Una città - anno VI - n. 50 - maggio 1996

* ira Attraverso i ricordi d'infanzia e di adolescenza di Francesco, la vita dei ragazzi in un quartiere popolare di Pc Quasi tutti gli operatori che hannofondato il Centro sociale S. Francesco Saverio avevano, negli anni precedenti tentato forme di intervento sociale, talora con modalità ed intenzioni molto differenti. E' stato interessante, perciò, invitare a raccontare la propria "storia di vita" un giovane ventottenne che -quasi venti anni prima, nel periodo di passaggio fra le scuole elementari e le medie- avevafrequentato una Casa dei ragazziin cui adolescemi di quartieri degradati venivano accolti per il pranzo, per lo studio e per attività di socializzazione invernale ed estiva. Come si vede dalle risposte di Francesco, fa sua vita si è svolta in due quartieri diversi dal!'Albergheria, purtroppo con caratteristiche materiali ed umane non dissimili. (A cura di Nino Rocca e Umberto Santino). Cosa ricordi della tua infanzia? Prima che alla Kalsa venisse Nino (e per Nino intendo qui tutta la comunità della "Casa dei ragazzi"), la scuola per noi non esisteva perché cercavamo sempre di non andarci. Mi ricordo che, alle elementari, io non volevo mai entrare: o meglio, entravo e uscivo dall'altra parte; e poi ce ne andavamo con un altro gruppo di ragazzi, tipo ("per esempio") alla fiera al Foro Italico. Ce ne andavamo a rubare cose come gettoni dalle cabine telefoniche, oppure cercavamo di rubare le sigarette a quelli che tempo fa alla Kalsa facevano il contrabbando delle sigarette. Mi ricordo pure che abbiamo fatto qualche cosa quando ci mettevano il circolo ... ti ricordi? Al Foro Italico, quando organizzavano il circolo ... anzi il circo ... il circo equestre, rubavamo qualche cosa lì dentro. Insomma tutte cose che forse potevano essere di importanza perché uno cresce in una certa maniera ... E la tua famiglia, tuo padre, tua madre? Povertà. Da piccolo ... noi eravamo otto, ma ora mi è morto un fratello. Mio padre certe volte lavorava e certe volte non lavorava. C'è stata sempre ignoranza a casa mia, erano analfabeti tutti e due. Ignoranza e povertà, perché c'era anche fame, mi ricordo ... E tu, e i tuoi fratelli, siete andati a scuola? Sì, diciamo che andavamo alle elementari. Andavamo ... però non andavamo, perché ci andavamo obbligatorio -cioè forzati- perché non ci piaceva andare a scuola. Ho fatto le elementari, sì; poi ho finito la prima media e poi mi sono ritirato. Eravate tutti poveri, anche i tuoi amici? Sì, la maggior parte eravamo tutti del quartiere. Poi c'erano alcuni che vedevamo venire importanti, cioè vestiti bene, con giubbotti nuovi e scarpe nuove: e per noi il paragone era una vergogna. Poi il maestro sempre ci picchiava ... e ci picchiava forte perché non stavamo fermi: noi, nella mia classe, mi ricordo che eravamo un gruppo di sei ragazzi proprio terribili. Una volta ci eravamo messi in testa che la supplente era in stato interessante e siccome ci aveva fatto uno spregio ("torto"), avevamo deciso di darle un castigo. Lei aveva riferito una cosa al maestro, pur sapendo che -apprendendola- il maestro ci avrebbe picchiati: così avevamo deciso di fargliela pagare facendole, nella nostra mente, avere problemi fisicamente. Pensavamo di farci rimproverare molto affinché ne venisse fuori uno stress per lei: a questo avevamo mirato. Ma a scuola non si parlava del quartiere, della vostra condizione? Chi doveva parlare della nostra condizione ... ? Il maestro. Loro si attenevano ai compiti da farci fare. Qualche cosa magari l'avrà detta, ma io non me la ricordo. Di questa esperienza nella scuola elementare non ti è rimasto niente, soltanto il maestro che ti picchiava? II sabato mattina c'era il filmino, quindi il sabato andavamo tutti a scuola: solo questo. Poi, per quanto riguarda studiare, no: cioè non ci sembrava l'ora che finisse la lezione per uscire subito ed andare per le strade. Io non tornavo a casa a mangiare, mi ricordo. Poi, mi sembra, ogni tanto si usciva con i bambini a vedere i posti che c'erano accanto