Una città - anno VI - n. 47 - gen.-feb. 1996

B RCAT forma dello stato sociale, anche perché allora non c'era il suffragio universale, c'era un grosso distacco tra apparato pubblico e masse, lo Stato era veramente visto come il "comitato d'affari della borghesia", per riecheggiare la nota definizione di Marx. Per rendere l'idea, nel plebiscito sull 'Unitàd' Italia votò il 5,6% di italiani. Lo stato sociale è nato perché le classi dirigenti europee più lungimiranti hanno capito che di fronte alla nascita della classe operaia e alla crescita delle sue organizzazioni partitiche e sindacali era necessaria una mediazione, qualcosa che tamponasse l'estendersi delle lotte. Non a caso fu un reazionario come Bismarck in Germania a introdurre le prime assicurazioni sociali obbligatorie. E poi tra la fine del secolo e il 1920 tutti i paesi europei si uniformarono. Furono introdotte forme di protezione sociale per gli infortuni, le pensioni, la disoccupazione: per la sanità, invece, bisognerà aspettare ancora. ni. Oggi, invece, il volontariato - non il terzo settore. per come si carauerizza in questa fase-, si distingue per la presenza di gruppi apolitici, soprattutto di matrice cattolica, impegnati in attività di assistenza tese a fare del bene al prossimo. C'è, poi, una serie di associazioni che hanno una forte carica di cambiamento, che spingono per trasformare la realtà. C'è da rilevare che il volontariato vede la partecipazioni di classi sociali abbastanza elevate, direi dei ceti medi urbani che non delle campagne. Insomma, rispetto ad allora si tratta di una forma di impegno civile meno coinvolgente, anche perché nel frattempo sono sorti i partiti politici, è sorto lo siato sociale. Pertanto, il volontariato ha caratteristiche diverse, anzi è sorto all'inizio degli anni Ottanta in conseguenza della crisi delle forme tradizionali della politica. Le società di mutuo soccorso e le opere pie del secolo scorso, nate ancor prima dello Stato sociale. Nel no profitnon distribuire profitti non vuol dire non farne. Una realtà giovanile fra impegno politico dal basso e nuova imprenditorialità. Intervista a Ugo Ascoli. UgoAscoli è docente di Sociologia presso la Facoltà di Economia di Ancona di cui è anche preside. Esperto dei problemi legati al welfare state, da tempo è attento studioso del terzo settore. Ha scritto numerosi saggi, l'ultimo dei quali proprio sulle organizzazioni no profit ( Il welfare mix, Franco Angeli '94). No profit, terzo settore, volontariato, qual è la definizione più giusta che può rendere conto del fenomeno? Il problema della definizione è un problema irrisolto. Molte sono le definizioni che circolano nella letteratura sociologica a seconda delle caratteristiche che il fenomeno ha assunto nei diversi paesi. Sono state date diverse definizioni che mettono in evidenza aspetti peculiari: in Inghilterra si parla di voluntary reserve cioè di settore volontario, negli Usa invece viene coniato il termine "noprofit" che si riferisce ad una serie di organizzazioni che non distribuiscono utili tra i propri associati, mal' eventuale profitto viene reinvestito a vantaggio dell'attività. Accanto al no profit viene ultimamente usato sempre di più il termine "terzo settore" che si riferisce a quei soggetti che non sono Stato né imprese private a fini di lucro. Evidentemente anche questa definizione indica gruppi diversi tra loro e di conseguenza i criteri di distinzione diventano molteplici. Uno potrebbe essere la formalità o meno dell'organizzazione, comprendendo in tal modo sia il gruppo di quartiere che svolge una piccola attività che un'organizzazione internazionale come la Croce Rossa che ha rapporti con i governi, interviene nei conflitti, ed è sicuramente una struttura no profit. Un altro· criterio sarebbe la distinzione tra chi offre servizi ai propri membri e chi invece li offre a terzi. Per esempio, i gruppi di auto-aiuto, di self help operano a partire da un bisogno. Ecco allora gli "alcolisti anonimi" o i malati che a causa di un intervento chirurgico hanno subito un determinato danno fisico. Ma ci sono, inoltre, organizzazioni che offrono servizi a terzi, per esempio I' Avis o altre che lavorano nel campo sanitario. Si potrebbe fare un'ulteriore distinzione tra chi offre servizi e chi no. Per esempio, vi sono organizzazioni che portano avanti battaglie di rilievo su problemi di principio, su tematiche sociali: le associazioni che si battono contro la discriminazione verso gli immigrati o quelle che lottano contro la ghettizzazione dei malati di