Una città - anno VI - n. 50 - maggio 1996

~@'Hf'/H,._....,,,._,.,.,._,, -#"r--"" ·:-: ½' ¼ ~x- ~ t ~ a $ .,,, ,.,,,.,y.,k/ ~.; ~I"' ....... ~ • :,,...,w,."",,,,,,..,,,...,,...,.,.,.~,...,,..,., , - -~/H,,n-v; ~- ..., W,.c:; •N''.-~;,~~;,._ . -:~,~- ~~#.fY'.?.!~ ~ ..•f • ,, - · ~"""'m ~~'i'{, • 111agg10, LA FRAGILITA' DELLECOSE e la loro conservazione premurosa, insieme all'indignazione per il privilegio e la prepotenza dei potenti e delle loro ruspe, è il fondamento di una possibile sinistra e l'opportunità di questo centrosinistra. Intervista a Adriano Sofri. In seconda e terza. DOPO I DOROTEI è il racconto di Ilvo Diamanti sulla realtà straordinaria del Nord-est in cui tutto è cambiato nel giro di una 'generazione. In quarta e quinta. LE FESTEDI APRILE sono quelle che si sono svolte, di nuovo in pace, a Sarajevo. Lettere da Sarajevo, in sesta e settima. Insieme all'intervista DA BERLINO a Birgit Cramon Daiber. LO SCAMBIO DELLEORE è la proposta della banca del tempo, portata avanti da gruppi di donne, in varie città italiane. Intervista a Adele Grisendi. In ottava e nona. IL SOGNO DI UN HOBBY e di un lavoro è quello di un ragazzo palermitano che ci racconta la sua infanzia in un quartiere popolare. In decima e undicesima. Attraverso MIRIADI DI COMITATI in molti paesi dell'Asia, spesso con regimi dittatoriali al potere e con straordinari tassi di crescita economica, passa la partecipazione popolare e /'opposizione. Intervista a Renato Novelli. DA PHNOM PENH Andrea Canevaro ci racconta di un paese in cui sembra mancare il tessuto connettivo. In dodicesima e tredicesima. Ne IL BOSCO DELLEQUERCE un gruppo di amici della Lega Ambiente di Seveso ci racconta come sono tornati a radicarsi e a prendersi cura di una terra colpita dalla catastrofe di vent'anni fa, dalla quale erano fuggiti. In quattordicesima e quindicesima. Ne LA SOLITUDINE DEL MEDICO Gianni Pettenella ci spiega i problemi di un medico di base che non vuol essere un semplice passacarte. IL TERRIBILEPARADIGMA è l'intervista a Roberto Marchesini sull'inferno degli allevamenti industriali, vere bombe biologiche pronte a scoppiare anche sull'uomo. In sedicesima e diciassettesima. Ne I PROTOCOLLI DELLO STERMINIO Pierre-André Taguieff ci fa la storia dei Protocolli di Sion, un falso testo antisemita che, per un caso della storia, divenne una macchina da guerra dei nazisti spianando la strada alla Shoah. Perché il mito del complotto mondiale ebraico ha fondato la moderna psicologia di massa. In diciottesima e diciannovesima. MISS BIBLICUM è il racconto di Maria Luisa Rigato, la prima donna in Italia a laurearsi in teologia, sulle lotte per conquistare la parità con gli uomini e sul rimpianto perché dal novembre scorso l'idea del sacerdozio femminile è stata bandita definitivamente. In ultima. In copertina: ragazzi di Napoli. e

un mese ~ a un anno I La profetica aspirazione federalista di Alexander Langer. Le persone di buona volontà e l'esperienza del nostro privilegio di fronte al male che ci accerchia. La mitezza, la sobrietà dei nostri genitori. Il senso delle parole di ritorno dalla Bosnia. La combinazione fra buona conservazione e avversione alla prepotenza come fondamento della politica. L'opportunità del centrosinistra. Intervista a Adriano Sofri. Volevamo parlare del libro che raccoglie tutti gli scritti di Alexander Langer di prossima uscita nella collana Fine secolo, che curi per Sellerio. Ma proprio per l'attualità straordinaria di alcuni temi cari ad Alexander Langer, pensiamo al federalismo, è inevitabile chiederti anche della situazione politica, dopo la vittoria, che tutti ci auguravamo, del centrosinistra, ma anche dopo quella, per nulla rassicurante, della Lega. Spero che tanti leggano questo libro di Alexander Langer. E non lo dico solo perché sono io a curare la collana in cui il libro compare, ma per una ragione molto concreta: conoscevo ed ero amico di Alex da moltissimi anni e mi pareva di conoscere la quasi totalità delle cose su cui lavorava. Tuttavia, rileggendo i suoi testi, quasi sempre estemporanei, molto spesso di occasione, quasi sempre scritti in fretta, in un arco di tempo così lungo, dalla sua adolescenza fino alla sua morte, io stesso sono rimasto sbalordito dalla profondità, dalla versatilità, dal coraggio, sempre combinato al! 'applicazione, allo studio, alla competenza, che mostrano. E' anche comprensibile che mettere insieme tanti scritti che coprono una parte così ingente della vita e dell' impegno di una persona, qualunque sia la persona, faccia valutare quella parte di grandezza che c'è in ognuno, ma I' impressione che fa questo volume è enorme e, devo dire, mette anche soggezione. Durante la campagna elettorale mi veniva costantemente fatto di pensare a come fosse molto difficile, forse impossibile, una combinazione fra il suo modo di stare nella politica e la politica stessa, sia pur rinnovata come tanti generosamente tentano di fare, non semplicemente nei contenuti ma anche nelle forme, nei modi di partecipazione umana, nella cosa più importante: il linguaggio, le parole da dire e da ascoltare, che erano la vera ricchezza di fondo di Alex. Spero davvero che le persone che hanno conosciuto Alex e quelle che non l'hanno conosciuto facciano l'esperienza dell'incontro con questo lascito. Riguardo poi all'aspirazione federalista varrebbe la pena di tornare, prima o poi -e ricordo che ne parlavo già con Alex molti anni fa- su un interrogativo solo apparentemente semplice, che può suscitare risposte snob e compiaciute, e invece esigerebbe una risposta complicata: come mai temi importanti, decisivi, giusti, preziosi, se vengono proposti nella loro veste migliore falliscono, mentre se vengono recuperati e riproposti nella loro veste peggiore, esplodono e dilagano come vere epidemie? Sarà interessante ripensare a tutto il lavoro che ha fatto Alexander Langer combinando, in una situazione specifica come quel la del Sudtirolo-Alto Adige, l'alternativa verde con la difesa della convivenza fra le minoranze. La questione federalista poggiava contemporaneamente sulla riflessione ecologico-sociale, da una parte, e su quella intorno alla specificità di quella situazione, dall'altra. Ma già negli anni in cui prevaleva l'idea "rivoluzionaria" di estrema sinistra e noi stessi, sia pure riscattati da un 'idea di un'unità del proletariato, di amicizia nord-sud, rischiavamo di avere ancora una nozione abbastanza centralistico-organica della questione dello Stato, anche allora per Alexander Langer la questione delle autonomie, delle minoranze, della convivenza che oggi, con una brutta parola, si chiama etnica, era essenziale. Ricordo le sue battaglie indefesse, trattate quasi caricaturalmente