alla scuola: c'era un posto là -non so come viene chiamato- un palazzo settecentesco, forse. Insomma posti antichi, però rare volte succedeva. No, compiti mi ricordo che non ne facevo mai. E questa cicatrice come te la sei fatta? La cicatrice è da quando mi hanno dato diciannove punti in faccia. Sì, è successo per non andare a scuola. Mi ricordo che facevamo la cosiddetta l'ora ("assenza", dal nome del quotidiano palermitano della sera allora in vendita) e decidevamo sempre di andare al Foro Italico per vedere cosa si poteva rubare. Io andavo in terza elementare: otto anni, nove forse. Siccome andavamo a rubare sempre allo stesso punto, già sapevamo come fare. Quella volta, non so perché, un pastore tedesco gigante -che era sempre stato legatoera slegato: e quel cane, di tutti quattro, inseguì giusto giusto me. E, niente, per scappare io guardavo il cane, stavo attento se il cane mi mordeva, perché il cane partì su di me principalmente; e mentre guardavo il cane, girato così, andai a sbattere la testa in una sbarra fina, appuntita. Mi ricordo che subito mi portarono ali 'ospedale (alla stazione ferroviaria c'era il pronto soccorso); poi venne la polizia perché sembrava che alla Kalsa mi avessero accoltellato e, invece, più di una volta io gli dissi qualche scusa. Loro vedevano che io non sapevo che cosa dire, perché avevo paura di dirgli che andavo a rubare i gettoni, e con questa ferita che avevo pensavano che mi avessero fallo del male. E i tuoi fratelli? Tuo padre e tua madre lo sapevano che voi facevate questo tipo di attività? Se ne parlava mai in famiglia? No, io a mia madre queste cose non gliele dicevo mai, perché mia madre mai ha voluto che noi da piccoli facessimo brulle male strade. Ma non ne parlavate mai? No, io mi tenevo sempre per me ciò che mi capitava. Mi ricordo che una volta dissi a mia madre che mi ero rotto un braccio giocando, ma invece quella volta un contrabbandiere della Kalsa mi ha buttato dal primo piano -a me e ad altri due- perché siamo andati a rubargli le sigarette. Io mi sono rotto il braccio e poi mi hanno ricoverato all'ospedale e tutto ... e io a casa dissi che fu in una partita di pallone. Questo è successo dopo, quando eri un pochino più grande, no? No, mentre che andavamo in quarta elementare. Mi ricordo che gli andavamo a rubare le sigarette. Loro avevano sempre problemi con la Finanza perché gli sequestravano la merce; forse quella mattinata gli avevano sequestrato della roba ed erano nervosi per i fatti loro. Non è che gliele rubavamo tutte, le sigarette: prendevamo quattro stecche per poi andarle a vendere, a comprarci il pallone, le magliette per giocare al pallone. Ma in questa occasione uno di loro ci ha presi - eravamo io e un altro- e ci ha tirato in una casa. Nelle case vecchie della Kalsa non c'erano le ringhiere nel balcone: ci ha buttato proprio di sotto. Quel ragazzo, mi ricordo, ha avuto una specie di slogatura nel piede; io invece mi sono rotto il braccio, poi sono andato a casa e ho detto che era stato giocando al pallone e mi hanno ricoverato all 'Ospizio Marino. E lo avete fatto più di una volta di andare a rubare le sigarette? Due o tre volte e poi, dopo che mi hanno rotto il braccio, non ci sono andato più. E i tuoi tre fratelli? Pietro ora è morto. Era un tipo abbonazzato ("bonaccione"), non se ne andava al mare, non refurtava ("rubacchiava") né faceva delle cose brutte. Ci fu un periodo che lavorava a dodici, tredici anni; lavorava a S. Erasmo, in quella ditta grande dove lavorano il tonno e le sardine. Però era sfruttato e pochi infatti accettavano questo lavoro. E come è morto? Una vera e propria diagnosi non c'è stata. Mio fratello è morto all'ospedale nell'85, aveva 25 o 26 anni. Mio fratello era un paffonato mentale ("fissato"), come diceva mia madre: si fissava nelle cose e, a forza di fissarsi sempre, era caduto malato. Poi nel1 'ospedale hanno detto che ha avuto un blocco intestinale. Sarebbe stato meglio fargli fare l'autopsia per vedere la causa della morte, però mia madre -mentalità all'antica- non