Concetto Pettinato - Russia, Balcani e Italia

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PROBLEMI ITlìLilìNI XI. CONCETTO PETTIN1yJ.O ~ RUSSilì, Blì a lìNI E MILflNO ' RFiVh & C. - EDITORI HH5 81bhoteca Gino Bianco

PROPRIETÀ RISERVATA , TIP.LIT.RIPALTA·tv'ILAtiO

)( )( )( )I( )I( )I( )( )( )( )( )( )I( )( );( )I( )I( )( )( )( )I( Civiltà e barbarie, Una mattina deilo scorso autunno, trovandomi ospite di Massimo Gorki nella pallida solitudine di Neivola sul Golfo di Finlandia, la conversazione, che erasi a lungo aggirata sulle cose d'Europa, si ferm6, com'era naturale, sulla Russia. E lo scrittore, con un sorriso un poco stanco e pieno d'ironia, disse : - Quel che v'ha di più bizzarro nello spettacolo cui oggi assistiamo si è di vedere la Russia investita della parte di salvatrice del!' Europa dal giogo della barbarie teutonica. Le piaghe dell'Impero degli Zar sono ormai tanto celebri - non è vero? - e gli valgono gia da tanto tempo la fama di paese barbaro ouasi per antonomasia, che il sale dell'arguzia sembrerebbe non aver d'uopo di commento. Eppure - ricordo la frase dell'autore di Bassifondi mi lasciò perplesso e insoddisfatto quasi non avesse che rasentato senza finezza una verita. Per la prima volta questo della barbarie e della civilta mi parve un criterio ingenuo. grossolano e relativo sino all'umiliazione. Certo, se per paese barbaro si intenda quello in cui le strade sono cattive e le ferrovie poche, in cui c'è molta gente che non sa kggere e molta gente che non ha da mangiare, in cui le città mancano di luce elettrica e gli alberghi di termosifoni, in cui non esiste un giornale come l'Avanti! e in cui è proibito rompere i vetri degli edifici pubblici, tale qualifica conviene alla Russia. Se la civiltà di un paese consiste nel grado di perfezione dei congegni che ne muovono il meccanismo, nell'orga8 bil'"ltecc Gino Bianco

-6namento dei suoi servizi pubblici e nella misura del suo benessere materiale, senza dubbio non è civile la Russia ove l'agricoltura esct appena dalla fase del comunismo ed è malata della tisi del piccolo latifondo dovuta all 'assenza di coltura intensiva, ove il mercato è quasi interamente vassallo dell'industria estera, ove non esistt che un chilometro di ferrovia su 91 km. 2 di territorio, ove si trova ancora in molte provincie l '80% di analfabeti. Ma l'interpretazione data d'ordinario a quei due vecchi concetti accademici mi sembra ormai sorpassata. Anzitutto esistono altri paesi in Euroµ,a, oltre alla Russia, ovs:isono latifondi, miseria e analfabeti e che noi non abbiamo mai ritenuto fossero barbari. In secondo luogo gli avvènimenti di questi ultimi cinque mesi mi sembra abbiano terribilmente capovolto tutte le nostre idee in proposito: La guerra ha dimostrato come le ferrovie e le banche non facciano l'uomo civile s:lcome si possa avere al più alto grado la consuetudine della macchina e degli agi della vita e ignorare nondimeno quel eh 'è più essenziale e ancht elementare della dignità dell'individuo: lo scrupolo e l'èquità. L'unico grande beneficio dello spaventoso urto di forze brute che sconvolge oggi l'Europa si è <:he i valori morali puri sono venuti in rialzo e che tutto quanto è sottigiiezza e capacità pratica ha perduto di prezzo. L'intellettualismo applicato, l 'utilitarismo, quella sapienza tecnica di cui menavano vanto sin ieri genti arrivate a sviluppare fino al capolavoro il genio dell'assetto materiale della vita non valgono più quasi nulla. Oggi ha valore proprio ciò che ieri si teneva maggiormènte in non cale: lo spirito di sacrificio, l'oblio di se stèsso, l'entusiasmo, l'amore degli altri. Dall'adorazione esclusiva, ringhiosa della vita siamo passati d'un tratto all'apoteosi della morte. Dal rasoio di sicurezza al cannone da 420. Dalle società per la protezione degli animali, esponenti simbolici del nostro culto quasi morboso degli agi del corpo, ai battaglioni volontari. Ieri trovavamo fossils:le un po' ridicolo il reduce delle patrie battaglie : oggi ci sono di nuovo, sotto il sole, e sotto la terra, dei garibaldini di vent'anni. Il positivismo sembra ancora B blioteca Gino B1c1nco

-7una volta oscurato, e dal fumo delle battaglie risorge d'un balzo, più limpida e chiara che mai, la chimera dell'ideale. In un momento simile io credo dunque che il valore di una nazione non vada misurato alla stregua dell'abito che porta o di ciò che ha in tasca, bensì del cuore che le batte n~I petto. Un popolo oggi è civile non per quanto ha creato o p~r quanto può distruggere, ma per quello che sente, per quello che vuole. Che cosa sente, eh~ cosa vuole la Russia? La Russia del popolo. Esistono, lo sapete, due Russie. Esistono non da oggi nè da ieri ; ma da almeno dup secoli. C'è la Russia del popolo: c'è quella del governo. D'ordinario noi conosciamo male e l'una e l'altra, poichè purtroppo le nazioni non sono ancora il più spesso nella r.ostra pratica intellettuale che simboli politici, argomenti di dialettica partigiana. Bisognerebbe invece conoscerle entrambe e insieme, l'una accanto ali 'altra, per capire che cosa rappresentino nel mondo. La Russia di sotto, i cento milioni, l'oceano umano, non rappresenta apparentemente ancora nulla. E' un paese dole~ e paziente, pieno di buon senso e di tolleranza, religioso, un po' pigro e disordinato e tuttavia non privo di buona volontà, uso a lasciarsi vivere e a lasciar vivere. Noi non abbiamo l'abitudine di stimare eccessivamente tali virtù. « Orientali », o « meridionali », abbiamo sempre detto di coloro chp le possedevano, con una punta di spregio. I russi sono, infatti, un poco orientali, e anche, a dispetto della geografia, un poco meridionali. Degli uni e degli altri hanno per lo meno - e contadini e operai e soldati e impiegati e preti e intellettuali - il fatalismo e la pigrizia, ambedue fusi in una profonda tendenza alla contemplazione, esteriore come interiore. Ma non sono fanatici ; ed ecco già una lacuna che li trasporta verso altre latitudini. Fatalisti, difettano di spirito di rivolta ed entro Cprti limiti anche di spirito di critica. Pigri, inclinano ali 'imitazione e alla conciliazione - nel campo della coltura all'eccletismo; sono facili a t31bhoteca Gino Bianco

