Una città - anno VI - n. 47 - gen.-feb. 1996

soldi-, sia dalla capacità di esprimere, senza vergogna, la propria sensibilità ed emotività. Ciò la porta ad avvicinarsi alle personee a capirle, aprescindere dalle barriere culturali. E quindi le donne. più degli uomini, tentano la mediazione fra le due "appartenenze·•. L'omologazione pura e semplice al modello dominante, così come la chiusura, è più frequente da parte maschile. Dire: "Voglio vivere qui con il modello del mio paese". è molto più frequente nei maschi. Spesso si creano un'appartenenza culturalecaricaturale, caratterizzata da comportamenti e atteggiamenti in realtà poco significativi nel paese d'origine. E' strano che poi siano le donne ad essere·accusate di essere più conservatrici. Ad esempio, non appena hanno un pezzo di stoffa più lungo della media del paese d'immigrazione, oppure un fazzoletto invece del cappello sulla testa, vengono scambiate per delle persone arretrate. Ciò è assolutamente falso: setu vai a PiazzaCordusio dove ci sono le Poste Centrali. trovi trenta, quaranta donne somale, tutte con lo hidjab. Stanno là, fanno affari, telefonano giù, danno informazioni, si trovano lavoro a vicenda: sono non solo pratiche. ma molto imprenditoriali. E pertanto questa figura della donna tradizionalista. etichettata esclusivamente per il vestiario è, a mio parere, molto sbagliata. gli uomini non vanno allo stadio, le donne alle feste sì Anche nel campo dell'intimità fra i sessi le donne dimostrano maggiore nessibilità. Intanto, le donne danno piì:1importanza al rapporto affettivo. ne discutono molto di più: vogliono un rapporto di coppia affrancato dalla famiglia allargata. oi donne immigrate percepiamo qui in Europa un rapporto fra sessi molto tecnico-strumentale: un uomo e una donna '•fanno del sesso". Parlando con gli uomini immigrati ho notato che aderiscono a questa percezione e anche alla stessa terminologia: "Ah, vado in discoteca, cucco, scopo". Parlando con le donne. e non perché le donne siano più eleganti quando raccontano queste cose, senti che cercano una condizione più paritetica nel rapporto di coppia, e questa è l'acquisizione di un valore di cui l'Occidente è portatore. Le donne single non solo non parlano di "scopare". o di "fare del sesso•·.ma anche nei rapporti casuali cercano i I rapporto d·amore, anche con l'italiano. Mi raccontano quanto tempo fanno aspettare un uomo, le loro modalità di seduzione, i percorsi che fanno per individuare l'eventuale partner giusto, e anche le difficoltà che incontrano con quel provincialismo italiano che spinge i maschi ad approcciarsi per esotismo, per fare l'esperienza o per ricerca di emozioni. Allora, in questagrande varietà di comportamenti, tu vedi che non c'è né omologazione né rifiuto. Paradossalmente è il marito italiano che può creare problemi gravi perché l'immagine stereotipata che aveva della donna araba, o africana. o nera, non corrisponde alla realtà del quotidiano. Mi raccontano: '·Ho dei problemi con mio marito italiano, perché dice che non sono completamente araba, perché voglio avere la patente'·. O ancora la moglie brasiliana chedice: "Mio marito mi ha sposataperché dovevo essereuna bomba nel sesso•·. La donna riesce agestire meglio il passaggio, travagliato e faticoso, dalla concezione della famiglia come piccolo nucleo di una famiglia più grande, costituita da tutta quella rete parentale del paesedi origine, a un rapporto di coppia più simile al lacoppia cosiddetta occidentale, che è più autonoma, più emancipata dal gruppo di appartenenza. ma anche. a volte, più isolata, perché la sua socialità non è garantita. Anche lì la ricerca, la mediazione, è un travaglio, perché va inventata tutti i giorni. Le donne vanno a scuola, si incontrano, fanno gruppi. mentre gli uomini si vedono meno. Per esempio non vanno allo stadio, che pure rappresenta un forte richiamo per i nostri. Le donne invece vanno alle feste con grande facilità. So di moltissime donne single, anche tradizionaliste, che vanno alle feste di paesee si divertono. Nei tram il sabato sera se ne vedono tantissime, molte sono sposate e anche questa è una mediazione: ·'Ho la mia identità. faccio da mangiare. non mangio certe cose, prego: però, quando posso mi diverto anche senza soldi''. So che il mio discorso può sembrare sciovinista. ma, come ho già ho detto riguardo alla donna algerina, quando è in questione il tuo diritto alla vita, fai qualsiasi cosa per difenderlo, metti in campo tutta la tua creatività, tutte le tue risorse. Ora, non c'è dubbio che per le donne immigrate, in questo paese, tutto è molto