Mensile di informazione culturale Sellembre 1980 Anno 2 Lire 1.500 Lec/1 Walesa Spedizione in abbonamento postale gruppo 111/70 Printed in ltaly GLENGRANT il puro whisky dipuromaltodurzo. G. Nocera: Cantare la voce* M. Messori: I pasticci di Marx * G. J. Giannoli: Stratagemmi e decreti P. Birnbaum: Marx in America * A. Porta: Uomini volanti (III) * P. Crovetto: Una rosa dei venti G. Dorfles: Heroic Fantasl' * F. La Sala: Le due metà del c~rveOo * R. Thom: Il razionale e l'intelligibile G. Giorello: Teoria delle catastrofi * C. Pogliano: L'irragionevole efficacia della matematica C. Formenti: La pelle della macchina * P. A. Rovatti: La pista della differenza G. Procacci: Un colloquio oltre Marx* B. Marzullo: Arte e scienza* P. Valesio: Circensi, Circensi Poesie di C. Ortesta * Giornale dei Giornali: Diario di un anno incompreso Foto di G. Giovannetti * Lettere
l!gapresa di promozione culturale I grandi interpreti della musica contemporanea Giorgio Battistelli Percussioni Programma A Autori Italiani (Per un percussionista) Musiche di: Bussotti. Gaudiomonte. Chiari. Castaldi. Battistelli. Marchetti. Maderna. Programma B Autori Americani (Per un percussionista) Musiche di: Wolff. Cage. Feldman. Brown Giancarlo Cardini Pianoforre Programma A GiancarloCardinisuona Erik Satie Programma B Aria dei nostri tempi Musiche di: Feldman. Bussotti. Clementi. Cioci. Cardini. Castaldi, Skempton. Programma C S11una stradadissennata Musiche di: J. Cage e E. Satie Giusto Pio Violino Programma A Motore Immobile Musiche di Giusto Pio (Per voce. due organi e violino) Programma B Ananta Musiche di Giusto Pio (Per pianoforte e organo) Giancarlo Schiaft"mi Trombone Programma A La scuola nordamericana (Per trombone solo) Musiche di: Wolff. Druckman. Rzewski. Cage. Curran. Smith. Laneri Programma B A11toriEuropei (.Per trombone solo) Musiche di: Du Bois. Bon. Cardew. Amman. Schiaffini. de Jong. Heider Villa-Rojo. Programma C Improvvisazione (Per trombone solo) Musiche di Schiaffini Frances Marie Uitti Violoncello Programma A Trilogia Musiche di Giacinto Scelsi (Per violoncello solo) Programma B The America11School (Per violoncello solo) Musiche di: Brown. Feldman. Cage. Wolff. Smith. Curran. Programma C Oaxano (Per violoncello. due archetti. voce. gesti) Musiche di Frances Marie Uitti Petr Koti.k S.E.M. Ensemble Many Many Wome11 (Per sei voci. due flauti. due clarinetti e due tromboni) Performance di 173 sezione e 381 pagine di musica. la durata della partitura è determinata dalla breve e omonima storia scritta da Gertrud Stein nel 1910 Lo spe11acolo è disponibilein Italia dal 23 al 30 se11embre Magazzini Criminali/Franco Bolelli Musicheper ambie11ti progetti sonori per film. supermercati. sfilate di moda. spazii e situazioni metropolitane Per informazioni rivolgersia: Intrapresa Via Goffredo Sigieri. 6 20135 Milano . Telefoni (02) 54l254e541692 Telex 311509/SITAM In copertina, Lech Walesa con busto di Lenin. Qui sollo, Lech Walesa e papa Wojtyla. Nessuno si preoccupi: non vogliamo a/fallo contribuire alla creazione di un mito, ali' esaltazione del Nuovo Eroe Polacco. Più semplice, si tratta di questo: considerando Walesa come una delle immagini simboliche dei recenti avvenimenti di Danzica, le due foto non fanno altro che esprimere una polarità di accostamenti. Riflettono, insomma, i due modi con cui gli scioperi polacchi sono stati descrilli. Lenin e il papa: polarità assai significative, dunque, perché descrivono 11011 tanto una situazione reale, uno stato esistente di contraddizioLech Walesa Sommario Gigliola Nocera Cantare la voce (Sixty-Two Mesòstics Re Merce Cunningham, di John Cage; The Castrati in Opera, di Angus Heriot; Metrodora - Dal piano preparato alla voce preparata - Cantare la voce - O Tzitzeras o Mitzeras - Diplofonie e altro, di Demetrio Stratos) pagina 3 Marcello Messori I pasticci di Marx (C'era una volta la teoria economica, di Augusto Graziani; li posto di Sraffa, di Giorgio Lunghini; Cos'è allora il capitale, di Fernando Via11ello) pagina 4 Giovanni Jorio Giannoli Stratagemmi e decreti ( li valore come asirazione del lavoro, di Gianfranco La Crassa; La teoria del valore e l'altro, di C. Cafaro e M. Messori; Cera 1111vaolta la teoria economica, cli Augusto Graziani) pagina 5 Antonio Porta Uomini volanti lii pagina 7 Piero Crovetto Una rosa dei venti pagina 8 Gillo Dorlfes Heroic Fantasy (li mago di Earthsea, cli Ursula Le Cuin; E/rie di Me/11ibo11éd, i Michael Moorcock; Marune, di Jack Vance; La Immagini daDanzica di Giovanni Giovannetti ne, quanto piuuosto le due estremità entro le quali i commenti della stampa italiana, e occidentale in genere, hanno oscillato nel tentativo di interpretare gli eventi, di dare loro un senso in qualche modo utile ad altre posizioni ideologiche. Le immagini di Giovanni Giovannetti che qui presentiamo sono invece qua/cos'altro. Esse sono frammenti di un ampio servizio fotografico realizzato nei giorni di Danzica. Noi le presentiamo per quello che sono, cioè una documentazione - certo: partecipa - che però va al di là di ogni discorso critico e interpretativo dei faui a cui si riferiscono. Ma questo è un merito non fiaba italiana di magia, di Cecilia Gatto- Trocchi; The Second Ring of Power - Tales of Power, Journey 10 lxtlan-A Separate Reality - The Teaching of Don Juan, di Carlos Castaneda) pagina 9 Federico La Sala Le due metà del cervello ( li linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica, di Paul Watzlawick) pagina 11 René Thom Il razionale e l'intelligibile pagina 12 Giulio Giorello Teoria delle catastrofi (Eraclito, a cura di Dario Del Corno; Stabilità strutturale e morfogenesi, di René Thom; Structure et dynamique des sistèmes, di Autori Vari; Semiotica della pillura, a cura di Omar Calabrese) pagina 13 Claudio Pogliano L'irragionevole efficacia della matematica (The Unreasonable Effectiveness of Mathematics, di R. W. Hamming; Stabilità strutturale e morfogenesi, di René Thom; Science as a Cultura/ System: an Anthropologica/ Approch, di Yehuda Elkana; Scie11zae filosofia nella cultura positivistica, Istituto Banfì di Reggio Emilia) pagina 15 Carlo Formenti La pelle della macchina (Seminario su « l11forma1icae società»; lo, robot, di lsaac Asimov; Lineamenti fo11dame111alidella critica de/l'economia politica, cliKart Marx; Fabbricami cliuniversi, di P. 1. Farmer; 200 I Odissea nello spazio, di Stanley Kubrik; Star treck, di R. Wise) pagina 16 Benedetto Marzullo Arte e scienza pagina 18 Paolo Valesio Circensi, Circensi pagina 20 piccolo. Noi stessi, anzi, abbiamo scelto questo mezzo per colmare un palese vuoto di materiale visivo si. di essi. Stampa e televisione, nel fiume di articoli, saggi, commenti sul tema, non sono riusciti o 11011 si sono l'reoccupali troppo di mostrarci immcgini fresche sui referenti conc,eti di tanto discutere. Talora, addirittura, si è fatto ricorso alle immagini di repertorio, usando/e magari in modo comunicativamente perverso. li merito di Giovt,nnetti è dunque proprio ques,o: restituire ali' attualità la freschezza dell'attualità, offrire un racconto visivo «dentro» la realtà degli eventi. Giornale dei Giornali Diario di un anno incompreso A cura di lndex-Archivio Critico del- /' Informazione pagina 22 Finestre Pierre Birnbaum Marx in America pagina 7 Pier Aldo Rovatti La pista della differenza pagina 17 Giovanna Procacci Un colloquio oltre Marx pagina 18 Poesie Cosimo Onesta pagina 20 Le lettere pagina 21 Le foto Giovanni Giovannetti alfabeta mensile di informazione culturale Comitato di direzione Nanni Balestrini. Maria Corti. Gino Di Maggio. Umberto Eco. Francesco Leonelli. Antonio Porta. Pier Aldo Rovatti. Gianni Sassi. Mario Spinella. Paolo Volponi !!!!'