Una città - anno VI - n. 50 - maggio 1996

in crisi la pubblica amministrazione, quando è andato in crisi il ruolo dello Stato qui c'è stata una reattività molto maggiore, anche se questo ha comportato problemi anche maggiori. Perché la Lega nasce in Veneto e non in Lombardia? Perché quando riparte, riparte più in Veneto che non in Lombardia? Perché è un problema di modelli di regolazione del territorio. La metropoli ha un ruolo di regolazione, perché le capitali irradiano il loro governo sul territorio: nel Nordovest ci sono Milano, Torino, Genova, mentre in Veneto non c'è capitale: la capitale, il luogo di regolazione, il modello di regolazione è costituito dalle l 00, l .000 Zermeghedo, per cui è un modello più difficile da governare, più difficile da gestire, più difficile da comprendere. Rispetto al modo di far politica la Lega è un "vecchio" partito tradizionale con una presenza capillare sul territorio ... E' un partito di massa come lo era il Partito Comunista o la Democrazia Cristiana. Secondo me, in tempi in cui la società cambia la televisione dà una delle immagini della realtà, che sicuramente è rilevante, ma non c'è solo quella. Tu puoi utilizzare la televisione per arrivare a molte persone con i duelli elettorali. Ma, a ben guardare, chi è più antitelevisivo di Prodi? Il fatto è che un 3-4% di elettori leghisti lo sono per appartenenza, sono tutti militanti in modo più o meno attivo, nel senso del partito gramsciano, per cui ciascuno si dichiara, tenta di convincere gli altri, ne parla, è disponibile a fare. A ben vedere, queste elezioni sono state la vendetta della politica di tipo tradizionale contro la politica dei club alla Rotary, dei comitati elettorali. I comitati Prodi che hanno recuperato anche militanti e leader periferici dai partiti tradizionali, dalle associazioni tradizionali del mondo cattolico e della sinistra, che cosa sono? Rifondazione cos'è se non un partito di massa? Il problema è che qui ~on c'è un bipolarismo strutturato nel quale e 'è un 'area di elettorato stabilmente di destra e di sinistra, c'è invece una fascia centrale. Come la raggiungi? A volte la televisione è importante, ma quando questa si affolla, e comincia il meccanismo dell' interdizione, i leader politici si elidono a vicenda. Cosa diventa sempre più importante? Il contatto con le persone, ma per averlo devi essere presente sul territorio. Lo stesso Pilo dice: "Cosa è mancato? E' mancata l'organizzazione." Perché nonostante tutto Forza Italia prende tanti voti e pochi eletti, mentre invece An prende meno voti e più eletti? Perché loro sono presenti, sanno come orientare le scelte. Ma il voto della Lega è un voto compatto e omogeneo nelle sue motivazioni? Sul I 0,5% di voto leghista si ha ormai un 3,5% di voto identitario, di gente che vota Lega per atto di fede come avveniva con il vecchio Partito Comunista. C'è, poi, un'altra quota uguale di voto strategico o tematico, con un malessere però ben focalizzato che tra l'altro va tutto in una direzione: sento uno squilibrio tra quello che dò e quello che ricevo, quindi qualsiasi malessere che venga denunciato da qualcuno, che sia l'Ulivo o che sia il Polo, io voto Lega perché non mi fido di loro, che sono comunque partiti nazionali. Infine, l'ultimo 3% di voto leghista è stato un voto antimaggioritario, omeglio un voto di uscita dalla logica maggioritaria: molti incerti, infatti, hanno votato Lega. E' quello che si chiama il "voto inutile", contrapposto al voto "utile" del maggioritario. Cosa fare allora? E quanto è pericolosa la linea della secessione? La prima cosa da capire è che un tipo di sviluppo di questo genere ha messo in crisi la nostra concezione dello sviluppo secondo la quale esso si irradiava dai centri alle periferie, e, così facendo, ha messo in crisi il ruolo dello Stato. E' la Fondazione Agnel I i a seri vere che questo è il paese occidentale che associa il maggior tasso di differenzia- • zo;.: ~=.-.. G) e o ·a- 8-z o>::t 0-~ ~ao ~:!.., ... " ·:-. .. ~ ...... ,}',.,.,.k~. .. --~· ........,.1..,....,. ............ .. i ~ ~ M "O G) > I ~ zione socio-economica e culturale col maggior grado di centralizzazione dei poteri. Allora, se questo processo avrà avuto la sua logica per unificare realtà tanto diverse, alla lunga, dal momento che le burocrazie e la pubblica amministrazione diventano soggetti che si autoal imentano, la contraddizione scoppia. Quindi, c'è una domanda di rappresentanza da parte di un ceto medio, di una neoborghesia delle nuove figure professionali, anche ad alto tasso intellettuale, che, in una situazione di questo genere, è economicamente centrale ma resta politicamente e culturalmente periferica. Queste domande di rappresentanza, di riforma dello Stato, di riforma dei partiti, hanno alimentato la Lega. Bossi è bravissimo in questo, ha un fiuto politico incredibile. Io ho smesso nel '93 di dire che sbagliava, non mi pongo più il problema. E' politicamente inaccettabile quello che dice, però quando lui fa qualcosa mi chiedo perché, mi chiedo dove sta la crisi, cosa ha visto, cosa ha sentito, perché neanche lui lo sa. farli misurare su progetti concreti, sul governo Mi ha colpito ciò che disse in un dibattito su Limes Maroni: "Ormai noi non ci capiamo più niente. Bossi prende le decisioni e noi siamo costretti prima a corrergli dietro e poi a comprare Il Sole 24 Ore per vedere cosa dice Diamanti che forse ce lo spiega". Secondo me, l'indipendentismo è un modo più forte di dire quello che veniva detto attraverso la parola "federalismo", e prima ancora con "autonomia". E' un modo sempre più "alto" di rilanciare, ma anche più pericoloso, ovviamente. In una indagine che abbiamo sviluppato a gennaio l'indipendentismo toccava come spirito il 23% della popolazione del Nord; questo dato era abbastanza omogeneo fra Nordovest e Nordest: andava dal 21 al -~-------- > o e -B-ru_n_o_L_A--TOUR Murray BOOKCHIN 27%, che non è una grandissima oscillazione, a seconda delle zone. La risposta era data a una domanda precisa: "L'indipendenza del Nord a suo avviso com'è?", e il 27%, ancora a gennaio, diceva che l'indipendenza deÌNord è "vantaggiosa e auspicabile", ed è un 'opinione molto netta. C'era un altro 30% che la definiva "inaccettabile, ma comunque vantaggiosa". La cosa interessante era però che quando gli chiedevi qual era il modello istituzionale attraverso il quale pensavano di tradurre questa domanda di indipendentismo, loro dicevano senza alcun tipo di dubbio, nell 'ordine di 3 su 4, che era il federalismo. Ed è qui il vero scarto fra Nordest e Nordovest, uno scarto del doppio. Nel Nordest più del 50% dice: "Federalismi di vario genere"; non solo, ma dice federalismo "temperato", fondato sulle attuali regioni, non sulle macroregioni. Uno dei peggiori nemici dell'idea di Nord che ha Bossi è l'idea di Nordest, dove c'è un problema di localismo, non di costruire nuove capitali. Quindi, il pericolo non è la secessione. Il problema sta nella capacità che ha o meno lo Stato di intervenire su questi temi, di dare risposte concrete costringendo la Lega ad avere dei concorrenti sui suoi medesimi temi. li problema risiede nella distanza fra lo Stato e la periferia, nella domanda di identità di aree che ne avevano una e ora non l'hanno più. Una volta che si comincia a dimostrare agli imprenditori che puoi dar loro delle cose, costringendoli ad andare contro il proprio particulare, a misurarsi su problemi di governo locale, delle due l'una: o hanno altri progetti o si misurano su quelli. Questo è il vero problema. Quando la Lega dovrà misurarsi con progetti su problemi concreti? Quando dovrà farlo, sarà costretta quanto meno rendere conto di ciò che dice di fronte a comunità nelle quali ha dimostrato finora di essere un ottimo riassunto della crisi e un pessimo scrittore di finali... • elèuthera libri per una cultura libertaria richiedi il catalogo a elèuthera cas.post.17025 201 70 Milano tel. 02-2614.3950 fax 02-2846.923 Paul GOODMAN Individuo e comunità 256 pp./ 26.000 lire L'ecologia della libertà 548 pp./ 30.000 lire Nonsiamomaistatimoderni 192 pp./ 26.000 lire iotecaGino Bianco dogana Scrivo queste note nel momento in cui loscontro elettorale è al suo colmo. E il colmo, in questo caso, coincide con il livello più basso che il discorso politico abbia mai raggiunto da tempo, soprattutto, è bene precisarlo, ad opera di esponenti grandi e piccoli del centro destra, con presenze, qua e là, di stampo già quasi squadristico. Non importa se queste note arriveranno al lettore a scontro concluso. Varranno come rimeditazione, e Dio sa se materia per riflettervi anche dopo non ve ne sia in abbondanza. Alcune conseguenze dureranno a lungo. Per esempio non sarà facilmente riassorbibile l'effetto di diseducazione che un tal parlare, un tal modo di proporsi avrà prodotto sull'umile gente. Che dire dell'allarme lanciato proprio in questi giorni da Berlusconi sul pericolo che, in caso di vittoria di quelle che lui chiama le sinistre, sarebbe messo a rischio lo stesso diritto al voto? Seguito dal "questa volta non faremo prigionieri" di Previti? E che dire dell'appello al cosiddetto "voto cattolico"? Ha ragione Pietro Scoppola (La Repubblica di venerdì 12 aprile) nel chiedersi "se proprio la Chiesa italiana non dovrebbe, per prima, respingere con forza e pubblicamente, in ogni direzione, la strumentalizzazione dell'appartenenza cattolica ai fini del consenso elettorale". lo, meno discreto, aggiungerei il sospetto di una coda di paglia che la trattiene e le impedisce un simile