.,.,.. 8 ....... lasciarsi dominare· come a lasciarsi convincere. Ma posseggono anche le qualità di codesti che noi sogliamo dire difetti. Il fatalismo li porta alla pazienza, la pigrizia alla frugalità, mentre dallo spirito contemplativo traggono una loro rudimentale filosofia abbracciante un poco di religione, un po' di esperienza personale, un po' di senso comune e un po' di immoralità. ldèe sociali, Umilta, frugalita, pazienza : certo il nostro giudizio di occidentali non è fatto per renderci ammirati di doti cosl lontane da quelle che tutta una tradizione e tutta una educazione ci insegnano indispensabili ai popoli destinati ai grandi trionfi della vita moderna. Ma i russi sono un popolo affatto diverso da noi, di altra pas.ta e destinato probabilmente a trionfi di altro genere. Sono, in fondo, anch'essi moderni e occidentali, ma a loro guisa. Sentono, per esempio, forse ancora più tenacemente di noi lo spirito di associazione, se da tempo immemorabile l'uni~o, quasi, ordine di lavoro praticato nell'Impero è quello cooperativo dell 'artel, compensato mercè la partecipazione ai profitti e non col salario che crea i proletari., Ma cotesto loro comunismo industriale, riflesso del loro più grande comunismo agricolo, pur sembrando precorrere i più cari sogni delle sibille democratiche d'Occidente, risponde a istinti, a bisogni che non sono i nostri. Le sibille intenderebbero disporre della proprietà e dell 'attività private segnatamente nel senso di accrescere in modo · effettivo la ricchezza pubblica, mentre i russi hanno sempre usato delle prime sen·za preoccuparsi punto di accrescere la seconda. L'indirizzo vero, ingenuo e quasi francescano, del loro spirito comunista sta nel procurare che ogni uomo goda almeno per turno di una medesima zolla, di una medesima aria, di un medesimo panorama, non importa se la rotazione dei beni si risolva in un danno per tutti. II loro principio fondamentale jn materia sociale. si riduce al non ammettere che la volontà dei molti abbia cli regola a sopraffare quella dell'uno, E' il regime del B•blloteca Gino Bianco

9 rispetto delle minoranze. Le nostre idee sulla cosa pubblica sono grandiosè e rigide. Noi vagheggiamo ancora accentramenti. colossali, servizi di stato, organismi metallici ed enormi. Vogliamo la libertà, ma non sappiamo vederla che cinta di ferro, grifagna come l'aquila. Nelle nostre concezioni della folicità pubblica l'individuo è sempre trattato con una certa disinvoltura ruvida, quasi si voglia renderlo felice suo malgrado e senza consultarlo. La nostra democrazia, infine, è autocratica. I russi non si dipartono invece dal rispetto geloso, supino dell'individuo. La loro democrazia è anarchica. Ideali politici e rellglosl. Il loro ideale politico, le autonomie locali, le repub- . blichette o meglio ancora i principati un po' patriarcali, che danno meno pensièri ai sudditi. La divisione; ma non per farsi la guerra, per macerarsi nelle rivalità regionali e di campanile come avveniva di parecchie nazioni delI'Occidènte in taluni momenti della loro storia; bensi per vivere meglio e più liberamente, tutt'al più per orientarsi verso il federalismo, come dire verso un vasto sindacato di cooperative di consumo politico. E il loro idèale giuridico non starebbe forse in quel tribunale di volost funzionante sinora nelle campagne, nel quale si giudica non secondo leggi scritte genèrali a tutto l'Impero ma secondo le consuetudini particolari del luogo e il vario accorgimento dei contadini che fungono da consiglieri? Persino la loro fede è anarchica. E' come una mistica casa di tolleranza. Essi non conoscono tanto la legge di Dio quanto l'amore del prossimo, un disordinato e spes3o malinteso amore del prossimo. Ecco forse perchè si ritengono più cristiani dei cattolici, che sono conservatori e ben pensanti. Non solo ammettono fedi diverse dalla loro, il che per un popolo molto religioso e poco colto è già straordinario, ma sono esenti da qualsiasi pedantismo nella concezione della loro. Ricordano, sotto questo riguardo, gli italiani del secolo XIII, quando la penisola era tutta un vivaio di eresie; con la differenza che la qualifica di eretico B blloteca Gino Bianco

- 10 - non ha per essi punto quell 'odori;ldi arsiccio o quel sapore di scandalo che ha sempre avuto per la mentalit;i cattolica, al contrario Ii certifica di una coscienza religiosa più attiva e sveglia. Le eresie sono le loro autonomie nel governo d.ella spirito. E vivono di buonissimo accordo tra loro e coi rappresentanti di altre fedi o razze aventi stanza nell'impero : cattolici, protestanti, maomettani, buddisti, ebrei. An-' che ebrei, anzi sopratutto ebrei, chè i loro pensatori più tipici hanno sempre predicato il rispetto pietoso a Israele. in omaggio alla costui parentela di sangue col Cristo. Cermi di avvenire, Posto a mezza strada fra l'Oriente e l'Occidente, la linea maestra di;lllapsicologia come del! 'attività del popolo russo sembra essere dunque il travaglio sordo di una grande conciliazione di razze. Noi, uomini di un solo paese e di una sola anima, disorientati e un po' infastiditi dal1'apparente disordine della sua intelligenza, dalla mollezza del suo carattere. noncurante dell'utile e nemico dell 'autorità, ci vendichiamo del non capirlo giudicandolo barbaro. Ma non apparterebbe esso per avvèntura semplicemente a un'altra civiltà, la quale non abbia ancora detto la sua parola e dato il suo frutto? Siamo noi certi che da quel profondo crogiuolo ove fermentano una immensa bontà, una immènsa mutualità, un immenso culto della libertà dell'uomo non abbia a scaturire nulla di nuovo, nulla di meglio di ci6 che è stato fin qui e di cui oggi cogliamo con mano inorridita il frutto atroce? La Russia del Governo, Senonchè, al disopra di cotesta prima Russia c'è l'altra, e l'altra ne è la negazione perfetta. Non solo : ne è la negazione fatale e necessaria. Quando i principi di Mosca inaugurarono la loro reazione violenta alla forza d'inerzia dolce e ottm;a che Biblioteca Gino 81dnco