difficile. Per le donne non c'è niente, assolutamente niente. Tranne qualche comune del Centro Italia, nessunaamministrazione ha preso iniziative serie a favore delle donne immigrate. Le donne le si chiama quando bisogna fare un convegno, basta.Per i I resto si parla di immigrato, di marocchino, del venditore ambulante, ma non si parla mai di donne se non sono prostitute o vittime. Nulla è facile per una donna immigrata. Allora, una le cerca tutte, le inventa tutte per farcela. Un proverbio arabo dice: ''li bisogno è la fonte della creatività". Fra omologazione e chiusura in identità di origine, spesso reinventate, qual è il modo più giusto per un immigrato per inserirsi nella società d'accoglienza? Parto dal presupposto che in democrazia ognuno è libero di avere la fede che vuole. L'importante èche non costruisca un ghetto, non ne faccia una bandiera e non creda di detenere la verità. Oggi purtroppo non c'è dialogo, ognuno cerca di tirare la coperta dalla sua parte. Addirittura il ghetto uno se lo inventa proprio per chiudercisi dentro. il gas algerino va bene, gli algerini, per carità, no In un contesto di mondializzazione che si diffonde sempre più, crescono i problemi identitari, il bisogno del proprio orticello. Quando a livello economico-finanziario non esistono più frontiere. a livello umano e culturale si rialzano muri e barriere. Ad esempio l'Italia compra il gas dall'Algeria, manda le sue aziende da noi per fare ricerche petrolifere e investimenti, però gli algerini. per carità, meglio tenerli fuori. I Per rispondere alla tua domanda, in questo contesto. il problema dell'omologazione al modellodellasocietàd'accoglienzacrea problemi anche seognuno di noi. in immigrazione, subisce una variazione del la propria identità. lo non sono uguale a quella cheero cinque anni fa. perché ho conosciuto nuove cose, mi sono sbarazzatadi atteggiamenti, di comportamenti che là mi davano fastidio, così come non ho aderito ad atteggiamenti che non voglio siano i miei. E' un processo difficile: chi ha gli strumenti idonei e la consapevolezza può aderire a un comportamento culturale, economico, a un modello di consumo e può anche dire: qua mi fermo. Per chi non ha gli strumenti è molto più semplice fare come tutti, perché segna l'appartenenza e rassicura. Chi come noi ha viaggiato, ma non vuole nemmeno smettere di appartenere alla sua società di origine, deve cercare la mediazione fra chi era e chi è. Deve trovare continuamente la via di mezzo. - Cari amici, sono ammalata da diversi giorni e vi sto scrivendo dal letto. Ho l'influenza con la febbre alta ed un terribile mal di testa, come molti qui a Sarajevo. C'è un'epidemia e quasi in ogni casa qualcuno è ammalato. Se non si rimane a letto si rischiano brutte conseguenze. E' venuto il dottore e mi ha lasciato alcune medicine, ma mi sento ancora molto debole. In questi giorni non ho potuto fare niente di utile. Potevo solo sognare, così ho scelto una parte dell'Italia ed ho cominciato a viaggiare e ad immaginare tutte le bellezze del vostro paese, anche di Forlì. In tutti questi sogni ho cercato di dimenticare chesono ancoraqui aSarajevo, che sono senza acqua e gas in casa e che ho problemi con l'elettricità. Ma tutta l'atmosfera a Sarajevo ora è come di pace. Tutti stiamo aspettando i risultati degli accordi di Dayton. Eravamo nervosi ed avevamo paura che qualcosa non andasse per il verso giusto... ma alla fine hanno firmato. Quando ho riferitoqueste notizie al mio piccolo Faris, lui ha scosso la testa dicendo: "Sono solo chiacchiere, quando non vedrò più soldati stranieri o Unprofor, allora crederò che c'è la pace". Forse ha ragione, ma noi desideriamo così tanto la pace che ora ci crediamo, anche se talvolta, in fondo, ragionando, abbiamo paura. Adesso in città ci sono automezzi verdi al posto dei bianchi: spero che il colore non sia l'unica novità, ma che finalmente la popolazione civile sia protetta. Sono convinta che la maggior parte della gente, a Sarajevo, la pensi come me. Esono contenta che fra le forze presenti qui ci siano anche gli italiani. Purtroppo, continuano a succedere incidenti, come quando da Grbavica hanno sparato su un nostro tram. E' rimasta gravemente colpita una ragazza, che forse rimarrà cieca. Così continuiamo la nostra roulette russo-sarajevese, ma fortunatamente non tutti i giorni. Ho paura per mia sorella e mio padre, chedevono servirsi del tram. E' molto difficile spiegare a chiunque non viva a Sarajevo cosa significhi stare qui e quanto sia ancora pericoloso. Solo ilcarattere estremamente forte di questa gente tiene tutti in piedi. Bastano