carattere nazionale. Più semplicemente di quei tratti, che sembrano ormai incistati nella storia di questo paese, e che la nuova cultura di destra ampiamente raccoglie, se ne possono richiamare un paio, decisivi e attuali: la tendenza plebiscitaria, ansiosa di deresponsa-

f, 16Mro 01 R~AGlR~! ASf'€,1\AMO CHt Q\JALtUtJO Cl GUA~D\. bilizzare nel conformismo di massa le proprie scelte, d1·aggirare la pratica, necessariamente faticosa , della mediazione sociale, di legittimare ogni particolarismo, familismo, corporativismo; e la spettacolarizzazione melodrammatica, attratta dalla rappresentazione della realtà (compresa la teatralizzazione del conflitto) piuttosto che dal suo libero svolgersi. L'affermarsi - o meglio, il ribadirsi - di questi elementi in una situazione peraltro completamente nuova, in una società di massa unificata dai mezzi di comunicazione, produce due conseguenze che saranno decisive nello scenario culturale del nostro futuro e che rappresentano due motivi di interesse specifico per questa rivista. Il primo è l'approfondirsi del discredito della politica; il secondo riguarda il ruolo delle minoranze. A ben guardare, anche questi due elementi non rappresentano una novità assoluta nella stori~ culturale di ques_topaese: siamo sempre stati estremamente discontinui, in . . quanto a mteresse e impegno politico; e le minoranze, in un paese prima totalitariamente cattolico e poi superficialBibliotecaGinoBianco mente diviso tra opposte ma ugualmente "realistiche" ideologie, non hanno mai goduto di particolare popolarità e rispetto. Ma questo processo ogg_i s_embra toccare un punto limite. La crisi della politica ha infatti prodotto un movimento antipolitico di massa. Analogamente a quanto avviene un po' ovunque nel mondo, in paesi di antica democrazia e in altri di più recente "liberazione", ma con una singolare capacità di partorire prontamente uno schieramento direttamente politico e con un'accentuazione plebiscitaria dovuta alla sua natura insieme aziendalistica e televisiva. Queste due componenti apparentemente discordanti - concreta, materiale, contabile la . . pnma, programmaticamente superficiale, imbonitoria, fiction la seconda - presentano in realtà una comune vocazione alla semplificazione e si sono mirabilmente fuse in un nuovo potente senso comune, che già vanta i suoi valori e il suo linguaggio. Credo sia inutile insistere su questo aspetto, ma certamente lo stile, le forme di espressione, i contenuti della mobilitazione antipolitica italiana sono comprensibili solo a partire dalla deformazione dei comportamenti, delle forme, delle stesse tecniche del confronto e del dialogo prodotte dalla sovraesposizione televisiva. Volgarità e sopraffazione, irrazionalità e intolleranza non sono state certo inventate dalla televisione; ma la loro pubblica diffusione dall'etere in ogni casa italiana li ha_a~piamente leg~t~imati; ~ oggi dilagano, agli mcroci stradali o nelle file al supermercato esattamente come alle manifestazioni del Polo o nelle aule parlamentari. Ma la nostra autentica particolarità nazionale è che queste tendenze trovino un'immediata traduzione programmatica e partitica, secondo un panpoliticismo che s_opravvivea Tangen top o li. E questa continuità tra dimensione sociale e politica a impressionare; è questa natura uniforme dei linguaggi e degli atteggiamenti a c_Qstituireoggi la grande e "impolitica" (cioè ben più che politica) risorsa alla quale la nascente neocultura di destra può attingere. In effetti in Italia la destra si trova nella vantaggiosa condizione di poter offrire insieme il vecchissimo del nostro carattere nazionale con il rilucente nuovo di una