dagli altri, compresi i suoi amici, per insegnare alla gente che c'era una gran differenza fra l'espressione Trentino e l'espressione Alto Adige-Sudtirolo e che quando si diceva Alto Adige bisognava ricordarsi di aggiungere Sudtirolo e viceversa. Abbiamo capito poi che non erano semplicemente questioni di etichetta nominalista, di nomenclatura geopolitica o storica, di suscettibilità. Qpando, dopo la fine di quel l'idea della rivoluzione classista, Alexander Langer ha continuato a fare politica diventando un esponente molto importante dell'ecopacifismo, questo suo retaggio federalista è arrivato nella sua regione ad avere una consistenza quantitativa molto forte: la lista per l'Altro Sudtirolo ebbe percentuali elettorali di assoluta rilevanza in un paese come l'Italia in cui, allora, un risultato elettorale si giocava su percentuali minime. Ebbene, quando si considera un risultato elettorale come quello del 21 aprile nel Sudtirolo, dove la lista apertamente secessionista di Eva Klotz ha avuto un 'affermazione clamorosa ai danni della Svp, alleata con l'Ulivo, si capisce cosa significhi l'assenza di Alexander Langer e, prima ancora, che quel suo impegno, quei risultati ottenuti, non siano mai stati seriamente valutati dal complesso delle persone che in Italia, nell'arco degli ultimi quindici-vent'anni, hanno fatto politica, non dirò di sinistra, ma democratica. Consideri allarmante anche il risultato della Lega? E' sicuramente l'aspetto più allarmante di questo risultato elettorale che, viceversa, è consolante, fortunoso forse, fortunato senz'altro. E non credo che rispetto al risultato della Lega, di cui pure ha beneficiato il centrosinistra a scapito del Polo, possiamo permetterci lo stesso stato d 'animo, di viva soddisfazione, che tutti abbiamo provato nei confronti dell 'affermazione di Rauti. Il mio, almeno, è fortissimamente preoccupato. si affrontano problemi solo quando sono irrisolvibili In molti avevamo la convinzione che in qualche modo il pericolo fosse scampato o, comunque, fortemente attenuato. Io poi ero rimasto persino ammirato di come fossero riusciti a giocarsi Bossi, dopo che sembrava che Bossi riuscisse a giocarsi tutto il ceto politico italiano postcraxiano, con uno scherzetto come quello dei 200 milioni orchestrato dai servizi. Bossi e i suoi mi sembravano ormai relegati in una posizione statica e folkloristica, con una presenza, nel teatro politico italiano, ancora rilevante, ma congelata. Altri erano stati addirittura più ottimisti: ho visto con stupefazione che, per esempio, in una certa parte dello schieramento di centrosinistra, negli ultimi due anni, si è arrivati, non a pensare, perché quello più o meno l'hanno fatto tutti, ma proprio adire e a scrivere che finalmente si poteva finirla con questa balla del federalismo. Purtroppo, sembra che i problemi, casomai solo per pigrizia e distrazione, non si affrontano finché non si sono imposti come problemi ormai non più risolvibili. Nel- ]'arco brevissimo di questo tempo ne abbiamo avuto l'ennesima dimostrazione: di fronte alla prima esplosione bossiana, tutti a scoprirsi federalisti, a rivendicare l'appartenenza del federalismo al proprio patrimonio genetico; adesso, di nuovo, si corre ad annunciare misure drasticamente federalistiche. Ma ora questa specie d'impegno unanime rischia di arrivare tardi. Di fronte a movimenti sociali impetuosi le concessioni spesso non fanno che attizzare i movimenti. La domanda è rinfocolata dall'offerta. Purtroppo, quando il movimento è alto non si può fare altro, essendo al potere, che ostacolarlo rigidamente, senza offrirgli alcuna flessibilità. Misure seriamente federaliste, prese nella fase normale della vita politica e civile di questo paese, avrebbero naturalmente avuto un rilievo molto forte nel ridimensionare e, al tempo stesso, nell'incanalare questa spinta, magari verso altri sbocchi, verso altri pretesti, ma raccogliendone anche la qualità positiva. Oggi, a ridosso di questo risultato elettorale, ho dei fortissimi dubbi 2 UNA CITTA' o e credo che tutti debbano averli. Siamo oltre una soglia di sicurezza? Parlo da profano di questi argomenti e degli stessi luoghi in cui questa scena si svolge, ma le persone che si ascoltano dopo questo voto non sono più i leghisti di tipo populista, anche macchiettistico, folkloristico, della prima fase, ma imprenditori con belle facce, serie, con una buona padronanza di eloquio che, con argomenti molto forti e ragionati, raccontano dei loro record produttivi e degli inceppi che trovano per effetto non tanto dei salassi fiscali quanto dei servizi carenti, della congestione dei tir sulle vie che li portano verso quel Centro Europa cui ormai appartengono non solo geograficamente, ma anche produttivamente e culturalmente. Questo mi sembra un segnale molto più profondo e solido che non il voto di protesta o il populismo leghista-valligiano della fase più lumbard. Può darsi che queste siano tutte sciocchezze, ma se non immaginiamo la secessione, e speriamo di non doverla immaginare, come un processo in forma jugoslava, con contrapposizioni che diventano ideologico-etniche, che assumono una forma razzista, che si traducono addirittura in episodi violenti, ma, viceversa, la immaginiamo come una specie di sanzione formale ed efficace non solo della distanza, ma della separazione fra il nord e il resto dell'Italia, forse si può anche pensare che questo risultato elettorale, a parte la soddisfazione per lo scampato pericolo della vittoria di Alleanza Nazionale e del centrodestra e per la speranza e le promesse messe in campo dall'affermazione dell'Ulivo, abbia segnato la vera attuazione della secessione. Si può pensare che forse, nelle forme che poi le alchimie istituzionali dell'Europa Comune nel prossimo periodo consentiranno, I 'euroregionalizzazi'one di quel la che ormai tutti chiamano la Padania sia già avvenuta e che non se ne tornerà indietro. Dopodiché molte persone, in particolare in quelle zone, sono meno allarmate e meno pessimiste. Per esempio vedono con minor preoccupazione di uno spettatore esterno, le venature razziste, antimeridionali e antimmigrati, di questo stato d'animo pada~ no. Sottolineano come l'accoglienza nei confronti degli immigrati sia addirittura migliore che in altre zone. E certo non hanno torto se paragoniamo quello che succede nel bresciano, nel bergamasco o nel trevigiano con la pulizia etnica fatta in ventiquattr'ore dalla camorra con un ordine portato brevi manu, manescamente, casa per casa, a Santa Maria Capua Vetere. Probabilmente è anche vero che il centro intorno a cui questi spiriti, anche potenzialmente razzisti e incarogniti, si sono coagulati, è la questione dell 'avversione a