Una città - anno VI - n. 47 - gen.-feb. 1996

gennaio-febbraio ESSERE TERZI. Giovanni Palombarini riprende i temi dell'intervista a Marco Boato del numero scorso: le possibili distorsioni della giustizia, l'uso dei pentiti, la lotta alla mafia, la separazione delle carriere. In seconda e terza. Insieme al ricordo di Avdo di Mostar, morto suicida. Il MERCATO SOCIALE è quello del no-profit che vede tanti giovani impegnati in un mix di volontariato, impegno politico e imprenditorialità. In PROGETTI SOCIALI Gianfranco Bettin ci racconta dell'impegno sociale della sua giunta, dai nomadi alle prostitute, a giovani evasori dell'obbligo scolastico per troppo benessere. In quarta e quinta. Le VIE DI MEZZO sono quelle ricercate dalle donne immigrate, per conquistarsi spazi di libertà in condizioni molto difficili. L'intervista è a Samia Kouider. In sesta e settima. Insieme alla lettera da Sarajevo di Kanita Fociak. RAZZISMO E DIFFERENZA è l'intervista dove Pierre-André Taguieff ci spiega come il relativismo culturale, cavallo di battaglia degli antirazzisti, sia diventato pilastro di un razzismo differenzialista addirittura più pericoloso di quello biologista. La battaglia antirazzista non può non riproporre con forza un ideale universalista. La mescolanza che, per fortuna, avanza, anche grazie alla caduta progressiva delle tradizioni. In ottava e nona. UNO SCIOPERO CONSERVATORE? è l'intervista in cui Miche/ Wieviorka, sociologo francese, ci esprime i suoi dubbi su uno sciopero, non generale, finalizzato a che nulla cambiasse nel settore pubblico, dal vago sapore nazionalistico e antieuropeistico. Si è andati piano, ma nessuno ha raccolto politicamente l'indicazione. Hubert Gasser, in QUEL SILENZIO, ci spiega le posizioni che hanno visto contrapporsi, al congresso dei Verdi tedeschi, interventisti e non interventisti in Bosnia. In decima e undicesima. IL TABU' CHE NON C'E' è quello che non impedisce un uso immorale, inutile, spesso anche dannoso della sperimentazione animale. L'intervista è a Franco Travaglini. In dodicesima e tredicesima. Insieme all'intervento di Carla Melazzini, IL DOPPIO ISMAELE. VIOLENZA IN LIBERTA' è quella che si sprigiona in una guerra civile. Il giusto uso e anche l'abuso di una definizione. Intervista a Gabriele Ranzato. Insieme all'intervento di Carlo Panella, sulla significativa rimozione della resistenza antinazista tedesca. LE FIRME sono quelle raccolte in un quartiere rosso di Bologna contro una signora che gestisce un bar frequentato da maghrebini. A parlare è Maria Tugnoli. In ultima. In copertina: Roma, stazione Termini. Bianco·

E' la società civile ad essere fortemente sostanzialista e nella stessa sinistra una cultura garantista non è tradizionale. Le continue emergenze portano a torsioni del processo penale. I meriti, per esempio a Palermo, di procure non più influenzabili dal potere politico. Perché la separazione delle carriere è pericolosa e può essere evitata provvedendo altrimenti a rendere difficile il cambio di funzione. Intervista a Giovanni Palombarini. Giovanni Palombarini è Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ed è stato consigliere del C.S.M. per Magistratura Democratica. Le emergenze si susseguono: terrorismo, lotta alla criminalità organizzata, lotta alla corruzione politica. La conseguenza è l'affermarsi di una cultura non garantista. Lei che ne pensa? E' certamente vero che il succedersi di ondate di emergenzialismo ha pesato e pesa gravemente su un paese che davvero garantista non è mai stato. E' opportuno ricordare in proposito, perché la cosa illustra assai bene i sentimenti popolari, che quando si tentò con un referendum di abolire l'ergastolo l'iniziativa ebbe un esito disastroso. Non mi sono mai meravigliato troppo, pertanto, delle logiche sostanzialiste e repressive che hanno ispirato gli atteggiamenti della società civ ile rispetto al terrorismo, alla mafia e alla criminalità politico-amministrativa. Ciò che, nonostante tutto, continua a meravigliarmi è che logiche non dissimili attraversino I'intero ceto politico. Purtroppo, la sinistra italiana ha una lunga tradizione di sostanzialismo, e ne conosciamo le ragioni storiche. Che tale tradizione si riproduca oggi, in un quadro politico e istituzionale totalmente mutato, mi pare incredibile. Tra l'altro, il passaggio a una forma Stato di tipo maggioritario imporrebbe una grande e rafforzata attenzione verso tutte le garanzie, non solo quelle processuali. Come non vedere che un potenziamento o, almeno, la difesa delle garanzie a ogni livello è il presupposto per la difesa di diritti e interessi dei ceti socialmente più deboli e dei gruppi di opposizione più determinati? E che un domani lo stesso processo penale potrebbe essere usato contro minoranze scomode? Il giudice non dovrebbe rappre. sentare una barriera contro le ondate giustizialiste che attraversano l'opinione pubblica? Non c'è il rischio che un'ansia di giustizia non più sottomessa ai potenti, di per sé giusta, si stia tramutando, in certi giudici, in una sorta di giacobinismo? Sono convinto che un giudice consapevole fino in fondo del proprio ruolo, e dei motivi dell'indipendenza che l'ordinamento garantisce, dovrebbe essere indifferente rispetto a ogni pressione giustizialista. Questo è anche avvenuto, è bene ricordarlo. Intendo dire che vi sono stati magistrati che hanno saputo sfidare l'impopolarità pur di assicurare una gestione corretta dei processi loro affidati e un effettivo controllo di legalità anche laddove si chiedeva loro, dal ceto politico di governo fino ad ampi settori della pubblica opinione, di chiudere gli occhi. Penso alle vicende processuali per fatti di eversione o alla repressione della tortura. lì è chiaro, Sofri e gli altri andavano assolti E, per restare alla cronaca recente, si possono ricordare i giudici di Rimini, che, contro i desideri e le pressioni del mondo intero, hanno istruito i processi a Muccioli. Quanto ai processi per fatti di criminalità politico-amministrativa ed economico-finanziaria, osservo in primo luogo un dato positivo: progressivamente, negli ultimi anni, fra mille difficoltà e resistenze, s'è concretizzato quello che in astratto nessuno ha mai negato essere uno B de li ajpetti elA~;:f iud·c vale a dire il controllo di legalità sui modi di esercizio di qualunque potere, non esclusi quelli "forti". L'indipendenza ha un senso se è reale, ma è anche scomoda, perché tollera poco le compatibilità stabilite dal potere politico di governo. Certo, se poi accade che l'intera questione della lotta alla corruzione viene scaricata sulle spalle dei magistrati, e poi il loro lavoro, specie se efficace, viene duramente contrastato anche nelle sedi istituzionali, alcuni protagonismi, alcune illusioni panpenaliste sono inevitabili. Si tenga conto del fatto che, nel fuoco di vicende così aspre, nel clima di conflitto continuo con le forze di governo, vecchie e nuove, non tutti sono capaci di conservare il distacco e la freddezza che sarebbero opportuni, e che il giudice, comunque, dovrebbe sempre mantenere. La preparazione dei magistrati è essenzialmente tecnico-giuridica, quella politico-istituzionale ciascuno se la deve costruire da sé. Sotto questo aspetto, le ultime vicende del cosiddetto caso Di Pietro sono illuminanti: e non parlerei di giacobinismo, ma di pressappochismo ed ingenuità. C'è un processo però, quello Calabresi, che vede imputati Sofri, Bompressi e Pietrostefani, che è diventato esemplare per un uso distorto dei pentiti, nonché per episodi come la "sentenza suicida" che ribalta surrettiziamente una sentenza di assoluzione. O anche, e qui tocchiamo il problema della separazione delle carriere su cui vorremmo poi la sua opinione, il fatto che il Presidente della Corte del primo processo aveva già in tasca il trasferimento alla Procura, cioé alle dipendenze del Capo di quella Procura che aveva avviato le indagini e sostenuto l'accusa ... La parola di un pentito da sola non può bastare. Nel caso del processo Sofri, citato da Boato nella vostra intervista, la situazione è molto semplice: lì c'erano dichiarazioni di un pentito riscontrate per quanto lo riguardava, ma rimaste senza riscontro alcuno per gli accusati da lui coinvolti. Si sarebbe dovuto arrivare subito all'assoluzione senza questo tormentone senza fine. Quella dei pentiti è una funzione importante: la cultura della giurisdizione dovrebbe consentire l'utilizzazione delle loro dichiarazioni, spesso utilissime per le indagini, entro determinati limiti. I riscontri dovrebbero essere considerati necessari anche se la legge non ne prevedesse I' impiego. Questo è appunto uno dei settori nei quali il processo penale rischia torsioni improprie. Riguardo poi alle sentenze suicide, queste esistono, anche se non sono affatto frequenti: la sentenza su Sofri e gli altri non è stata la prima. Dal punto di vista deontologico, ma anche civile, è una grave scorrettezza, perché scrivere sentenze suicide vuol dire non accettare di essere stati messi in minoranza. Ancor più grave perché in Corte d'assise non si può chiedere al giudice popolare di scrivere la sentenza. Purtroppo nel nostro paese, nonostante la richiesta avanzata dalle parti progressiste della magistratura, non esiste la cosiddetta "opinione dissenziente". E' un istituto che consente di affiancare alla motivazione della sentenza, alla motivazione di maggioranza cioè. la motivazione dissenziente di qualcuno che dice: "Guardate, io la pensavo diversamente per queste ragioni". Qui si dovrebbero riaprire vecchie discussioni sulla responsabilità civile del giudice, che tra le altre cose prevede, n ' v:entualità di dover ~ ~o successivamente rispondere di un danno, che in una busta segreta depositata in non so quale cassaforte venga scritto come si è deciso. Fin dal1'88 ho cercato di spiegare in innumerevoli dibattiti che non era attraverso la responsabilità civile che si responsabilizzavano i giudici, perché questi sarebbero ricorsi ali' assicurazione, come infatti è successo. Siamo tutti assicurati, per cui in caso di giudizio per danni saranno poi gli avvocati delle assicurazioni a risolvere in qualche modo la questione. Mi chiedo, invece, che difficoltà ci sia a introdurre l'opinione dissenziente nella redazione del giudizio. L'uso dei pentiti si è generalizzato nella lotta alla mafia ... Gli anni '70 segnarono l'inizio di un 'attività di ricerca seria delle responsabilità penali rispetto a fatti di mafia e furono la verifica del fatto che non si sapeva nulla di giudiziariamente rilevante. C'erano delle inchieste giornalistiche, c'erano scrittori siciliani impegnatissimi, però non avevi nulla in termini di utilizzazione giudiziaria, perché una ricerca vera, complessiva, rispetto al "fenomeno mafia", non era mai stata fatta. Questa difficoltà di ricerca aumenta fortemente quando diventi consapevole che la mafia non è un fenomeno criminale, quando scopri che se vuoi reprimere l'origine di tutta una serie di attività delittuose organizzate, che vengono portate avanti assieme, devi andare per forza al di là del singolo episodio criminale, trovando gli intrecci con l'amministrazione della città di Palermo, tanto per dirne una, e quindi con la politica. A quel punto ti trovi di fronte non un deserto, ma un muro. Credo che alcuni magistrati importanti che hanno istruito grandi processi contro la mafia negli anni '80, si fermassero ad un certo livello perché consideravano inevitabile avere un limite, nel senso che oltre non potevano andare. il coraggio di una persona come Caselli Lo stesso rapporto che avevano con i pentiti era strano e oggi lo capiamo meglio. Il pentito diceva: "Se vuoi essere creduto, non parlare mai di politica", sostanzialmente perché allora si sapeva che era inutile parlarne. Ma qual è il rischio di torsione rispetto alle regole di diritto? Che a un certo punto produci i primi grandi squarci su questa situazione grazie ai pentiti per cui, agli occhi degli inquirenti della Polizia e della Procura della Repubblica, questi diventano uno strumento importante. Certo, va ribadita con nettezza la loro çollocazione processuale: non ci possono essere condanne per un determinato fatto sulla sola parola di un pentito, se non ci sono i cosiddetti riscontri, che sono elementi di prova. Rispetto al processo Andreotti, su alcune cose prese separatamente magari io e Boato siamo anche d'accordo, però è il punto di vista che cambia, e in modo decisivo. Io auspico, e spero, che il giudice conduca il processo in modo regolare ed imparziale, anche con duri scontri con i Pubblici Ministeri. Supponiamo che questi giudici giungano alla convinzione di una non colpevolezza di Andreotti in relazione ai reati contestati, sono certo che questi giudici assolveranno Andreotti, ma allora qual è il punto? A mio avviso è inutile dire: "Secondo me è un processo che non sta in piedi; alla fine tutto finirà in modo addirittura controproducente ... ". Politici qualificati, sociologi, studiosi del fenomeno mafia fino a tutti gli anni '80 hanno scritto ripetutamente: "Guardate che se non si individua il cuore dell'intreccio fra affari, politica e mafia è inutile tirarla tanto per le lunghe. Puoi condannarne a centinaia per singoli reati come lo spaccio di stupefacenti e cose di questo genere, ma il rimpiazzo sarà continuo: questa organizzazione, questo modo complessivo di gestire l'economia in alcune zone del paese, continuerà tranquillamente. La vera repressione contro questo fenomeno la fai se vai a vedere eventuali corresponsabilità a un livello superiore alla dimensione puramente militare". Qual è il fatto nuovo avvenuto in questi anni '90? Un soggetto, la Procura della Repubblica di Palermo, ha tentato di scoprire le corresponsabilità in fenomeni criminali di notevole gravità. Il dato da cui bisogna partire è che I'indipendenza e la consapevolezza di alcuni settori della magistratura hanno portato questi uffici a tentare di raggiungere quei livelli. Poi avranno le prove, oppure non le avranno e allora giustamente gli imputati andranno assolti; però, è un dato positivo, che mi pare sfugga a Boato, il fatto che lì, senza che ci si faccia intimidire o condizionare da promesse, da minacce e da tutto quello che è immaginabile possa essere capitato a persone come Giancarlo Caselli, si tenta di andare a vedere. Fin dove ci si può spingere in nome del raggiungimento della verità? C'è un limite, costi quel che costi? E il 41 bis è al di là o al di qua di quel limite? E' ovvio che il raggiungimento dell'obiettivo non giustifica affatto ogni cosa. Tra l'altro non è vero, a mio giudizio, che la rinuncia alle garanzie assicuri l'efficacia della repressione. Sotto questo aspetto è molto più importante la crescita diffusa della professionalità di chi gestisce la repressione. Va detto, però, che in alcune zone del paese sono state le organizzazioni criminali, mi riferisco in particolare a quelle mafiose, a dare ad alcune loro iniziative una dimensione militare. Che fare rispetto ad associazioni che muovono centinaia di uomini, che non commettono un