Una città - anno VI - n. 47 - gen.-feb. 1996

Ledonne algerine che hanno detto al mondo di non volere integralismo e violenza ora aspettano la riforma dell'infame diritto di famiglia. Il giovane che tutto il giorno, appoggiato a un muro, sogna il Canada o l'anonimato delle città europee. La capacità delle donne immigrate di inventare, di fare compromessi, di mediare fra le due appartenenze, di conquistare poco a poco spazi di libertà. Intervista a Samia Kouider. Samia Kouider, algerina, sociologa e ricercatrice, vive a Milano. Come vedi la situazione algerina dopo le elezioni? Una situazione molto complessa e molto difficile, venutasi a creare in parecchi anni di gestione pessima degli affari economici, sociali, culturali, una situazione aggravata e resa ancor più complicata da tre anni di terrore quotidiano, non può migliorare da un giorno all'altro. D'altra parte non c'è dubbio che il fatto che, per la prima volta, tantissima gente sia andata a votare e I'abbia fatto, per di più, malgrado le pressioni contrarie e le minacce di tutti i gruppi terroristi, è stato un segnale molto importante. La popolazione ha detto: "Basta, non vogliamo più la morte, non vogliamo più le armi, vogliamo la tranquillità, vogliamo la pace, vogliamo poter andare a passeggiare come facevamo prima, poter tardare la notte prima di rientrare a casa". La popolazione algerina ha votato, come per l'indipendenza, per dire: "Quello che c'è in questo momento non lo vogliamo·più". E andando a votare anche nei quar-tieri feudi del terrorismo, gli algerini hanno dimostrato che l'immagine di una maggioranza di algerini integralista, favorevole alla violenza, era falsa. Dopodiché pensare che Zeroual cambi da un giorno all'altro la situazione è poco serio. Può essere una speranza, però io credo che i tempi non saranno né quelli dei due mesi né dei due anni. Perdi più i morti e gli attentati ci sono ancora, e programmi seri, politici, economici, sociali, culturali, li dobbiamo ancora vedere. Il processo più difficile inizia ora. Le donne hanno avuto un ruolo fondamentale in questa resistenza, hanno difeso la normalità della vita quotidiana quando questo poteva costare la vita. Vorrei fare una premessa: la violenza sulle violenza verbale, non dichiarata, più sottile, a una violenza fisica vera e propria, addirittura ad attentati alla vita delle donne. Ma i primi attentati alla vita delle donne non sono nati con l'integralismo nouvelle vague di questi tre anni, il primo attentato fu compiuto nel 1989 quando una donna fu bruciata viva con i suoi figli. Ma all'epoca, quando si diceva: "Attenzione adesso uccidono le donne", come sempre si rispondeva: "Non è la priorità del paese". Quando sei abituata a essere portatrice solo di doveri, e ne conquisti uno, di diritti, hai già fatto un passo enorme ... E lo difenderai. Che prospettive si possono aprire ora per le donne algerine? Viviamo un momento ancora più difficile: una grande frustrazione, anche sessuale, tormenta la maggioranza della popolazione maschile, in un momento in cui la famiglia tradizionale è stata destrutturata e frammentata e la famiglia basata sulla coppia non è ancora emersa, un momento in cui l'idenlità collettiva e singola conosce una grave crisi. Dopo il risultato delle elezioni si parla molto di donne. E io sono contentissima che si parli di donne, che si dica che bisogna difendere le donne, mi allendo, però, che non si tratti solo di parole, ma che comincino ad abrogare le leggi che ci riguardano e che dicono che noi non possiamo andare a scuola senza l'autorizzazione del padre, non possiamo andare a lavorare né sposarci senza l'autorizzazione del tutore. Queste tifoserie casuali sulle donne le abbiamo già conosciute durante la