ha voluto. Poi c'è un secondo fratello più grande di te, Paolo? Anche lui ha lavorato come Pietro. Poi, verso i 14-15 anni, lasciò questo lavoro perché si lavorava anche fino alle tre di notte: erano orari continuati, mi ricordo, senza staccare mai. Lasciò questo lavoro e intraprese il lavoro nell'edilizia. Cominciò come manovale, come muratore e da allora ha lavorato sempre in questa ditta. Ora incomincia ad essere quasi mastro ("maestro"), però lui lavora a certe condizioni: lui lavora per della gente di Bagheria che gli dà sempre lavoro, però gli assegni se li devono prendere loro. Mio fratello gli dà il tesserino e gli assegni familiari - invece di prenderseli mio fratelloa fine mese se li prende il datore di lavoro. In cambio gli garantisce che lavora ogni giorno. Lui ne ha bisogno: ha due bambini e una moglie. Il terzo sei tu? Sì, e poi c'è Rosario, e poi ci ho quattro sorelle. Si può dire che Rosario è sempre stato un tipo calmo: pensavamo che fosse fuori dal comune perché era un tipo che andava a fare a casa i compiti, nonostante tutto, cioè nonostante l'aria che tirava a casa. In pochi riuscivano a stare a casa. Ha sempre avuto la testa a studiare lui, ha continuato le scuole dopo le medie ... : certo ha avuto anche lui il suo periodo critico, perché si è fermato dopo le medie, poi voleva ricontinuare e si era iscritto -mi sembra- al magistrale; poi disse che da solo non ce l'avrebbe fatta, ci volevano pure libri, soldi per le tasse. Alla fine lasciò tutto. Però, nonostante che non va a scuola, lui studia sempre. Si è comprato una Enciclopedia Bompiani. E che fa? Studia. Fa ricerche. Sta tutto il giorno a casa. E le sorelle? b 10 UNA CITTA' ,O Maria è la più grande, ha 29 anni. Lei a 13 anni -neanche ce li aveva, forse- si nni fuiu ("se ne è fuggita"), come si suol dire alla Kalsa. Poi c'è Concetta, Annamaria e Rita. Concetta ha finito le scuole ed ora frequenta un corso, pagandoselo facendo le pulizie presso una famiglia. Annamaria e Rita non lavorano. Parliamo di questa vostra casa alla Kalsa. Eravamo IO in una stanza e un cammarino ("camerino"). Era vecchissima, rovinata anche dalle bombe: dietro c'erano tutti i resti della guerra, dietro a cortigghio ("cortile") Pallone. Noi siamo stati in tre case, sempre alla Kalsa: in quest'ultima ci è caduto il tetto addosso e così, quando è caduto, hanno assegnato la casa a mia madre, perché prima non gliene davano di case. La prima casa era vicino alla scuola, vicino piazza Magione, proprio a trenta metri. Io sono nato in via Vetriera. In piazza Magione, allora, c'erano sempre dei fumi, dell'immondizia: non so se voi ci passavate -ora no, è più pulito -ma allora tutta la giornata c'era questa puzza di fumo. Io mi ricordo questi particolari: sempre fumo, fumo ... Poi sei stato in una casa proprio in piazza Magione. Com'era? Questa diciamo che era un po' più grande, aveva le cosiddette "persiane": si entrava e c'era una stanza grande; poi una scala e si andava nel piano sopra. E poi siamo passati in una terza casa, questa di Porta Reale, dove ci siamo stati molti anni, fino al crollo del tetto. Era una stanza: si entrava e c'era una stanza e poi ce n'era un 'altra più piccola, il cammarino. Ed eravate in 10 in questa stanza? In IO, compresi mia madre e mio padre. Servizi? Soltanto rubinetto e gabinetto. Questa casa popolare allo Sperone quand'è che vi è stata assegnata? lo avevo 13 anni: dunque un 15 anni fa. E da allora state allo Sperone? Sì, adesso a casa siamo sette; ma qui la casa è grande: ci sono 5 stanze e c'è pure il parquet di legno. Ritorniamo al gruppo di ragazzini. Poco fa dicevi che eravate in quattro, ogni giorno andavate a fare ... ? O rubare oppure ... Fare scippi? No, gli scippi li facevano quelli più grandi. Noi sinceramente ne abbiamo fatto una volta uno e impincivu ("inciampai; sono stato preso dalla polizia"). Eravamo in tre e -non lo so come fu, per bravata mi sembra, per fare vedere chi aveva le coma più dure- cifecimo ("facemmo") avanti io e un altro ragazzo. Questo era più piccolo di me. Sapevo