delitto, ma tutti i delitti necessari ad ottenere un obiettivo, che hanno capi in grado di comandare anche stando al1'Ucciardone? Qui il problema di accertare le responsabilità personali in questo o quel reato s'intreccia in modo intenso con il problema di impedire che altri delitti - primi fra tutti quelli di sangue- vengano compiuti. Sapendo, si badi, che verranno certamente compiuti. Certo, il 41 bis è uno strumento difensivo, che non ha nulla a che fare con la funzione di recupero sociale che dovrebbe connotare la pena; e però sappiamo tutti che cosa succederebbe se non ci fosse. Bisognerebbe ribadire sempre, con forza. che la mafia non è solo un fatto criminale, ma anche, e soprattutto, un fenomeno strutturale, che carallerizza la vita economica e sociale di intere regioni, con un 'accentuata compresenza di economia legale ed economia illegale, che ha fatto maturare intrecci assai articolati fra affari, politica e mafia. Se le cose stanno così, ben altri dovrebbero essere gli interventi per affrontare alle radici un simile cancro. Se questo fenomeno venisse aggredito a ogni livello come dovrebbe essere aggredito, se davvero si volesse fare la guerra alla mafia. si dovrebbe anzitutto governare, operare scelte politiche, decidere in modo nuovo i flussi del denaro pubblico, controllandone la destinazione, garantendo trasparenza, assicurando una possibilità continua di intervento pubblico al fine di un buon governo della cosa pubblica. Allora, in una situazione di questo genere il processo penale sarebbe davvero un processo penale, così come è previsto, per accertare la mia personale responsabilità in ordine a un determinato delitto. Se invece tutto questo non c'è per varie ragioni, allora voler fare la guerra con iI processo penale è un rischio: il processo penale finisce per subire delle torsioni. ci sono regole da non snaturare ad alcun costo Oggi, invece, ci si illude, o si vuol far credere, che tutto passi attraverso la repressione penale. In tale situazione c'è da rallegrarsi che le torsioni, o le deviazioni, di un corretto processo non siano state più grandi di quelle che si sono in effetti verificate. Bisognerebbe riuscire a convincere tutti che il processo penale ha caratteristiche e regole che non possono essere snaturate, pena un complessivo arretramento civile dell'intera collettività. Sarebbe relativamente facile, penso, definire i limiti invalicabili della repressione penale, della carcerazione preventiva, della pena, se la "lotta" al fenomeno la facesse chi la deve fare, con gli strumenti della politica e del buon governo, lasciando ai magistrati il compito di individuare gli autori dei reati. Se l'unico strumento d'intervento è il processo, i guai sono alla porta di casa. Fra i guai alla porta di casa possiamo mettere anche l'uso della carcerazione preventiva allo scopo di far confessare politici ed imprenditori? O non siamo già di fronte ad una lesione grave dei diritti del cittadino? Può essere che la custodia in carcere sia stata usata in alcuni casi per ottenere la confessione di politici e imprenditori. Però anche qui andrebbe preliminarmente fatta un po' di chiarezza. Cominciamo col dire che la carcerazione per reati anche gravi -non si dimentichi che la concussione corrisponde grosso modo alla rapina quanto a pene che si possono irrogare-, utilizzata negli ultimi quattro anni nei confronti dei colletti bianchi, è stata complessivamente contenuta. Questa valutazione si rafforza, se si fa un raffronto con quanto avviene nei confronti di imputati dei quali nessuno si preoccupa. La devianza marginale -giovani sbandati, tossici, stranieri- subisce una ben più intensa carcerazione preventiva; e anche l'ultima legge dell'agosto scorso in questa direzione è servita a ben poco. Per il resto, fermo restando che iIgiudice deve garantire il giusto processo a chiunque, e che la minaccia del carcere non deve servire perottenereconfessioni, non credo che le vicende di Tangentopoli abbiano diffuso l'idea di una giustizia onnipotente. Ciò che sta avvenendo da alcuni mesi a questa parte, e che fra breve avverrà -alludo all'amnistia o all'indulto con cui si vogliono festeggiare i cinquant'anni della Repubblica- rischia, al contrario, di riproporre l'idea di una giustizia che può essere severa e imparziale con tutti tranne che con i potenti. Diceva qualche tempo fa il Presidente del Consiglio Dini che occorre pensare a un indulto per perdonare i reati di falso in bilancio, perché non si può lasciare il mondo imprenditoriale sotto stress. Ma anche da un punto di vista liberalmercantile, il falso in bilancio colpisce creditori e azionisti! Eppure, a quanto sembra, non è bene che gli imprenditori entrino in carcere preventivamente né per scontare un'eventuale pena ... C'è l'impressione che la categoria dei giudici sia un tutt'uno contro l'imputato. Come vede lei la questione della separazione delle carriere? La separazione delle carriere presenta sicuramente più svantaggi che vantaggi per una serie di ragioni. Intanto, nel '46 è stata effettuata un'operazione traumatica per quanto riguarda il Pubblico Ministero: lo si è staccato dall'esecutivo e lo si è reso indipendente mediante la scelta dell'obbligatorietà dell 'azione penale. Per cui il Governo, la politica diciamo così, non dovevano entrarci più. Tuttavia, proprio per la crescita effettiva dell 'indipendenza verificatasi a partire dagli anni '60, la questione della collocazione istituzionale del Pubblico Ministero è calata dalla teoria nello scontro politico. Faccio un esempio per tutti: nel 1983 in una chiara relazione al Comitato Centrale del Partito Socialista Italiano, Bettino Craxi, che sarebbe diventato di lì a poco capo del governo disse: "Cos'è questa cosa dei Pubblici Ministeri che vanno facendo certe inchieste?". Fece, quindi, una proposta: "Perché per i reati dei pubblici aministratori non introduciamo una regola uguale a quella della legge Reale, cioé la possibilità delle Procure Generali di avocare dalle Procure i processi?". Infine, aggiunse: "Perché questa azione penale? Che cos'è l'azione penale? Alla fine è uno strumento di governo, quindi ridiamo all'ufficio del Pubblico Ministero una struttura piramidale, il cui vertice sia collegato al Parlamento, ossia alla maggioranza parlamentare". Pochi anni dopo arriva Martelli con il progetto per la Procura Nazionale Antimafia, il cui vertice, nella prima stesura, poi modificata, era collegato al Ministro della Giustizia. Il primo decreto era chiarissimo: "Il Parlamento detta le direttive, il Procuratore Nazionale Antimafia ogni anno fa una relazione affinché il Parlamento verifichi la corrispondenza della sua attività con le direttive previste". Insomma, il clima del paese ti dice: occhio al Pubblico Ministero, perché le mosse che arrivano da certi settori politici mirano a neutralizzarlo. Ma perché la separazione delle carriere deve necessariamente portare a un Pubblico Ministero sottoposto al potere politico? La semplice separazione delle carriere di per sé, immediatamente, non porta a questo, ma può essere un primo passo. Secondo me, i risultati di terzietà che si vorrebbero ottenere con la separazione si possono raggiungere per altre strade. Ad esempio il Consiglio Superiore ha già cominciato ad operare riguardo al cambio di funzione: ora, non lo si ottiene più in seguito ad una semplice domanda, ma a determinate condizioni e comunque non come mezzo per cambiare sede. Questa infatti è la ragione più frequente del cambio di funzione. In questi anni, anche per effetto del nuovo processo penale, della nascita della Procura Antimafia e delle Procurare Distrettuali Antimafia, l'organico della magistratura è aumentato: adesso credo che sia di 4500 persone. Si ricorda Cossiga e i "giudici ragazzini"? Cossiga diceva cose vere: c'è una serie di sedi disagiate, essenzialmente nel Sud, che non sono sedi di lotta alla criminalità -per riempire i posti a Palermo o a Reggio Calabria non abbiamo problemi-, per le quali si mettono a concorso i posti. Ma a Gela, a Palmi, a Locri, per fare degli esempi, non ci vuole andare nessuno perché bisogna essere forti per viverci. In queste sedi abbiamo mandato gli uditori, i magistrati di primo grado. Ora, il magistrato mandato a fare il Procuratore a Gela sceglierà di fare anche il giudice o di cambiare funzione pur di venire via di là. La riprova di questo l'abbiamo in altre sedi: a Padova, per esempio, i ma-