guerra di liberazione. Ottenuta l'indipendenza, a tulle le donne che avevano preso le armi per cacciare i francesi, è stata dato il benservito: "Ecco l'appartamento, ecco Japensione e adesso stai buona, fai solo la mamma e, sopra11u110,non fare politica". tenendo lo hidjab quelle ragazze erano più libere terrorista", "Quello è figlio di un terrorista", "Quello, invece, è figlio di un comandante". Come ai tempi della guerra e del1 'indipendenza, quando si diceva: "Quello è figlio di un harki, (venduto alla Francia)". E ci vorrà tempo per ricreare un minimo di fiducia fra le persone e un contesto tranquillo dove la gente impari ad esprimersi democraticamente, a dire la propria opinione sulle questioni di fondo: cos'è l'Algeria, quale laicità, quale cittadinanza, quando si prenderanno posizioni chiare sulla pena di morte, sulla tortura, sulla modernità. Il tutto è reso difficile dal fatto che per 30 anni abbiamo avuto un regime che invece di far discutere la gente si è re110sui diktat. Il tutto è reso difficilissimo, addirittura spaventoso, dal fatto che il 75% della popolazione ha meno di 25 anni. Cosa fanno questi ragazzi? .,. donne nel mio paese c'è sempre stata. In questi ultimi anni siamo passati da una Per una donna in Algeria la vita non è mai stata facile. Ognuna di noi ha dovuto conquistarsi faticosamente degli spazi, un ruolo, uno status che non era quello che le veniva conferito dalla cosiddetta tradizione. Ora, io sostengo che quello che è successo negli ultimi tempi, quando si è arrivati a violenze, stupri, rapimenti di donne perché andassero ad accudire i soldati del1 'integralismo, trova la sua origine nella posizione che la donna occupa nella mentalità dell'uomo algerino. Noi donne abbiamo sempre dovu10 conquistarci tutto. Negli anni '70 abbiamo approfittalo del fatto che la politica ufficiale predicava la lotta contro i valori feudali e l 'arre1ratezza e siamo andate a scuola gratis, siamo andate ali 'università. Ciò avveniva grazie a una politica populista, non perché veramente venivano riconosciuti i diritti delle donne e l'uguaglianza con gli uomini. Ma a livello del quotidiano -uscire da casa, recarsi al lavoro, a scuola, ottenere un posto di lavoro, camminare per la strada tranquillamente- le molestie ci sono sempre state. lo ero una privilegiata, avevo la macchina, ma non ci pensavo nemmeno a prendere i mezzi pubblici, perché significava subire molestie ogni momento. E se qualcuna andava dal poliziotto al commissariato si sentiva dire: "Non mi rompere le scatole! Abbiamo altro da fare, se non ti va sta a casa". Oggi, in un contesto ancora più difficile, la capacità di mediazione tipica delle donne è lo strumento efficace per strappare degli spazi. Diverse donne ritengono, per esempio, che la loro is1ruzione è importantissima e quindi non ci rinunciano a costo di portare lo hidjab (il velo islamico). Questa è una mediazione fra restare chiusa fra quattro mura o andare ali 'università. L'Algeria cambierà quando si comincerà a discutere seriamente su quel dirillo di famiglia che è una vera vergogna nazionale. Per ora Zeroual ha ripetuto che la donna è la sua sorella. Io ripeto quello che dice la mia amica Messaoudi: "Non siamo le sorelle di nessuno, siamo delle cittadine". Con questa storia delle "nostre sorelle", diffusissima fra i maschi algerini e che, comunque, richiama lo spirito del clan, del patriarcato, del maschio "protettore", è veramente ora di farla finita. Ogni volta che noi diciamo qualcosa, siamo le sorelle o le mamme o le mogli di qualcuno. Noi vogliamo essere solo cilladine: visto che ci c~iedono i nostri voti, che ci diano anche i nostri dirilli. Sono disoccupati. Ci sono delle sacche in Algeria dove il 60% dei giovani