Aids, o ancora il "Tribunale dei diritti del malato". Sono tutte esperienze che si mobilitano per fare pressione sulla struttura pubblica affinché funzioni meglio. In ogni caso l'elemento unificante di questo arcipelago variegato è costituito dall'assenza di profitto ... Diciamo che è la non accumulazione e hon distribuzione del profitto, perché l'utile ci può anche essere. C'è stata una ricerca recente, l'unica di respiro internazionale che abbia operato un confronto tra i vari paesi, sia tra quelli a capitalismo avanzato come la Francia, la Germania, l'Italia, che tra quelli del post-comunismo o altri mediamente sviluppati come alcuni paesi asiatici o l'Egitto. Ebbene, questo studio ha definito i punti principali per definire il terzo settore: a) La non distribuzione dei profitti; b) La capacità di auto-organizzarsi, qui nd i la non dipendenza dalla pubblica amministrazione; c) Un minimo di formalizzazione, quindi uno statuto; d) Il coinvolgimento di volontari, che però non rappresentano più la caratteristica principale. Solo adesso, infatti, ci stiamo abituando a considerare il volontariato solo come uno fra i soggetti che operano nel terzo settore e neanche il più importante. Ma se usassimo i criteri definiti dalla ricerca, dovremmo mettere tra le associazioni no profit anche la "Bocconi" di Milano o l'Università di Urbino che sono strutture private senza fini di lucro! Quali sono le origini del no profit ? Dove nasce, come si sviluppa? Si afferma maggiormente in quei paesi con minore presenza dello Stato? Sì, forse questo è vero per la storia recente, ma se vogliamo risalire alle origini del no profit dobbiamo andare all'800, quando lo stato sociale non esisteva. Il welfare state, così come lo chiamiamo oggi, nasce negli anni '40. In una situazione come quella la società si era auto-organizzata per difendersi dai problemi sociali. La stessa Italia che oggi sembra più indietro rispetto alle politiche sociali se confrontata con gli altri paesi occidentali, allora aveva una miriade di Società di mutuo soccorso che erano dei veri e propri sistemi di welfare locali. In cambio Abbonamento ordinario a 10 numeri di UNA CITTA ': 40000 lire. Abbonamento sostenitore: 100.000 lire. Abbonamento estero: 60000 lire. Cc. postale n.12405478 intestato a Coop. Una Città a r.l., p.za Dante 21, 47100 Forlì. Oppure tramite bonifico bancario sul Cc. n. 24845/13 intestato alla Coop. Una Città a r.l. presso la Cassa dei Risparmi di Forlì, Sede centrale, codice ABI 601 O, codice CAB 13200. Una copia: 5000 lire. A richiesta copie saggio. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì - Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421. UNA CITTA' è nelle librerie Feltrinelli. . - • • w - 4 UNA CITTA' dell'iscrizione si avevano delle prestazioni di soccorso: in caso di malattia si veniva aiutati, in caso d 'infortunio mortale sul lavoro la vedova veniva assistita, stessa cosa in caso d'invalidità. Accanto alle Società di mutuo soccorso agiva la Chiesa con le Opere Pie. Erano questi i due pilastri su cui poggiava il sistema sociale. Finché in Italia, alla fine del XIX secolo, non si giunse all'assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro e ad altre importanti innovazioni del periodo giolittiano. Fino a quel momento lo Stato era inesistente. L'unica assistenza veniva dalle organizzazioni di base. Situazione analoga in Inghilterra dove c'erano le friendly societies, idem in Germania. il fascismo attaccò il mutualismo Quindi, il terzo settore viene prima della nascita dello stato sociale. Diciamo che il welfare state si è formato quando ci si è resi conto che quel tipo di assistenza sociale da sola non poteva farcela. e, cosa interessante, questo non è accaduto per una spinta dal basso. Infatti, non sono state le masse contadine e operaie a richiedere la riChe differenza c'è tra la solidarietà sviluppata storicamente dal movimento sindacale, cooperativo e mutualistico e la solidarietà delle organizzazioni del volontariato? A quel tempo c'era un coinvolgimento capillare della società. La borghesia, lo Stato venivano visti come nemici di classe e di conseguenza la mutualità era vista come una forma di autodifesa sociale, come momento di collettivizzazione e di politicizzazione: si discuteva delle proprie condizioni, della situazione di fabbrica, tanto è vero che, come è noto, il fascismo sciolse queste organizzazioni. Ricordo che alla fine dell'Ottocento si accese un forte dibattito tra massimalisti eri formisti avente come oggetto il riconoscimento di