Roma, alla Roma ladrona, parassita, centralista, ma i risultati elettorali, e qualcuno, mi pare, l'ha sottolineato, dimostrano come stia affiorando un'avversione antiurbana nello stesso nord. La differenza fra il risultati di Milano e quelli della Lombardia è impressionante e segnala un fenomeno che mi pare, ma posso anche sbagliarmi, senza precedenti nella storia d'Italia: una galvanizzazione dell'Italia, non semplicemente contro il centralismo della capitale, non già contro l'unità nazionale, ma proprio contro le grandi città intese come luoghi di burocratismo, di parassitismo. Un'avversione agli stessi stili di vita metropolitani, che evoca un rapporto con le radici, un tradizionalismo primitivo, a mio avviso molto pericoloso, foriero di conseguenze brutte. Un altro risultato amaro, pur nell'affermazione dell'Ulivo, è quello dei Verdi, per altro non inaspettato per il senso di sfiducia, di rassegnazione a una perdita di prestigio ideale, che tanti hanno avvertito crescere attorno a questa formazione. Anche qui il pensiero non può non correre ad Alexander Langer. Dei Verdi posso dire solo che l'esistenza di associazioni ambientaliste forti e influenti, l'esistenza di una politica ex professo ecologista e verde, l'esistenza di singole persone competenti e caratterizzate per il loro impegno sui temi ecologisti, sui temi della dannazione e della salvezza del pianeta per mano dell'avvelenamento umano, tutto questo a me sembra una necessità assoluta e da salvaguardare in ogni forma, ivi compresa una misura inevitabile di burocrazia verde. Detto questo però, quando paragono non solo la ricchezza e la varietà delle questioni cui si è applicato nella sua attività, anche di politica istituzionale, Alexander Langer, ma l'ispirazione, la grandezza d'animo con cui ha affrontato i problemi del destino del mondo e lo sforzo inesauribile, e poi alla fine esausto e logorato, con cui ha cercato di tradurre questa grandezza d'animo in azione efficace, nell'utilizzo migliore dei meccanismi istituzionali e della politica professionale, persino nei suoi aspetti deteriori, da far giocare a vantaggio delle battaglie essenziali; quando paragono questa specie di combinazione fra l'impegno a risolvere il debito del Terzo Mondo con le cose minutissime che sembrano a tutti noi, sicuramente a me, indegne di occupare il proprio tempo, come per esempio incollare francobolli sulle buste da spedire in giro chiedendo piccole sottoscrizioni; quando uno paragona questa attività, questo spirito dell'impegno politico, civile e morale di una persona come Alexander -che, se Dio vuole, non era l'unico a cercare di vivere in questo modo il proprio impegno politico e civile- con la politica in generale, ma anche con le parole e gli atti della stessa politica dei verdi, ci si accorge di un divario che è diventato troppo forte. Forse lo era diventato anche dal lato di Alexander e questo aveva, in qualche modo, aggravato la sua solitudine e la sua fatica. Credo, però, che questo divario fosse diventato troppo forte anche per I 'eccessiva piccineria e riduzione di orizzonti dei verdi stessi. Non ho alcuna intenzione di denigrare il lavoro di nessuno, mi sento un partecipe affezionato. gli ultimi a essere miti e sobri per scelta e per educazione Vorrei solo esortare le persone che fanno queste cose a non avere paura di questa aspirazione alla grandezza, di non avere paura di questi orizzonti così spalancati, così apparentemente infiniti e capaci d'indurre allo smarrimento e al naufragio, perché mi pare che il problema, oggi, sia quello lì. Non abbiamo di fronte una politica verde limitata dal proprio eccesso di magnanimità, ma soffocata da un 'eccessiva autoriduzione, oltre che da meccanismi di conservazione, di identificazione eccessiva con ruoli e cariche che sono fin troppo umane. Malgrado il risultato elettorale positivo, non ci si può levare dalla testa l'idea che fra gli orizzonti vasti di cui parlavi e la politica ci sia uno scarto quasi incolmabile. Qual è il problema della politica e in particolare di una politica che voglia dirsi di sinistra? Io vedo questo problema: come conciliare il premuroso, sollecito, spaventato, trepidante conservatorismo di cui molti di noi sono diventati portatori con l'avversione alla tranquilla e cinica abitudine dei ricchi e dei potenti ad avere voglia di conservare, anzi di accrescere, la propria ricchezza, potenza e prepotenza. Le persone che forse sentono di più questo problema sono quelle che, senza essere spesso neanche di sinistra, fanno esperienze di volontariato, di attività volontarie, persone di buona volontà. Uso questa espressione perché nelle lingue slave non esiste la parola volontario come l'usiamo noi: si dice buon volontario, persona di buona volontà. E questo tiene presente l'eventualità di essere volontario del male, di scegliere intenzionalmente di fare cose cattive, distinguendo nel volontariato la buona dalla cattiva volontà. Mi sembra un'accezione più corretta della nostra, solo positiva, sempre che non vogliamo tornare, malgrado i tempi, a sostenere che la volontà del male è semplicemente una forma di ignoranza, di manchevolezza, un difetto, per così dire. Allora, le persone di buona volontà -e bisogna riconoscere che, nella stragrande maggioranza, in particolare fra i giovani, sono cattolici e che da questo punto di vista non si è riequilibrata la sproporzione fra sinistra laica e cattolici- fanno tutte, in maniera esistenzialmente forte e turbante per loro, l'esperienza del privilegio della loro vita. A volte partono dalla sensazione del proprio privilegio per rivolgersi a quelli che sono più sfortunati, più deboli, più poveri, svantaggiati; a volte, alla ricerca di un complemento magari marginale della loro vita abituale, scoprono la presenza, la diffusione, la radicalità della sofferenza, del dolore, dello svantaggio materiale. L'effetto di questa scoperta è che si danno da fare ed è un effetto essenziale perché le cose che fanno vanno a coincidere con quelle che sentono e pensano. Ma c'è anche un effetto che, pur essendo secondario, è molto rilevante: una consapevolezza, un 'attenzione, una suscettibilità quasi fisica alla fragilità della vita e, in particolare, alla fragilità e alla vulnerabilità del benessere sociale, della pace, della salute personale, una sensazione a fior di pelle dell 'imminenza, dell'incombenza, della diffusione della sofferenza, della malattia, del dolore del mondo, dell'ingiustizia. Allora, quando queste persone si occupano di politica, quando, cioè, si occupano della generalità dei problemi del mondo che non possono maneggiare personalmente, la sensibilità alla fragilità delle cose, alla facilità della perdita, della