Una città - anno VI - n. 50 - maggio 1996

zione delle perline di plastica fatta in alcuni villaggi del nordest della Thailandia, la federazione si incaricadi studiare e consigliare, di fare consulenza per altri villaggi che vogliono sviluppare attività economiche analoghe. Oppure, altro esempio, i pescatori del sud della Thailandia svolgono attività di training per quei villaggi che vogliono fare gestione dell 'ambiente nelle foreste dell'ambiente marino, ma, contemporaneamente, fanno training sui sistemi di pesca non distruttivi. Queste federazioni di produttori come si pongono verso il mercato ufficiale, vogliono organizzare un mercato alternativo o continuano a fare i conti con il commercio tradizionale? Entrambe le cose. Da un lato esistono esperienze di mercati alternativi che funzionano parzialmente, ma, per una percentuale che oscilla tra il 60 e l '80%, le vendite avvengono nel mercato tradizionale. Però dobbiamo stare attenti, perché il mercato non èunitario, ad esempio esistono le nicchie. I pescatori del sud della Thailandia, siccome avevano fatto lavoro di conservazione delle foreste di mangrovie, oggi sono gli unici in grado di fornire granchi delle mangrovie, che sono molto pregiati e si vendono ad alto prezzo. Tutto ciò, naturalmente, non avrebbe valore se non si fosse formato un ceto medio in grado di apprezzare un prodotto più genuino e più costoso. Quindi, paradossalmente, quel modello di sviluppo, che hadistrutto le foreste e mette in pericolo i villaggi, è in grado di creare l 'opportunità della nicchia, della differenziazione di mercato che consente di avere un'attività economica compatibile con l'ambiente, ma ad alto reddito. Oggi i pescatori del sud della Thailandia riforniscono i ristoranti di Singapore e se Singapore non si fosse sviluppata i consumatori non mangerebbero un granchio più costoso, ma più buono. Nondimeno va ricordato che una nicchia di mercato non è solo una relazione economica: chi gusta i granchi delle mangrovie sache solo una organizzazione cooperativa che non distrugge le mangrovie può procurargli questi granchi. Io spero che quei pescatori riescano in pochi anni ad esportare questi granchi in Europa, dove c'è gente che mangia falsa polpa di granchio. E seci sono europei interessati a mangiare polpa di granchio di alta qualità, acquistandola possono aiutare l'economia di quei villaggi. Lo scambio deve essere reale: da una parte consumatori interessati a quel prodotto, dal!' altra produttori che mediante quel prodotto innescano un processo di sviluppocompati bi le e democratico, nel senso di altamente distribuito. Per concludere, noi parliamo sempre di paesi, ma lo sviluppo sta seguendo strade diverse, perché c'è uno sviluppo di tipo marittimo, quello dei cosiddetti triangoli o quadrilateri di sviluppo, cioè di énclaves al confine fra vari paesi nelle quali ciascuno di essi dirotta le proprie specifiche competenze e si formano aree di industrializzazione. Una di queste énclaves si trova al confine fra Singapore, Indonesia e Malaysia, un'altra fra Malaysia, Indonesia e Thailandia. In questi bracci di mare, dove di solito ci sono delle isole, si sviluppano porti con nuove attività economiche e di scambio. Tutta la geografia economica della regione va ripensata. Oppure pensiamo al fiume Mekong, che più di ogni altro luogo nel Sudest asiatico dal 1935 ad oggi è stato il fiume della guerra per eccellenza, il fiume della guerriglia, il fiume dello scontro. Oggi il Mekong sta diventando un grande bacino di sviluppo interregionale, dove si passerà dal Laos alla Cambogia, dal Vietnam alla Thailandia, dal la Birmania alla Cina con merci e persone che andranno avanti e indietro ... Sta diventando un modello di sviluppo e sarà interessante vedere in che direzione evolverà. - B10110 eca Gi DA PHNOM PENH Intervista a Andrea Canevaro Andrea Canevaro, docente di Pedagogia speciale all'Università di Bologna, è stato invitato in Cambogia per tenere un corso sull'esistenzialismo a un gruppo di docenti all'interno di un progetto di ricostruzione di parte dell'università di Phnom Penh, affidato, per quanto riguarda Lettere, Filosofia e Storia, alla Ong italiana New Umanity, collegata al Pime (Pontificio istituto missioni estere) che trae finanziamento da/1'8per mille, una cui quota viene destinata all'estero in