I Il perché del rifiuto, da parte di tanti protagonisti, della definizione di guerra civile e l'abuso che se ne può fare in caso di persecuzioni e genocidi. Quel di più di violenza di cui si ha imbarazzo. La guerra totale che mutua la crudeltà e l'assenza di regole della guerra civile, i racconti di atrocità false. La zona grigia. Intervista a Gabriele Ronzato. Gabriele Ronzato insegna storia contemporanea all'università di Pisa. L'uscita del libro di Claudio Pavone sulla Resistenza, Una guerra civile, ha suscitato un grande dibattito su cosa sia una guerra civile. E d'altra parte l'attualità non è certo avara di situazioni in cui questa espressione, a torto o a ragione, viene usata. Allora, che cos'è una guerra civile? Quello che non mi convinceva del tutto nel libro di Pavone, alla cui gestazione ho partecipato con altri studiosi, legati all'autore da amicizia e collaborazione pluriennale, è l'equivalenza delle tre guerre, quella patriottica, quella di classe e quella civile. A mio avviso le tre guerre non sono equivalenti perché, a differenza delle prime due, la guerra civile non ha in sé l'indicazione né delle sue ragioni né delle sue finalità: il concetto di guerra civile è più generico, più astratto, ma al tempo stesso più riassuntivo della natura del conflitto. Devo dire che poi, nella scelta del titolo, ma per ragioni puramente editoriali, è prevalsa la mia tesi. mentre il titolo proposto da Pavone, Saggio sulla mòralità della Resisten:a, per altro molto bello per quel suo sapore un po' arcaico di saggistica alta, è diventato il sottotitolo. Non c'è dubbio comunque che il libro di Pavone ha enormemente stimolato I'inizio di una riflessione sulla guerra civile, anche a partire dalle ragioni di un rifiuto così violento, da parte di molti antifascisti, della definizione della Resistenza come guerra civile. Rifiuto tanto più paradossale se accettiamo, nella sua semplicità, la definizione di guerra civile, proposta anche da Bobbio. che io ricordo nell'introduzione al libro Guerre fratricide, da me curato, come una guerra fra concittadini, all'interno di uno stesso Stato, per la conquista dello Stato stesso. Come negare che questa è anche la realtà della Resistenza? Ora, la spiegazione data dagli stessi antifascisti della loro contrarietà è che il concetto di guerra civile conferirebbe pari dignità a entrambe le parti e quindi non si deve applicare alla Resistenza. Ma questo storicamente non è vero. Sono uno specialista della guerra civile spagnola e il fatto inconfutabile che quella fosse una guerra civile non ha mai conferito pari dignità ai franchisti e ai repubblicani. Tanto meno era soddisfacente l'altro argomento, che però ha anche una sua realtà storica in senso cronologico, secondo cui, siccome i fascisti, a partire dal dopoguerra, per denigrare il fatto resistenziale, hanno cominciato a chiamarlo "guerra civile" -basti ricordare la famosa opera in tre volumi di Giorgio Pisanò intitolata Storia della guerra civile - gli antifascisti non possono usare una tale espressione. Questo denoterebbe una subalternità inaccettabile: la chiamano così loro, quindi noi no. D'altra parte si può vedere che questo rifiuto della definizione di guerra civile non riguarda solo la Resistenza, ma è più universale. Molti protagonisti di conflitti che ne hanno il carattere rifiutano di accettare che quella che combattono è una guerra civile. Per esempio. sebbene in base a quella definizione ogni Bi riv0l1,1ziont sia rh~na ~r a civile, molti rivoluzionari -ma non fu il caso di Lenin- negano che la loro rivoluzione comporti una guerra civile. Stesso discorso potrebbe farsi per le guerre d ·indipendenza, di liberazione, ecc. Quindi direi che il punto nodale sta proprio nel fatto che l'espressione "guerra civile'· ha una sua propria carica denigratoria. Bisogna allora seguire la traccia dei sinonimi, il più importante dei quali è quello di "guerra fratricida". Può scaturire da qui la carica denigratoria? Anche questo non mi sembra completamente convincente. Certamente il fratricidio è sentito come un fatto di estrema gravità, però nella nostra cultura civica è implicito, è accettato che si possa commettere fratricidio in nome di un più alto valore. Lo stesso Pavone mette in luce molto bene, nel caso della Resistenza, che i partigiani parlano spesso, senza remore, della loro lotta come di una guerra civile. Perché? Forse erano di fronte a una tale