rottura, della distruzione, della devastazione si traduce in uno spirito di buona conservazione, di attenzione, di premura, in una cura molto forte nel maneggiare le cose. Questo è il punto di partenza di qualunque ragionamento sulla politica. Su questo pensi che la generazione precedente alla nostra avesse qualcosa da insegnarci? Quello dei nostri genitori, quand'eravamo o piccoli o ragazzi, ci sembrava il buonsenso rispettabile, ma insopportabile, delle persone che avevano vissuto sempre della dilazione, dell'investimento differito, dell'attesa delle prossime generazioni, del sacrificio di sé in nome dei figli, del risparmio. Era l'avvertimento a ricordarsi sempre di spegnere la luce, a considerare peccato mortale buttare via il pane,era un 'educazione ad abituarsi a trattare le cose con cura, a non essere bruschi nei movimenti, a non essere maldestri, a ricordarsi che le cose sono frangibili, che le cose si rompono. Tutt'al più ci faceva simpatia, in qualche caso ci faceva arrabbiare, dato che la nostra principale ansia era di rompere al più presto possibile tutte le cose, era di trovare il punto che le rendesse veramente frangibili. E credo che la ragione profonda per cui i nostri genitori avevano pensieri, e anche voti, moderati, a prescindere dallo schieramento che sceglievano di votare, dipendesse dalla sensazione di dover preservare qualcosa che era minacciato dal destino del mondo, e anche dalle persone incuranti, un po' brutali e un po' rozze. Credo che l'ultima generazione, quella dei nostri genitori, sia stata fantastica sia stata l'ultima a essere sobria per educazione, gentilezza d'animo, mitezza, positivamente e non per stato di necessità. Da quando sono morti i nostri genitori le persone potranno essere sobrie e miti solo perché capiranno che succederà di rado, che ormai se non fanno così sono spacciati loro e la nave su cui navigano. Per chi ha frequentato così intensamente la Bosnia in questi anni cosa ha voluto dire tornare in Italia? La sensazione di spaesamento, di spiazzamento rispetto alla vita ordinaria in Italia. Poi ovviamente ci si abitua presto a tutto. La capacità di adattamento umana è così forte che persino a Sarajevo si abituano. Ci si abitua all'assedio, alla guerra, alle bombe ininterrotte, ci si abitua alla fine della guerra, al ritorno delle banane, delle noccioline, nel giro addirittura di poche ore. Ma per noi che andavamo da questa situazione aquella l'effetto provocato dall 'ascolto delle parole che qui sono abituali, banali, ovvie, era grottesco e surreale. Per me non si attenua neanche col passare del tempo. Arrivare da Sarajevo e sentire il tassista dire che "così non si può più andare avanti", che i turisti americani non vengono più, che il rimborso della benzina arriva tardi, in un taxi bellissimo, con l'autoradio e

l 'arbre magique; oppure, durante la campagna elettorale, sentire ripetere continuamente che "il fisco impedisce di sopravvivere", che "i negozi chiudono", che anche per gli imprenditori di Belluno o di Vicenza "così non si può andare avanti", tutto questo suona oltraggiosamente offensivo. Sia chiaro, queste sono persone perbene, normali, dicono queste cose senza alcuna cattiva intenzione. Ciononostante, questi discorsi, comparati con lo stato del mondo, diventano intollerabili. Ora, trarre da questo fatto conseguenze radicali non ci porta a una giusta applicazione della solidarietà, della simpatia con gli altri, ma ali' impossibilità di vivere, al suicidio, alla pazzia. Ma se trattiamo tutto questo un po' più relativamente, con quel grano di "ragionevolezza" che permette a ciascuno di sopravvivere grazie all'enormità del proprio privilegio, non può restare senza conseguenze. Questo ininterrotto approdare sulle nostre coste di indiani, pakistani, che si fanno gli ultimi chilometri a nuoto e quando sbarcano baciano la terra convinti di essere in Cornovaglia oppure di albanesi che annegano in un gommone, questo accerchiamento del male e della sofferenza estremi nei confronti della nostra vita ordinaria, se da un parte spiega che l'estremismo lussuoso caratteristico della nostra società non è altro che il tentativo di non vedere lo spettacolo ricacciandolo lontano, di garantirsi un egoismo necessario e salutare per poter sopravvivere, d'altra parte, però, può diventare, per un numero crescente di persone, e sotto sotto per tutti, compresi quelli che sembrano più deliberatamente sordi e ciechi, un criterio decisivo per affrontare le questioni del mondo, e dunque per mettere dentro di sé questa specie di attenzione, di preoccupazione per la fragilità edi cura per la conservazione. Il rischio che si corre, in particolare per chi viene da un innamoramento per la speranza della fine dell'ingiustizia, e non già della sua attenuazione, è quello che tutto ciò si tramuti in una sorta di rassegnazione, di passività, in un alibi a considerare la povertà o la sofferenza relativa dei propri vicini come più accettabile in nome della sofferenza infinitamente superiore di quelli più lontani e disgraziati. Il rischio di reagire quasi con fastidio alle lacrime che spuntano sul ciglio delle signore pensionate intervistate in una sala di Milano suIl'entità della loro pensione in nome della carretta di immigrati indiani o cingalesi. E' il rischio che questa conservazione, indispensabile come condizione della politica e dello stesso miglioramento di sé, sconfini nel la cattiva conservazione, cioè nella complicità con il potere, non solo con quello altrui, ma con il proprio, di complicità con il proprio privilegio economico, intellettuale. Questo rischio è molto forte e secondo me segna l'esistenza quotidiana di un numero crescente di persone. Hai parlato di cura, di attenzione alla fragilità, usi la parola chirurgico in senso solo negativo. Sono i temi del tuo Il nodo e il chiodo. Eppure proprio mentre qui usciva il tuo libro, da Sarajevo ti battevi per quello che si poteva definire un intervento chirurgico per rompere l'assedio e fermare il massacro ... li nodo e il chiodo è un libro che gira intorno a un'idea che mi è venuta alla fine dell'esperienza politica e militante di Lotta Continua, quasi vent'anni fa quindi. Mi sembrava di dover mettere in discussione non solo una delle forme di interpretazione dualistica della realtà che era stata per me decisiva -la contrapposizione di classeper sostituirla con polarità più adeguate, in particolare, a quell'epoca, la contraddizione uomo-donna portata avanti dal femminismo, ma anche lo stesso modo di vedere il mondo secondo un'opposizione duale. Da allora ho ripensato molto a questo problema e alla fine ho scritto il libro. Da una parte, questa trovata di usare come schermo