modernità spettacolarizzata; quando invece la grande difficoltà culturale della sinistra sta nel disagio di dover salvare quel po' di b11on vecchio che la nostr_astoria ha depositato con il nuovissimo di strategie e valori che fa fatica a elaborare. Questo svantaggio non può essere colmato in yna dimensione solamente politica. E dunque bisognerà probabilmente rassegnarsi a questo: il massimo che si può chiedere alla politica è di fermare il nemico, di intralciare o ·arrestare la marcia della destra, di evitare per quanto è possibile che quella cultura tendenzialmente egemone si consolidi in un · regime autoritario. E magari da una pratica politica un po' meno oscenà di quella del nostro recente passato si può pretendere che non contribuisca a svalutare ancora quei valori - la solidarietà, l' efficienza, l'uguaglianza, il pluralismo, la dimensione pubblica e collettiva dell'esistenza - su cui, nella società, si gioca la partita decisiva. Perché detto quello che la politica può fare e non può fare, rima1;1e il rro?lema di provare a invertue una tendenza culturale profonda che si è affermata nel nostro paese, e sulla quale per una volta concordano impressioni personali, ricerche del Censis, risultati elettorali. Dispiegatasi già nell'Italia degli anni Ottanta, quella tendenza egotista e edonista, narcisista e rancorosamente individualista, ha prodotto resistenze nobili e generose. La grande BibliotecaGinoBianco realtà del volontariato - termine che qui va inteso nel senso più ampio ma anche più rigoroso possibile - ha indicato chiaramente la dimensione e i valori di questa reazione. Ma oggi siamo di fronte a una svolta decisiva. Da un lato quegli umori negativi si stanno consolidando in una cultura con una sua forza di . . . attraz10ne ~ precisi, vmcenu referenti politici. Dall'altro, a guardarsi in giro e a leggere le statistiche, il tentativo di opporsi su scala minima, personale, volontaria, manifesta una certa stanchezza. Qui c:è un salto culturale da fare. E una volta compreso che non è la politica come è oggi, non sono i partiti - che sono diversi tra loro, e alcuni nettamente migliori di altri - a po=- ter rappresentare ed elaborare quel nuovissimo di cui c'è bisogno, la chance, l' opportunità ma anche la responsabilità stanno altrove. Nella zona della società che ha fatto del . . . propno impegno una ragione concreta di intervento e di pratica sociale in quelli che sono i settori decisivi, se dal corto respiro della politica si volge lo sguardo altrove, ai luoghi dove i processi hanno un ritmo e una profondità diversi, dove qualche speranza è lecito avere non tanto sul futuro immediato - quando il massimo che si può fare è rallentare la degenerazione, frenare la sua traduzione politica - ma su quello, obbligatoriamente più lontano, sui cui tempi va misurata la possibilità di una trasformazione culturale. Questi luoghi sono quelli della formazione e della comunicazione, delle relazioni sociali che sfuggono al mercato e al profitto, dell'aiuto, dell'assistenza, della cooperazione, del rapporto con l'emarginazione e le disuguaglianze crescenti su scala non solo internazionale. Stiamo citando realtà enormi. Ma stiamo parlando di minoranze. È questa la vera novità che bisogna essere in grado di valorizzare e di imporre. Nella storia italiana le minoranze - a parte il generale e più o meno esplicito. discredito dovuto alla loro irriducibilità alle chiese prevalenti e al culto «realistico» per il potere - hanno avuto una funzione marginale, di compensazione e sostanziale conferma dei rapporti di forza prevalenti. Di fronte alla crisi dei valori e di quel tessuto di comunicazione, di dialogo e riconoscimento reciproco che è l'unico terreno in cui la democrazia può sopravvivere, ci sono possibilità nuove, forse; e responsabilità nuove, sicurame11:te.Bis?gna pro_vare, coi propn mezzi modesti e generosi (altrimenti che minoranza saremmo?) a coglierle. Il protagonismo delle minoranze, la loro centralità culturale e sociale che si è affermata negli anni alle nostre· spalle, si trova oggi di fronte questà responsabilità. E certamente un compito difficile ma almeno è chiaro. Se la situazione non è eccellente, insomma, la confusione è piccola piccola; e lasci~ po_co sp~zio ad alibi, equivoci, erron.