che era pericoloso: magari io mi ricordo che lo facevo ridendo, ma dentro mi spaventavo. Volevo far vedere che ero coraggioso, però di dentro mi spaventavo: e lo abbiamo fatto lo stesso. C'~a una signora che si stava vedendo il circo: era seduta con suo marito e con suo figlio e veniva male tirargli la borsa perché l'aveva agganciata ad un gancio delle panche. Mi ricordo che l'amico mio disse: Ora ci afazzu lassari iu ("Ora gliela faccio mollare io"). Fece il giro, andò nella panca e dette uno schiaffo a suo figlio. La signora, giustamente, cercò di reagire: io, appena ho visto che la signora aveva lasciato la borsa, me la sono tirata di sotto e così ci siamo portati la borsa. Eravamo affiatati: fra di noi ci rispettavamo moltissimo, ci aiutavamo a vicenda. C'era qualcuno che faceva il capo? Fra di noi no: ognuno aveva il suo compito. E vi riunivate ogni giorno? Dalla mattina già pensavamo di uscire dal- ! 'altra parte della scuola. Si entrava alla Ferrari e poi, dietro la Ferrari, c'è una strada piccola: noi abbiamo rotto le ringhiere della scuola, perché -mi ricordo- misero le grate come la galera. Nei bagni c'erano le grate, però noi lo stesso le abbiamo rotte ... Andavamo per il quartiere o andavamo alla Vucciria che era il mercato più vicino o in corso Vittorio Emanuele o al Foro Italico. Ma era per rubacchiare? Sì, con la speranza di potere racimolare qualche cosa: mi ricordo che io lo facevo perché volevo comprarmi il completino per giocare a calcio, volevo il pallone, volevo certe cose. Quindi andavate ogni giorno a rubare, o a tentare di rubare. E dove andavate? Al Foro Italico e alla Vucciria fregavamo molte mele, poi le mettevamo tutte in una cassetta e le portavamo alla Kalsa. Vendevamo la frutta e con il ricavato dei soldi andavamo a comprare palloni oppure altre cose. Ti ricordi qualche episodio particolare? C'era un amico mio che si metteva il giubbotto e, dentro il giubbotto, aveva una specie di sacca, prendeva arance e le metteva sempre ·nella sacca. Una volta gli ho detto: Presto, curri, picchì si virinu picchì si grossu ("Presto, corri, perché si vedono perché sei grosso"); Navutri dui, aspetta, navutri dui ca ci vannu; zittuti ca ci afazzu ("Altri due, aspetta, altri due che ci entrano; stai zitto che ce la faccio") mi disse. Il venditore se ne accorge, gli getta un grido, lui si è spaventato e gli è scivolata la sacca e tutte le arance sono andate per terra: lo hanno preso sul fatto e lo hanno picchiato. Ma chi? I commercianti, i padroni della frutta. Quindi rubavate solo la frutta? Frutta, solo frutta. Mai soldi? No, i soldi mai. Infatti mi ricordo che uno di noi, Damiano, diceva: Le signore a Vucciria nuddu l'ava a tuccari picchì a Vucciria ci va fannu a spisa i cristiani poveri ("Le signore alla Vucciria nessuno le deve toccare, perché alla Vucciria ci vanno a fare la spesa le persone povere"). E i commercianti non sapevano che voi costituivate una banda? Si, non solo noi: ce n'erano a milioni, ce ne sono a milioni; oggi ce ne sono magari di meno, ma allora ce n'erano moltissimi di ragazzini che passeggiavano e sempre loro stavano attenti ... Ma non c'era la polizia in giro? Per queste cose la polizia non c'è stata mai. E tu che cosa sapevi da ragazzino? Sapevi chi erano i boss? Questi li sentivamo nominare. Per noi alcuni erano dei santi, nel senso che erano troppo, troppo in alto. E non li conoscevi? Sì, dì vista. Chi erano quelli che conoscevate? Ma che ne so, individui che ora sono morti o sono stati condannati al max i-processo. Voi bambini parlavate di queste persone? No, per la verità: non si dovevano toccare queste persone, né le loro macchine, né tutto quello che apparteneva a loro. Temevate che si vendicassero? Li temevate perché erano mafiosi? Per noi era gente troppo importante, gente che faceva paura: poi non c'era più la tirata della pietra. Noi sapevamo che, magari, loro potevano reagire sino a farci morire, ci bruciavano, ci ... Si mi n' addugnu a unu ca pigghia i sicaretti u spilu vivu opuru ci tagghiu a testa e u ieccu a mari cu