gistrati della Procura della Repubblica stanno lì da una vita e non mi ricordo che qualcuno di loro abbia mai fatto il giudice. In sostanza, la terzietà del giudice sarà anche un problema ordinamentale. ma per me è essenzialmente culturale. Mi rendo conto comunque che un problema c'è, perché la questione viene posta anche eiaquei settori dell' A vvocatura di sentimenti democratici. che non hanno il problema di difendere il tangentista. il mafioso. ma. pur aperti e consapevoli dell'indipendenza del magistrato, chiedono la separazione. Vedo che anche nella società civile, in settori certamente non avversi all'indipendenza, la questione viene posta. Ma lo ripeto: credo si debbano fare dei passi per assicurare la terzietà e credo che sia possibile farli senza ricorrere alla separazione. La cultura della giurisdizione deve appartenere anche a chi fa il mestiere del Pubblico Ministero. Questo, però, lo ottieni se hai un ·esperienza diversificata. perché non è del tutto vero quanto si sente continuamente dire, cioé che il P.M. è una parte del processo. E' vero che è una parte del processo. ma è una parte di interessepubblico col dovere di imparzialità. Il Pubblico Ministero italiano non è simile quello americano. che viene eletto e porta nelle campagne elettorali i suoi risultati. Ho conosciuto una valorosissima P.M. staIN MEMORIA DI AVDO tunitense. che abbiamo fatto venire al Consiglio Superiore per illustrare il tema dei reati sessuali, e istintivamente le veniva da dire: ·'Noi abbiamo ottenuto tante condanne·'. Il Pubblico Ministero italiano non ha questo compito. se ottiene le condanne bene, ma se vuole chiedere l'archiviazione, chiede l"archiviazione. Sarebbe rischioso dargli la qualifica di parte tout court, staccandolo da questa cultura complessiva che deve ispirare chi fa questo lavoro, anche se è Pubblico Ministero. Ha det,o che la separazione delle carriere può essere un primo passo verso il controllo politico sulla magistratura. In che modo? Se ci fosse la separazione delle carriere, i Procuratori Capi della Repubblica sarebbero assunti nel- . l'ambito della carriera. UnelemenIl nostro giornale aveva pubblicato un'intervista a Mira e Avdo nel numero 38, dedicando loro la copertina. A Michele Calafato, che ci ha portato la notizia del suicidio di Avdo, abbiamo chiesto di scriverne un ricordo. Era la fine di ottobre del 1994, camminavamo sulla Battaglione di Mostar, una strada corta, sopraffatta dalle macerie, e tesa tra il Bulevar e l"hotel Bristol quando cadde la sera e una lampadina isolata al terzo piano di un edificio sbudellato richiamò la nostra attenzione. Non c'era più nessuno in giro, la sera pesava di nebbia e di umido, e l'attesa, che al tramonto si carica di fantasie e di rabbia intorno alla capanna alpina del check point piantata sul confine tra Mostar est e Mostar ovest, si era smorzata. Richiamati dalla macchia di luce sospesa lassù in alto decidiamo di andare a vedere. Tutto intorno è buio, distruzione e deserto. Sopra i tetti i comignoli e le antenne, filiformi, ferrigne, sembrano segnare una misteriosa via nel cielo. Sotto la porta filtra un filo di chiarore. Bussiamo. Nell'appartamento to decisivo della politica nel nostro abitavano due anziani coniugi, il paeseera costituito dalla nomina di colonnello Avdo Silajic e la moglie alcuni Procuratori della Repubbli- Mira che ci invitarono a ritornare ca, in particolare quello di Roma. l'indomani. Le scale erano rotte, Uno dei meccanismi per cui certe scendiamo appoggiandoci l'uno alinchieste negli anni '70 e nei primi l'altro, misurando ogni passo e anni '80 si insabbiavano era che da quando finalmente riguadagniamo Milano, da Brescia. ecc. queste l'aperto ci voltiamo indietro come per verificare che sia ancora lì. venivano trasferite a Roma. dove Non era strano che non fosse stata morivano. dimenticata prima della guerra, ma i rischi di un nuovo controllo politico dei P. M. La nomina del Procuratore della Repubblica era un momento politico importante perché, attraverso la scelta di certi procuratori, ti assicuravi che la politica dell'azione penale fosse coerente con le aspettative di chi governava. Si tenga conto che questo era molto facile quando c'era il Consiglio Superiore eletto col maggioritario. Fino al 1976 abbiamo avuto un Consiglio Superiore in cui la componente di maggioranza, 14 eletti su 21, era espressa dalla parte conservatrice della magistratura e le scelte dei dirigenti. a Roma come a Milano, nelle Corti di Appello come nelle Procure generali. erano giustamente oculate. Non c'era nessun conflitto tra potere politico e magistratura, per il semplice motivo che non c'era nessuna ragione che ci fosse. Il mutamento di legge elettorale, considerato nel '76 una conquista delle forze democratiche, ha consentito l'introduzione di contraddizioni micidiali. Il Consiglio di cui ho fatto parte ha nominato alcuni dirigenti a Torino, a Palermo, a Roma, che sarebbero stati inconcepibili dieci anni fa e che fra qualche anno saranno di nuovo impossibili. Questo ha significato nei fatti una crescita dell'indipendenza politica. Forse ha anche prodotto la crescita di qualche protagonismo, mettiamolo nel conto. indicasse qualcuno che era sempre stato lì, sul fronte, sotto i bombardamenti, sotto le granate, e che ancora ci abitava? L'indomani fummo accolti in un piccolo soggiorno odoroso di vernice. Mira aveva preparato il caffé e dei dolcetti. Avdo estrasse una sigaretta da un pacchetto con la carta tutta bianca, senza nessuna indicazione di marca e senza nessun segno, la infilò nel bocchino e accese. Ci raccontarono della guerra, della paura che li aveva fatti dimagrire di 30 chili, dei soldati che si sparavano e si facevano i dispetti, che non avevano mai frequentato le moschee, proprio come veri "musulmani atei" quali si consideravano, che serbi e croati erano più legati all'Islam dei musulmani perché le loro industrie in Europa non erano più competitive e non potevano fare a meno del mercato arabo. Avdo. Il primo giorno i croati dissero alla radio che i musulmani si dovevano arrendere. C'erano molti croati in questo palazzo e se ne andarono. Se ne andarono anche i musulmani. Siamo rimasti soltanto noi e una signora slovena. Poi è venuto anche un altro uomo. lo non avevo nessuna voglia di muovermi da qui perché conoscevo gli ustascia fin dalla seconda guerra mondiale. E' un esercito senza morale, sanno solo ammazzare ma non combattono, e lo stesso vale per i cetnici. Ho fatto quattro anni di guerra mondiale, ero colonnello, e ho combattuto sia contro i cetnici che contro gli ustascia. Sapevo che sono vigliacchi e sapevo anche