•Presa di promozione culturale Le contaminazioni della voce Giancarlo Cardini Cardini,Solfeggioparlanteper voce sola (1973) di Paolo Castaldi Corrado Costa Leda prova con il pavone Poesia Lineare Futura Poesia Sonora Antologia storico criticadellapoesia sonora Mimodeclamatori: Valeria Magli e Arrigo Lora Totino Juan Hidalgo e Walter Marchetti MesostinatosticsI e 2 di John Cage (Per due voci) Valeria Magli Milleuno Azione su testo poetico di Nanni Balestrini. voce Demetrio Stratos. danza Valeria Magli Arrigo Lor.aTotino ProgrammaA P.oesiaGinnica. Poesia Liquida Azioni verbo/mimiche Programma B Alt soirée. stop evening Poesia Ginnica. Poesia Liquida. Poesia Sonora Giuliano Zosi Ur Sonate di Kurt Schwitters Voce di Giuliano Zosi (Per voce sola) Produzione «Suono Giallo> Tutto il pianoforte di Erik Satie Giancarlo Cardini Programma A Giancarlo Cardini suona Erik Satie (Per pianoforte a due mani) Programmo. B Giancarlo Cardini suona l'opera completa per pianoforte a due mani di Erik Satie Durata quattro ore e mezza ca. Juan Hidalgo, Walter Marchetti Vexarions(1893?) di Erik Satie Pour se jouer 840 fois de suite ce motif. il sera bon de se préparer au préalable. et dans le plus grand silence. par des immobilités serieuses. (Per due pianoforti) Durata prevista diciannove ore ca. Adriano Bassi, Italo Lo Vetere Tutto il pianoforte a quattro mani di Erik Satie Omaggi a Erik Satie Juan Hidalgo, Walter Marchetti Mesostinarosrics I e 2 di John Cage Valeria Magli Indicationsde jeu di Nanni Balestrini Per informazioni rivolgersia: Intrapresa Via Goffredo Sigieri. 6 20135 Milano Telefoni (02) 541254e541692 Telex 311509/SITAM Direi/oreeditoria/e Gino Di Maggio Redazione Omar Calabrese (reda11orceapo) Vincenzo Bonazza. Maurizio Ferraris. t------------------1 Carlo Formenti. Bruno Trombetti (grafico) Art director Gianni Sassi Redazione,amministrazione Multhipla edizioni. 20137 Milano. Piazzale Martini. 3 Telefono (02) 592.684 Composizione GDB fotocomposizione via Commenda 41. Milano. Tel. 544.125 Tipografia S.A.G.E. S.p.A .. Via S. Acquisto 20037 Paderno Dugnano (Milano) Di~rribuzione Messaggerie Periodici Abbonamento annuo L. 15.000 estero L. 20.000 (posta ordinaria) L. 25.000 (posta aerea) Inviare l'importo a: Multhipla edizioni. Piazzale Martini 3. 20137 Milano. Conto corrente postale n. 59987206 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 281 del 1975. Responsabile G. Di Maggio I NUOVI TESTI FELTRINIEW ECONOlltc.A R. Luperini F. Leonetti R. Di Marco A. Macchioro E. F10rarn L Geymonat CRfflCA LENINISTA DEL PRESENTE
John Cage ixty-Two Mesostia Re Merce Cunningh.am Cramps, 1974 Angus Heriot Tbe Castrati in Opera ew York, Da Capo Press, 1975 pp.243, $2.95 Demetrio Stratos Metrodol'1l Cramps, 1976 Demetrio Stratos «Dal piano preparato alla voce preparata>, in Jobn Cage, Dopo di me il sileazio Milano, Emme edizioni, 1978 Demetrio Stratos Cantare la voce Cramps, 1978 Demetrio Stratos cO Tzitzcras o Mitzcras», in Fatan Cramps,1978 Demetrio Stratos cDiplofonie e altro», in D piccolo H.ans n. 24, Ott/Dic. 1979 '' Le corde vocali vibrano non per l'aria sospinta dai polmoni, ma per impulsi provenienti da centri cerebrali (R. Husson, 1951). La teoria neurocronassica di Husson, dopo molti esperimenti, non è 9tata del tutto accettata dalla fisiologia moderna; in realtà tutt'ora non si sa esattamente da dove venga la voce ...». Cito Demetrio Stratos che parla della voce, questo fenomeno in pane ancora sconosciuto, alla cui riscoperta e valorizzazione Stratos ha dedicato la propria attività di singolare musicista-fonologo. La voce. Cosa c'è dietro questa parola, e