situazioni non legate a economie di gruppi cattolici. Allo sbarco, la mia prima impressione è stata quella di un mondo di polvere, disfatto, fatto di rovine, senza le strade, senza niente. Adesso credo che stia piovendo abbondantemente, ma quando sono arrivato si era nella stagione secca, era molto caldo, umido e le strade erano spianate di polvere. Poi l'occhio si abitua e comincia a cogliere i dettagli che, nella povertà, sono tutti molto accurati: le figure femminili sono tutte in bicicletta con la sottana blue plisset e la camicia bianca, i ragazzini vanno a scuola con la loro cartella e hanno i pantaloni stirati, la camicia bianca. Nel mezzo di tutta quella polvere intravedi un estremo ordine nelle figure umane. E anche quando intuisci l'estrema povertà il vestito è sobrio e molto ordinato. Insomma, dopo un po' cominciavo ad avere difficoltà a collocare le figure in quello sfondo. Sul bordo di queste strade c'è una prima fila di banchetti rigurgitanti sempre degli stessi prodotti: piramidi di baguette tutte incellofanate, altre piramidi di bottiglie di acqua passata al purificatore che è l'unica acqua che si può bere e frutta di tutti i generi, montagne di frutta. Poi ci sono quelli che arrivano col motorino, aprono il banchino, cominciano a cuocere brodi: sono piccoli ristorantini volanti. Ci sono anche i veri negozi, che sono pure abitazioni -in realtà sono baracche-, dove si vedono dei letti, dei piani rialzati bassi e molto larghi, spesso una televisione accesa, fili della luce che partono da tutte leparti creando una specie di continuo festone che corre in tutte le direzioni, dentro e fuori, sulla strada: si attaccano dove capita. Ma sono negozi che hanno ogni ben di dio. Man mano che dall'aeroporto si va verso una specie di centro città si incontrano negozi dove si può trovare veramente di tutto, anche formaggi francesi. Pensa, volevo fare un regalo a chi mi ospitava e sono riuscito a trovare anche vini francesi! Avevo rotto gli occhiali e in un negozietto con l'aria condizionata mi hanno fatto la visita con un'apparecchiatura elettronica che dal momento in cui computerizzava i miei occhi si metteva a fabbricare gli occhiali: il giorno dopo avevo gli occhiali nuovi! Quando li ho fatti vedere a un ottico in Italia, mi ha chiesto se li avessi presi in America perché noi non abbiamo ancora questi materiali. E questo negozio era proprio un bugigattolo: la porta sul retro dava in un posto che sembrava bombardato, mentre sul davanti la strada era tutta costeggiata da una fila di motorini abbandonati, sfasciati, da montagne di roba da buttare via. Insomma, vista con i nostri occhi, è una strana situazione, fatta di miseria e fatiscenza, ma nella quale, però, puoi trovare il particolare molto curato e anche molto avanzato tecnicamente. Tuttavia, hai l'impressione che manchi l'idea che una parte possa essere collegata strutturalmente al tutto. Credo che questo sia il problema più grave: la mancanza di connessioni, di collegamenti. Sembra una città fatta di persone che non sanno cosa succede vicino a loro. Non può essere anche questo il risultato del genocidio? Phnom Penh, come è noto, fu svuotata da Poi Pot: da un milione e passa di abitanti si passò a non più di diecimila persone, e in pochissimo tempo. Tutti gli altri furono deportati, in nome del ritorno alla terra, della purezza del seme. La città era la corruzione e quindi bisognava distruggerla. La città era considerata il regno degli intellettuali, dei bonzi, delle persone con gli occhiali, e furono ammazzati tutti, con i bambini che furono ammazzati a colpi di zappa o sbattuti contro gli alberi per risparmiare pallottole e i cadaveri che dovevano diventare concime per bonificare la terra. Oggi Phnom Penh è di nuovo una piccola metropoli, dove, però, le connessioni, i collegamenti sono difficili, le informazioni non girano; in una parola, non c'è tessuto. Le tecnologie arrivano, o Bianco ma arrivano in quella polvere, e possono benissimo arrivare in quella polvere, altre strutture culturali no, hanno bisogno di strutture di accoglienza. Sono arrivato a mezzogiorno e mezzo e poco dopo ero in un'aula a far lezione a 150 persone molto giovani: dovevo parlare dell'esistenzialismo. Avevo chi mi traduceva, ma capivo che c'erano parole che non potevano avere una traduzione e questo significava