un balatuni ("Se mi accorgo di uno che ruba sigarette lo spello vivo oppure gli taglio la testa e lo getto a mare con una grossa pietra"): a noi bambini queste cose ci facevano spaventare. Ma in famiglia discutevate di queste cose? Sì, in famiglia si parlava: alla Kalsa lo sapevamo chi era a comandare, insomma chi teneva in pugno tutti. Si diceva che ci sono persone nominate ("note"), che sono i potenti nel settore diciamo della mafia, il quartiere lo comandano loro: io mi ricordo che, quando scendevano e andavano a piazza Kalsa, tutti quelli li baciavano e "saluti", "saluti", "saluti" ... Insomma, una specie di ruffianesimo, secondo me. E come si manifestava questo potere? Per esempio, chi voleva addentrarsi in giri così grossi doveva fare del male, doveva far vedere che era uno che valeva. Mi ricordo di un ragazzo che poi si addentrò in questi giri grossi: prima rubava, poi faceva scippi, poi andava a fare rapine a mano armata; poi la polizia lo ha inseguito alla Kalsa e gli ha sparato. Lui è riuscito a svincolarsi e già in un certo modo questo lo ha reso degno di merito per gli Spataro: loro non vanno a prendere un ragazzo così che è alla Kalsa per fargli fare cose grosse, prima devono vedere se quel ragazzo si sa fare valere. E ti ricordi di altri ragazzi che poi si sono inseriti in giri più pericolosi? Mi ricordo che c'era un ragazzo che era "un pezzo di pane", si chiamava Giuseppe: ora è tutt'altra cosa, ha avuto a che fare con la droga ed ora è dentro. Ma la droga quando è cominciata? Non lo so ... Prima, nel periodo di cui parlo, c'era un contrabbando grosso di sigarette; se c'era qualcosa di droga era una cosa piccola. Poi, in secondo tempo, arrivò il discorso della droga perché magari là hanno visto che si guadagnava di più. Io li ho frequentati finché loro stavano -diciamo- nel ceto che stavo io: se devo essere sincero ci dovevo essere pure io con loro. Loro in me vedevano una specie di furbizia, vedevano che non dicevo mai niente a casa. Solo che ho avuto la fortuna di incontrare Nino Rocca e la "Casa dei ragazzi" ed è cambiato tutto. Veramente i primi tempi no, perché è stata una cosa tremenda: però, dopo, ho visto il cambiamento. E i ragazzi con cui tu sei cresciuto? Alcuni non ci sono più, sono scomparsi; altri uccisi per rapina. Mi ricordo di uno, più grande di noi, che vedevo sempre nei biliardi a giocare alla cosiddetta "zicchinetta": Giorgio mi sembra che si chiamava, ci voleva bene moltissimo. A noi ci dava sempre soldi, ci difendeva, non era violento con noi, però gli altri avevano paura di lui. Mi ricordo che ci rispettava moltissimo, ci comprava le cose, ci difendeva: appena uno dei grandi alzava le mani, lui veniva subito e gli diceva di chiederci scusa. Mi ricordo che una volta un signore di 45 anni ci ha dovuto chiedere scusa perché lui gli dice: "Se non gli chiedi scusa, io qua ti taglio pezza pezza". Torniamo a te. Hai abbandonato la scuola perché avevi difficoltà: che genere di difficoltà? Avevo difficoltà nell'apprendere, ero sempre distratto, sempre ... Visto che scuola non ne volevo, facevo il fruttivendolo, questi lavoretti così. All'inizio non me ne sono accorto perché ero sempre un ragazzo; poi un po' me ne sono pentito perché ho visto che mi sentivo sfruttato: lavoravo tanto per quattro soldi. Visto che mi pagavano pochissimo, decisi di passare a muratore: mi davano 30 mila lire al giorno. Quindi, a differenza della salumeria, guadagnavo circa 200 mila lire a settimana, mentre in salumeria arrivavo a 8090 mila a seuimana. E allo Sperone, nel tuo nuovo quartiere, ti sei fatto nuove amicizie? I primi tempi, allo Sperone ero spaesato. Non se ne capi va niente. Praticamente hanno preso tutte famiglie più degradate dei vari quartieri di Palermo e le hanno messe tutte in un punto, le hanno concentrate nelle case popolari. Forse sarebbe stato meglio che questo non fosse successo: voglio dire che una patata fradicia, una mela fradicia in una cassetta non si notano, ma messe tutte in un punto ... Lo Sperone all'inizio veniva chiamato "il