evidenza dell'esperienza della guerra civile da non porsi neppure il problema della giustezza della definizione o forse, per l'appunto, era comprensibile, accettabile che per valori molto alti -il recupero della libertà, della democrazia- ci si assumesse la responsabilità di fare una guerra civile. Ugualmente, nel momento in cui diciamo che le rivoluzioni sono anche guerre civili che oppongono rivoluzionari a controrivoluzionari non condanniamo affatto la rivoluzione. Nella rivoluzione più classica in cui ci sono degli oppressori e degli oppressi, se all'oppresso non resta altra alternativa che combattere contro il suo oppressore, il fatto che questi sia un concittadino non può che passare in secondo piano. Se quindi rimaniamo nel- !' ambito strettamente politico, ideologico, ideale, non si capisce perché il concetto debba essere un tabù. Allora vanno ricercate altre ragioni, aggiuntive a quella del fratricidio e mi sembra che la ragione più forte, anche se più riposta, stia nel fatto che chiunque, anche con le più sacrosante ragioni, si assuma l'iniziativa, e quindi la responsabilità, di dare avvio a una guerra civile, scatena una violenza che non può controllare. Proprio perché la guerra civile implica che lo Stato, che in una situazione di pace detiene il monopolio della violenza e reprime coloro che violano questo monopolio, s'indebolisca grandemente o si spacchi in due Stati impegnati nel combattersi, si ha non solo una violenza bellica, ma una generalizzazione di violenza incontrollata che può anche riciclarsi come violenza bellica. E' un contesto di violenza in libertà che certamente proietta un'ombra su Ila realtà complessiva della guerra civile e denigra anche le sue buone ragioni. Ad esempio, le rivisitazioni che si stanno facendo del periodo resistenziale, portano a volte in luce episodi ben poco nobili di violenze sulla popolazione civile e di violenze interpartigiane. E' proprio questa realtà, inevitabile in ogni guerra civile, che si teme possa offuscare i valori della Resistenza. Ma non c'è il rischio, speculare quasi, di un abuso del concetto di guerra civile? Che si rischi, per esempio nel caso di tentativi di genocidio o di sterminio, di usare l'espression~ "guerra civile" per ~ attutire le responsabilità del persecutore e, forse, anche dello spettatore, che, ovviamente, preferisce non sapere di assistere a uno sterminio. E' il caso di Sarajevo. Altro caso, per tutt'altri motivi, è quello dcli' Algeria. Tanti algerini, in polemica con l'uso dcll'csprcssionc "guerra civile", parlano di "guerra contro i civili". Effettivamente si corre il rischio di passare da un estremo all'altro: nulla è guerra civile o tutto è guerra civile. Ora si tende a definire qualsiasi fenomeno di violenza collettiva come guerra civile. Lei ha citato il genocidio: per esempio, Roman Schnurr, un allievo di Schmitt, autore di studi anche illuminanti sul rapporto tra rivoluzione e guerra civile, applica il concetto di guerra civile anche al genocidio degli ebrei, cosa che, ovviamente, io trovo assolutamente impropria per l'evidente assenza di una belligeranza reciproca. Nel caso del genocidio c'è una violenza unidirezionale di uno Stato, dell'unico Stato esistente, contro una parte che neanche si propone di conquistare lo Stato. né con mezzi nonviolenti né tantomeno con mezzi militari. I due casi che lei cita, invece, Sarajevo e l'Algeria, mi sembrano diversi. Nel caso di Sarajevo è vero che è una città inerme sottoposta a ft continui atti di belligeranza, però era un'énclal'e che s'inquadra in un connitto più vasto che si può configurare come una guerra civile. Non possiamo isolare una determinata realtà dal contesto, perché in qualsiasi guerra può avvenire il bombardamento puramente terroristico di una città che magari non ha dotazioni militari. Voglio fare un esempio secondo me calzante: il bombardamente di Guernica, preso isolatamente, non sarebbe un episodio cli guerra civile, perché Guernica non aveva installazioni militari, non aveva nella guerra un ruolo né offensivo né difensivo. Tuttavia quel bombardamento si inquadra in un contesto complessivo di guerra civile. Lo stesso sarebbe stato se, invece cli essere bombardata a tappeto. fosse stata, come Sarajevo. bersagliata per mesi e mesi. L'Algeria, invece. mi sembra in una situazione di potenziale guerra civile, ma che ancora non c'è. La guerra civile non va confusa col terrorismo. Il