una grossa difficoltà a comprendere i concetti che usavo. Arrivato alla sera in queste condizioni, mi sono detto: "Cosa sto facendo, perché faccio una cosa del genere?" L'ho chiesto al decano e il decano mi ha risposto: "Ma gli studenti sanno che domani lei fa ancora lezione, per cui non si può non farli venire!" In una simile situazione di assenza totale di un progetto per riempire le giornate bisognava trovare un compromesso. Allora, mentre ho continuato a tenere lezioni ai ragazzi, ho organizzato anche una serie di riunioni con i docenti. Volevo ragionare un po' con loro, ma anche lì mi sono scontrato con gravissime difficoltà di parola. Hanno l'abitudine di non dare risposte. Se sono interrogati, si preparano le risposte per il momento successivo. Anche se domandavo: "Chi è lei, che studi ha fatto?", l'attesa di una risposta immediata creava imbarazzo. Il decano era preoccupato che la mia non fosse considerata una violenza, ma io mi sono sentito indovere di insistere dicendo: "Può darsi che faccia qualcosa di violento per voi, che sia una tortura, però in un paese in cui la parola tortura ha un significato drammatico e tragico credo che voi capiate la differenza che passa fra il mio chiedere e la tortura". Di nuovo avevo quell'impressione netta di una mancanza di connessioni, in questo caso fra passato e presente. Ho anche pensato che questa difficoltà a raccontare la Cambogia, e se stessi, dipendesse dal fatto che, mentre per il genocidio nazista un tedesco può dire "genocidio nazista", per il popolo khmer il genocidio è un "genocidio khmer". Questo, forse, crea più difficoltà a elaborare. Credo che per loro non sia semplice individuare nel polpottismo il responsabile unico. Credo che molti abbiano avuto una parte in tutto questo, che molti siano stati costretti a vivere complicità che portano, poi, a non riuscire a prendere la parola facilmente. Sappiamo che anche solo il fatto di essersi salvati, può essere il caso, per esempio, di un intellettuale mascheratosi da contadino, comporta gravi sensi di colpa verso i tanti che, uguali a te, sono morti. Chi si salva da un genocidio ha bisogno poi di rielaborpre e di solito è la parola che fa questo, ma la Cambogia non ha avuto modo di usare la sua parola perché immediatamente ha avuto la parola di altri: non si è liberata da sola, l'hanno liberata i vietnamiti che sono antichi rivali. Visto che le parole uscivano con molta difficoltà, abbiamo adottato anche il sistema di creare un posto per andare a pensare, avere il tempo per pensare e poi tornare e parlare, perché lì non era possibile, alla presenza di tutti, articolare una risposta. Tutto sommato, è stato un percorso interessante che mi ha dato delle soddisfazioni, casomai effimere, perché poi tutto piomba come prima. L'ultimo giorno un giovane ha parlato, raccontando di come sei anni di studio a Mosca non gli avessero dato niente perché aveva cancellato il file, che aveva come parole di ingresso: "marxismo", "materialismo dialettico", e cancellandolo era sparito tutto quello che era arrivato con quelle parole. Disse anche: "Ho capito che devo rivedere le cose che sapevo: quello che era materialismo dialettico dogmatico deve diventare materialismo dialettico critico". Un altro momento che mi ha colpito è stato quando, nella ricerca di collocazione che ciascuno faceva sulle discipline filosofiche, un giovane ha affermato: "Al momento attuale sceglierei estetica". "E perché?", ho chiesto. La risposta è stata: "Perché mi piace molto il teatro". Poi è andato avanti e ha aggiunto: "L'estetica è importante affinché non si ripeta il genocidio". Non era del tutto chiaro, credevo di capire una cosa molto importante, per cui ho chiesto che spiegasse meglio. Allora ha spiegato che il genocidio gli sembrava derivare dal fatto che non esisteva la metafora, mancava totalmente la dimensione estetica, per cui dicendo "società nuova", bisognava dire "ammazziamo tutti". Insomma, non esisteva la possibilità di un percorso simbolico. Per lui questo era l'estetica. A me è sembrato molto bello, ma so che enfatizzo perché la loro elaborazione è estremamente faticosa. La concorrenza del mercato è forte: il mercato, oltre a voler dire anche corruzione, spinge a lasciar perdere queste cose, che hanno un'elaborazione lenta, spinge a commercializzare tutto