questi organismi da parte dello Stato liberale. Mentre i riformisti lo vedevano come momento importante di crescita democratica, i massimalisti temevano che lo Stato avrebbe potuto controllare in qualche modo le organizzazioni, schedandone i soci. Quindi, il mutualismo aveva una forte connotazione di classe e coinvolgeva operai, contadini, artigiaCome nasce e che caratteristiche ha il terzo settore in Italia, un paese in cui è forte il sistema clientelare e c'è anche una radicata tradizione familistica? Prima mi ch4edevi se il volontariato si è sviluppato maggiormente nei paesi dove è meno forte la presenza dello Stato. In effetti, questo è vero se si pensa agli Stati Uniti, dove non c'è un servizio sanitario nazionale e la sanità è un lusso: chi può paga, chi non ha soldi rimane scoperto. Indubbiamente, gli Usa sono il prototipo di una stato sociale poco sviluppato e non è un caso che lì ci sia stato un forte sviluppo del terzo settore. Questa correlazione c'è senza dubbio, però direi che funziona solo per gli USA, perché se guardiamo all'Europa la situazione è diversa: in Germania c'è molto più terzo settore che in Francia, ma i tedeschi hanno una tradizione di stato sociale molto forte, che si è sposata con un solido sistema di corporazioni professionali. Quindi, la correlazione può funzionare e può non funzionare, non è così vera. Invece, è valida per la Scandinavia dove la forte tradizione di welfare state ha lasciato poco spazio al volontariato. Per quanto riguarda l'Italia, il terzo settore è composto da quelle PROGETTI DI ST Operatori di strada fra le prostitute, mediatori culturali per extracomunitari, gruppi di quartiere per ragazzi disagiati che evadono la scuola per troppo benessere, campi nomadi. Il tentativo di una giunta di dare priorità al sociale. Intervista a Gianfranco Bettin. Gianfranco Bettin, scrittore, è assessore alle politiche sociali del Comune di Venezia e pro-sindaco di Mestre. · Ci puoi parlare del tuo lavoro e dei risultati che hai ottenuto? La cosa immediatamente verificabile, che conosco meglio di altri perché è uno dei settori di cui mi occupo, è la priorità data alla spesa sociale. Noi abbiamo quasi raddoppiato la spesa per gli interventi sociali in questi due anni: ammontava a circa 30 miliardi, o poco più, di previsione per il '94, quando ci siamo insediati alla fine del '93; adesso ammonta ad oltre 60 miliardi, ossia più del 10% del nostro bilancio, rispetto a una media nazionale che è del 6-8%. Questo ci ha permesso di avviare una serie di interventi in settori finora completamente scoperti: siamo tra i pochissimi comuni che hanno attrezzato due grandi campi di accoglienza per nomadi e sfollati dalla ex-Jugoslavia e abbiamo avviato un'azione con le prostitute, non limitato alla sola prevenzione del1'Aids, utilizzando operatori di strada. In pratica. ci sono operatori che vanno in strada. insieme a mediatori culturali di madrelingua e a prostitute o ex-prostitute che collaborano con noi, sotto la supervisione del gruppo di Carla Corso, del gruppo Abele di don Ciotti e di un gruppo che lavora per conto della Comunità Europea, coordinato da una sociologa veneziana che vive da anni ad Amsterdam. Questo progetto ci consente di aprire vie d'accesso ai servizi, favorisce un controllo igienico-sanitario e soprattutto orienta i comportamenti; e questo è fondamentale, perché se lasci che le prostitute si insedino di fronte alle case farai scoppiare il conflitto: insomma, le ronde, icomitati anti-prostitute, ecc. Se invece hai un rapporto credibile di dialogo, puoi anche discutere con loro affinché si spostino dove non diano fastidio né siano disturbate. Questo è un lavoro abbastanza delicato. Spesso ci scontriamo con i loro sfruttatori, perché cerchiamo di offrire vie d'uscita a quelle che vogliono smettere, e lo facciamo di concerto con la polizia, perché le ragazze che hanno smesso, -alcune non erano d'accordo o erano in mano al "fidanzato" - stavano dentro un racket. Sono loro, in particolare, che hanno dato un buon contributo allo smantellamento di diverse reti di sfruttamento, per cui nel periodo più caldo sono sorvegliate dalla polizia, mentre noi le aiutiamo fornendo loro servizi di sostegno. E' un lavoro ad ampio raggio che coinvolge ragazze del) 'Est Europa., albanesi, africane e brasiliane. Si tratta di prostituzione classica, mentre iI fenomeno dei viados è quasi sconosciuto. Avete fatto dei corsi per gli operatori di strada? Ci sono corsi speciali, triennali, istituiti dalla Regione. Alcune di queste cose sono