un giorno di sole e la sensazione di pace a portare tutti per strada. Questa è la prima volta, dopo 4 anni, che si possono notare, seppure modesti, i segni del Natale per le strade: il primo Natale in pace. Piccole bancarelle per strada con oggetti natalizi, vetrine decorate, alberi di Natale. C'è stato un meraviglioso concerto di Natale nella Cattedrale. Di solito anch'io cantavo in questi concerti, ma quest'anno sono dovuta rimanere a letto. Fortunatamente ho l'elettricità, così posso vedere in Tv i miei amici che cantano. Ripeto: è il primo concerto in pace. Se ripenso agli ultimi quattro anni, ricordo anche quanta paura avevamo dei bombardamenti, e non solo per noi, ma anche per le persone che venivano ad ascoltarci. Neanche la messa di mezzanotte era come doveva essere. Ma quest'anno non ci sarà il coprifuoco, la gente potrà uscire liberamente. E' un miracolo anche che tanta gente dall'estero venga a trascorrere le vacanze di Natale a Sarajevo. E' un'avventura un po' strana per i miei gusti, ma forse le persone che abitualmente vivono troppo bene e troppo comodamente a volte hanno bisogno di qualcosa di nuovo, di eccitante e di insolito. I miei amici che cantano con me nel coro sono andati a Roma dove canteranno in concerto. lettera da Sarajevo bre. Quel giorno c'è stata una piccola cerimonia di inaugurazione. Il segretario dell'ambasciata italiana a Sarajevo, insieme al sindaco di Sarajevo, al sindaco della città vecchia e a molti ospiti di riguardo hanno aperto le due nuove sorgenti. Grazie a questo regalo della gente e del governo italiano che ha stanziato i soldi 2000 cittadini avranno l'acqua. Il giorno della cerimonia era un bel mattino di sole, ma subito prima una forte nevicata aveva creato molti problemi agli abitanti della città vecchia. Le case che durante questi ultimi tre anni e mezzo sono state distrutte o danneggiate dalle granate ora sono di nuovo in pericolo. La neve pesa sui tetti e su tutte le parti in legno delle case. In particolare la situazione è pericolosa per la Porta della città vecchia che fu costruita durante la dominazione turca, 500 anni fa, e che necessita di urgenti restauri. Gli abitanti di Sarajevo durante tutta la guerra hanno tentato di salvare il patrimonio culturale e storico della città, poiché questa parte della nostra storia e della nostra tradizione è per noi altrettanto importante del cibo o della salvezza della nostra vita. Una cosa che ha sorpreso quanti sono stati a Sarajevo in questi anni di guerra è che durante tutto questo tempo si sono tenute mostre d'arte, concerti, persino sfilate di moda, le scuole e le università hanno funzionato. Tutto ciò è stata l'unica luce per noi in mezzo a quello che dovevamo patire. Tutti hanno cercato di riparare le proprie case o gli appartamenti, dopo i bombardamenti, anche quando era molto duro, perchè ci mancavano molti dei materiali necessari. Al primo posto i vetri per le finestre, il legno, il cemento, i mattoni e le tegole. Molte case hanno ancora grandi buchi nei muri, come enormi ferite. A volte vengo presa dallo sgomento, come quando mi è capitato di vedere nella città vecchia un'antica casa bosniaca con i muri interamente crollati sulla strada per il peso della neve. Con una sensazione istintiva di paura sono tornata a casa. Non sapevo cosa avrei trovato, infatti anche la mia casa è molto vecchia, circa 300 anni, una tradizionale costruzione di legno coi muri fatti di mattoni non cotti, un materiale molto usato durante il periodo turco -infatti la prima fabbrica di mattoni a Sarajevo fu costruita dagli austriaci. Quando sono rientrata i muri di casa erano al loro posto, ma era crollato il muro che divide il mio giardino da quello dei vicini, così dovrò subito chiamare qualcuno per ripararlo. Questa volta mi è andata bene, staremo a vedere cosa succederà da qui alla fine dell'inverno. Ma non tutto si riduce a una scommessa per riuscire a salvarsi la vita fra mille preoccupazioni. Non riesco nemmeno ad immaginare quale esperienza meravigliosa sarà il Natale a Roma. Potevo andare anch'io, ma ho rifiutato. Direte che sono matta, ma non volevo essere così lontana dalla mia famiglia in questi giorni. Nessuno riesce ad immaginare come sono stata triste durante questi 4 anni quando eravamo separati nella stessa città, per il pericolo delle bombe, o per l'impossibilità di muoversi da una parte all'altra. Mi ricorderò sempre l'anno scorso, quando mia madre mi disse al telefono che a mio padre sarebbe tanto piaciuto avere alcuni semplici dolcetti della tradizione dalmata, che mia nonna gli preparava quando era