a che cosa essa viene ricollegata nelle sue accezioni più immediate? Al linguaggio parlato (con le sue infinite implicazioni), al canto, al «bel canto» (che è un'altra cosa ancora), e in ogni caso, in genere, ad un tipo di comunicazione umana facilmente decodificabile. ulla di tutto questo. però. interessava Demetrio Stratos, perché la lingua parlata. il canto, sono già il risultato di una codificazione. di una coagulazione forzata e restrittiva delle possibilità infinite e sconosciute della voce intesa come fenomeno vibratorio delle corde vocali. Antica davvero, questa violenta ed impositiva codificazione-castrazione della voce, ricordo amaro del momento in cui fu «donata» all'uomo la possibilità di trasformare il suo primordiale flatus vocis in parola. e distinguersi dagli animali. e trionfare. Antica davvero come la caduta di Babele, ultima torre di una libertà espressiva volutamente cancellata da una tirannica stigmatizzazione dei linguaggi. La voce studiata da Stratos è invece l'insieme delle potenzialità e degli effetti sonori che questo fenomeno vibratorio-fisiologico crea e scatena; è l'insieme delle perdute possibilità prebabiloniche di espressione e di comunicazione; è il recupero di una complessa vocalità pre-culturale, se per cultura intendiamo l'imposizione normativista di una classe dominante. Un ricupero attuato. però, ricostruendo a ritroso - con l'attenzione dello storico e la genialità dello scienziato - la mappa dei guasti e delle mutilazioni provocate alla voce dal processo di civilizzazione occidentale. Dice infatti Stratos: «L'ipertrofia vocale occidentale ha reso il cantante moderno pressoché insensibile ai diversi aspetti della vocalità. isolandolo nel recinto di determinate strutture linguistiche. È ancora molto difficile scuoterlo dal suo processo di mummificazione e trascinarlo fuori da consuetudini espressive privilegiate e istituzionalizzate dalla cultura delle classi dominanti». Inserendosi dunque in pieno nell'ormai diffusa polemica che addossa pesanti responsabilità alla cultura di classe occidentale, Stratos mette in luce l'assurda categorizzazione estetica dei suoni (anche quelli prodotti da strumenti musicali, oltre che dalla voce umana). Categorizzazione che, ancor oggi, sottolinea nettamente la distinzione tra suono ( egradevole all'orecchio») e rumore ( «sgradevole all'orecchio»); e che ha dato vita al codice armonico classico. Altri sistemi culturali, invece, essendo sfuggiti alle categorizzazioni Cantarleavoce razionalistiche che hanno incarcerato la voce tra le quattro mura di Soprano, Contralto, Tenore e Basso, han potuto conservare un ventaglio molto più ampio di espressività vocale, ed anche un vasto raggio di sperimentatività affidata di volta in volta all'esecutore. Basti pensare alla vocalità collegata alla musica africana, oppure-per citare l'ultimo campo di indagine di Stratos. rimasto purtroppo incompiuto - alle forme vocali del teatro coreano P'ansori, oppure a quelle tutt'ora semi-inesplorate degli indiani d' America. Il maggior vantaggio per questi sistemi culturali non occidentali - che, lungi da una facile interpretazione naturalistica, fanno invece capo ad un complesso codice vocale e strumentale - è costituito dall'essere sfuggiti al sistema temperato, a quella scala temperata su cui in fondo vengono costruiti tutti gli strumenti; e quindi anche la voce dei cantanti. Capace di pensare e di muoversi soltanto entro una scacchiera fissa di toni e semitoni, il «cantante ben temperato», evidente nemico di Stratos, racchiude con gioia e soddisfazione le proprie emissioni vocali entro gli angusti limiti di un pentagramma (o parte di esso); e abbandona. anzi percepisce come negativo, qualsiasi sperimentazione vocale non codificata dalla norma. Gli