dormitorio", perché la maggior parte dei ragazzi ritornava sempre nei propri quartieri: quelli di Ballarò se ne andavano a Ballarò, quelli dell 'Albergheria ritornavano ali' Albergheria, noi della Kalsa andavamo alla Kalsa. Insomma lo Sperone erano case soltanto per andarci a dormire: non c'era vita, niente, questo me lo ricordo benissimo. Io vivevo quasi sempre da mia nonna Rosa alla Kalsa, poi pian piano ci siamo cominciati ad abituare, si sono fatte nuove amicizie. E adesso come ti trovi? Diciamo che se io non avessi avuto la fortuna di frequentare per alcuni anni la "Casa dei ragazzi" e di imparare ad essere un po' riflessivo (un po', perché io non mi definisco una persona che sa vivere i problemi in fondo), sarei come i ragazzi che vivono allo Sperone, a Brancaccio, a Roccella: nella situazione attuale non si rendono conto di ciò che li circonda. Non hanno la possibilità di riflettere se questo è giusto e quello è sbagliato, se il tenore di vita potrebbe essere in un 'altra maniera: non lo sanno perché sono andati sempre in una certa maniera, giusto? Quindi non vedono la differenza fra il condurre una vita più pulita e il continuare come hanno fatto sempre. Per esempio certa gente è felice perché magari la mattina va a correre, la domenica va alla partita oppure al mare: secondo me questi valori si perdono in questo quartiere perché a ogni ragazzo quello che interessa è fare soldi, realizzarsi economicamente. Anch'io voglio realizzarmi: la mia realizzazione è il lavoro e quando c'è il lavoro è come se ci fosse tutto, ma quando viene a mancare, manca tutto. Quando non so chi -la magistratura o il governo- presero la decisione di bloccare tutta I 'edilizia(se vi ricordatedall '83 ci fu quel blocco edile perché la maggior parte dei costruttori erano corrotti, mafiosi), fu un danno enorme, perché da allora ci fu una disoccupazione enorme. La maggior parte di quelli che conosco io è tutta nell'edilizia, perché a un certo punto non si decide più che mestiere uno vorrebbe fare nella vita: si è costretti a stare dove si guadagna di più. E ci fu una grossa disoccupazione e molta gente che lavorava come manovali, idraulici e cose simili, è stata costretta in un certo senso ad andarsene a rubare, a fare cose illecite. Hai qualche ricordo personale? Una volta -circa dieci anni fa- lavoravo in un laboratorio dove si fanno dolci. Ci fu un blitz ed entrò la polizia. Io ho dovuto fare un po' l'eroe: ho preso delle pistole che c'erano sotto il bancone e le ho portate fuori. E così feci un grosso favore a chi le aveva nascoste e non le feci vedere alla polizia. Altri ricordi? Tempo fa un amico mi disse che c'era la possibilità di prendere soldi se fossimo stati a un gioco. Praticamente consisteva in questo: noi disoccupati avremmo dato la fotocopia del tesserino e del codice fiscale e loro ci avrebbero fatto avere quattro milioni a testa dall'ufficio di collocamento. In vent'anni io non ero mai riuscito ad avere questo sussidio di disoccupazione che è un mio diritto, anche se ho presentato la domanda. Quella volta in venti giorni abbiamo avuto i soldi. In banca mi hanno dato veramente quattro milioni e così pure ai miei fratelli e ai miei cugini: ma abbiamo dovuto dare tutto a quel signore tenendoci 300 mila lire a testa. Anche quelli che hanno preso alla banca cinque o sei milioni hanno dovuto dare tutto e tenersi solo 300 mila lire. Avete pensato di denunziare la cosa? No. Ma quando è successo? Verso marzo di quest'anno. Ma una volta non avevi lasciato Palermo? Sì, sono stato a Londra a lavorare in un locale italiano. Lavoravo tutta la settimana e la domenica andavo un po' girando per la città. Quando sono arrivato in Inghilterra ve lo potete immaginare l'impatto all'inizio imbarazzante: non sapere parlare, non sapere muoversi né niente. Le linee urbane, le metropolitane, non si sa dove mettere i piedi. Poi pian piano mi sono ambientato. Ma guadagnavo 136 mila lire la settimana, quelli giusti per poter vivere: e così dopo tre mesi me ne

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