che i nostri non avevano nessun altro posto dove andare e quindi dovevano combattere sino alla fine. I nostri soldati erano più motivati a rischiare al vita. Non avevano alterBiblioteca - nativa. E noi lo stesso. Siamo rima- G In O Bianco sti, perché non avevamo dove andare. Bombardavano dappertutto e anche qui, naturalmente, ma qui non potevano con le armi pesanti. Ho pensato che era meglio restare qui che andare sulla riva sinistra perché di là miravano a distruggere tutto più che qui, dov'era la prima linea del fronte. Inoltre stavo bene tra i nostri soldati, e li sostenevo con consigli di ordiçe morale e militare. Mira. Soprattutto morale. Avdo. Qui almeno avevamo la cantina. Nel grande scantinato sotto il palazzo ci si poteva anche dormire. In qualunque altro posto sarebbe stato peggio per noi, anche psicologicamente. Questa è la nostra casa, anche se nel sistema socialista nessuno si affezionava alla casa, ciascuno era un ospite provvisorio e quando aveva paura se ne andava, mentre per la proprietà privata l'uo- . mo è pronto anche a combattere. In cantina avevamo anche la radio e centinaia di libri. Come soldato leggevo la letteratura marxista, lo dovevo fare, e la conosco, ma durante questa guerra ho letto 5-600 libri, in maggioranza novellistica. Mira. Ogni tanto mettevamo fuori la testa e quando si poteva correvamo a spegnere gli incendi. A due passi da noi c'è il Bulevar e noi eravamo di fatto compresi nelle prime file dell'esercito bosniaco, e i soldati ci aiutavano, ci portavano acqua e cibo. Era interessante la prima linea. I nostri per provocare si mettevano la kefiah come Arafat o gridavano: "Allah u· akhbar ..." e poi sghignazzavano. Si scambiavano offese e parolacce dalle due parti. Spesso si conoscevano. Magari erano stati vicini di casa. C'erano due dei nostri che ogni tanto si ubriacavano, passavano dalla parte croata, e continuavano a bere insieme, ma una volta i croati gli hanno sparato. Una volta uno dei nostri ha passato il fiume e ha raggiunto i croati. Gli uomini sono uomini, non c'è niente da fare, si mettevano d'accordo con i croati che gli compravano le cose sulla riva destra. Mi chiedevano anche di cucinare. Un giorno un soldato entrò in casa e lasciò sul tavolo un piccione, chiedendomi di cucinarlo. lo lo diedi al gatto e il ragazzo quando tornò, più tardi, si arrabbiò perché non ne avevo fatto brodo. A volte affioravano dalle macerie come fantasmi famiglie che non avevano niente. E' venuta una ragazza a chiedere del cibo per un bambino di 5 mesi. A noi due non è mai mancato da mangiare. Non c'era verdura, ma avevamo fagioli e pasta. Siamo dimagriti per paura non per mancanza di cibo. lo ho perso trenta chili. Ogni essere umano ha paura. Ibombardamenti erano terribili. Noi avevamo paura delle bombe, i musulmani di ovest delle bande. La notte venivano le bande a cacciarli via, quasi nudi, in camicia da notte, e arrivavano qui. Ma l'importante è esser rimasti vivi, star bene, amare e credere negli uomini. E' difficile essere uomini, ma ce ne sono, comunque. Avdo. Non era una guerra con i combattimenti diretti degli eserciti. Prevalevano i bombardamenti a distanza. Ci hanno bombardato da tutte le direzioni. All'inizio ci sentivamo traditi. Negli scontri contro i cetnici i soldati bosniaci avevano conquistato ingenti quantitativi d'armi e i croati le portavano via con il pretesto di doverle riparare. Contavano di sbaragliarci in due giorni, ma i nostri sono subito riusciti a organizzare la linea del fronte, nonostante avessero poche forze e nessuna tradizione di guerra. Nell'esercito jugoslavo non sopportavano i bosniaci, benché eravamo insieme tra i partigiani, avevano una specie di allergia verso di noi. A un certo punto hanno fatto una legge per cui gli ufficiali potevano andare in pensione. I primi da pensionare erano i musulmani, poi i croati, gli sloveni, gli albanesi e così sono rimasti i serbi e i montenegrini. lo avevo 42 anni, era il 1964, ero colonnello, mi hanno promosso generale e mi hanno pensionato, però con una buona pensione, di 1500 dollari a1mese. Mi conveniva e sono andato in pensione, ma così facendo ci hanno "pulito" anche allora. Così noi non avevamo tradizione e solo pochi mortai e cannoni. Di giorno i nostri soldati facevano la guardia sul fronte, di notte andavano a procurarsi le munizioni a Jablanica e a Konjic. Mira. C'è sempre della brava gente. Gli inglesi che hanno ricostruito il ponte ci hanno visto vivere da soli in questo palazzo e si sono meravigliati del nostro coraggio, del nostro ottimismo, del nostro orientamento europeo. Non siamo estremisti. Il nostro cognome è musulmano, ma siamo atei e non frequentavamo le moschee. Il loro comandante ha deciso di ristrutturarci la casa, ha spedito gli operai e il materiale, come regalo per il nostro coraggio. Anche gli spagnoli ci hanno aiutato. Ci hanno portato del gas, del cibo. Si sono presi cura di noi. Avevamo un sostegno. All'inizio i giornalisti non potendo andare sulla riva sinistra si fermavano a prendere informazioni da noi, e non abbiamo mai detto bugie. L'acqua l'avevamo sotto il ponte, a volte ce la portavano i soldati quando non potevamo uscire per i bombardamenti. Non c'era luce, neanche le candele, eravamo neri dal petrolio che usavamo in cantina. Quando poi è arrivata l'acqua in casa e hanno smesso di sparare era molto più facile vivere. Allora siamo usciti a chiudere i buchi sui muri e mio marito è stato ferito due volte, una volta dal cecchino alla gamba e l'altra volta alla mano mentre riparava il muro. I cecchini erano dei mercenari: inglesi, tedeschi, professionisti, che uccidevano per denaro. Alla fine Avdo infilò un'altra sigaretta nel bocchino. Il pacchetto era vuoto, il colonnello lo scartò e sull'altra faccia dell'involucro apparve la scritta di una vecchia marca di sigarette: JUGOSLAVIA. Mira si alzò appoggiandosi alla sedia. Rividi i Silajic, molti mesi dopo. Uscivano dalla Scuola Elementare n° 4, braccio sotto braccio, dopo la celebrazione dell'anniversario della liberazione dal nazi-fascismo, avevano rispolverato gli abiti buoni per l'occasione, lei si appoggiava a lui, ma nello stesso tempo lo guidava. Cercai automaticamente il loro sguardo che mi aveva colpito per la sua pulizia e distanza, la guerra che era servita ad altri per arricchirsi e per prendere, per loro era stata un'occasione per ripulirsi e per perdere, mi ero fatto quest'idea, mi ci ero affezionato e la conservavo con me, ma Avdo guardava avanti e Mira per terra, dove metteva i piedi. In ottobre mi dicono che Avdo, il colonnello in pensione che fumava sigarette da un pacchetto bianco simile a un territorio in attesa di destinazione, si è ucciso e infatti un manifestino orlato di verde con in mezzo il suo nome e sopra la mezzaluna e ladata, 14settembre 1995, è attaccato sulla porta al terzo piano dell'appartamento sul check point. Bussiamo alla porta. Mira sta chiacchierando con un soldato fa la spola tra il piccolo soggiorno che ha perso l'odore di vernice e il cucinotto, poi il giovane se ne va e Mira continua: "E' difficile, è molto difficile, e lui era molto emotivo, non malato. Non era malato, non aveva niente di male. Lo abbiamo sepolto nel cimitero vicino ai genitori. Eravamo un bel popolo, ci hanno distrutto, ma ancora oggi si sente il bene, non solo il male. Lui aveva una pistola, l'ho trovato quando sono tornata dal mercato. Quante cose sono successe durante questa guerra. C'era un nostro soldato che cantava bene come un muezzin, aveva una voce bella e alta che