Una città - anno VI - n. 50 - maggio 1996

l 'arbre magique; oppure, durante la campagna elettorale, sentire ripetere continuamente che "il fisco impedisce di sopravvivere", che "i negozi chiudono", che anche per gli imprenditori di Belluno o di Vicenza "così non si può andare avanti", tutto questo suona oltraggiosamente offensivo. Sia chiaro, queste sono persone perbene, normali, dicono queste cose senza alcuna cattiva intenzione. Ciononostante, questi discorsi, comparati con lo stato del mondo, diventano intollerabili. Ora, trarre da questo fatto conseguenze radicali non ci porta a una giusta applicazione della solidarietà, della simpatia con gli altri, ma ali' impossibilità di vivere, al suicidio, alla pazzia. Ma se trattiamo tutto questo un po' più relativamente, con quel grano di "ragionevolezza" che permette a ciascuno di sopravvivere grazie all'enormità del proprio privilegio, non può restare senza conseguenze. Questo ininterrotto approdare sulle nostre coste di indiani, pakistani, che si fanno gli ultimi chilometri a nuoto e quando sbarcano baciano la terra convinti di essere in Cornovaglia oppure di albanesi che annegano in un gommone, questo accerchiamento del male e della sofferenza estremi nei confronti della nostra vita ordinaria, se da un parte spiega che l'estremismo lussuoso caratteristico della nostra società non è altro che il tentativo di non vedere lo spettacolo ricacciandolo lontano, di garantirsi un egoismo necessario e salutare per poter sopravvivere, d'altra parte, però, può diventare, per un numero crescente di persone, e sotto sotto per tutti, compresi quelli che sembrano più deliberatamente sordi e ciechi, un criterio decisivo per affrontare le questioni del mondo, e dunque per mettere dentro di sé questa specie di attenzione, di preoccupazione per la fragilità edi cura per la conservazione. Il rischio che si corre, in particolare per chi viene da un innamoramento per la speranza della fine dell'ingiustizia, e non già della sua attenuazione, è quello che tutto ciò si tramuti in una sorta di rassegnazione, di passività, in un alibi a considerare la povertà o la sofferenza relativa dei propri vicini come più accettabile in nome della sofferenza infinitamente superiore di quelli più lontani e disgraziati. Il rischio di reagire quasi con fastidio alle lacrime che spuntano sul ciglio delle signore pensionate intervistate in una sala di Milano suIl'entità della loro pensione in nome della carretta di immigrati indiani o cingalesi. E' il rischio che questa conservazione, indispensabile come condizione della politica e dello stesso miglioramento di sé, sconfini nel la cattiva conservazione, cioè nella complicità con il potere, non solo con quello altrui, ma con il proprio, di complicità con il proprio privilegio economico, intellettuale. Questo rischio è molto forte e secondo me segna l'esistenza quotidiana di un numero crescente di persone. Hai parlato di cura, di attenzione alla fragilità, usi la parola chirurgico in senso solo negativo. Sono i temi del tuo Il nodo e il chiodo. Eppure proprio mentre qui usciva il tuo libro, da Sarajevo ti battevi per quello che si poteva definire un intervento chirurgico per rompere l'assedio e fermare il massacro ... li nodo e il chiodo è un libro che gira intorno a un'idea che mi è venuta alla fine dell'esperienza politica e militante di Lotta Continua, quasi vent'anni fa quindi. Mi sembrava di dover mettere in discussione non solo una delle forme di interpretazione dualistica della realtà che era stata per me decisiva -la contrapposizione di classeper sostituirla con polarità più adeguate, in particolare, a quell'epoca, la contraddizione uomo-donna portata avanti dal femminismo, ma anche lo stesso modo di vedere il mondo secondo un'opposizione duale. Da allora ho ripensato molto a questo problema e alla fine ho scritto il libro. Da una parte, questa trovata di usare come schermo l'opposizione tra nodo e chiodo mi permetteva di riprendere il bandolo della questione da un verso inedito e originale; dall'altra, mi consentiva di prendere commiato da una specie di passione maschile ereditaria per il chiodo, per la chirurgia, per i metodi spicci, per il taglio netto, per tutto quello su cui si fondava millenariamente l'educazione virile, a