pronunciamento, una coda di paglia lunga cinquant'anni, quanti sono quelli in cui ha tenuto banco un uso religioso del politico e, specularmente, un uso politico del religioso. Senza contare le compromissioni del ventennio precedente. lo ricordo i tempi in cui, alla vigilia di qualche tornata elettorale, planavano sulle nostre parrocchie e sui nostri conventi ben distribuite provvigioni (o vogliamo chiamarle mazzette?). Adesso ci siamo messi a fare i moralisti, anzi a far la morale, ma un moralismo senza memoria autocritica somiglia molto a un alibi. Il moralismo come faccia nobile dell'eterno trasformismo, in cui siamo stati e siamo maestri. Non è che siano mancate le eccezioni, ie voci diverse. Quelle di chi, negli anni del trionfo democristiano, ha denunciato questo non casto né cauto connubio, o se n'è anche solo tenuto fuori, e ne paga tuttora, se è ancora vivo, le conseguenze. Ne so qualcosa. Ora la Chiesa italiana -ma sarebbe più corretto dire la sua gerarchia- ha scoperto la formula dell'equidistanza. E' già qualcosa, un'acquisizione, e bisogna accontentarsi. Non senza però domandarci se il compito della chiesa non dovrebbe, non debba essere quello di rivendicare e difendere la propria alterità, il suo collocarsi in una dimensione altra rispetto alla politica. "Ricominciare da Dio", per dirla con Martini. Questa è anche la domanda che sale, a ben guardare, dalle viscere della società, e si affaccia sempre più apertamente nello stesso dibattito culturale, dentro e fuori quelli che un tempo von Balthazar aveva chiamato les bastions de l'Eglise. Soprattutto, ed è significativo, fuori. Dentro, sembra a volte che la chiesa sia soprattutto intenta a se stessa, a fare di se stessa, o di qualche sua istanza, il proprio oggetto, se non il proprio culto. E' toccato invece al presidente dell'Azione Cattolica, citato dallo stesso Scoppola, di dire la parola giusta: "il voto cattolico non esiste". Non esiste perché come nozione è scorretta, sia dal punto di vista ecclesiale che da quello politico, così come lo era la' nozione espressa con il termine "partito cattolico". Non si può dire: quello è un liberale, quello è un comunista, quello è un reazionario, e via elencando, e quello è un cattolico, come se si trattasse, per gli uni e per l'altro, di connotazioni da porre sullo stesso piano. Nel liberale si può nascondere un cattolico, e così nel comunista, nel reazionario (ci siamo dimenticati di De Maistre e dei suoi nipotini e nipotine?) ecc. Insomma l'appartenenza religiosa non è registrabile tout court come una appartenenza politica. L'attuale scontro elettorale, non solo a livello di politici, ma anche a livello giornalistico, rappresenta una forte regressione rispetto alle acquisizioni maturate nel corso degli anni dal dibattito sul rapporto tra fede e politica. Pensiamo a un Emmanuel Mounier, a un Alfonso Comìn, e, più vicino a noi, a un Mario Cuminetti. Hanno un bell'essersi profusi, i vari Lazzati e quant'altri cresciuti alla scuola di Maritain, a ribadite l'autentica contraddizione in termini costituita da quell'endiadi "partito cattolico", (viene in mente, con un brivido, il "partito islamico"), contraddizione tra il sostantivo e l'aggettivo, oltre che con lo Statuto stesso del partito in questione fin dai tempi di Sturzo. Dobbiamo al maritainismo e ai suoi derivati la distinzione-opposizione tra l'ingresso in politica "en tant que chrétien", in quanto cristiani, da respingere, e quello perseguito "en chrétien", semplicemente da cristiani, considerato come l'unico capace di salvaguardare la reciproca autonomia, insieme con l'aécettazione piena della democrazia. Sbaglia e fa male la cultura laica a pensare che si tratti di una sfumatura o di una sottigliezza, tipica di quella tribù esotica che sono i cattolici, e non invece di un dilemma, i due corni del quale sono all'origine di conseguenze opposte sull'intero sistema politico. Di come l'impegno nell'attività politica in quanto cristiani, anziché semplicemente da cristiani, implicando per forza di logica interna un uso strumentale, sia pure ... a fin di bene, delle realtà e degli istituti statuali, considerati come non aventi un valore in sé, un ethos proprio, possa rapidamente trasformarsi in una potente fonte di corruzione, e di come storicamente così sia avvenuto qui da noi, ci sarebbe da discorrere a lungo. Camilla de Piaz Enzo Santarelli Storia critica della Repubblica L'Italia dal 1945 al 1994 Universale Economica Feltrinelli Le rotture, le continuità, gli snodi apparentemente inspiegabili che hanno dato forma all'attuale repubblica italiana. Un'ispirata ricostruzione storica a fronte delle carenze della vecchia Italia e dei problemi del presente. UNA CITTA' 5 I

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