arrivava dall'altra parte del Bulevar e cantava come un muezzin per farli arrabbiare. C'era unadonna, una profuga, molto pulita che amava i panni pulitissimi e si fermava a lungo sulla Neretva per lavare e un cecchino l'ha uccisa. Così sua figlia è restata sola con la vecchia nonna, dentro l'hotel Bristol, poi si è sposata e sono andate via. C'era uno sloveno, in questo nostro palazzo, un suonatore di percussioni dell'Orchestra di Mostar che era andato a prendere il caffé da una vicina, al 4° piano, è scoppiata una bomba incendiaria e lui si è buttato giù ed è morto, e poi anche la vicina è stata uccisa dal cecchino mentre-tornava dalla Neretva. Epoi siamo rimasti soli. Adessoéhe sono sola alla mattina vado a fare la maglia con un gruppo di donne. Ieri si parlava del riscaldamento e un bambino ha detto: 'Ci va Mira per il riscaldamento dagli italiani ...' Lo sanno che sono conosciuta e mi do da fare. Ma tutto il bene che ho fatto nella mia vita l'ho ricevuto moltiplicato da una sola persona, Murray, un inglese che lavora con l'Amministrazione Europea. Ieri è passato un tizio che vendeva del formaggio buono e a buon prezzo, 3 marchi tedeschi al chilo, ho preparato la pita, e voi gliene porterete un po' per piacere. Non ho più compagnia per il pranzo ... Mangiate con me, poi vi lascio andare. Bisogna stare molto attenti con il cibo, attenti ai topi. Come sono intelligenti! Dalla vicina sono saliti sulla mensola e hanno spinto in terra i barattoli di vetro per romperli e mangiare i biscotti. Mangiano anche il colletto delle pellicce, voglio farvi vedere ... Quando Avdo è morto sono venuti tanti dei nostri ragazzi per aiutarmi. Anche tra noi ci sono degli estremisti, ma ci sono state cose belle, i nostri soldati erano ragazzini, adesso vengono con le fidanzate. lo cucinavo per loro, preparavo il caffé e il pane, le frittelle nel lardo di maiale, e loro andavano a prendere l'acqua. La Nato buttava dall'aereo le razioni, loro le mangiavano così, e io mi offrivo di scaldargliele, avevano proprio fame. Arrivando da noi dicevano ad Avdo: 'Generale, mi arrendo ...' Abbiamo una casa a Brac, adesso ci abita una nostra cugina croata, sfollata da Sarajevo, ci siamo andati per 36 anni ogni estate, anche adesso mi hanno invitata ... Eper 17 anni ogni inverno, dal 20 dicembre fino a marzo, andavamo al Grand Hotel per militari di Kupari. Lì ho conosciuto Milosevic. Un'amica allora mi disse: 'Ma non sai che è il segretario del partito comunista serbo?' Come tacevo a saperlo, con tutte le repubbliche ... Non potevo immaginare che era uno stronzo così. La moglie vestiva da gitana. Marco, il figlio, faceva il bagno con noi in piscina. Mah, tutto passa e va... Al mercato di Mala Tepa c'era un negoziante e gli chiedevano: 'Ehi oggi che novità ci sono?' E lui rispondeva ogni giorno e sempre nello stesso modo:' Nista!', niente, ed è diventato tutto niente davvero. Ma ci siamo anche divertiti. Mio padre era un maestro di scuola elementare ed insegnava a Dresnica, ma era schierato con i croati, con Stijepan Radic e allora i serbi per punizione lo hanno trasferito a Losnica e così siamo andati ad abitare in una villa bellissima, e non è stata una punizione. E adesso sono tutti diventati eroi della lotta contro il fascismo croato, ma a combattere veramente erano in pochi, e allora io gli dico: 'Costruite una bella ringhiera intorno al vostro eroismo così siccome zoppico mi ci posso appoggiare ..."' Murray prese la pita e domandò: "Piangeva quando eravate lì? lo :,on l'ho vista mai piangere, non lo capisco, è qualcosa che accetto ma non posso capire, forse è l'abitudine balcanica alle guerre, alle disgrazie, non so..." Disse che Mira era ubriaca il giorno del suicidio di Avdo e anche il giorno del funerale. Quando mi diedero la notizia, che Avdo si era ucciso, mi ritornò davanti un altro suo sguardo, che avevo dimenticato, lo sguardo basso e smarrito con cui ci aveva accolto in casa quella mattina, e le sue parole: "Tornate al pomeriggio, adesso mia moglie non c'è, è andata al mercato", e con quello sguardo anche il verso di Coleridge premesso da Primo Levi a I sommersi e i salvati: "Da allora a un'ora incerta quell'agonia ritorna". Michele Colafato Federico Starnone Più leggero non basta Educazione alla diversità di un obiettore di coscienza Il limpido racconto di un'esperienza nel mondo dell'handicap. La pacata conquista di una certezza: che credersi uguali è la scelta più comoda. UNA CITTA' 3

B RCAT forma dello stato sociale, anche perché allora non c'era il suffragio universale, c'era un grosso distacco tra apparato pubblico e masse, lo Stato era veramente visto come il "comitato d'affari della borghesia", per riecheggiare la nota definizione di Marx. Per rendere l'idea, nel plebiscito sull 'Unitàd' Italia votò il 5,6% di italiani. Lo stato sociale è nato perché le classi dirigenti europee più lungimiranti hanno capito che di fronte alla nascita della classe operaia e alla crescita delle sue organizzazioni partitiche e sindacali era necessaria una mediazione, qualcosa che tamponasse l'estendersi delle lotte. Non a caso fu un reazionario come Bismarck in Germania a introdurre le prime assicurazioni sociali obbligatorie. E poi tra la fine del secolo e il 1920 tutti i paesi europei si uniformarono. Furono introdotte forme di protezione sociale per gli infortuni, le pensioni, la disoccupazione: per la sanità, invece, bisognerà aspettare ancora. ni. Oggi, invece, il volontariato - non il terzo settore. per come si carauerizza in questa fase-, si distingue per la presenza di gruppi apolitici, soprattutto di matrice cattolica, impegnati in attività di assistenza tese a fare del bene al prossimo. C'è, poi, una serie di associazioni che hanno una forte carica di cambiamento, che spingono per trasformare la realtà. C'è da rilevare che il volontariato vede la partecipazioni di classi sociali abbastanza elevate, direi dei ceti medi urbani che non delle campagne. Insomma, rispetto ad allora si tratta di una forma di impegno civile meno coinvolgente, anche perché nel frattempo sono sorti i partiti politici, è sorto lo siato sociale. Pertanto, il volontariato ha caratteristiche diverse, anzi è sorto all'inizio degli anni Ottanta in conseguenza della crisi delle forme tradizionali della politica. Le società di mutuo soccorso e le opere pie del secolo scorso, nate ancor prima dello Stato sociale. Nel no profitnon distribuire profitti non vuol dire non farne. Una realtà giovanile fra impegno politico dal basso e nuova imprenditorialità. Intervista a Ugo Ascoli. UgoAscoli è docente di Sociologia presso la Facoltà di Economia di Ancona di cui è anche preside. Esperto dei problemi legati al welfare state, da tempo è attento studioso del terzo settore. Ha scritto numerosi saggi, l'ultimo dei quali proprio sulle organizzazioni no profit ( Il welfare mix, Franco Angeli '94). No profit, terzo settore, volontariato, qual è la definizione più giusta che può rendere conto del fenomeno? Il problema della definizione è un problema irrisolto. Molte sono le definizioni che circolano nella letteratura sociologica a seconda delle caratteristiche che il fenomeno ha assunto nei diversi paesi. Sono state date diverse definizioni che mettono in evidenza aspetti peculiari: in Inghilterra si parla di voluntary reserve cioè di settore volontario, negli Usa invece viene coniato il termine "noprofit" che si riferisce ad una serie di organizzazioni che non distribuiscono utili tra i propri associati, mal' eventuale profitto viene reinvestito