l'opposizione tra nodo e chiodo mi permetteva di riprendere il bandolo della questione da un verso inedito e originale; dall'altra, mi consentiva di prendere commiato da una specie di passione maschile ereditaria per il chiodo, per la chirurgia, per i metodi spicci, per il taglio netto, per tutto quello su cui si fondava millenariamente l'educazione virile, a vantaggio di una considerazione diversa delle arti del tempo lungo, delle arti femminili, della stessa ripetitività. Mi consentiva di prendere commiato da quelle forme di scelta radicale che sembravano così affascinanti e superiori rispetto a qualsiasi altra scelta, di alternative estreme che avevano caratterizzato la politica per molto tempo nei travestimenti più vari. Lo stesso fatto che ancora oggi, nel '96, si discuta in termini quasi moralmente coinvolgenti di principi opposti e inconciliabili, come governo e opposizione, come se si trattasse di scelte di campo, di valori e non, viceversa, di questioni miste, ibride, come luoghi di sovrapposizione e di confusione, mi colpisce molto. Perfino la critica che giustamente si fa dei compromessi, del consociativismo, ha un pregiudizio a favore della drasticità che mi risulta molto dubbio. Tutta questa riflessione depositatasi in un tempo così lungo, accompagnatasi all'esperienza crescente della minaccia che pesa sul nostro mondo, rendeva sempre più radicata e forte inme l'idea che questa nozione della fragilità e della premura nei confronti di cose e persone, dovesse fare da premessa ai propri comportamenti, ad ogni tipo di comportamento. Poi la stessa ragione che al ritorno dall'attraversamento dell'Adriatico ti fa apparire grottesca la frase comune "così non si può andare avanti", che ti rende forestiero, preoccupato e voglioso di dare l'allarme, quella stessa ragione ti obbliga lì, nel posto da cui stai venendo, a scegliere di nuovo e drammaticamente per un'alternativa drastica, per l'intervento chirurgico, per il taglio netto. Nella situazione di Sarajevo, di Mostar, di Srebrenica, o in altre paragonabili, rutta la mia ammirazione per i nodi, l'intreccio, la venerazione per la loro complessità, la necessità di scioglierli con grande cura per paura di tagliarli o romperli, non solo non funziona più, ma appare bruscamente come un fardello che ti impedisce di affrontare con la decisione e l'urgenza necessarie il fatto che lì bisogna spezzare in un punto, prima possibile e il più radicalmente possibile, un orrore come il macello della vita e dignità altrui. Marx andava pazzo per le locomotive, quelle vere e proprie Il destino sfortunato di questi sentimenti risiede in questo imprevisto groviglio finale: un libro che era la descrizione di uno spettatore ammirato dei nodi fatti da persone diverse da lui, che era il tentativo di liberarsi da un'ammirazione nutrita fin dall'infanzia per Alessandro Magno e il 1 nodo di Gordio, Achille e il suo piede veloce, tutti i tagli netti, le rotture brusche, la rivoluzione e i chiodi piantati, doveva prendere atto che ci sono malattie e malanni di fronte ai quali non resta che correre dal chirurgo. L'ulteriore amarezza di tutto ciò è stata la scoperta che tante persone si rifiutavano ostinatamente di chiamare il ahirurgo in nome di una recentissima, e un po' superstiziosa, conversione totalizzante ali' omeopatia, celando, in realtà, una passione immutata nei confronti del chiodo, semplicemente con una propensione ali 'uso dalla parte sbagliata. Torniamo a parlare dei risultati elettorali, alla luce di quello che sei andato dicendo. Vedi qualche possibilità diversa, qualche novità a sinistra? Penso che lo schieramento politico emerso vincitore dal voto sia quello più favorevole, più incline a una distinzione, per la prima volta nella storia politica di questo paese, fra un progressismo arrembante, incurante e rozzo come quello della destra e del potere e una cautela, un'attenzione, una premura e buona conservazione come dev'essere l'atteggiamento di una buona sinistra. Allora, per la prima volta si può superare l'equivoco ereditato da tutta la storia dei sentimenti politici, per cui la sinistra è progressista, mentre la destra è conservatrice in politica e sconvolge poi il mondo con le sue ruspe. Si può superare, insomma, quella contraddizione e quell'equivoco mortale che si ritrova all'inizio del Manifesto di Marx dove si fa prima di tutto l'elogio del modo in cui il capitalismo ha sconvolto l'equilibrio naturale, ha preso il mondo e l'ha rovesciato da cima a fondo, e, così facendo, ha consentito ai rivoluzionari di rimettere in piedi i rapporti sociali. Marx era ben consapevole del fatto che il progresso inteso come devastazione, ricreazione dalle radici dell'intero mondo ad opera dell'uomo è stato l'impresa non solo dell'intera storia umana, ma di quella tappa accelerata e formidabile che è il capitalismo, solo che ne andava pazzo. Non solo diceva: "la rivoluzione è la locomotiva della storia", ma davvero impazziva a guardare le vere locomotive! Allora, lo schieramento uscito da queste elezioni è ibrido, confuso, contraddittorio, però per la prima volta si vede che un modo di fare inconsapevole e strafottente nei confronti della fragilità delle cose sta essenzialmente, persino nei comportamenti politici e nella campagna elettorale, dal lato del centro-destra e un modo di fare opposto, disponibile a questa cura nei confronti delle cose e al tempo stesso insofferente dell'ingiustizia e del privilegio sta a sinistra. Dopodiché, a sinistra ci sta anche il contrario, ci stanno ancora i nostalgici del taglio netto, i grandi poteri capitalisti che non accetteranno mai di ridurre il traffico automobilistico per comprensibili ragioni di famiglia, ci stanno i giudici per i quali la chirurgia giudiziaria è una vocazione insuperabile ... Per la prima volta, però, vedo una sinistra che può non essere imprigionata dal pregiudizio del progressismo, dalla vergogna e dall'imbarazzo di dichiararsi conservatrice. Trovo indimenticabile che il ministro dell'ecologia del governo Berlusconi fosse quel Matteoli cacciatore e cementificatore. Ecco, quello fu veramente il momento culminante della chiarezza, della nitidezza dei comportamenti, delle scelte. Il ricordo di Alexander Langer ci ha accompagnato anche in questa intervista. Per concludere vuoiaggiungere qualcosa ... A suo tempo, in modo anche comprensibile, il suicidio di Alex è stato sofferto e pensato in rapporto con la sua generosità estrema e anche con l'amarezza, la solitudine, il disinganno, con quel senso di inanità e di sconfina che ha accompagnato la sua attività politica e che, in particolare, ha riempito, come succedeva a tutti coloro che si andavano a misurare di persona con una condizione