PARTECIPAZ ♦ 32 PAGINEDI POLITICAE CULTURADELLASOLIDARIETA' DALLAPARTEDEGLI"ULTIMI" ♦ LEVOCIAUTENTICHEDEL SUDDELMONDO ♦ LEPOLITICHESOCIALI INITALIA Chidesiderariceverecopiadellarivistapuòcontattare: PARTECIPAZIONE, Ufficionazionale,viaLungro3, 00178Roma- tel.06-718.05.69/70 - fax718.01.97,e inviareLit.3.000in francobolliperla spedizione.Chi desiderabbonarsipuòsottoscrivereLit.30.000mediante vaglia,postale,o assegnobancarionontrasferibile,o c/cpostalen. I0608636a:ComunitàdiCapodarco,via Vallescura, 47- 63010CapodarcodiFermo(AP). Coordinatore diRedazione:GoffredoFofi mensiledella COMUNITÀ DI CAPODARCO ♦ DOSSIER SULL'EMARGINAZIONE IN ITALIA:MINORI,GIOVANI, DISABILI,CARCERI,ANZIANI, IMMIGRATI,TOSSICODIPENDENTI, ... ILSILENZIO DEGLI INNOCENTI dei 40.000 bambini che muoiono per fame e carestia, della gente di Sarajevo che vive nelle cantine, dei perseguitati dal razzismo AIUTACIA DARGLIVOCE .. ISCRIVITIALL'ASSOCIAZIONEPER LAPACE * Versando la quota minima di adesione di L. 25.000 riceverai il nostro periodico Arcipelago. * Versando la quota di L. 50.000 riceverai, oltre al nostro periodico, un libro a scelta tra: O "Qualcuno dovrà dopo tutto" (poesie e racconti dei più importanti poeti e scrittori contemporanei della Bosnia-Erzegovina) + "La solidarietà nei luoghi della guerra" (il racconto dell'esperienza di solidarietà di volontari e pacifisti nella ex Jugoslavia); O "La porta della piazza" (di Sahar Khalifa, storie della Palestina occupata)+ "Dossier Palestina". * La quota va versata sul ccp n. 53040002. Associazione per la pace Via G. Vico, 22 - 00196 Roma Te!. 06/3212242-3214606 ccp 5,3040002 BibliotecaGinoBianco

PIANETA TERRA - AFRICA Ryzard Kapuscinski Andrea Berrini .e le fotografie di Tom Stoddart SUSSULTNIELLETENEBRE Ryzard Kapuscinski In Africa, la mattina e il crepuscolo sono di gran lunga i momenti migliori del giorno. Il sole b~cia ma sono gli unici momenti in cui si riesce a vivere. Il gesto di un ragazzo Ci stiamo dirigendo verso le cascate di Sabeta, a venticinque chilometri da Addis Abeba. In Etiopia, qu.ando guidi, devi sempre essere disposto a qualche compromesso. Le strade sono vecchie e strette, stipate fino a scoppiare di gente e di veicoli e in un modo o nell'altro devi accontentare tutti. L'autista (o il mandriano o il viandante) ha sempre un problema, un ostacolo, un puzzle da risolvere: come si fa a evitare di scontrarsi coi veicolo che viene dalla parte opposta? E il mandriano cosa deve fare quando conduce il suo gregge (o la sua pecora o il suo cammello) per evitare di calpestare il bambino che si ritrova tra i piedi o uno dei tanti invalidi che si trascinano da tutte le parti? Qual'è il momento giusto per traversare senza essere travolti da un carro? E quando bisogna cambiare strada quando passa quel toro? Riusciremo a fermarci prima di investire quella donna che porta sulla testa un carico di almeno venticinque chili? Però nessuno è arrabbiato o offensivo. Non ci sono scontri, bestemmie o minacce. Silenziosamente, pazientemente, ciascuno prosegue a modo suo, e manovrando, piegandosi e tuffandosi e scansandosi, piroettando, incespicando, ognuno risale questa strada e in qualche modo riesce persino ad andare avanti. Gli ingorghi di solito vengono sbrogliati amichevolmente, e si procede, millimetro