a vantaggio dell'attività. Accanto al no profit viene ultimamente usato sempre di più il termine "terzo settore" che si riferisce a quei soggetti che non sono Stato né imprese private a fini di lucro. Evidentemente anche questa definizione indica gruppi diversi tra loro e di conseguenza i criteri di distinzione diventano molteplici. Uno potrebbe essere la formalità o meno dell'organizzazione, comprendendo in tal modo sia il gruppo di quartiere che svolge una piccola attività che un'organizzazione internazionale come la Croce Rossa che ha rapporti con i governi, interviene nei conflitti, ed è sicuramente una struttura no profit. Un altro· criterio sarebbe la distinzione tra chi offre servizi ai propri membri e chi invece li offre a terzi. Per esempio, i gruppi di auto-aiuto, di self help operano a partire da un bisogno. Ecco allora gli "alcolisti anonimi" o i malati che a causa di un intervento chirurgico hanno subito un determinato danno fisico. Ma ci sono, inoltre, organizzazioni che offrono servizi a terzi, per esempio I' Avis o altre che lavorano nel campo sanitario. Si potrebbe fare un'ulteriore distinzione tra chi offre servizi e chi no. Per esempio, vi sono organizzazioni che portano avanti battaglie di rilievo su problemi di principio, su tematiche sociali: le associazioni che si battono contro la discriminazione verso gli immigrati o quelle che lottano contro la ghettizzazione dei malati di Aids, o ancora il "Tribunale dei diritti del malato". Sono tutte esperienze che si mobilitano per fare pressione sulla struttura pubblica affinché funzioni meglio. In ogni caso l'elemento unificante di questo arcipelago variegato è costituito dall'assenza di profitto ... Diciamo che è la non accumulazione e hon distribuzione del profitto, perché l'utile ci può anche essere. C'è stata una ricerca recente, l'unica di respiro internazionale che abbia operato un confronto tra i vari paesi, sia tra quelli a capitalismo avanzato come la Francia, la Germania, l'Italia, che tra quelli del post-comunismo o altri mediamente sviluppati come alcuni paesi asiatici o l'Egitto. Ebbene, questo studio ha definito i punti principali per definire il terzo settore: a) La non distribuzione dei profitti; b) La capacità di auto-organizzarsi, qui nd i la non dipendenza dalla pubblica amministrazione; c) Un minimo di formalizzazione, quindi uno statuto; d) Il coinvolgimento di volontari, che però non rappresentano più la caratteristica principale. Solo adesso, infatti, ci stiamo abituando a considerare il volontariato solo come uno fra i soggetti che operano nel terzo settore e neanche il più importante. Ma se usassimo i criteri definiti dalla ricerca, dovremmo mettere tra le associazioni no profit anche la "Bocconi" di Milano o l'Università di Urbino che sono strutture private senza fini di lucro! Quali sono le origini del no profit ? Dove nasce, come si sviluppa? Si afferma maggiormente in quei paesi con minore presenza dello Stato? Sì, forse questo è vero per la storia recente, ma se vogliamo risalire alle origini del no profit dobbiamo andare all'800, quando lo stato sociale non esisteva. Il welfare state, così come lo chiamiamo oggi, nasce negli anni '40. In una situazione come quella la società si era auto-organizzata per difendersi dai problemi sociali. La stessa Italia che oggi sembra più indietro rispetto alle politiche sociali se confrontata con gli altri paesi occidentali, allora aveva una miriade di Società di mutuo soccorso che erano dei veri e propri sistemi di welfare locali. In cambio Abbonamento ordinario a 10 numeri di UNA CITTA ': 40000 lire. Abbonamento sostenitore: 100.000 lire. Abbonamento estero: 60000 lire. Cc. postale n.12405478 intestato a Coop. Una Città a r.l., p.za Dante 21, 47100 Forlì. Oppure tramite bonifico bancario sul Cc. n. 24845/13 intestato alla Coop. Una Città a r.l. presso la Cassa dei Risparmi di Forlì, Sede centrale, codice ABI 601 O, codice CAB 13200. Una copia: 5000 lire. A richiesta copie saggio. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì - Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421. UNA CITTA' è nelle librerie Feltrinelli. . - • • w - 4 UNA CITTA' dell'iscrizione si avevano delle prestazioni di soccorso: in caso di malattia si veniva aiutati, in caso d 'infortunio mortale sul lavoro la vedova veniva assistita, stessa cosa in caso d'invalidità. Accanto alle Società di mutuo soccorso agiva la Chiesa con le Opere Pie. Erano questi i due pilastri su cui poggiava il sistema sociale. Finché in Italia, alla fine del XIX secolo, non si giunse all'assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro e ad altre importanti innovazioni del periodo giolittiano. Fino a quel momento lo Stato era inesistente. L'unica assistenza veniva dalle organizzazioni di base. Situazione analoga in Inghilterra dove c'erano le friendly societies, idem in Germania. il fascismo attaccò il mutualismo Quindi, il terzo settore viene prima della nascita dello stato sociale. Diciamo che il welfare state si è formato quando ci si è resi conto che quel tipo di assistenza sociale da sola non poteva farcela. e, cosa interessante, questo non è accaduto per una spinta dal basso. Infatti, non sono state le masse contadine e operaie a richiedere la riChe differenza c'è tra la solidarietà sviluppata storicamente dal movimento sindacale, cooperativo e mutualistico e la solidarietà delle organizzazioni del volontariato? A quel tempo c'era un coinvolgimento capillare della società. La borghesia, lo Stato venivano visti come nemici di classe e di conseguenza la mutualità era vista come una forma di autodifesa sociale, come momento di collettivizzazione e di politicizzazione: si discuteva delle proprie condizioni, della situazione di fabbrica, tanto è vero che, come è noto, il fascismo sciolse queste organizzazioni. Ricordo che alla fine dell'Ottocento si accese un forte dibattito tra massimalisti eri formisti avente come oggetto il riconoscimento di questi organismi da parte dello Stato liberale. Mentre i riformisti lo vedevano come momento importante di crescita democratica, i massimalisti temevano che lo Stato avrebbe potuto controllare in qualche modo le organizzazioni, schedandone i soci. Quindi, il mutualismo aveva una forte connotazione di classe e coinvolgeva operai, contadini, artigiaCome nasce e che caratteristiche ha il terzo settore in Italia, un paese in cui è forte il sistema clientelare e c'è anche una radicata tradizione familistica? Prima mi ch4edevi se il volontariato si è sviluppato maggiormente nei paesi dove è meno forte la presenza dello Stato. In effetti, questo è vero se si pensa agli Stati Uniti, dove non c'è un servizio sanitario nazionale e la sanità è un lusso: chi può paga, chi non ha soldi rimane scoperto. Indubbiamente, gli Usa sono il prototipo di una stato sociale poco sviluppato e non è un caso che lì ci sia stato un forte sviluppo del terzo settore. Questa correlazione c'è senza dubbio, però direi che funziona solo per gli USA, perché se guardiamo all'Europa la situazione è diversa: in Germania c'è molto più terzo settore che in Francia, ma i tedeschi hanno una tradizione di stato sociale molto forte, che si è sposata con un solido sistema di corporazioni professionali. Quindi, la correlazione può funzionare e può non funzionare, non è così vera. Invece, è valida per la Scandinavia dove la forte tradizione di welfare state ha lasciato poco spazio al volontariato. Per quanto riguarda l'Italia, il terzo settore è composto da quelle PROGETTI