- 11 - divideva la terra slava, terra di pastori e di viandanti, in cento nucl!'!i viventi ciascuno per proprio conto, quando intrapresero la loro spaventosa politica di accentramento e di livellazione per imprimere alla creta amorfa la forma logica e rigorosa di ben squadrata piramide, quei tiranni, quei geometri', quei pazzi salvarono la Russia. Sconvolto già da due disastri, l'invasione normanna e la tartara, così qual era e quale contava restare il popolo russo non avrebbe potuto vivere nell'Europa moderna. Era troppo più semplice degli altri p~r esercitare su essi un'attrazione qualsiasi e troppo meno agguerrito per resistere alla loro pressione. L'Occidente guardava dalla sua parte con diffidenza e avversione, come a un estraneo mal comodo. A fianco d9i grandi Stati d'Europa avviati a consolidarsi esso avrebbe avuto la sorte del vaso di creta tra vasi di ferro. La necessita di rinchiuderlo in una corazza ben temprata s'impose. L'anarchia comandò l'assolutismo. Non era la prima volta P non doveva esser l'ultima. Pietro fu l'Ercole della grande fatica e la corazza . sortì marca germanica, Made in Germany. La germanizzazione. C'è un'ironia anche più sottile di quella rilevata da Massimo Gorki nello spettacolo cui oggi assistiamo; questa : che la Russia, salvatrice dell'Europa dal giogo della barbarie teutonica, è essa medesima una Germania. Dal momento della riforma il cuore della nazione perde, per cosi dire, il contatto con le ide~ e con gli uomini che se ne istituiscono custodi; si sente solo, incompreso e disprezzato, apprende la passività e la malinconia. Padroni dell'Impero sono i tedeschi. Tedeschi vpngono a sistemargli il Governo, a formargli l'esercito, ad amministrargli le proprieta, a insegnargli a lavorare. Quasi si potrebbe aggiungere a insegnargli a parlare, ove si rifletta al numero grandissimo di vocaboli t~deschi accumulatisi a poco a poco nell'oro della sua lingua: Kartoffel - scelgo fra cento - Parikmacher, Sturm, Stuck, Feuerwerk, Stal:J B1bhotecaGino Bianco

- 12 - e via di seguito. Quei riformatori apparvero a un tratto cosi convinti che i russi fossero una gente inferiore, afflitta di tota!~ inc.apacità, che per qualche tempo si potè temere volessero addirittura incrociarli come si incrociano le razze equine, fondando buoni depositi di stalloni. Si importarono tedeschi in massa, quasi per colonizzare una terra vergine. Se ne spedirono fin sulle coste del Mar Nero e del Mar d'Azof, sul Don, nel bacino del basso Volga, da Saratoff a Samara. Lo stato si adoper6 con ogni mezzo a favorire l'immigrazione spontanea che già avpva sparpagliato prussiani, precursori di sè stessi, lungo tutto il Baltico e posto nelle loro mani il monopolio del commercio con l'estero. E l'impulso ebbe effetto così largo che oggi in parecchi governi dell'Impero i coloni venuti di Germania sommano a più di cento mila ~ in moltissime città si annoverano a decine dt migliaia. Ricordo io medesimo aver visto discendendo il Volga villaggi a pinnacoli e a tetti spioventi, i quali si chiamavano Zurich, Base!, -Luzern. Ce n'è altri che si chiamano Miinchen, Leipzig, Landau, Ttplitz, Worms, Heidelberg. Adesso si cambiano precipitosamente tali nomi in altri del più genuino conio moscovita. Ma cosa contano i nomi? E cosa contavano, del resto, i villaggi? Il programma dei riformatori non stava nelle iniezioni cutanpe di sangue protestante; l'invasione salutare non doveva essere quella degli agricoltori e dei mercanti, ma quplla degli uomini d'ordine e di concetto, dei ministri, dei baroni, dei generali. Di questi si importarono tanti, che ancor oggi la Corte, la milizia e lt amministrazioni ne pullulano. Nessuno di noi ignora come la maggior parte dei militari ai quali in questo momento è affidato il comando degli eserciti russi appartengano a famiglie tedesche. Nel corso della campagna la voce del sangue si è fatta talvolta sentire così forte che il Generalissimo ha dovuto procedere a sostituzioni, eliminazioni e traslochi precipitati. Non le obbediva probabilmente anche quel barone Von Korff, governatore civile di Varsavia, che i giornali dissero, or non è molto, caduto, per distrazione, fra le mani dei tedeschi durante una pacifica passeg~iata in carrozza nei dinBiblioteca G ro 81..n::o

- 13 -- torni d9lla città? Quando giunsi a Varsavia, nell'agosto del 1914, correva sulle bocche di tutti un aneddoto mordace. Si diceva qualcuno avesse annunciato telegraficamen.te a Pietroburgo la presa della città per parte dei tedeschi, citando a prova l 'eJ9nco dei funzionari stabilitivi : Von Korff, governatore civile, Von Turbinn, governatore militare, Von Meyer mastro di polizia, Von Koltz, direttore delle Poste e via di seguito ancora mezza dozzina di Von. Si trattava nè più nè meno che dei nomi dei funzionari russi allora ~ ancor oggi in carica ... L'Intrigotedesco nella po• litica russa. Sono gli inconvenienti della corazza. Scritturati perchè facessero la forza dello Stato, quegli uomini d'ordine ci venivano col segreto programma di farne la debolezza. Fino a ieri le peggiori idee del Governo escivano dalla loro testa. La sciagurata politica fatta in Polonia, in Ukraina e contro gli ebrei fu sempre la politica che tornava comoda alla Germania. Sott'acqua l'Ostmarkverein lavorava a fom_entare il separatismo ucrainico, e intanto i tedeschi additavano al Governo russo i polacchi quali colpevoli. Quando poi il Governo russo si era scagliato sui polacchi, approfittando dell'occasione i suoi consiglieri più o meno aulici .gli suggerivano : favorite i tedeschi in Polonia; essi si accaparreranno il commercio e le industrie, e i polacchi rimasti a mani vuote non saranno mai abbastanza forti per cr~arvi dei fastidi. Nasceva così Lodz, quella opima città manifatturiera che• le truppe del Kaiser hanno ora espugnato tre o quattro volte senza rompervi una tegola, per la ragione semplicissima che sapevano trattarsi di tegole germaniche. Da molti anni i russi' si erano lasciati siffattamente convincere della malafede polacca, nutrivano tale certezza che alle prime avvisaglie di guerra il paese si sarebbe sollevato contro di loro, che avevano rinunciato ad accett3 bltoteca Gino B1dnco