operai dei camieri «Le11i11d»i Da11zica. e ontro tutto questo, Stratos si ribella sin dall'inizio degli anni settanta. quando decide di dedicarsi ad approfondite ricerche sull'uso della vocalità. e di dare contemporaneamente origine al gruppo di musica progressiva «Area». Con lui, si riafferma lo strumento-voce: «Oggi si parla della voce come di uno strumento difficile da suonare; ma contrariamente a qualsiasi altro strumento che può essere riposto dopo l'uso, la voce non si separa mai dal suo proprietario, e quindi è qualcosa di più di uno strumento ...». È chiaramente «qualcosa di più», dal momento che vive in prima persona la totalità delle espressioni vocali umane. Tutte, comprese ovviamente quelle «non temperate», comprese quelle «non an.istiche», e quelle che gli antichi greci cpre-Stratos» avrebbero definito barbare, mutuando dal sanscrito quel barbarah che significa balbettio. cioè una voce-lingua non corretta, non comprensibile, e dunque nemica. Comprese, infine, quelle espressioni vocali che Giancarlo Cardini definisce con arguzia cdi tipo 'sporco': mugolare, canticchiare, sospirare. soffiare, urlare (anche!) quasi per il bisogno di un'adesione più immediata, fisiologica, con la musica». Gigliola Nocera Inutile dire che anche e soprattutto per Demetrio Straros. cosi come per Giancarlo Cardini. le espressioni vocali «sporche» sono le più interessanti, le più adatte a rappresentare ciò che. per cosi dire. sta fuori della cornice invece che sulla tela, luogo canonico della creazione artistica. «Ormai i brutti suoni hanno diritto all'ascolto», afferma Lyotard. E ne hanno diritto, aggiumgiamo noi, perché in questa desemantizzazione di bruttezza e bellezza. ogni suono/ u11suono (come dice John Cage ammiccando a a rose is a rose di Gertrude Stein ). E questa desemantizzazione della voce. seguita a sua volta da una sua risemantizzazione su basi eterodosse, è stata l'operazione culturale. su cui Stratos ha costruito il suo far musica, le sue irripetibili performances. È l'operazione che oggi possiamo rivivere riascoltando i lavori da lui- incisi per la Cramps, ed alla realizzazione dei quali hanno partecipato vari musicisti ed intellettuali delle medesime convinzioni: da John Cage a Juan Hidalgo, da Walter Marchetti a Gianni Sassi, da Gianni-Emilio Simonetti a tutti gli «Area». Nella voce che esprime se stessa, dunque, non ci sarà più differenza tra «bel canto» e stonatura, tra gorgheggio e versaccio; e, naturalmente, non ci sarà neppure differenza tra maschile e femminile. All'interno di quest'ultima differenziazione, la Cultura storica aveva poi creato un principio di supremazia del maschile sul femminile, della voce-uomo sulla voce-donna. «Mulier taceat in ecclesia», aveva decretato San Paolo; e da allora fino a tutto il diciassettesimo secolo, seguendo la ricostruzione storica di Angus Heriot. la cristianità forni un genuino «alibi mu icale» per l'esi tenza dei cantanti castrati. Uomini alla ricerca, come nel mito platonico degli androgini. dell'altra «metà» smarrita, ai quali la cultura dominante imponeva di ricuperare, a prezzo altissimo, il «femminile» perduto. In chiesa, cosi come del resto su qualsiasi palcoscenico, era dunque la voce-uomo a dominare, manifestando i tanto al maschile quanto al femminile; perché solo dalla voce-uomo nascesse. ancora una volta. il suo indispensabile complemento biblico: la voce,donna. All'abolizione di ogni differenziazione tra vocalità maschile e femminile corrisponde, in Stratos, anche quella tra vocalità infantile e vocalità adulta; le «Criptomelodià infantili» che fanno parte di Camare la voce non rappresentano la distruzione di un mondo fiabesco operata attraverso una ripetizione straniata (sul piano timbrico e semantico) delle tiritere della