estrema come quella del1'ex-Jugoslavia, i suoi ultimi anni. C'è stata una forzatura persino confortante nel collocare la sua morte al termine da lui scelto in questo itinerario personale, civile, politico ed umano. Era un modo per padroneggiarla un po'. Invece nessun padroneggiamento è possibile e resta solo il fatto che si è ammazzato in un giorno di quell'estate ... Però voglio dire una cosa che è successa pochi giorni dopo di allora, che continua a restarmi davanti agli occhi, anche se non ha niente a che fare con un pensiero, con una riflessione, tanto meno con una intenzione di spiegazione o di metafora. E' semplicemente un'immagine che si è presentata come tale, che ha colpito la mia vista, e non solo la mia naturalmente. Pochi giorni dopo che Alex si è ammazzato - ero ancora fortemente sotto l'effetto di quel dolore così acuto- una mattina ero in macchina qui a Firenze, non lontano da piazzale Michelangelo, dal posto, cioè, dove lui si era impiccato e aprendo il giornale ho visto in prima pagina la foto della ragazza di Srebrenica che si era impiccata a un albero durante il viaggio che fecero i profughi per andare ad accamparsi ali' aeroporto di Tuzia. Nessuno sa chi fosse quella ragazza. Ho cercato anche di rintracciare il fotografo, ma invano. Durante quell'esodo delle donne e dei bambini da Srebrenica verso un campo profughi, mentre gli uomini venivano sterminati, quella ragazza ignota si era impiccata ed era stata fotografata mentre penzolava dal suo albero coi piedi nudi. Quell'immagine, quei piedi nudi, in quegli stessi giorni d'estate, ha colpito la mia vista ed è stata immediatamente più forte di qualunque riflessione. Quella ragazza che camminava insieme agli altri verso una salvezza si era tolta le scarpe e si era impiccata, decidendo che la sua strada era finita lì. La coincidenza fra questa immagine e la decisione di Alex che si era tolto le scarpe e si era impiccato al suo albicocco mi ha colpito... Niente di più. Se dicessi qualunque cosa la sentirèi non solo come arbitraria, ma come pura stupidaggine. Però ancora adesso ho voglia di rimostrare la vicinanza fra queste due immagini. - UNA CITTA' 3

clitica e altro cidissimo- si danno i soldi per le chiese, per le comunità, per le imprese, ma non si interviene mai perché tanto queste realtà si autoregolano da sole. Il doroteismo era l'imprenditore politico. "Noi prendiamo i soldi" -mi diceva Bisaglia in un'intervista del 1982- "non perché lo dice il parroco, ma perché portiamo risorse, portiamo soldi, benefici, prestazioni". Era ormai il partito degli interessi territoriali che non si fondava più sui valori, ma sulle prestazioni di tipo particolaristico, supplenti. la Lega? Quando cade il muro, cadono i retaggi, le giustificazioni ali 'esistenza della Dc ed emerge una figura come quella Bossi con la sua Lega Lombarda che trasforma l'identità etnica in identità economica: il popolo dei produttori, il Nord contro Roma, contro il Sud specchio del dominio di Roma, e via di questo passo. Una realtà, il Nordest, dove un modello di sviluppo fondato sulla periferia e sullamicroimprenditorialità ha cambiato tutto nelcorsodi una generazione. Il tramonto del doroteismo e del suo "lasciar fare" ha creato un'esigenza di rappresentanza alla quale la Lega ha dato voce. Una terra pragmatica dove egoismo e altruismo convivono. Intervista a Ilvo Diamanti. Quando, a fine anni Settanta, esplodono una miriade di bisogni equesta realtà comincia a sentire l'esigenza di un intervento politico regolatore sul territorio, -come quello, per intenderci, che si faceva in Emilia Romagna-, hai cominciato ad avere imprenditori che chiedevano e non ottenevano perché i politici non erano più in grado di rispondere. Un ceto politico ottimo dal punto di vista non tanto "clientelare", quanto della mediazione centro-periferia, della mediazione comunitaria, era incapace di governare. Tanto più che la logica del doro teismo era assolutamente spietata. Fai l'imprenditore del territorio? D'accordo, piena concorrenza a ogni livello, allora. E i dorotei del sud erano più bravi. Soprattutto nel momento in cui è stato messo da parte Bisaglia, la "corrente del golfo" è diventata molto più efficiente ed efficace del vento del nordest. Se questo è il retroterra, se queste sono le radici, è evidente che bisogna guardare a Zermeghedo e non a Milano e neanche a Padova e Verona. Però Zermeghedo ha mille e rotti abitanti. E' più difficile guardare un fenomeno dove hai, come nel Nordest, 241 comuni dove la Lega ha preso più del 40%, 60 comuni dove ha la maggioranza assoluta, 35-40 dove ha circa il 60% dei voti, perché sono tante piccole Zermeghedo. Bisogna avere la voglia di guardare. E di pensare che la politica la fai comunque in rapporto con fenomeni che crescono dal basso, dalla periferia, cercando risposte a problemi concreti. Parlava, però, di un bisogno di identità ... Ilvo Diamanti sociologo, insegna ali' Università di Padova, da anni si occupa del fenomeno Lega. Cos'è che nel resto d'Italia non si è ancora capito della realtà del Nordest? E' un anno che vado scrivendo un mese sl e uno no su Il Sole 24 Ore a proposito della Lega che la cosa monta, che è un fenomeno che cresce. E dopo ogni risultato elettorale ci si stupisce, scoppia il problema e ci si chiede il perché. Attualmente, stanno scendendo da Roma torme di giornalisti, abituati solo a parlare fra loro, che si stupiscono vedendo che i mau mau sono diventati ricchi perché si abbruttiscono a lavorare come bestie 30 ore al giorno e poi votano Lega perché continuano ad essere, come prima, la periferia dell'impero. Ma sono io a stupirmi che ci si possa stupire dei risultati della Lega. Esiste una questione settentrionale, chiamiamola cosl, che è maturata tra gli anni Sessanta e Settanta, è esplosa negli anni Ottanta, ma non ha trovato, però, alcun tipo di risposta politica. La Lega è un soggetto politico che la interpreta a modo suo: fino ad ora l'ha fatto, eminentemente, in termini di denuncia, di enfasi, di accelerazione delle fratture, non di progettazione. Ho appena scritto un pezzo per M icromega intitolato "L' importanza di Zermeghedo". Ora, l'importanza di Zermeghedo sta a sottolineare l'incapacità di vedere, la distorsione ottica degli osservatori e degli attori politici in Italia nell 'ultimo trentennio abituati a guardare i fenomeni, i processi che avvengono nei centri politici, urbani, metropolitani, sottovalutando ciò che avviene in quelle che tecnicamente sono considerate le periferie, con la piccola aggravante che oggi le periferie sono i centri dello sviluppo economico, sociale e urbano. Zermeghedo è un comunello di qualche migliaio di abitanti che sta nella Val del