- 14tare battaglia entro i suoi confini e portato le loro fortificazioni a Grodno e a Brest-Litewsk. Quando, sei mesi fa, i tedeschi passaronò la frontiera, durante quasi una settimana videro le strade di Varsavia aperte innanzi ai loro cavalli, senza una trincea, senza un cannone, senza un soldato. Disgraziatamente per loro non credettero ai propri occhi e non avanzarono. Ai russi invece parve cascasse dagli occhi una benda. Per la prima volta, in più di un secolo, capivano la Polonia, davanti a quel popolo che, battuto, conculcato, schiaffeggiato, nell'ora del pericolo si sentiva ancora del loro sangue e tendeva loro la mano, da fratello a fratello ! E chi dirà mai quanta parte abbiano avuto gli _intrighi della Germania nelle reazioni russe posteriori al '70? AI principio dell'agosto scorso era convinzione generale a Pietrogrado che i disordini verificativisi nel giugno e nel luglio precedenti fossero opera di abili emissari della Cancelleria di Berlino. Forse questa è un'esagerazione. Difficile tuttavia negare che i torbidi politici dell'Impero rispondessero sempr.e singolarmente agi 'interessi politici, sociali ed economici dei due Imperi vicini. Il ministro Von Phlewe - un russo, beninteso - il quale governò la Russia durante la grande crisi del 1904-1905 e lasciò nel paese così atroce ricordo di sè, non fu uno dei minori collaboratori di Von Aerenthal nell'affare della BosniaErzegovina. Suo figlio, generale, .comanda oggi nondimeno una delle divisionr che in Polonia si battono contro i tedeschi. Quando, fra il 13 e il 16 ottobre scorso i capi dell'esercito avevano deciso di cedere Varsavia sentendosi impotenti a resistere all'urto degli invasori e il Granduca Nicola Nicolaievitch, un uomo di fegato, piombò come un fulmine da Grodno a rimettere le cose a posto, tra i primi ad esser.e affrontati fu lui, il Von Phlewe. - Perchè non avete eseguito subito l'ordine che vi avevo dato? - gli chiese il Granduca. E il generale, freddo : - Altezza ero in bagno. Il Granduca lo prese a schiaffi, ma Von Phlewe ha conservato il comando della propria divisione. Btbhoteca G ro Bic1•1co

- 15 - Il genio tedesco dell'lm• pero. Evidentemente, si dirà, la corazza era di qualità inferiore. E' il solito dell'articolo di Bi:lrlino: grande apparenza, nessuna solidità. La guerra sarà il dies irae che metterà ordine a tutto, sicchè ali 'indomani della vittoria non ci sarà più in Russia che una Russia, la vera, quella dei russi. Già : questa, per Io meno, è l'illusione dei russi. La guerra laggiù è popolar9, infatti, perchè il popolo crede di battersi non col tedesco dal casco a chiodo, del quale non gli importa nulla, ma col tedesco dalla furashka russa che odia da almeno due secoli almeno dodici ore al giorno. Crede di far la festa a Peter Carlovitc l'intendente, il sovrastante, l'appaltatore, il capo-fabbrica, il capo-sezione, il capo-divisione, il gen~rale, l'uomo esatto e pedante, l'uomo esigente, l'uomo che non si ubbriaca, l'uomo che sta sempre pel più forte, l'uomo col quale non si può discorrere, che non si lascia intenerire e nemmeno corrompere. Crede combattere insomma l'ordine, la disciplina, la volontà, la forza organizzata; tutte quelle virtù anticipate che i tedeschi hanno preteso insegnargli e .alle quali esso non ha mai potuto abituarsi. Non sa, e nessuno glip!o dice, che la cosa è mplto diversa. Non sa che quella Germania contro cui si avventa baionetta in canna è quella stessa Russia che gli sta dietro le spalle benedicendolo in nome del Dio ortodosso, e che, tornato a casa, la ritroverà ancora seduta al proprio focolare col diadema d'argento in capo e la conocchia, nè più bella nè più brutta di prima. Poichè il governo russo, a guerra finita, potrà e forse vorrà sagrificare degli uomini al rancore popolare, come già gli ha sagrificato dei nomi di città e dei patrimonii altrui, ma non penserà mai a sagrificargli spontaneamente dei principii, dei programmi, tutto un sistema. Ora sono sopratutto i principii e i sistemi, non gli uomini, che l'Impero ha attinto dalla Russia. Sono il prinB bhoteca G ro Bi:i 1co

- 16 - c1p10 della mano di ferro, del rigore poliziesco, dell 'asfissia burocratica, della lotta alle nazionalità, dell 'espansione illimitata. Gli uomini lo hanno tradito? Le idee no. Tutto quanto oggi i suoi eserciti si sforzano con l'aiuto dell'Europa di abbattere al di qua dell 'Oder è stato già da tempo trapiantato al di là della Vistola, messo al sicuro, preparato a nuove e forse più grandiose fruttificazioni. La Germania? Ma è tutto il genio di Pietrogrado, come era quello di Pietroburgo : Milizia e Amministrazione ! E' tutto ci6 che Pietroburgo ·avrebbe voluto fare e non ha ancora fatto o ha fatto male, perchè il paese non lo secondava, ma che si ripromette di far meglio domani. Andiamo nella capitale : osserviamo il giovane nazionalismo che fa capo ai grandi fogli politici. Non è più lo slavofilismo mistico all'acqua di rose dei moscoviti di mezzo secolo fa : è un movimento positivo, aggressivo, petulante, furbo, gemello, nè più nè meno, di quello cui siamo debitori del drang nach Osten. A furia di aver commercio con tedeschi è capitato - sicuro - anche a qualche russo di diventare furbo. Nessuno si commuove più, alla capitale, delle proteste dei finlandesi e degli ebrei, delle aspirazioni dell'Ucraina, ma tutti piangono lagrime di coccodrillo sulla sorte amara degli slavi dei Balcani, degli slavi d'Austria. Quando la Porta - poverina - dichiarò la guerra, il primo grido dei nazionalisti fu : Finiamola anche col turco, andiamo a Costantinopoli, a Zarigrado ! Quando la Bulgaria mostrò di averne abbastanza di fare la politica russa, q'uei padri della patria ebbero una smorfia di nausea, quasi innanzi alla insubordinazione di un dipendente. Quando la Rumania accennò a porre come prezzo al proprio concorso la restituzione della mal tolta Bessarabia, a Pietrogrado le si rise in faccia. Quando infine nei circoli diplomatici si favoleggiò che l'Austria potesse cedere pacificamente Trieste all'Italia, quando l'Italia lasciò trasparire il proposito di fare una qualsiasi politichetta balcanica, i giornali stamparono che l'Intesa non avrebbe mai permesso a un solo soldato italiano di por piede a Trieste e che le velleità del Regio Governo di immischiarsi nelle cose dei Balcani erano per lo meno ridicole. Ma già ancor prima, appena Biblioteca Gino Btdnco