nostra infanzia. Rappresentano semmai un esempio polemico di narratività vocale basata su principi del tutto diversi da quelli che danno luogo. nel mondo degli adulti, alla voce-da-fiaba. Quest'ultima. assieme alle tante «voci» prigioniere delle categorie canore e dell'estetica del suono, rischia di non comunicarci più niente: «La voce è oggi nella musica un canale di trasmissione che non trasmette più nulla». annota Stratos per Il piccolo Hans. «La musica che si ritrova attraverso la 'forma-voce' ed i suoi environments. allontana il problema-voce, 'dimenticata nella custodia della laringe' (cfr. G.E.Simonetti) a causa di una pretesa oscurità ed inaccessibilità nel fondo del pensiero». E invece Stratos libera la custodia della laringe; e lo strumento-voce, la sua voce. fuoriesce da quest'ultima come dal vaso di Pandora, pronta ad eseguire il mai dimostrato, a dire il mai dello. a sdoppiarsi e moltiplicarsi in «diplofonie, triplofonie e altro». e antare la voce, dunque: Ma come fare ascriverla? In che modo Stratosscriveva la propria voce? Di lui non ci restano libri teorici, né manuali di quella che definirei una «neumatica vocale»; non ci restano partiture, intese nel senso classico del termine. Solo appunti. ricchissimi, complessi. ma ancora in attesa di un lavoro di sviluppo. di una decodificazione pubblica. A volte. come nel caso di «Appunti per un discorso sulla voce», pubblicati su I/ piccolo Harrs. s'è dovuto ricorrere alle annotazioni di allievi che seguirono le lezioni da lui tenute al Conservatorio di Milano nella primavera del 1979. Probabilmente. scrivere la voce doveva apparire al greco Stratos cosa assurda e folle; come pretendere di scrivere quella tragos odé, quel canto del capro che diede origine alla tragedia greca. « Il nostro lavoro si collega con la follia. La gente rimane sconvolta. perché la voce può ricamare strani meccanismi sulla mente. e si può arrivare a provare disgusto, follia». È vero. Cosi come è folle il tentativo di scrivere l'alfabeto della voce. Tutte le avanguardie artistiche si sono misurate con il problema della scrittura; ma in grado di molto minore per quel che riguarda il versante della voce. Per essa non è mai esistita una neumatica musicale e strumentale. Dal tempo dei codici miniati ad oggi, la parte vocale, il «testo» è stato sempre inserito, con strategica accortezza di amanuense, negli spazi lasciati liberi dalla prepotenza delle note. In questo vuoto residuo, in questo bianco estraneo al pentagramma e quindi alla creazione musicale, la parola (e con essa il suo strumento esecutore. la voce). ha subilo un secolare asservimento, una impietosa sillabazione; è stata vittima di sincopi, crasi, apocopi forzate. ma obbedienti alle esigenze degli strumenti cui quella parola. e la sua voce, si andavano appoggiando. Ecco perché, per Stratos, la voce in musica - asservita ad una parola di già subordinata al testo musicale - rischia di non comunicare più nulla. Anzitutto perché nel suo asservimento al testo. alla lingua. e quindi nella sua reificazione. la forma-voce «si perde espressionisticamente come grido. fodero di un contenuto in cui la lingua si depone al pari della spada del significato» (Gianni-Emilio Simonetti). Inoltre. perché il suo ulteriore asservimento neumatico ad un pentagramma occidentale temperato. ne decreta il totale assoggettamento .:stetico e «fisico» a quest'ultimo. La voce di Demetrio Stratos, che oltrepassa volutamente i limiti della comunicazione per sfociare a volte nel «gioco autistico» di Ivan Fonagy, si stempera invece nel divertimento neumatico dell'oralità. È la stessa oralità ricuperata dalle avanguardie storiche nella poesia sonora; quell'oralità che spingeva Artaud a non «scrivere» il suo urlo. e Kun Schwitters a non redigere