vantaggio di una considerazione diversa delle arti del tempo lungo, delle arti femminili, della stessa ripetitività. Mi consentiva di prendere commiato da quelle forme di scelta radicale che sembravano così affascinanti e superiori rispetto a qualsiasi altra scelta, di alternative estreme che avevano caratterizzato la politica per molto tempo nei travestimenti più vari. Lo stesso fatto che ancora oggi, nel '96, si discuta in termini quasi moralmente coinvolgenti di principi opposti e inconciliabili, come governo e opposizione, come se si trattasse di scelte di campo, di valori e non, viceversa, di questioni miste, ibride, come luoghi di sovrapposizione e di confusione, mi colpisce molto. Perfino la critica che giustamente si fa dei compromessi, del consociativismo, ha un pregiudizio a favore della drasticità che mi risulta molto dubbio. Tutta questa riflessione depositatasi in un tempo così lungo, accompagnatasi all'esperienza crescente della minaccia che pesa sul nostro mondo, rendeva sempre più radicata e forte inme l'idea che questa nozione della fragilità e della premura nei confronti di cose e persone, dovesse fare da premessa ai propri comportamenti, ad ogni tipo di comportamento. Poi la stessa ragione che al ritorno dall'attraversamento dell'Adriatico ti fa apparire grottesca la frase comune "così non si può andare avanti", che ti rende forestiero, preoccupato e voglioso di dare l'allarme, quella stessa ragione ti obbliga lì, nel posto da cui stai venendo, a scegliere di nuovo e drammaticamente per un'alternativa drastica, per l'intervento chirurgico, per il taglio netto. Nella situazione di Sarajevo, di Mostar, di Srebrenica, o in altre paragonabili, rutta la mia ammirazione per i nodi, l'intreccio, la venerazione per la loro complessità, la necessità di scioglierli con grande cura per paura di tagliarli o romperli, non solo non funziona più, ma appare bruscamente come un fardello che ti impedisce di affrontare con la decisione e l'urgenza necessarie il fatto che lì bisogna spezzare in un punto, prima possibile e il più radicalmente possibile, un orrore come il macello della vita e dignità altrui. Marx andava pazzo per le locomotive, quelle vere e proprie Il destino sfortunato di questi sentimenti risiede in questo imprevisto groviglio finale: un libro che era la descrizione di uno spettatore ammirato dei nodi fatti da persone diverse da lui, che era il tentativo di liberarsi da un'ammirazione nutrita fin dall'infanzia per Alessandro Magno e il 1 nodo di Gordio, Achille e il suo piede veloce, tutti i tagli netti, le rotture brusche, la rivoluzione e i chiodi piantati, doveva prendere atto che ci sono malattie e malanni di fronte ai quali non resta che correre dal chirurgo. L'ulteriore amarezza di tutto ciò è stata la scoperta che tante persone si rifiutavano ostinatamente di chiamare il ahirurgo in nome di una recentissima, e un po' superstiziosa, conversione totalizzante ali' omeopatia, celando, in realtà, una passione immutata nei confronti del chiodo, semplicemente con una propensione ali 'uso dalla parte sbagliata. Torniamo a parlare dei risultati elettorali, alla luce di quello che sei andato dicendo. Vedi qualche possibilità diversa, qualche novità a sinistra? Penso che lo schieramento politico emerso vincitore dal voto sia quello più favorevole, più incline a una distinzione, per la prima volta nella storia politica di questo paese, fra un progressismo arrembante, incurante e rozzo come quello della destra e del potere e una cautela, un'attenzione, una premura e buona conservazione come dev'essere l'atteggiamento di una buona sinistra. Allora, per la prima volta si può superare l'equivoco ereditato da tutta la storia dei sentimenti politici, per cui la sinistra è progressista, mentre la destra è conservatrice in politica e sconvolge poi il mondo con le sue ruspe. Si può superare, insomma, quella contraddizione e quell'equivoco mortale che si ritrova all'inizio del Manifesto di Marx dove si fa prima di tutto l'elogio del modo in cui il capitalismo ha sconvolto l'equilibrio naturale, ha preso il mondo e l'ha rovesciato da cima a fondo, e, così facendo, ha consentito ai rivoluzionari di rimettere in piedi i rapporti sociali. Marx era ben consapevole del fatto che il progresso inteso