- 17 - si capì che noi non si r~stava neutrali solo per gettarci illico et immediate fra le braccia degli alleati, a Pietrogrado non ebbero forse il coraggio di scrivere che chi non era con la Russia era contro la Russia e che sarebbe venuta l'ora della resa dei conti? Sfido: quei signori fanno dell'Italia la stessa stima che della Rumania !..• Tali sono i nazionalisti russi. Ho detto furbi : forse ho detto male. Avrei dovuto dire calcolatori, invadenti, esclusivi, autoritarii. Essi trattano la politica estera coi metodi applicati dal! 'assolutismo alla politica interna. E l'analogia non è fortuita. La politica estera della Russia è sopratutto una casa che ha la facciata su corte, dal lato degli inquilini, una gigantesca valvola della politica interna destinata a dare sfogo al malcontento e al patriottismo nazionali i quali ne mancherebbero, una ardita piattaforma di riconciliazione fra Governo e Paese. Quanto più estrema e battagliera l'intelligenza russa diventa in politica estera. tanto più conciliante e mansueta il Governo la ritrova in politica interna. La valvola ha agito, nell'ultimo decennio, cosi efficamente, che v'ha già nazionalisti i quali vanno anche più lontano: sino a ritenere la politica interna così qual'è ineluttabile se si voglia poter fare quella politica estera. Quanta strada dal 1905, quando non si concepiva quest'ultima se non come un'arme rivoluzionaria! Oggi le parti sono mutate. Dal momento che quei principii ricevuti dallo straniero sono diretti contro lo straniero, sieno essi i benvenuti. Il germanesimo diventa nazionale, dacchè serve a combattere la Germania! 11sofismadell'Interessedi Stato. Oseremo noi affermare che tutto cib sia illogico? Infine, non si tratta tanto di abiura o di imborghesimento da parte dell'intelligenza russa, quanto forse di un miglior conto tenuto delle possibilità politico-sociali relaI t:::,•bliotecaGino 81dnco

..,.. 18 - tive dei tempi. Gli elementi più moderni e pratici del paese sono venuti a poco a poco comprendendo come gli stati non siano figure isolat~ nello spazio, e come la loro meccanica interna non possa prescindere da quel coefficente formidabilè che è la pressione esterna. Purtroppo è una ben povera illusione quella che le frontiere . costituiscano una cintura ermetica al di dentro della quale sia lecito abbandonarsi impunemente a tutti gli acrobatismi della ginnastica di partito, a tutte le esperienze parlamentari e demagogiche, e fare, disfare, mutar di posto ai pesi, invertire le dimensioni, quasi si operasse sotto la campagna di vetro in un gabinetto di chimica. Esiste, imprescindibile, una legge di osmosi politica, di compenetrazione dell~ varie densità politiche, la quale dispone silenziosamente della vita interna dei popoli. Gli stati sono comè i compartimenti di un immenso pallone. L'aria vi si distribuisce a seconda delle varie pressioni atmosferiche interne. Ove la resistenza è maggiore si arresta,' ov'è minore sfonda e allaga; ma l'equilibrio delle parti, com~ quello del tutto, risiedono in un problema di pressione complessiva. Non esiste più nel mondo moderno un opportunismo locale ; non esiste chp una opportunità generale. Mai questa legge è apparsa così Juc;ida e cruda come in questo momento in cui una sorta di turbine dispotico squassa l'intera Europa, schiantando pareti, avventandosi minaccioso appiè di altre che ancora resistono e travolgendo nella sua furia cieca come la giustizia idee, sistemi, abitudini, partiti, istituzioni, forse dinastie, tutto quanto insomma era cresciuto all'ombra delle piccole scatole senza tener conto di quel che cresceva nelle altre. · · Il nazionalismo russo - 'i grandi giornali, la Duma, l'alta burocrazia, la nuova borghesia mercantile - ha ormai coscienza di tutto ciò. Esso si è reso conto che, data l'Europa qual'è oggi, e quale sarà probabilmente ancora domani, data la pressione enorme esercitata sul suo asse non da un partito militare - che sarebbe ben piccola cosa -· ma da un nucleo-etnico troppo ricco di sangue, posto fra nuclei troppo meno ricchi e quindi destinato fatalmente a scoppiare, data la ressa feroc~ tra i singoli Biblioteca Gino Bianco

19 - nuclei per la conquista dei mercati vicini e lontani, data la ripercussione inevitabile dell'attrito nella zona delle colonie, all'Impero degli Zar non rimane che una stradada seguire se non vuole venir mutilato e fiaccato dalla vastità delle forze in gioco :fare quanto fanno gli altri. Seguitare ad agitarsi per l'effettuazione dei vecchi ideali cari al profondo cuore della razza, il decentramento, il comunismo, il federalismo, l'anarchia pacifica, sarebbe da parte dei suoi direttori spirituali un voler ricacciarlo nel caos slavo dei primordi, quel caos di cui oggi gli slavi non russi - bulgari, ruteni, serbi, croati, sloveni, slovacchi, czechi ~ non sono ai loro occhi che esempio troppo eloquente. Riconciliarsi, al contrario, con Pietro il Grande, sottoscrivere, almeno temporaneamente, al sa~ grificio dell'individuo sull'altare dei destini dell'Impero, piegarsi al culto dell'unità, della disciplina e della forza insegnato dai tedeschi e praticato dal!'intera Europa, sarà foggiare alla Russia la corazza onde ha bisogno, assicurarsi di vederla domani più grande accanto a una più grande Inghilterra, a una più grande Francia, a una più grande Germania, probabilmente, e speriamo anche a una più grande Italia. _ A rigore, Io riconosco, cotesto è un sofisma, poichè per porre l'Impero in condizioni di resistere con vantaggio alla pressione degli altri stati occorrerebbe anzitutto costituirgli all'interno una densità politica ed economica equivalente alla loro, ossia riformar9 l'assolutismo : il che probabilmente ali' atto pratico non significherebbe nemmeno per la Russia saltare a piè pari nel comunismo e nel federalismo. Ma i nazionalisti non hanno la scelta degli argomenti nè, sopratutto, quella delle via da batt_ere, e d'altronde sono troppo russi per accomodarsi di mezze misure. Cambieranno parere se l'Impero verrà sconfitto, e sarà allora per diventare non liberali bensl rivoluzionari, quello che erano nel 1905. Ma pel momento l'ipotesi è troppo problematica perchè essi e noi abbiamo da farvi assegnamento. Oggi l'assolutismo è benemerito di fronte al paese intero del grande posto conquistato dalla Russia nel mondo. Per la prima volta da tempo immemorabile esso può contare intorno a sè degli BibUòteca Gino Bianco