Chiampo, dove la Lega questa volta ha preso il 60% mentre nel 1983 ai suoi inizi, aveva preso, guarda caso, il 12%. In quella zona è esattamente da 13 anni che con cadenza sussultoria il fenomeno si gonfia, riappare, esplode, riparte. Ora, le ragioni che hanno fatto emergere una "questione settentrionale" sono le stesse che spiegano il fenomeno leghista, la sua nascita e, ora, il suo consolidamento. Dai dati elettorali emerge un rapporto molto stretto fra la Lega di oggi e la Dc di ieri... Questo è assolutamente evidente. E' proprio quello lo scarto di questa fase: il passaggio dalle elezioni del '94 a quelle del '96 è spiegato statisticamente anzitutto dal voto dato alla Dc nelle elezioni del '92. La Lega è cresciuta tanto più dove più era forte la Dc: in tutta la corona dei comuni, o meglio nei 50 collegi, dove oggi la Lega è più forte, la Dc aveva ottenuto iJ 36% nel '92. Viceversa, dove oggi la Lega è più debole, la Dc aveva in media, nel '92, il 5%. Nei collegi oggi leghisti in media la Dc, nel '92, aveva raccolto il 32-33% dei voti, mentre in quelli dell'Ulivo e del Polo raccolse il 22-23%. Quindi, la Lega è andata a riempire lo spazio che la Dc lasciava libero, la crescita è tutta lì. Se tu isoli i 40-50 collegi forti, il dato è impressionante: Bergamo, Bergamo, Treviso, Brescia, Verona, Varese ... Sono province nelle quali la Dc aveva il 50% e passa di voti, sono le province che hanno dato i natali ad almeno quattro papi di questo secolo: Luciani, Montini, Roncalli, Sarto ... Insomma, la "sacrestia d'Italia"! Tra i leghisti "fedeli" il 46% va a messa tutte le domeniche; questa pratica cala però fra i leghisti "sommersi" o i leghisti "acquisitivi", che hanno votato Lega prevalentemente perché ce l'hanno con Roma. Nel '93 ho fatto una topografia dei comuni delle province di Vicenza e Treviso e li ho divisi in quattro tipi in base alla frequenza della messa e al voto alla Dc dal dopoguerra ad oggi: la Lega esplode nel 1983 in quelle zone in cui nel 1979 c'era un voto alla Dc molto superiore alla media, ma una presenza alla messa molto inferiore alla media. Vent'anni prima in quelle zone la frequenza alla messa era molto superiore alla media. la Lega è figlia legittima della Dc di Bisaglia Questa forbice fra voto alla Dc e bassa frequenza alla messa, mostra come il doroteismo, cioè il partito degli interessi territoriali, fosse il vero volto della Dc veneta. Secondo aspetto: dov'è cresciuta la Lega e dov'è forte oggi? Tra la zona di minore radicamento e quella di maggiore radicamento della Lega c'è un rapporto di uno a due nel tassodi industrializzazione e di uno a due nel tasso di presenza di aziende industriali. La Lega è forte in zone ad altissimo tasso di sviluppo produttivo, di occupazione industriale e di sistema industriale fondato sulla diffusione delle aziende. Dove vince la Lega, gli occupati nell'industria sono il 52% contro il 39% delle zone in cui vince il centrosinistra e il 37% di quelle dove vince il Polo. Il tasso di occupazione è del 92% nei collegi dove vince la Lega contro I '89% di quelUNA CITTA'50 numero speciale 20 pagine è presente al SALONE DEL LIBRO di TORINO al nuovo stand La Rivisteria Lingotto Fiere 16/21 MAGGIO 1996 Il , • 4 UNA CITTA' li dove prevale l'Ulivo e il 90% di quelli del Polo. Come si vede il territorio dove prevale la Lega è assolutamente specifico. Cos'è allora la Lega? E' esattamente la faccia di questo tipo di sviluppo; non è la questione settentrionale in senso lato, non è la Lega Nord, è la Lega di questo nord cresciuto fra il 1960 e il 1980, che a un certo punto si è guardato attorno e ha detto: "Non abbiamo più rappresentanza". In questo ventennio cosa è successo? Che questa realtà è esplosa. Ha aumentato l'industrializzazione in modo incredibile, ilreddito inmodo incredibile, la promessa del "più sacrificio, più lavoro uguale più benessere," è stata assolutamente mantenuta. E' una sorta di microcapitalismo in cui ci sono una miriade, non già di grandi ricchezze, ma di piccole ricchezze, dove tantissimi fatturano qualche centinaio di milioni, che è poco, perché se ci levi l'immobilizzo e l'investimento vuol dire che lavorano per tre milioni al mese. Una sorta di popolo di formiche che per anni e anni ha lavorato e guadagnato molto, perché ha mantenuto gli stessi stili di vita e modi di pensare del passato, ha continuato anche quando era ricco a operare come se fosse povero, facendo prevalere l'etica della parsimonia, un altruismo di tipo morale, non naturale, del tipo: "Prendo soldi, quindi devo pagare il prezzo .. " A un terto punto queste persone si sono scoperte ricche, perché gliel'hanno detto, da soli non se n'erano accorti. L'area si era ingigantita ed era diventata un'area di grandissimo ceto medio dove la differenza fra l'operaio e il lavoratore autonomo non si vede, perché tutti i lavoratori autonomi sono stati operai e tutti gli operai -due su tre, nelle indagini più recenti- ambiscono a diventare lavoratori autonomi o piccoli imprenditori, perché fanno gli imprenditori nel loro tempo libero, perché il loro fratello, zio, padre lo fa e loro nel tempo libero collaborano. Nel frattempo sulle stesse strade di secoli fa, sulle stesse infrastrutture di secoli fa, si riversavano milioni di macchine, milioni di mezzi di trasporto, milioni di veleni sul territorio, milioni di metri cubi di cemento. In questa realtà quando esco da casa mia e tento di venire a Vicenza alle otto del mattino faccio sei chilometri di fila ininterrotta; gli abitanti di zone come Zermeghedo quando escono dal Chiampo e tentano di andare in autostrada ci mettono un'ora per fare 5 chilometri di coda. A ragione il conte Marzotto può dire che per portare le merci ci mettono meno da Rotterdam agli Stati Uniti che da qui a Verona. E tutto questo è avvenuto nel corso di una generazione? Questo è fondamentale. E' cambiato tutto nel giro di una generazione, una generazione e mezzo, tra il 1950 e il 1980. Uno come me ha fatto in tempo, anche se sono arrivato qui a fine anni Sessanta, a non riconoscere più questa zona. E' cambiato tutto: sei diventato ricco nella tua generazione, quello che era una specie di Sud del Nord è diventato il Nord dell'Europa Centrale nel giro della tua generazione. Come molti veneti i miei erano emigrati, le mie zie erano andate a lavorare a Torino, mio padre faceva il militare e mi portava in giro per il mondo. Ora, in una generazione si è diventati così. Eppoi, se vogliamo parlare di struttura di classe, si è scoperto che il piccolo ceto medio, la piccola industria, a differenza di quanto si pensasse, non era l'industria da piccola, non era il luogo minore, non era un ceto medio defluente, ma era innovativo, era