già estenuata dalla guerra nel '42. Aveva già mandato al fronte tutti gli uomini, molti li aveva persi. Quindi aveva bisogno assoluto di importare manodopera maschile o femminile e quindi se la procurava, e lo ha fatto con estremo cinismo, ma con razionalità. Si apre anche da noi, già da qualche anno, un dibattito sull'estraneità. Ora che in Italia cominciano ad arrivare lavoratori stranieri, soprattutto dal magreb, possiamo osservare quanto sia difficile liberarsi dal timore, dai pregiudizi verso chi è diverso. Si deve comunque constatare che non siamo ancora sufficientemente educati a recepire lo straniero. In questi atteggiamenti, anche se non direttamente xenofobi, ma di rifiuto, c'è una pericolosità, non crede? Ma non potrà durare a lungo. Abbiamo assistito a Torino, precisamente, all'immigrazione di massa di 600mila meridionali. La cosa è stata traumatica all'inizio, erano considerati degli stranieri. Ma nel giro di una generazione, una sola, il fenomeno ha cessato di esistere. Ci sono stati dei matrimoni misti, dei figli, i quali hanno studiato nelle scuole locali. Ormai il meridionale a Torino non viene più percepito come un forestiero. Lo stesso credo che sia destinato ad avvenire per i lavoratori che sono veramente forestieri: per questi indonesiani, nordafricani, tunisini, filippini, soprattutto donne, che sono assunti qui. Certamente è uno sfruttamento a diversi livelli. Ne ho una qui di fronte, ma mi pare che sia come una colf italiana. Non so. Certamente è un'esiliata perché non sta nel suo paese, sta altrove. E questo solo fatto dello sradicamento è molto grave. Lo vedo però come una costante. Ho letto di recente che tutti gli eserciti classici, a partire da Alessandro il Macedone, gli eserciti ebraici dei tre Re, Saul, David e Salomone, avevano dei mercenari. Il fenomeno di importazione di manodopera per i lavori più sporchi, compresa la guerra, è un fenomeno di sempre. Oggi però abbiamo strumenti legislativi. Non credo che si possa importare tranquillamente una filippina e pagarla ad arbitrio. Anche se molti lavoratori stranieri sono illegali. In questo forse la Germania ha qualcosa da insegnare all'Italia. Ho visto un film al Goethe dove facevano vedere le cose come stavano. Certo, non bene. Però in salita, non in discesa. Verso una maggior consapevolezza sindacale da parte dei turchi ed un maggior sforzo da parte dei tedeschi. Cosa possa accadere in futuro non so. Oggi c'è disoccupazione anche in Germania, e se c'è disoccupazione i primi a tornare alle loro povere case saranno i turchi. Le nuove generazioni che vivono una realtà diversa e lontana - come lei ha constatato - dai fatti della storia, specie da quelli gravi e crudeli come il nazismo, come possono costruire la loro identità etica e non rischiare di perdere l'identità prodotta dalla storia? Mi pare un problema che non si pone. Non esiste attualmente un pericolo di perdita di identità. Semmai può esistere il pericolo dell'acquisizione di una identità falsa, cioè di una falsa posizione di superiorità. Ma dal punto di vista del mio osservatorio, per quanto parziale, la mia impressione è che non ci sia questo pericolo .. I nostri dodicenni, quattordicenni, sono dei ragazzi distratti, fortemente, forse anche deliberatamente distratti, ma con un fondo che è certamente positivo. Viaggiano, cominciano presto a viaggiare. Si prendono il sacco a pelo e vanno in BibliotecaGinoBianco giro per il mondo. È una cosa che è ormai comune a tutti. Non occorre essere ricchi per farlo. E questa mi pare una cosa molto positiva. Vuol dire mettersi a confronto. Vuol dire mettersi deliberatamente nella posizione di straniero. Sentirsi stranieri, e ci si accorge che sono barriere facilmente valicabili. Sotto qu.esto aspetto penso che proprio gli Stati Uniti siano un esempio. Qualche anno fa ci sono stato, ed era un fenomeno impressionante per me, vedere in mezzo a Manhattan, alla Babilonia moderna, aÌ gigantismo di Manhattan, due bianchi dormire in mezzo alla strada. Abitano lì. Certo questo è l'effetto del capitalismo, o di un certo capitalismo estremo. La discriminazione razziale c'è, ma è palesemente in regresso. Per andarla a trovare bisogna andare a cercarla in Sudafrica. Di cui non so quasi niente. E lì è una situazione difficile, che difficilmente sarà risolta senza sangue. Negli Stati Uniti però vediamo che si sta slittando. La via sembra essere quella verso l'integrazione. Inoltre vi è una tale mescolanza di linguaggi, che mi pare sia l'identità americana a scomparire. Mio figlio è stato ora a Francoforte e mi diceva, "non è una città tedesca". Quindi la via è verso l'integrazione. C'è in generale una attenuazione dell'identità nazionale. Anche in campo letterario si nota questo. La poesia, la letteratura, sconfinano. Come si racconta un'esperienza cosìprofonda come la sua? Cosa si deve o forse non si deve raccontare alle generazioni future? Io penso che teoricamente vada raccontato tutto. La mia esperienza con i miei due figli è stata completamente diversa. Io ho due figli che adesso hanno rispettivamente 38 anni la ragazza e 29 il ragazzo. Ci sono nove anni di differenza, sanno benissimo tutto, hanno letto i miei libri, però non mi hanno mai permesso di parlarne. In diversi modi. Io ho provato, perché mi sembrava doveroso, quando avevano una quindicina d'anni, raccontare loro, come fa un padre, quello che mi è successo. A distanza di nove anni, tutti e due si sono comportati allo stesso modo: cioè sono impalliditi, si sono messi a piangere e sono scappati. Dopo di allora, io so benissimo che loro leggono i miei libri, perché glieli regalo, che li riregalano, perché me li fanno firmare e li offrono ai loro amici, però mi vietano di parlarne in casa. Mi vietano con i fatti. Mi rendo conto perfettamente che è "Unanstaendig" (indecoroso, sconveniente, ndr) da parte mia il forzarli su questo argomento. Mi vogliono, vogliono in me un padre normale, e mi accettano come un padre normale. Proprio di recente dovevo scrivere un testo in inglese per un giornale americano. L'ho fatto e poi ho chiesto aiuto a mio figlio, che l'inglese lo sa meglio di me. E lui mi ha fatto delle correzioni puramente formali, ma sul contenuto non è assolutamente entrato. E questo è normale, è regolare. Mi ha chiesto le bozze di questo manoscritto, lo ha letto, e poi mi ha segnato a margine le correzioni, puramente formali. Sul testo non è voluto entrare. Questo si può interpretare in due modi. È chiaro che è diverso sentir raccontare queste cose da un terzo, da un estraneo, da uno che queste cose non le ha vissute. O da uno che porta il numero sul braccio come me. Una cosa che io ricordo benissimo quando mio figlio aveva tre anni, ed era estate, ha visto me con un mio amico, anche lui reduce ed ha visto il numero tatuato in tutti e due e mi ha chiesto, ha chiesto: "perché tu e Nardo siete scritti?". Io gli ho dato una spiegazione assolutamente da tre
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