20 - alleati, un partito. La sua è una dittatura. Quanto durerà? Non domandiamocelo. O domandiamoci piuttosto : quanto durerà in Europa 1'età dell'acciaio, delle conquiste, delle convulsioni, del sangue? Un amico pericoloso. La mano cui oggi le speranze delle democrazie occidentali si appoggiano è dunque ben formidabile. Le lentezze della campagna attuale possono aver ridestato ~ualche scetticismo riguardo alla potenza bellica delI I_mpero. Sarebbe poco consigliabile lasciarsene guadagnare, subordinarvi i propri giudizi. Non va dimenticato come la Russia, attaccata quando meno se lo aspettava, sia oggi quasi sola a sostener' l'urto degli Imperi centrali e su un territorio il quale, secondo ho già notato, non era stato affatto disposto ppr la difesa. Ad onta di ci6, delle deficienze tradite durante la guerra col Giappone non si è oggi avuto traccia. La mobilitazione si effettuò con prontezza esemplare, i piani strategici hanno fatto abbastanza buona prova, le artiglierie si sono dimostrate eccellenti, le forniture non hanno dato luogo a cattive sorprese. I russi sono stati ricacciati indietro parecchip volte, ma in complesso se non hanno fin qui ottenuto di più non hanno neppure ottenuto di meno dei loro furibondi avversari. Nonostante la penuria di ferrovie, la· celerità raggiunta nei traslochi di truppe tenne spesso del meraviglioso, specie se si consideri che la guerra si è fatta in· Polonia non come in Francia, dalle trincee, avanzando e retrocedendo di cento metri in quindici giorni, ma in campo aperto, spostandosi di centinaia di chilometri · in una settimana, con slancio e grandiosità di mosse mai visti. In quanto ai soldati, qutlla frugalità, quella pazienza, quel fatalismo di cui s'è discorso ne fanno notoriamente, nelle mani di generali decisi e non risparmiarli, perchè B blloteca Gino B1an.co

- 21 - ne hanno un numero stermii:tato, uno strumento di guerra straordinario. L'idea tedesca ha insomma d.ato all'Impero deglt Zar più che l'intrigo tedesco non gli abbia tolto. Non è senza inquietudine ·che io mi chiedo, oggi, se i nostri berretti frigi, i nostri rami d'olivo, le nostre palme più o meno accademiche non corrano rischio di escire dà quella amica mano alcun poco gualciti ed appassiti. Rinviato ·sine die l'avvento di quell'altra Russia pacifica e dolce che potrebbe forse essere l'arca santa di un migliore avvenire, e scesaci più vicina questa, guerriera, autoritaria e invadente, non ci minaccerebbe per caso il pericolo di dar di cozzo, dopo tanti sforzi fatti per evitare un' egemonia, proprio in una egemonia? · Imperialismoe slavismo. Il Governo russo, certo, vi pensa. II suo nazionalismo ha trovato bell'e pronto, per stabilirsi, naturalizzandosi, un terreno magnifico : lo slavismo. Non si trattava se non di convertire in idea politica un 'idea mistica che il popolo nutriva alm~no da mezzo secolo, quale rifugio platonico del proprio spirito cristiano e federalista : la redenzione di tutti gli slavi. La conversione non si è operata, nella realtà delle cose, poichè il popolo sente troppo, ingenuo e sincero qual 'è, quanto poco gli slavi non russì, più liberi e più progrediti di lui, avrebbero· da guadagnare nel divenire sudditi dello Zar. Ma le analogie apparenti fra le due idçe erano tali che il Governo è riescito senza difficoltà a far pigliare l'una per l'altra e a presentare al mondo un programma - sottinteso se non esplicito - di tipo prussiano come autentico programma russo-ortodosso, munito del visto della nazione. E' stato un giuoco di bussolotti, che i grandi giornali, la Duma, l'alta burocrazia, la nuova borghesia mercantile hanno accettato ad occhi chiusi, felici, se non altro, di avere finalmente una grande missione da com8 bltotèca Gino Bianco

- 22 - piere, abbracciante in un solo amplesso di trepido amore e polacchi e bulgari e ruti!ni e serbi e croati e sloveni e slovacchi e czechi. Se non dipend95se che da loro, vedremmo presto i materni gendarmi di Nicola II fa,e la ronda da Posen a Praga, all'Adriatico, all'Egeo, al Bosforo, tenere balie dei buoni fratçllini ! L'erroredella polltlca europea. L'Europa, innegabilmente, si è adoprata in ogni modò a legittimare tale programma. Da secoli essa non fa se non dar mano al maciullamento degli slavi, quasi apposta per tagliarli in aJtr9ttanti bocconi che la Russia possa inghiottire senza sforzo. In Polonia, in Turchia, in Austria, se un'opinione l'Occidente ebbe sin qui in materia di slavismo fu il timore ch9 quella povera gente non fosse abbastanza divisa, abbastanza opprçssa, abbastanza barbara. Dapprima la voleva divisa per disprezzo, affinchè gli servisse di moneta nel saldo dei propri conti immediati. In seguito la volle oppressa per eccesso di stima, perchè in ogni suo mçmbro vedeva il ceffo barbuto e zazzeruto di un russo. Come preparare meglio di così ali 'Impero i pret95ti necessarii per intervenire nelle questioni riguardanti gli slavi, per erigersi a loro tutore? L'influenza della Russia nei. Balcani è opera dell'Europa. Invece di tagliare i canapi che trattenevano le scialuppe alla nave ammiraglia, se ne tesero sempre di nuovi, suscitando in quast'ultima quasi un diritto di salvarle dal naufragio, ricoverandole dentro la propria corazza. Si tramutò in un'opera santa di redenzione quello che da parte di Pietrogrado doveva rimanere un programma imperialista fantastico ed assurdo .. Sopratutto assurdo, poichè 9Sso risponderebbe, qualora fosse sincero, a un concetto nettamente involutivo de, destini d~lla razza : che l'ideale comune abbia a riB;blioteca Gino E31dnco