è disoccupato. Sono hittist (espressione dialet1ale algerina che significa alla le11era: coloro che sostengono i muri. Ndr.), si tengono appoggiati al muro, in strada, tutto il giorno. Abbiamo una lelleratura molto bella, molto ricca sui giovani che stanno tutto il giorno addossati al muro o seduti sui muretti. In una situazione dove donne e maschi non si mescolano, dove gli alloggi non si trovano, dove la segregazione sessuale è ancora molto forte, dove famiglie di undici persone vivono in un appartamenlo di quaranta metri quadri, i ragazzi anche di notle, anche col terrorismo, di nascosto, stanno fuori per strada. E non fanno niente il giorno, niente la sera, niente la nolle. E allora la virilità, l'essere uomo è, come dicono loro stessi, "l'unica cosa che abbiamo, se no siamo come degli animali". E molti aggiungono: "e abbiamo Dio". Quanti di loro pensano di venire via? Tutti. Il sogno dell'Europa è il sogno del benessere, è la possibilità di acquisire beni e anche il sogno della libertà. L'emigrazione, il mettersi in viaggio per andare a fare fortuna, è da sempre una realtà nel nostro paese, soprallutto nell'Algeria del Nord, nella fascia mediterranea. Bi ~ quindicina/e di cultura e attualità 64 pagine dal sommario n. 2 - 1996 Raniero La Valle Un Vietnam europeo? Maurizio Salvi Russia: Un voto di awertimento Romolo Menlghettl L'Italia non è un'azienda Filippo Gentllonl Politica italiana: E se il guado finisse all'improwiso? Giancarlo Ferrero Democrazia: l'oscuro oggetto della politica Fiorella Farinelli Società: La guerra contro il Leoncavallo Sabrina Magnani Bologna: Internet gratuita per tutti Carlo Plgnocco Più case meno lei Maria Patini Tempo di vivere, iempo da vivere Walter Maraschini Dalla scuola del Ministero alla scuola della Repubblica Under 15 Adolescenti in presa diretta Manuel Tejera de Meer/Marlna Nenna Psicologia dell'adolescenza: Il rifiuto dei giovani Roberto Cipriani Ricerche: Valori e credenze in Italia Anna Portoghese Chi uccide il sogno? Stefano Cazzato Filosofia: Di bello in bello Roslno Glbelllnl La difficile libertà delle donne nella Chiesa Enrico Peyretti Pace si, ma quale? Carlo Molari Le discussioni sull'identità laicale Bruno Magglonl Come leggere oggi la Bibbia Arturo Paoli La banalizzazione religiosa Rubriche Ci scrivono i lettori - Primi Piani Attualità - Scienza, Tecnologia e Società - Bibbia - Teologia - Cinema - Teatro - Tv - Arte - Fotografia - Letteratura - Musica - Riviste - Libri - Rocca/schede Rocca - Cittadella - 06081 Assisi abbonamento annuale L. 70.000 richiedere copie saggio La mia generazione, anche se ha avuto accesso allo studio, era controllatissima. Io per esempio sono andata all'università blindata con mio padre, mia madre e anche parenti che mi controllavano. Le compagne di mia sorella che venivano da un paese sperduto e portavano lo hidjab, vivevano da sole ed erano più libere di me. Loro, in realtà, avevano operato una frattura nel sistema patriarcale, che noi non avevamo fatto. Noi avevamo l'autorizzazione a studiare, loro se la sono conquistata. Inoltre portare lo hidjab era un simbolo di intoccabilità, per cui i maschi dicevano: "Sono suore", e non insistevano, ma a noi, vestite normalmente, dicevano subito: "Ti porto nel bosco". Vedi, quando è in qÙestione il tuo diritto alla vita, tu fai qualunque cosa per difenderlo. In Algeria tutte le manifestazioni di ostilità che gli uomini hanno fatto davanti alle aziende che impiegavano donne, erano puramente demagogiche perché quelle donne accettavano di fare lavori malpagati che gli uomini mai avrebbero accettato perché non la consideravano occupazione valorizzante, soprattutto per la propria virilità. Le donne, invece, non hanno niente da perdere. Almeno