ragazzo. Inquel periodo eravamo senza gas e senza energia elettrica, così mia madre non potè preparare niente. lo avevo la ricetta e anche gli ingredienti, compreso un po' di legna per il fuoco, così li feci, ma non potei portarli a mio padre per esaudire questo suo desiderio così modesto. Ho potuto solo mettermi seduta a piangere. Quest'anno sarà tutto diverso. Non abbiamo ancora denaro per farci regali costosi, ma possiamo stare insieme. Mia sorella ha decorato insieme a Faris l'albero di Natale. Ma non tutti i bambini sono felici in questo Natale. Proprio due settimane fa èmorto per un cancro il mio amico dentista Ibrahim. In quella casa nessuno potrà pensare a regali o vacanze. Un'altra morte avvenuta due giorni fa mi rattrista: in un orribile incidente di macchina a Zagabria è morto Ljubo Lucic, professore di teologia cattolica a Sarajevo. Era una persona speciale, educato, pieno di spirito, aperto a tutti, bravo ecoraggioso, stimato da chiunque lo conoscesse. Era sopravvissuto alle granate e a tutte le sofferenze e quando tutti aspettavamo la pace, è venuto a manTalvolta mi succedono anche cose belle ed inaspettate, come quella che mi è capitata il 16 dicembre. Quel giorno l'ambasciatore inglese a Sarajevo mi aveva invitato ad una cena in onore dell'arcivescovo di Canterbury. Dovevo sedere alla destra dell'arcivescovo, per parlare con lui e rispondere alle sue domande sulla nostra vita a Sarajevo. Per me è stata un'esperienza straordinaria, oltre che un onore ed un piacere. Quando stavamo parlando non sapevo che lui aveva portato per me dal North England un meraviglioso pacco natalizio inviato a me e Faris da una famiglia di Wigan che io non conosco (siamo amici di penna). Loro avevano chiesto all'arcivescovo di Canterbury il favore di consegnarmi il pacco. E lui era stato così gentile da portarlo con sè in quella occasione, ma non pensava certo di incontrarmi personalmente! Questo dimostra che l'amic;iziae la comprensione fra le persone sono senza confini. Non importano la religione, la tradizione o la cultura a cui apparteniamo. Faris è stato felicissimo per questi regali preparati con tanto amore e col desiderio di regalare un bel Natale ad un bimbo in Bosnia. Questo dimostra anche che se qualcuno vuole veramente fare qualcosa di bello e generoso trova sicuramente il modo di realizzarlo, anche se lì per lì sembra impossibile. Due giorni dopo questa piacevole cena è stato organizzato un bel concerto di musica inglese. L'orchestra filarmonica di Sarajevo diretta da Teodor Romanic ha suonato musiche di Purcell, Boyce, Elgar, Williams, Jacob e Britten. E' stato un evento meraviglioso, soprattutto se si pensa che la nostra orchestra è stata il simbolo della resistenza del mondo della cultura bosniaca durante i tre anni di assedio. Sette componenti dell'orchestra sono stati uccisi, dodici feriti, molti strumenti distrutti e l'archivio degli spartiti danneggiato. Anche in queste condizioni l'orchestra ha continuato a suonare. Le prove si facevano nelle cantine dei palazzi e gli spettacoli nei posti più svariati. Era un messaggio di speranza ed un simbolo di normalità della vita quotidiana per la gente di Sarajevo. Ricorderò sempre i concerti durante la guerra. La musica aveva il potere di farmi dimenticare che fuori c'erano morte e distruzione: quei momenti, per me e per altri, erano momenti di pace! La musica ci ha salvato l'anima. Ma ricordo anche una volta che ero andata ad un concerto con Faris. Era il 1993: a metà strada ho sentito una grande esplosione, non ero lontana dal teatro e vedevo la gente correre in tutte le direzioni. Le strade in quel momento erano vuote. Arrivata al teatro, vidi che una granata l'aveva colpito in pieno. Fortunatamente nessuno si trovava lì, però il concerto fu annullato. Spero di non ripetere più un'esperienza simile. In questo momento a Sarajevo c'è la pace, la gente lavora, i bambini vanno a scuola, il traffico è normale. Lasciateci sperare che nel 1996 si ritorni alla vita normale e alla pace, qui in Bosnia. care. Aveva 64 anni. Quest'anno il tempo a Sarajevo ci sta prendendo in giro. La primavera e l'estate sono state molto piovose, i giorni caldi sono stati pochi. Poi è cominciato a nevicare molto presto. Questa neve intralcia tutti i lavori di ingegneria civile, ma il freddo non ha rallentato i lavori nella città vecchia di Sarajevo per la ricostruzione della rete di distrbuzione idrica. Gli operai hanno lavorato ogni giorno, compreso il sabato e la domenica, per finire prima del 20 dicem- Kanita Fociak UNA CITTA' 7

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