quello che si ha o che si può avere, per cui anche la cultura viene fagocitata. Quindi, la discussione fra persone più giovani e persone di un'età meno giovane può essere sempre fraintesa, deviata. Dopo i vietnamiti è arrivata l'Onu, e con l'Onu tutto il mondo con ogni sorta di contratti. Tutti i giorni si iniziano nuove attività: inun giorno si sono aperti 100 ristoranti nuovi, ma tutti appartenenti a gente che arriva. I cinesi, quelli cosiddetti della diaspora, sono commercianti incredibili, costruiscono, brigano. Visti da lì vien da pensare che saranno loro i padroni del mondo fra non molto. Insomma, tutto questo crea un impedimento serio a usare la parola per rielaborare. Non è un caso, forse, che i più giovani siano decisamente contrari al francese: vedono l'inglese come la lingua che apre il mercato, mentre il francese è più legato alla cultura. Anche il nostro progetto deve essere misurato in termini di competitività con gli altri progetti: l'Australia arriva, costruisce in cinque mesi otto piani, li riempie di computer, agisce per conto suo, senza nessun contatto, però porta delle cose. Eal governo dice: "lì ho della roba, cosa ne dite?". Comunque sia, il livello culturale del paese si sta alzando lentamente. Con la liberazione i vietnamiti hanno portato una struttura di scuola, anche se molto irrigidita. lo non posso dire tmppo male di questi vietnamiti. Ho l'impressione che, essendo più poveri, forse hanno corrotto di meno. La questione del tempo è fondamentale e la cosa più drammatica è che l'americanizzazione toglie tempo. Bisognerebbe difendere il tempo. Avendo avuto degli inviti per una rassegna di film, l'ho detto in università al gruppo dei docenti. Ho suscitato un piccolo panico. Uno mi ha detto: "Ma è obbligatorio, devo venire?". Poi il decano mi ha spiegato che tutti loro alla sera lavorano, come guardiani armati in case, come taxisti in mobiletteo in ciclomotore. Tutti hanno un altro lavoro, molti ne hanno due, tre, quattro e tutto quello che fanno per l'Università chiedono che venga pagato. Quindi, se io proponevo: "Lunedì sera vediamo questi film al Centre Culture/", avrei dovuto anche aggiungere: "E per chi viene ci sono due dollari". E' vero che la gente ha delle oggettive difficoltà a mettere insieme due pasti al giorno, però la logica per cui non si fa più nulla se non c'è una contropartita in denaro è micidiale. Insomma, la Cambogia si trova ancora in una fase di transizione molto rischiosa. Secondo il decano potrebbe anche riemergere un altro Poi Pot, oppure verificarsi un'occidentalizzazione spietata, come sta accadendo in molti altri paesi di quell'area del mondo: l'Oriente asiatico è pieno di grandi strutture, di grandi banche, di aria condizionata, di prodotti di mercato, di soldi che girano. Un giorno ho detto al decano: "Posso farle un'intervista sul passato?" Lui mi ha pregato di mettere le domande per iscritto perché voleva prepararsi. Allora le ho scritte, gliele ho date e lui non mi rispondeva mai. Gli ho chiesto: "Quando facciamo?", "Poi, poi". Siamo arrivati alla fine del mio soggiorno e gli ho detto: "E quella cosa?", "Ho risposto", "Ho il registratore, pensavo lo facessimo insieme", "Non ce la faccio, bisogna che lo faccia per conto mio". Non riusciva a parlare di quello che gli era successo in presenza di un altro. Me l'ha consegnata, l'abbiamo sbobinata ed è uscita sull'ultimo numero di Infanzia. E' un racconto di vita, molto interessante: lui ha avuto la moglie uccisa, poi, siccome Poi Pot metteva insieme delle coppie, l'hanno accoppiato con un'altra persona e loro hanno deciso di volersi bene, di sostenersi, e lo fanno tuttora. Le strade sono tutte rovinate e ci sono dei pezzi di strada a Phnom Penh che sono asfaltati di fresco con nomi nuovi, strani, per esempio, c'è una strada asfaltata col nome di un generale nordcoreano che alla morte ha lasciato detto che costruissero una strada a Phnom Penh. Le strade hanno cambiato nome molte volte e allora nessuno capisce più niente. I veri punti di riferimento urbanistico sono diventati i grandi hotel. In compenso, a Phnom Penh si recita Shakespeare. Quel ragazzo dell'estetica, che ama il teatro, ci è andato ed era contento. Ma l'informazione gliela avevo data io, lui non lo sapeva. - UNA CITTA' I 3

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