si vanno a guadagnare il pane. Il risultato è che molte famiglie, oggi, sono mantenute dalle donne, non dagli uomini, tutti disoccupati. Molte donne, ufficialmente disoccupate, in realtà fanno ventimila mestieri. Addirittura ad Algeri sono comparse le giovani mendicanti donne, figura sociale che non esisteva. Portano cartelli alla moderna così come si vede qua, scrivono, raccontano, dicono il perché, dicono la situazione politica e chiedono l 'elemosina. Oppure vedi le donne andare per i mercati a vendere il pane, il couscous, e anche quello è uno spazio che si sono conquistate, perché gli uomini erano abituati a far fare il pane alle donne nelle case per poi rivenderlo loro nelle proprie bancarelle. Adesso tu vedi le donne sedute con il loro pane, non mandano neanche i figli, vogliono gestire direttamente il loro denaro e dunque la loro situazione. Così oggi è sicuralJlente la donna a cavarsela meglio. ~ "0 E' la questione della laicità? Il problema della laicità nei nostri paesi è un problema enorme, anche perché intrecciato con il problema della crisi identitaria e non credo che lo risolverà la nostra generazione né quella successiva. Sarà un processo lungo, travagliato, tanto più difficile quanto meno lo si è affrontato finora. La laicità è ancora un tabù, fa paura perché sembra che sradichi le persone, mentre tulli abbiamo bisogno di attaccarci a qualcosa. E la nostra appartenenza a una cultura legata a una religione è sicuramente una fonte di equilibrio molto forte. Il tutto è aggravato dal fallo che non solo quel processo di laicizzazione e secolarizzazione conosciuto dall'Occidente da noi non c'è stato, ma appunto per noi quell'insieme di valori, tanti dei quali possiamo condividere e condividiamo, li abbiamo conosciuti aura verso l'invasore. Il francese portatore dei valori dell'illuminismo è stato anche quello che veniva con violenza, è stato la causa delle nostre tragedie, delle nostre morti, delle nostre torture, ha segnato il nostro passato. Mentre in Francia si festeggiava la Dichiarazione dei diritti dell 'uomo in Algeria si uccidevano uomini perché volevano essere liberi. Allora cosa succede? Che ci si omologa tutti sul consumo, la condivisione diventa una condivisione di consumo: guardiamo Beautiful, facciamo come loro. Il che in qualche modo semplifica, ma nello stesso tempo banalizza. Gli islamisti hanno tentato di sfrullare questa situazione, predicando un ritorno alle origini dell'Islam per ritrovare se stessi e anche chi non aveva ideologia, in un primo momento, ha cercato lì una risposta. Ora, però, quel la risposta è diventata un incubo. Per cui la situazione cieli' Algeria, a livello culturale, sociale, e anche nei rapporti interpersonali, è molto difficile: la gente deve imparare a parlare, non a etichettare. Ma oggi più che mai. dopo quello che è successo, si sente dire: '·Quello era un I motivi sono tanti. Intanto i giovani hanno sempre viaggiato molto, perché l'Algeria è un paese molto grande e si gira parecchio. Molto grande, ma, soprattullo, molto diverso: quando si va nel deserto è un modo di vivere, quando si è sulla costa, al mare, è un modo di vivere, quando si va nell 'Atlante è un altro modo di vivere, dunque questa voglia di scoperta c'è sempre stata. Poi l'Europa, oltre a essere molto vicina geograficamente, lo è anche culturalmente. Eravamo una provincia francese e c'è un rapporto schizofrenico di amore-odio con la cultura occidentale. L'algerino, poi, è cresciuto nell 'autocelebrazione. Ha sentito dire fin da piccolo: "Siamo i migliori, siamo bravi, abbiamo cacciato i francesi", è orgoglioso e può sopportare certe situazioni di sottomissione, subirle, ma non le accetta. Dunque il mito del ragazzo algerino è andare