quello che definiva lo sviluppo industriale. Venivano dal Giappone e dagli Stati Uniti a studiarlo parlando di seconda rivoluzione industriale! Ora, un cambiamento cosl radicale, cosl repentino, non poteva non produrre un fortissimo spaesamento. Infatti, è cresciuta la paura della disoccupazione anche se non c'è un disoccupato in giro, è cresciuta la paura e l'insofferenza per la presenza di extracomunitari, anche se il pregiudizio non è mai esploso in casi di discriminazione perché qui c'è una realtà di forte integrazione. E' xenofobia, paura dello straniero, non razzismo. E' cresciuta l'impressione di dare senza ricevere ali' altezza; è esploso, cioè, attraverso la questione fiscale, il problema del patto con lo Stato. Il leghismo è questo, non altro. E' una realtà che a un certo punto si è scoperta "non più rappresentata". Quello che voglio dire è che il fenomeno leghista viene da lontano e a questo non è mai stato dato alcun'tipo di risposta, primo perché non c'era la voglia di farlo, secondo perché non è stato riconosciuto, terzo perché è stato culturalmente negato. Per cui non poteva che crescere. L'affermazione della Lega coincide con la fine del doroteismo? La logica del doro teismo era quella dell'autoregolazione, del lasciar governare, non quella di governare. Al centro chiedeva compensazioni: "Voi dovete" -diceva Bisaglia- "surrogare senza intervenire. Voi dovete portarci quello di cui abbiamo bisogno, non dovete intervenire". Nel modello politico doroteo -Bisaglia su questo era lu1000 Zermegheto sconosciute sono la forzadel Nordest Bisaglia, sempre in quell 'intervista, mi disse: "Il Veneto ormai sta dando senza ricevere, perché i soldi che noi produciamo vanno al Sud, dove c'è sempre crisi, oppure nelle grandi metropoli del nordovest che pure sono in crisi. A noi ci trascurano. Ma noi saremmo maturi per uno Stato federalista, per un'autonomia reale, però lo Stato burocratico e centralista non potrà mai accettare questo, perché ha paura dell'unità e della coesione culturale del Veneto". Questo nel 1982. Lo ripeto: il leghismo è il figlio legittimo e assolutamente conseguente del doroteismo, non di Cattaneo. E' figlio della politica come rappresentanza degli interessi territoriali. Quindi, il fatto etnico è del tutto secondario. Un aspetto che spiega cosa è successo qui è quello del pragmatismo, dell'individualismo, di questo spirito acquisitivo, che fa sì che queste comunità potessero votare massicciamente per la Dc senza essere democristiane, potessero votare per la Lega senza essere leghiste. Lo stesso rapporto con la Chiesa era un rapporto a doppio senso, di identità ma anche di prestazione, perché la Chiesa era l'organizzazione della società locale, coerente con questo modello di sviluppo: dava i servizi, i valori di riferimento, il cemento culturale. Nel momento in cui la Dc non ha dato più quello che doveva dare, la si è abbandonata tranquillamente e senza rimpianti nell'arco di pochissimi anni. Il voto alla Lega non era il voto alla Lega di Rocchetta di tipo etnico. Qua non c'è nessuna identità etnica, sia chiaro. Anche se la Liga Veneta è la prima a emergere, il modello etnico del popolo veneto inteso alla Rocchetta -"Siamo figli dei veneziani"- qua non interessava a nessuno. E' vero che c'è una domanda di identità locale, ma non etnica. Quand'è, allora, che riparte Anche i problemi di identità sono problemi concreti. Questa è una realtà dove tutti erano cattolici negli anni Sessanta e vent'anni dopo lo erano ancora, ma non andavano più a messa, non avevano più rapporti tra loro, l'associazionismo aveva perso di peso. Un tempo questo tipo di realtà era cementato dal lavoro, dalla produzione, dalla Chiesa che dava codici universalisti a valori particolaristi. Queste sono realtà che dimostrano come sia possibile coniugare altruismo ed egoismo. Quando sento di società egoista mi vien da ridere. Una società dove c'è un'azienda ogni tre persone, vi immaginate che non possa essere egoista? Non occorre avere letto Weber per sapere che alla base dell'intrapresa c'è lo spirito acquisitivo. Queste sono zone dove c'è l'individualismo possessivo e allo stesso tempo sono zone che per lo stesso motivo si fanno da sole i servizi, si scarrozzano quotidianamente in decine di persone andando nelle zone di guerra. Ciascuno di noi ha un parente che fa queste cose. lo ne ho uno che è un leghista durissimo, aggressivo, individualista ma che si fa due mesi ali' anno in zona di guerra, in Sierra Leone, a scavar pozzi, e durante l'anno raccoglie soldi per questa attività. Sono due facce della stessa medaglia. Io mi posso arrabbiare con lui politicamente, perché lui ce l'ha con Roma, però lui dedica qualcosa come due mesi della sua vita ogni anno a fare una cosa che io non farò mai in vita mia. Però lui aveva la Chiesa che gli dava un'identità universale e quello ora gli manca. Manca un'identità, la cultura, il cemento universalista. Perché la Lega nasce e si sviluppa nel Nordest e non in Emilia e cresce meno anche in Lombardia? Certamente perché l'Emilia, oltre ad essere "rossa", ha un governo locale e nel conflitto fra centro e periferia il Partito Comunista prima, il Pds dopo, hanno potuto presentarsi come il partito degli enti locali contro il sistema centrale. In Veneto, quando è andato in crisi il sistema centrale, è andato in crisi anche il partito locale, perché erano gli stessi. Inoltre, qui il modello di politica era una politica di mediazione, non di regolazione. In Emilia Romagna la politica si è sviluppata esattamente ristrutturando il territorio, lo spazio. Questo spiega perché, negli anni '90 soprattutto, ha avuto più successo il modello economico veneto che non quello emiliano. Quando è andata - abbonamento ordinario lire 40.000 Campagna abbonamenti 1996 (con in omaggio il libro La scelta della convivenza di Alexander Langer) - abbonamento sostenitore lire 100.000 (con in omaggio due dei libri elencati a fianco) Modalità di pagamento: Cc. postale n.12405478 - Coop. 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Magnani Crisi di una generazione, ed. e/o - Don Lorenzo Milani, La ricreazione, edizioni e/o - Elisabetta Donini, Conversazioni con Evelyn Fox Keller una scienziata anomala, editrice Elèuthera - David Cayley, Conversazioni con Ivan lllich un profeta comro la modernità, editrice Elèuiliera - Cristina Valenti, Conversazioni con Judirh Malina l'arte, l'anarchia, il Living rhearre, editrice Elèuthera - Rapporto degli ispetlori europei sullo staro delle carceri in Italia, Selleria editore - Gilles Kepel, A ovest di Allah, Selleria editore - Adriano Sofri, li nodo e il chiodo, Selleria editore

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