- 23 - siedere nel ritorno di tutti i rami sparsi al tronco ond~ sono esc1tt. Quand'anche il carattere slavo non tendesse invece di per sè alle autonomie e ai particolarismi, un imperialismo siffatto violerebbe una delle somme leggi meccaniche che reggono il genere umano, la tendenza delle razze a svilupparsi proprio per via di differenzazione e non di acc~ntramento, quasi nebulose dalle quali a poco a poco escano nuclei diversi e antitetici. Il mondo slavo, è Vèro, al contrario del giallo, del latino, del sassone, non ha ancora finito di essere nebulosa. Ma la sua irrequiètudine, la sua instabilità non dipenderebbero appunto dal non essere riescito sin qui a trovare il proprio assetto logico, dal sentirsi privo dei propri contrappesi naturali, pendente tutto da una parte? Cli slavi baluardodell'lm• perlallsmorusso. Per fortuna nostra, mentrè l'Europa lavorava a spianare la strada alla Russia dopo aver seppellito in germe quel provvido dualismo tra Moscovia e Polonia che nel secolo XVI pareva stabilmente aperto, gli slavi non russi lavoravano in silenzio a sbarrargliela, come i piccoli polipi sbattuti dall'onda lavorano a chiudere entro anelli infrangibili pezzi di Oc)!ano. Oggi i rami dell'albero vogliono metter radici per conto proprio. La Bulgaria, la Serbia nel loro epico sforzo per ingrandirsi e consolidarsi non sono le vie, sono i baluardi dell 'imperialismo russo. La prima, ieri creatura dell'Impero, se la intende già coi nemici di questo, specie dacchè le è toccato udire i nazionalisti di Pietrogrado a ripromet- ~ tersi non solo la conquista dell'Armenia e dell'Asia Minore e la trasformazione del mar Nero in un lago russo, ma la conquista del Bosforo e dei Dardanelli con l'hinterland bulgaro. La Sèconda, la Serbia, accetta di gran cuore armi e denaro dalla Russia giacchè ciò le B bhoteca Gino Bianco

- 24 torna comodo, ma non appena abbia finito di aver bisogno delle sue elemosine, farà probabilm~nte quel che ha fatto la Bulgaria, cercherà di trovare da sola la propria strada. In quanto alla Polonia, in questo momento, certo, fuma con la Russia la pipa della concordia perchè dei tre litiganti capisce esser questo l'unico che possa davvero r~stituirle, almeno a titolo di usufrutto, l'unità territoriale ed economica e lo sbocco sul Baltico di cui oggi esclusivamente si preoccupa. Ma raggiunti - s_eli raggiungerà - i propri ideali immediati, non vorrà anch'essa passare a rivendicazioni politiche, per le quali la Russia non le fornirà senza dubbio che troppi motivi? Mentre dunque da un lato lo slavismo subdolo del1'Impero degli Zar preme sull'occidente tentando assorbire, col soccorso degli errori di quest'ultimo, un'enorme morena etnica, il cui acquisto potrebb_e valergli, nel caso di una catastrofe tedesca, l'egemonia sull'Europa; dall'altro in seno a quella stessa morena emergono, quasi isole dal mare, nuovi centri di attrazione i quali non chiederebbero se non di fungere da contrappesi al colosso. L'interesse dell'Europa - l'ho scritto due anni fa, lo ripeto oggi e non mi stancher6 di ripeterlo - sta nel1'aiutare a tale emersione. Già la sollecitudine posta dall'Inghilterra e dalla Francia nel far da testimoni al proclama del Granduca Nicola promettent.e l'autonomia alla Polonia, la soddisfazione manifestata a Londra ai giorni dell'ultima vittoria delle valorose armi serbe sono buoni indizi di ravvedimento. Trionfanti, gli alleati cominceranno ad appoggiare gli slavi per rendere alla Russia il tributo della loro imperitura riconoscenza, e seguiteranno per crearle degli imperituri nemici. a bhoteca Gino Bianco

- 25 - Un grande Interesse Italoslavo. Io mi auguro che l'Italia - veniamoci finalmente all'Italia - comprenda a tempo il sale di questa politica. Noi abbiamo mantenuto sin qui nei riguardi degli slavi una condotta particolarmente maldestra. Abbiamo guardato dalla loro parte come voleva ci guardassimo l'Austria, la quale ce li buttava addosso dal! 'Istria a Gorizia, sperando di perder noi e salvare sè stessa. Non ci siamo mai resi conto di quanto nel!' abisso che sembrava dividerci fosse di sincero e quanto di artificioso, creato a nostra esclusiva intenzione dalla I. R. Camera del Lavoro Ufficiale. Sopratutto non abbiamo mai compreso come italiani e slavi avessero prima di ogni ragione di ostilità un grande interesse comune : quello della lotta contro l'Austria. Domani ne avranno anche un altro: quello della resistenza alla Russia. Il comprenderlo, il conformarvisi è ormai questione vitale pel nostro avvenire. Il cuore di tutti noi non batte oggi eh~ per la muta sorella dell'altra sponda logorantesi nell'attesa. Ma la gelosa tutela del nostro più sacro diritto non deve impedirci di guardare intorno, al di là, sulle grandi vie del mondo. L'acquisto di Trieste ci instituirà responsabili di due grandi capitoli della futura storia d'Europa: la pressione tedesca, che non mancherà di esercitarsi alle nostre spalle per toccare ancora una volta il Mediterraneo, e L'assetto definitivo degli slavi meridionali. Sono due problemi coordinati, la buona soluzione del primo dei quali non dipende che dalla buona soluzione del secondo. Noi non saremo veramente sicuri dell'Adriatico se non il giorno in cui avremo amici gli slavi. Tedeschi e slavi sono termini antitetici, come lo saranno russi e slavi. Essi si sono sempre fatta la guerra, anche G ro B1a CO