terrorismo può essere un elemento di una guerra in cui una delle due parti fa una guerra di guerriglia, però deve rientrare in un complesso di atti di belligeranza diversificati, con la possibilità anche di piccole battaglie campali, attentati ad installazioni militari, ecc. Pensiamo, appunto, alla guerra partigiana. Mi pare che questo in Algeria non ci sia. Chiaramente queste differenziazioni forse sono anche ininnuenti, però, a volte~può valer la pena di essere rigorosi nelle definizioni. Le chiavi interpretative per poter aprire devono essere ben limate. Nel libro lei parla di "zona grigia" riguardo alla guerra civile. Cosa succede in questa zona grigia? Per esempio, riguardo alla ex-Jugoslavia, in una delle prime interviste che abbiamo fatto, veniva descritta la figura di un pensionato che a mezzogiorno andava a prendere l'aperitivo e leggeva i giornali e, che nel giro di sei mesi, senza nessuna convinzione, ma costretto dagli eventi, si era ritrovato in tuta mimetica ... Almeno in partenza e per un certo periodo anche lungo, la grandissima maggioranza della popolazione resta in una zona grigia, in un atteggiamento di attesa. Purtroppo, per fare scoppiare le guerre civili non occorre un'adesione di massa. In tante esperienze del passato e, oggi, nella guerra civile nella ex Jugoslavia, vediamo che basta mettere in moto un meccanismo di aggressione che chiama una difesa o chiama una controaggressione o una vendetta per creare un gorgo in cui tutti sono risucchiati. In qualsiasi situazione di tensione fra due comunità basta che un piccolo gruppo commetta una strage per rendere difficile. a chi voleva rimanere occulto nella zona grigia, continuare a non schierarsi. Si mette in moto un meccanismo per cui quelli che vogliono rispondere immediatamente sollecitano sempre più duramente coloro che non prendono partito. La "zona grigia'' che comprendeva gran parte della popolazione durante la Resistenza in realtà racchiude una gamma intera di comportamenti. Ci sono tanti grigi e ci sono continui prestiti fra i vari settori di grigio. Ovviamente, i prestiti più interessanti dal punto di vista del fenomeno globale sono quelli fra "zona grigia" e "zona combattente", perché non è affatto detto che le scelte siano irreversibili. Anche nel corso della Resistenza molti sono andati in montagna per qualche mese e poi sono tornati indietro. E' una realtà poco studiata, proprio perché sfuggente e non facile da tener ferma. Credo però che se si vuole passare, come credo sia necessario, da una storia della Resistenza a una storia del l'Italia nel periodo resistenziale, bisognerà cercare di capire anche tutta questa questa zona così ampia e così variegata. Nell'ex-Jugoslavia pare che i nazionalisti abbiano girato i villaggi dicendo: "Là hanno ucciso, là hanno fatto". Che ruolo ha il racconto di atrocità, la diceria, nel diffondersi di una guerra civile? L'uso sistematico del racconto di atrocità, spesso inventato, quasi sempre incentrato su violenze a donne e a bambini descritte nei minimi particolari, non nasce con la guerra civile, bensì con la prima guerra mondiale, che è stata, per tanti versi, atrocemente innovativa. E bisogna anche dire che in questo senso la propaganda delle forze del)' Intesa ha superato quella degli Imperi Centrali. La storia dei bambini belgi con le mani mozzate dai tedeschi fece il giro del mondo. E un lavoro recente di uno studioso spagnolo mostra come il clichè inventato nel corso della I guerra mondiale sia poi stato recuperato in altre situazioni, per esempio nella guerra civile spagnola. Nella Il guerra mondiale una famosa scena. diffusa in tutti gli Stati Uniti, di un soldato giapponese che infilza con la baionetta un bambino buttato in aria, è un falso, un film abilmente girato dalla propaganda americana. A partire dalla I guerra mondiale l'espressione à la guerre comme à la guerre è sempre più fondata. Ovviamente poi nella guerra, e specialmente nella guerra civile, ci sono le vere atrocità, ma bisogna essere molto cauti per distinguerle dalla propaganda. La guerra civile è in sé particolarmente crudele, e con le guerre mondiali sembrava che fosse stata la guerra convenzionale a mutuare questa crudeltà. Ora assistiamo a guerre civili che mutuano da quella convenzionale la potenza tecnologica. I proiettili di contraerea usati contro le finestre delle case ...
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