DI ST Operatori di strada fra le prostitute, mediatori culturali per extracomunitari, gruppi di quartiere per ragazzi disagiati che evadono la scuola per troppo benessere, campi nomadi. Il tentativo di una giunta di dare priorità al sociale. Intervista a Gianfranco Bettin. Gianfranco Bettin, scrittore, è assessore alle politiche sociali del Comune di Venezia e pro-sindaco di Mestre. · Ci puoi parlare del tuo lavoro e dei risultati che hai ottenuto? La cosa immediatamente verificabile, che conosco meglio di altri perché è uno dei settori di cui mi occupo, è la priorità data alla spesa sociale. Noi abbiamo quasi raddoppiato la spesa per gli interventi sociali in questi due anni: ammontava a circa 30 miliardi, o poco più, di previsione per il '94, quando ci siamo insediati alla fine del '93; adesso ammonta ad oltre 60 miliardi, ossia più del 10% del nostro bilancio, rispetto a una media nazionale che è del 6-8%. Questo ci ha permesso di avviare una serie di interventi in settori finora completamente scoperti: siamo tra i pochissimi comuni che hanno attrezzato due grandi campi di accoglienza per nomadi e sfollati dalla ex-Jugoslavia e abbiamo avviato un'azione con le prostitute, non limitato alla sola prevenzione del1'Aids, utilizzando operatori di strada. In pratica. ci sono operatori che vanno in strada. insieme a mediatori culturali di madrelingua e a prostitute o ex-prostitute che collaborano con noi, sotto la supervisione del gruppo di Carla Corso, del gruppo Abele di don Ciotti e di un gruppo che lavora per conto della Comunità Europea, coordinato da una sociologa veneziana che vive da anni ad Amsterdam. Questo progetto ci consente di aprire vie d'accesso ai servizi, favorisce un controllo igienico-sanitario e soprattutto orienta i comportamenti; e questo è fondamentale, perché se lasci che le prostitute si insedino di fronte alle case farai scoppiare il conflitto: insomma, le ronde, icomitati anti-prostitute, ecc. Se invece hai un rapporto credibile di dialogo, puoi anche discutere con loro affinché si spostino dove non diano fastidio né siano disturbate. Questo è un lavoro abbastanza delicato. Spesso ci scontriamo con i loro sfruttatori, perché cerchiamo di offrire vie d'uscita a quelle che vogliono smettere, e lo facciamo di concerto con la polizia, perché le ragazze che hanno smesso, -alcune non erano d'accordo o erano in mano al "fidanzato" - stavano dentro un racket. Sono loro, in particolare, che hanno dato un buon contributo allo smantellamento di diverse reti di sfruttamento, per cui nel periodo più caldo sono sorvegliate dalla polizia, mentre noi le aiutiamo fornendo loro servizi di sostegno. E' un lavoro ad ampio raggio che coinvolge ragazze del) 'Est Europa., albanesi, africane e brasiliane. Si tratta di prostituzione classica, mentre iI fenomeno dei viados è quasi sconosciuto. Avete fatto dei corsi per gli operatori di strada? Ci sono corsi speciali, triennali, istituiti dalla Regione. Alcune di queste cose sono il frutto di iniziative che alcuni di noi avevano avviato dall'opposizione come lavoro di base e volontariato negli anni '80, e che ora hanno dato vita al primo progetto sperimentale di operatori di strada, assunti facendo legittimare, in assenza di corsi professionali. l'esperienza pregressa. Sull'onda di questo, qualche anno fa sono stati attivati dei corsi, solo che, quasi ovunque, i comuni hanno uno o due operatori, più spesso sono le Usi ad averne assunti di più, ma non c'è nessun comune che abbia 20 operatori che lavorano sulla strada. Non è rischioso trasformare un impegno volontario in un impiego comunale? li rischio c'è. ovviamente, però è organizzazioni miste di assistenza che erano le lpab ( Istituti pubblici di assistenza e beneficenza) sorte con la legge Crispi del 1890, che erano a loro volta la trasformazione del le vecchie Opere Pie. Le Ipab hanno subìto molte vicissitudini ma sono rimaste. Noi non lo sappiamo, ma chiamiamo "ospedali" realtà che sono invece lpab: per esempio, il famoso Cottolengo, e tanti altri. Sono strutture miste perché ricevono finanziamenti da parte dello Stato pur essendo enti privati no profit, nel cui C.d.A., però, sono presenti gli enti locali. Sono un po' anomali, ma rispecchiano la nostra storia. Alcune sono legate al tradizionale mondo cattolico, altre portano avanti esperienze d'avanguardia. Poi ci sono tutte quelle associazioni sorte negli anni Cinquanta, quelle dei non vedenti, dei non udenti, dei portatori di handicap, che sono realtà importanti, gestiscono quote rilevanti di assistenza e tutelano i propri iscritti. Infine c'è tutto quel1 'associazionismo sorto negli anni Settanta e Ottanta, quello legato al ·p~oblenia della tossicodipendenza, dell'immigrazione, dell'ambiente. Insomma, il terzo settore italiano è assai variegato. le organ.izzazioni laiche sono ormai in maggioranza Se volessimo cogliere una tendenza possiamo dire che le organizzazioni di carattere religioso non sono più la maggioranza. Quelle laiche tendono a prevalere. Ma con il termine "laico" non voglio dire che i partecipanti non siano cattolici, solo che non si ispirano alla religiosità. Per quanto riguarda il volontariato, bisogna sfatare il luogo comune di una larga presenza femminile, perché al contrario è ormai massiccia la componente maschile; anche il grado d'istruzione, pur rimanendo elevato, si sta diversificando, così come le classi di età. Questo non vuol dire che ormai il volontariato sia ramificato in tutta la società, ma che indubbiamente certi stereotipi non sono più veri. Comunque, il ruolo della famianche vero che non puoi affidarti solo al volontariato: se vuoi giocarti in situazioni rischiose, difficili, devi giocarti come istituzione e questo implica la presenza di figure preparate. E le figure preparate le hai quando le professionalizzi e quando crei un buon clima di lavoro offrendo dei consulenti, dei supervisori del loro lavoro, dei corsi di aggiornamento, insomma devi creare le condizioni o gli strumenti che li mettano in grado di reggere quel tipo di stress. Noi abbiamo educatori che lavorano con i ragazzi a rischio, con i tossicodipendenti, con le prostitute, con gli immigrati - che qua sono in gran parte disoccupati, perché questa è una delle zone del Veneto in cui non c'è la piena occupazione, anzi c'è disoccupazione. Qui abbiamo tanti nomadi e sfollati dall'ex-Jugoslavia di origine rom. Anche in questi campi ci sono nostri educatori. Poi abbiamo educatori che lavorano in quartieri a rischio, secondo una metodologia d'intervento, chiamata "animazione di comunità", tesa a costruire la partecipazione degli abitanti, creando delle reti, anche informali, che attivino le risorse del quartiere. Infine, abbiamo una rete di educatori che lavorano nei centri per l'età evolutiva, una ventina in tutta la città; questi sono dei luoghi, spesso ubicati nelle scuole, in cui, al di fuori dell'orario scolastico, operatori, psicologi, animatori affiancano le attività educative tradizionali, incrociando il lavoro degli insegnanti e l'esperienza dei genitori, con momenti sia ludici che formativi. Si va cioè dalla conferenza sui problemi dell'essere genitori ai problemi dei bambini, dall'alimentazione ali 'età evolutiva, dalle precoci turbe psicologiche fino alle feste, al gioco usato in chiave educativa. Si tratta di servizi molto innovativi nel loro genere: ognuno di questi è studiato da altri comuni; in qualche caso i progetti sono partiti con le precedenti amministra-

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