- 26quando hanno vissuto d'accordo. Non essere più con gli uni vuol dire essere con gli altri. Seguitare a condurci verso questi altri quasi verso il nostro peggiore nemico sarebbe equivoco imperdonabile e inesplicabile. Esso ci esporrebbe fatalmente a un doppio rischio: l'ostilità della Russia, la quale vi troverebbe continuo motivo per ingerirsi nelle cose serbe, specie quando fra qualche anno sarà entrata anch'essa nel novero delle potenz_e mediterranee, e una nuova int_esa slavo-tedesca contro l'Italia, la cui conseguenza più logica potrebbe essere la discesa della Germania o la ridiscesa di una nuova Austria più o meno ungarica in Adriatico. Perchè, infine, faremmo la lotta agli slavi? L'Italia è troppo grande per aver paura della Serbia. Ripromettersi di mantenere a pochi chilometri dal mare un popolo così vitale e così degno di , vivere è storicamente e politicamente un'aberrazione. Assicuratici di Vallona e, quando l'ora sarà giunta, anche dell'Istria, per noi gli slavi dell'altra sponda non costituiranno più alcun pericolo. Al contrario, offrendo loro fraternamente ambo I.e mani per aiutarli a resistere alla minaccia tedesca, a sottrarsi all'invadenza russa, noi ne faremo i nostri alleati per la difesa futura dell'Adriatico e del Mediterraneo da questi due grandi pericoli, che sono i loro come i nostri. il Mediterraneoal popoli mediterranei, Si fa tanto altercare in Italia fra partigiani dell 'Intesa e partigiani dell'Alleanza : la verità è che noi non possiamo esserlo sinceramente nè dell'una nè dell'altra poichè i nostri interessi non coincidono con quelli di nessuna delle cinque potenze, tranne forse che con quelli dell'Inghilterra. Noi in codesto angustissimo ùlim::,o europeo fummo ,e saremo sempre soli. Ce ne siamo accorti t3 bltoteca Gino Bianco

- 2ì - durante la guerra in Tripolitania, ce ne torniamo ad accorgere oggi. Possiamo avervi trovato e trovarvi ancora appoggi momentanei; grandi basi di accordo, profonde, sincere, durèvoli, no. Nè l'alleanza nè l'Intesa ci daranno mai quello di cui abbiamo bisogno. In mezzo a tanta nebbia, a tante indecisioni, a tanti pentimenti, a tante profezie, a tante mal celate insidie, caos dal quale è da augurarsi che il vecchio stellone d'Italia ci tragga a tempo, solo una cosa è certa, lampante : il nostro interesse di lavorare d'accordo coi Balcani per difendere l'Adriatico oggi, il Mediterraneo domani. L'intesa fra gli stati della penisola sembra oggi ancora troppo difficile da conseguirsi; ma se vi si giunse una volta per difenderla dal sud perchè non vi si giungerebbe un 'altra volta per difenderla dal nord? E' questo, per lo meno, il c6mpito della politica italiana. La Rumenia non basta: ci occorre anche la Serbia. Ci occorre la Bulgaria, quella Bulgaria di cui noi per i primi in Europa riconoscemmo nel 1887, ministro il Crispi, l'assetto politico attuale, mentre la Russia a mezzo dei propri ambasciatori facèva di tutto per guadagnarci ad opposti consigli ; quella Bulgaria dalla politica sin qui fatalmente costretta a destreggiarsi tra due campi opposti di influenze e i cui atteggiamenti possono ad ora ad ora sembrare o anche essere tedèscofili o russofili quando si tratti di ricavarne vantaggi positivi immediati ma nella realtà non sono che antitedeschi e antirussi perchè sono Sèmplicemente balcanici. Ci occorre la Grecia che noi stoltamente ci inimichiamo lasciandola divenire sempre pill ligia alla Francia. Ci occorre la ferrovia transbalcanica che stringa tutta la penisola alla nostra con fraterni legami di scambi e di pensieri. Chissà, forse saranno questi i soli amici sui quali potremo contare! A meno che dall'altra parte del mare non si svegli la grande addormentata, la Spagna! E' proprio chimerica la speranza di veder fondato in un avvenirè non troppo lontano un patto delle tre Penisole riattuante il programma logico voluto da Roma antica : il Mediterraneo ai popoli mediterranei? S:blloteca Gino B1dnco

• Biblioteca G no Bianco

PROBLEMI ITALIANI Questa raccolta di opuscoli di 32 pagine, a dieci centesimi, si propone di informare gli italiani sui problemi nazionali più urgenti in questa crisi della nostra storia e della nostra coscienza: problemi economici, politici, militari, sociali, morali, che saranno esaminati senza jattanza e senza reticenze, da un punto di vista itali&no, nelle loro necessità, nei loro precedenti, nelle loro logiche conseguenze pel bene durevole della nostra civiltà, della nostra nazione e del nostro libero regime. Questi opuscoli esciranno così da formare tra il Gennaio e il Maggio 1915 una prima serie di Ventiquattro. I primi dodici, che si trovano in vendita, sono: 1. • Gaetano Salvemini - Guerra o Neutralità ? 2. • Luigi Einaudi - Preparazione morale e prepara• zione finanziaria. 3. • 11.lessandro Lustig - La preparazione e la· difesa sanitaria dell' esercito. 4. . Gl' Istriani a Vittorio Emanuele Il nel 1866. 5. • Mario 11.lberti - J\driatico e Mediterraneo. 6. • Giulio Caprin - Trieste e l' Italia. 7.• Guglielmo Ferrero - Le origini della guerra presente. 8. • Ugo ·ojetti - L'Italia e la Civiltà Tedesca. 9•• Pietro Silva - 1866 - La preparazione della guerra. 10. - Enrico Burich - Fiume e l' Italia. . 11. - Concetto Peltinato - Russia, Balcani e l~alia. 12. - S. Morpurgo - Diario Triestino, 1815 - 1915 . Cent'anni di lotte per l'Italianità. Seguiranno altri dodici scritti dovuti alla penna dei più chiari e competenti autori nostri quali S. Barzilai, C. Errera, G. Borgese, G. J\rias, L. Thomson, E. Janni, V. Gayda, ecc. La raccolta è diretta da un comitato presieduto da UGO OJETTI e composto da Luigi Bertelli, Giulio Caprin, Salomone- Morpurgo e Gaetano Salvemini. Abbonamento alla prima serie di Ventiquattro Opuscoli Lire 'DUE. lnf:Jiare cartolina f:Jaglia agli Editori RA V A ~ C. - MILANO, Corso Porta Nuova, 19 Biblioteca Gino 81..J1rco

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