dopo millimetro. Il fiume che scorre sopra le cascate di Sabeta prima _attraver~~un canyon ~crepol~to e pietr~- so. Il fmme qm ·e basso, roccioso e pieno di rapide. Poi scende, cadendo sempre più giù, e raggiunge il bordo tagliente del precipizio della cascata. Questo è il posto dove passa la vita un piccolo etiope di circa otto anni. Si spoglia ~avanti ai turisti che si riuniscono in quel punto, si immerge nell'acqua e viene subito trascinato via dalle rapide, scivolando sul letto pietroso del fiume, e arriva proprio sull'orlo del precipizio e poi riesce a fermarsi, drammaticamente, mentre BibliotecaGinoBianco gli astanti urlano per lo spavento e per il sollievo. Allora il ragazzo si alza, risale a riva, si gira e mostra deliberatamente il sedere •ai membri del suo pubblico. Un gesto di sche;no? Un'offesa? Piuttosto, il contrario: l'esibizione è un' espressione di orgoglio (e serve anche a rassicurare gli spettatori). Il ragazzo mostra la pelle ben conciata del suo sedere, una f elle così callosa da consentirgli di scivolare su letto del fiume irto di sassi taglienti senza farsi male. La sua pelle sembra veramente come le suòle di un paio di scarponi da roccia. La distruzione di un grande esercito Il giorno dopo, siamo alle porte c;liuna prigione di Addis Abeba. Ai cancelli, una coda di persone aspetta sotto una tettoia l' apertur~ del carcere. Gli uomini scalzi e semivestiti che si aggirano vicino ai cancelli sono le guardie. Il governo è troppo povero per fornirgli delle uniformi. Dobbiamo accettare che siano loro a decidere se possiamo entrare o se dobbiamo andare via. Siamo rassegnati; dobbiamo aspettare che finiscano di chiacchierare.La prigione è abbastanza vecchia. Costruita dagli italiani, è stata usata dal regime di Menghistu, sostenuto da Mosca, per la detenzione e la tortura degli opfositori. Sopra il cancello c'è un'enorme stella e i simbolo familiare della falce e martello. Nel cortile, scopriamo un busto di Marx. Oggi, il governo attuale vi ha rinchiuso i più vicini coJlaboratori di Menghistu: ex-membri del comitato centrale, ministri, generali dell'esercito, poliziotti. Nell'estate del 1991 - quando Menghistu cadde, riuscendo a fuggir~ all'ultimo momento in Zimbabwe - ricorreva il diciassettesimo anniversario del suo regime. Fino a quell;i data, Menghistu, con l'aiuto dei suoi amici di Mosca, aveva costruito il più potente esercito di tutta l' africa sub-sahariana. Forte di 400.000 unità, armato con i missili e gli armamenti chimici più sofisticati, l'esercito aveva combattuto contro la guerriglia nel Nord (in Eritrea e nel Tigrai) e nel Sud (Ogaden) del paese. I guerriglieri erano dei contadini scalzi; molti di loro er;mo solo dei bambini; erano male armati, affamati, inzaccherati. Ma nell'estate del 1991, riuscirono a costringere questo fortissimo esercito a ritirarsi ad Addis Abeba, e gli europei fuggirono dalla capitale temendo che stesse per scatenarsi un tremendo massacro. Non accadde nulla del genere. Quel che accadde invece avrebbe benissimo potuto essere la scena di un film che si sarebbe potuto chiamare: La distruzione di un grande esercito. Il potente esercito di Menghistu si sgretolò poche ore dopo la sua fuga dal paese. I soldati -

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