La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 1 - febbraio 1995

inte;~ssi forse inedita. Obbligatoria è comunque la presa di coscienza dei mutamenti indotti nel rapporto col mondo e èon gli altri dal decadimento biologico e funzionale, dal fantasma della morte, dalla frusHazione delle ·poche cose rimaste da fare, dalla percezione che si abbia poco da dare e molto da chiedere. Quando questa è la condizione mentale, la conflittualità - o quanto meno la ~inuncia ad Operai: . una progettualità nel rapporto-con gli altri - è conseguenza altamente probabile. E il lavoro di comunicazione assistenza e cura del1' anziano si fa compito ancora più arduo, ma anche più indispensabile. Un "welfare con disincanto", quindi: almeno come antidoto allo shock della fatica necessaria del lavoro di cura e del dialogo fra generazioni. ♦ il nododell'orariodi lavoro Rinaldo Giano/a Quando, qualche anno fa, il socialdemocratico tedesco Oskar Lafontaine pose la questione "politica" della riduzione dell'orario di lavoro, le reazioni furono di due tipi: qualcuno lo prese a male parole, altri gli diedero del matto. Oggi l'ex leade_r della Toscana Fraktion - così chiamata perché radunava i suoi fedelissimi sulle colline del Chianti - può prendersi qualche rivincita postuma. Il problema della riduzione dell'orario di lavo!o, per creare nuova occupaz10ne o per difendere l'esistente, è al1'ordine del giorno in tutti i grandi Paesi industriali d'Europa, in particolare in Germania e in Francia. . La Volkswagen, la più grande casa automobilistica europea, accetta il taglio da 36 a i8 ore settimanali, su quattro· giorni lavorativi, con uri modesto sacrificio salariale ·dei dìpendenti. Proprio in Germania il modellò Volkswagen, che secondo imprenditori e sindacalisti italiani non poteva essere estendibile né tantomeno esportabile, viene oggi proposto come base di un nuovo patto sociale che prevede per l'intera struttura industriale meno orario e meno salario. E il governo conservatore di Helmut Kohl, invece di respingere questa ipotesi, offre la sua disponibilità a trattare. Non è finita. In Francia il Se._ nato approva una legge per la riduzione progressiva dell' orario da 39 a 32 ore settima~ali. In Belgio il governo·propone ai dipendenti pubblici la settimana di quattro giorni, con un modesto sacrificio sa~ lariale. Cosa sta accadendo? Parigi e Bonn sono state forse espugnate da pericolosi _estremisti? Kohl e Balladur hanno perso la testa? Niente di tutto questo. La gravità del problemà dei senza lavoro, non più congiunturale ma strutturale dei sistemi economici, obbliga governi, imprenditori, lavoratori a studiare e perseguire nuove strade. E in tutti questi casi l' es_perienza, il pragmatismo, fanno premio sull'approccio e il pregiudizio ideologico che, invece, dominano ancora nel nostro Paese. L'allarme disoccupazione - 36 milioni i senza lavoro nei paesi Ocse - si è riverberato dagli anni della più dura recessione del dopoguerra a questo 1995 di forte ripresa economica. I dati del prodotto interno· lordo -e.della produzione industriale dei Paesi europei se-: ,. gnano performances brillan.:. tissime, eppure non si crea nuova occupazione. L'Italia va peggio di tutti. Secondo l'Eurostat siamo il Paese che ha perso più posti nel '94. Per l'Istat ci sono 420mila disoccupati in più, 500 mii.i"°secondo la Cgil. Il 12,3 per cento della popolazione attiva non ha un'occupazione, al Sud questo tasso supera il 20 per cento e almeno un giovane su due è senza lavoro. Al di là delle cifre, e trascurando la propaganda berlusconiana del milione di posti, nessuno ormai nega che quella del lavoro sia la prima emergenza nazionale. E, come era già chiaro durante i recenti anni della crisi, appare BibliotecaGinoBianco evidente oggi che non è solo la. recessione ad aggravare la disoccupazione. E', invece, la stessa evoluzione del sistema industriale, sono la diversa dislocazione geografica delle imprese e le innovazioni nei servizi a determinare la necessità di trovare nuovi strumenti di equilibrio tra produzione e lavoro. Sta cambiando velocemente il modo di produrre, le tecnologie - almeno per un _lungo periodo - riducono l'occupazione, le innovazioni accrescono la produttività ed emarginano il lavoro. Dopo aver rinnovato tutti i fattori della produzione, scoperto le macchine e le automazioni più efficienti, inventato i sistemi più raffinati per il reperimento e l'impiego di capitali, òggi sembra finalmente prioritària e centrale la riforma del lavoro, proprio a partire dallo studio di nuovi orari. Se un confronto sull'orario di lavoro è un'occasione per w • scelte decisive iri Europa, se la settimana corta fa dire a François-Mitterrand che "que- ~·1:a è' una:·cl:elle_grandi·battaglie a favore dei bvoratori", se il 71 per èento dei tedeschi, ~secondo un sondaggio !della "Bild Zeitung", si dichiara favorevole a questo cambiamento, in Italia, invece, non è possibile discutere serenamente né fare qu?llche passo avanti in questo campo. Il dibattito rimane a livelli deprimenti. I pregiudizi e gli steccati politici e ideologici hanno finora impedito che maturasse almeno qualche serio tentativo, qualche esperimento. La riduzione dell'orario nel nostro Paese ha ancora una valenza eversiva. Gli imprenditori, almeno quelli con qualche buona lettura alle spalle, temono la riproposizione di antiche minacce ("Lavorare meno, lavo-

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