là dove non si sente sottomesso, là dove c'è l'anonimato, là dove, nell'anonimato, si può acquisire non solo potere d'acquisto ma anche libertà. Se aggiungi a tutto questo che oggi, a differenza di un tempo, dalle grandi città algerine puoi raggiungere in pochissimo tempo ogni cillà d'Europa, si può capire bene perché l'Europa sia ormai un orizzonte accessibile agli occhi di un ragazzo algerino. Adesso è necessario il visto e devo dire che la cosa esaspera ancora di più la voglia di uscire. Prima uno poteva dire: "Non ci vado oggi, ci andrò tra un mese, tra un anno, tra due anni". E più si chiudono le frontiere, più si esaspera questo desiderio: "Ce la farò, me ne andrò". Tieni presente poi che il livello di vita dell'Algeria, fino ad ora, malgrado il degrado avvenuto negli ultimi anni con i guasti della liberalizzazione dei prezzi, non è un livello da Quarto Mondo. Inoltre, si è consapevoli del fallo che per molti anni sono stati gli altri a emigrare in Algeria. li nostro paese è stato terra d'asilo per molti africani, latinoamericani, arabi e questo ha ancora di più esasperato l'algerino giovane che dice: "Ma insomma, noi accogliamo tutti, questi venivano a lavorare da noi quando avevano bisogno e ora noi non possiamo andare da nessuna parte?". Voglio aggiungere che il giovane algerino sogna anche il viaggio lontano, in Canada e Australia, ha proprio il mito delle terre lontane dove andare a fare fortuna, del "vado e faccio tulio". Tantissimi algerini l'hanno fallo. In Canada adesso c'è una comunità algerina molto grossa e molto recente. Sul sogno australiano dei giovani sono state scritte cose molto belle. Mi ricordo che un primo aprile alla radio dissero che era giunta in porto una nave mercantile australiana. Ebbene, durante la notte moltissimi ragazzi sono andati al porto per imbarcarsi clandestinamente e andare in Australia. Era un pesce d'aprile, ma aveva funzionato molto bene, tani 'è che in tutla l'Algeria se n'è parlato a lungo. Il giovane algerino addossato al muro tutto il giorno sogna. Come dicono benissimo loro: "Se io non sogno muoio". Ma l'islamismo si concilia con la voglia di andarsene? Attenzione, perché la propaganda islamista non è affat10 contraria al sogno del viaggio, anzi. L'islamista convinto va in Australia e porta la parola di Dio. L'internazionale islamista deve diffondersi nel mondo. Quando parli con i ragazzi molti dicono seriamente: "Noi dobbiamo diffondere la Parola". L'ideologia islamista fa della diffusione della parola di Allah il suo strumento più efficace. Ad esempio la lettera che è stata mandata a Chirac chiedendogli di farsi mussulmano fa anche ridere, ma loro sono veramente convinti che deve diventare mussulmano come lo devi diventare tu, come lo deve diventare un altro. L'ideologia islamista finanzia le reti terroriste ali' estero. E hanno scelto anche canali molto intelligenti, il più importante dei quali è certamente quello del mercato parallelo: i ragazzi algerini che vengono a Napoli, per esempio, a comprare scarpe, vestiario, robe varie, che rivendono sul mercato nero ad Algeri, sono spesso messaggeri della parola di Dio. Non bisogna immaginarsi l'islamista militante come un monaco, un prete o una persona sprovveduta. E' anche un ragazzo che ascolta il Corano con il walkman e che preferisce i Levis. Tu hai studiato le differenze di comportamento fra maschi e femmine nel modo di affrontare l'emigrazione ... Beh, credo che a fare la differenza sia la capacità di mediazione che ha la donna, a prescindere dalla cultura cui appartiene, e che le deriva sia dalla praticità del quotidiano, dove mediare è continuamente necessario -si pensi solo alla gestione dei

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