il frutto di iniziative che alcuni di noi avevano avviato dall'opposizione come lavoro di base e volontariato negli anni '80, e che ora hanno dato vita al primo progetto sperimentale di operatori di strada, assunti facendo legittimare, in assenza di corsi professionali. l'esperienza pregressa. Sull'onda di questo, qualche anno fa sono stati attivati dei corsi, solo che, quasi ovunque, i comuni hanno uno o due operatori, più spesso sono le Usi ad averne assunti di più, ma non c'è nessun comune che abbia 20 operatori che lavorano sulla strada. Non è rischioso trasformare un impegno volontario in un impiego comunale? li rischio c'è. ovviamente, però è organizzazioni miste di assistenza che erano le lpab ( Istituti pubblici di assistenza e beneficenza) sorte con la legge Crispi del 1890, che erano a loro volta la trasformazione del le vecchie Opere Pie. Le Ipab hanno subìto molte vicissitudini ma sono rimaste. Noi non lo sappiamo, ma chiamiamo "ospedali" realtà che sono invece lpab: per esempio, il famoso Cottolengo, e tanti altri. Sono strutture miste perché ricevono finanziamenti da parte dello Stato pur essendo enti privati no profit, nel cui C.d.A., però, sono presenti gli enti locali. Sono un po' anomali, ma rispecchiano la nostra storia. Alcune sono legate al tradizionale mondo cattolico, altre portano avanti esperienze d'avanguardia. Poi ci sono tutte quelle associazioni sorte negli anni Cinquanta, quelle dei non vedenti, dei non udenti, dei portatori di handicap, che sono realtà importanti, gestiscono quote rilevanti di assistenza e tutelano i propri iscritti. Infine c'è tutto quel1 'associazionismo sorto negli anni Settanta e Ottanta, quello legato al ·p~oblenia della tossicodipendenza, dell'immigrazione, dell'ambiente. Insomma, il terzo settore italiano è assai variegato. le organ.izzazioni laiche sono ormai in maggioranza Se volessimo cogliere una tendenza possiamo dire che le organizzazioni di carattere religioso non sono più la maggioranza. Quelle laiche tendono a prevalere. Ma con il termine "laico" non voglio dire che i partecipanti non siano cattolici, solo che non si ispirano alla religiosità. Per quanto riguarda il volontariato, bisogna sfatare il luogo comune di una larga presenza femminile, perché al contrario è ormai massiccia la componente maschile; anche il grado d'istruzione, pur rimanendo elevato, si sta diversificando, così come le classi di età. Questo non vuol dire che ormai il volontariato sia ramificato in tutta la società, ma che indubbiamente certi stereotipi non sono più veri. Comunque, il ruolo della famianche vero che non puoi affidarti solo al volontariato: se vuoi giocarti in situazioni rischiose, difficili, devi giocarti come istituzione e questo implica la presenza di figure preparate. E le figure preparate le hai quando le professionalizzi e quando crei un buon clima di lavoro offrendo dei consulenti, dei supervisori del loro lavoro, dei corsi di aggiornamento, insomma devi creare le condizioni o gli strumenti che li mettano in grado di reggere quel tipo di stress. Noi abbiamo educatori che lavorano con i ragazzi a rischio, con i tossicodipendenti, con le prostitute, con gli immigrati - che qua sono in gran parte disoccupati, perché questa è una delle zone del Veneto in cui non c'è la piena occupazione, anzi c'è disoccupazione. Qui abbiamo tanti nomadi e sfollati dall'ex-Jugoslavia di origine rom. Anche in questi campi ci sono nostri educatori. Poi abbiamo educatori che lavorano in quartieri a rischio, secondo una metodologia d'intervento, chiamata "animazione di comunità", tesa a costruire la partecipazione degli abitanti, creando delle reti, anche informali, che attivino le risorse del quartiere. Infine, abbiamo una rete di educatori che lavorano nei centri per l'età evolutiva, una ventina in tutta la città; questi sono dei luoghi, spesso ubicati nelle scuole, in cui, al di fuori dell'orario scolastico, operatori, psicologi, animatori affiancano le attività educative tradizionali, incrociando il lavoro degli insegnanti e l'esperienza dei genitori, con momenti sia ludici che formativi. Si va cioè dalla conferenza sui problemi dell'essere genitori ai problemi dei bambini, dall'alimentazione ali 'età evolutiva, dalle precoci turbe psicologiche fino alle feste, al gioco usato in chiave educativa. Si tratta di servizi molto innovativi nel loro genere: ognuno di questi è studiato da altri comuni; in qualche caso i progetti sono partiti con le precedenti amministra-

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