come devastazione, ricreazione dalle radici dell'intero mondo ad opera dell'uomo è stato l'impresa non solo dell'intera storia umana, ma di quella tappa accelerata e formidabile che è il capitalismo, solo che ne andava pazzo. Non solo diceva: "la rivoluzione è la locomotiva della storia", ma davvero impazziva a guardare le vere locomotive! Allora, lo schieramento uscito da queste elezioni è ibrido, confuso, contraddittorio, però per la prima volta si vede che un modo di fare inconsapevole e strafottente nei confronti della fragilità delle cose sta essenzialmente, persino nei comportamenti politici e nella campagna elettorale, dal lato del centro-destra e un modo di fare opposto, disponibile a questa cura nei confronti delle cose e al tempo stesso insofferente dell'ingiustizia e del privilegio sta a sinistra. Dopodiché, a sinistra ci sta anche il contrario, ci stanno ancora i nostalgici del taglio netto, i grandi poteri capitalisti che non accetteranno mai di ridurre il traffico automobilistico per comprensibili ragioni di famiglia, ci stanno i giudici per i quali la chirurgia giudiziaria è una vocazione insuperabile ... Per la prima volta, però, vedo una sinistra che può non essere imprigionata dal pregiudizio del progressismo, dalla vergogna e dall'imbarazzo di dichiararsi conservatrice. Trovo indimenticabile che il ministro dell'ecologia del governo Berlusconi fosse quel Matteoli cacciatore e cementificatore. Ecco, quello fu veramente il momento culminante della chiarezza, della nitidezza dei comportamenti, delle scelte. Il ricordo di Alexander Langer ci ha accompagnato anche in questa intervista. Per concludere vuoiaggiungere qualcosa ... A suo tempo, in modo anche comprensibile, il suicidio di Alex è stato sofferto e pensato in rapporto con la sua generosità estrema e anche con l'amarezza, la solitudine, il disinganno, con quel senso di inanità e di sconfina che ha accompagnato la sua attività politica e che, in particolare, ha riempito, come succedeva a tutti coloro che si andavano a misurare di persona con una condizione estrema come quella del1'ex-Jugoslavia, i suoi ultimi anni. C'è stata una forzatura persino confortante nel collocare la sua morte al termine da lui scelto in questo itinerario personale, civile, politico ed umano. Era un modo per padroneggiarla un po'. Invece nessun padroneggiamento è possibile e resta solo il fatto che si è ammazzato in un giorno di quell'estate ... Però voglio dire una cosa che è successa pochi giorni dopo di allora, che continua a restarmi davanti agli occhi, anche se non ha niente a che fare con un pensiero, con una riflessione, tanto meno con una intenzione di spiegazione o di metafora. E' semplicemente un'immagine che si è presentata come tale, che ha colpito la mia vista, e non solo la mia naturalmente. Pochi giorni dopo che Alex si è ammazzato - ero ancora fortemente sotto l'effetto di quel dolore così acuto- una mattina ero in macchina qui a Firenze, non lontano da piazzale Michelangelo, dal posto, cioè, dove lui si era impiccato e aprendo il giornale ho visto in prima pagina la foto della ragazza di Srebrenica che si era impiccata a un albero durante il viaggio che fecero i profughi per andare ad accamparsi ali' aeroporto di Tuzia. Nessuno sa chi fosse quella ragazza. Ho cercato anche di rintracciare il fotografo, ma invano. Durante quell'esodo delle donne e dei bambini da Srebrenica verso un campo profughi, mentre gli uomini venivano sterminati, quella ragazza ignota si era impiccata ed era stata fotografata mentre penzolava dal suo albero coi piedi nudi. Quell'immagine, quei piedi nudi, in quegli stessi giorni d'estate, ha colpito la mia vista ed è stata immediatamente più forte di qualunque riflessione. Quella ragazza che camminava insieme agli altri verso una salvezza si era tolta le scarpe e si era impiccata, decidendo che la sua strada era finita lì. La coincidenza fra questa immagine e la decisione di Alex che si era tolto le scarpe e si era impiccato al suo albicocco mi ha colpito... Niente di più. Se dicessi qualunque cosa la sentirèi non solo come arbitraria, ma come pura stupidaggine. Però ancora adesso ho voglia di rimostrare la vicinanza fra queste due immagini. - UNA CITTA' 3

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