la partitura musicale dei suoi poemi fonetici. Varcata la soglia della pertinenza linguistica, della compostezza semantica. e fatte esplodere anche le unità minimali. il fodero si fa spada, e la voce non ha più bisogno di un codice neumatico che creerebbe, proprio in quanto codice, un nuovo limite al di là del quale esiste nuovamente la wilderness, il peccato, l'indicibile. Ecco perché la partitura per voce sola di John Cage, Sixty-Two Mesostics Re Merce Cunningham, eseguita da Stratos, è formata semplicemente dalle parole del testo, scomposte e ricomposte in modo tipograficamente straniato. per fornire all'esecutore un gioco suggestivo di asperità grafiche. Ecco perché la ricetta della bizantina donna-medico Metrodora («Come gridare e produrre qualsiasi suono con la voce»), diventa semplicemente - nelle mani di Stratos - una riscrittura del testo attuata su carta (forse casualmente) millimetrata. Impossibile pentagrammare Metrodora; impossibile «scrivere la voce» di «O Tzitzeras o Mitzeras», piccolo gioiello dell'antologia di poesia sonora Futura. Sl. su ciò di cui non si può parlare. è meglio tacere, e anche Cage «tace». cosi come fu costretto Sch6nberg a «tacere» sull0Sprechgesa11g, e a spiarlo semplicemente dal nascondiglio delle sue «istruzioni per l'uso». Q el che Stratos ci ha lasciato di scriuo della sua voce. sono le suggestive spettrografie ottenute con il V. l.S. (Voices ldentification System), unico documento tangibile delle sue diplofonie e triplofonie, dei suoi fischi glottici doppi, dei suoi yodel da 880 Hz. Tullo il resto è affidato, come nei poemi omerici, all'oralità di un'unica testimonianza che oggi la tecnologia discografia ci permette di riprodurre benjaminianamente all'infinito. E a chi. a questo punto, dovesse diligentemente porsi problemi di «aura», diligentemente si risponderà che la voce-Stratos continuerà all'infinito a «ricamare strani meccanismi sulla mente». e magari a provocare «disgusto. follia». Proprio come la vocalità, definita pericolosamente selvaggia, degli schiavi americani; cui fu presto proibito di cantare nella mitica Congo Square perché la loro espressività musicale, la loro africanità vocale, veniva intuitivamente decodificata come estranea alla grazia di Dio. lontana da ogni rassicurante rigore contrappuntiMico; ma soprattutto, in definitiva, libera da qualsiasi sottomissione all'Establishme111. È questo il crinale su cui la voce mette in gioco se stessa, ed è vivendo su di esso che Demetrio Stratos ha potuto affermare: «Se una 'nuova vocalità' può esistere dev'essere vissuta da tutti e non da uno solo: un tentativo di liberar i dalla condizione di ascoltatore e spettatore cui la cultura e la politica ci hanno abituato. Questo lavoro non va assunto come un ascolto da subire passivamente, ma 'come un gioco in cui si ·rischia la vita'».
A. Graziani «C'era una volta la teoria economica». in Alfabeta, n. IO. febbraio 1980 G. Lunghini «Il posto di Sraffa». in Alfabeta. n. 13. maggio 1980 F. Vianello «Cos'è allora il capitale», in Alfabeta, n. 13. maggio 1980 I due interventi di Graziani e di Lunghini, ospitati in recenti numeri di questa rivista. svolgono davvero quella funzione di «smascheramento», cui fa riferimento il secondo autore. !:issi sollevano infatti la densa cortina di «luoghi comuni». tessuta per più di un decennio dai «giovani leoni dell'economia italiana» e dagli ormai meno giovani «ragazzi degli anni sessanta». allo scopo di dimostrare che Sraffa porta a compimento la critica dell'economia politica invano tentata da Marx. La trama della cortina non è, ovviamente. sempre identica. I tessitori di maggior esperienza e di più radicate nostalgie politiche non se la sono mai sentita di ritrarsi totalmente nella «professione» o di coniugare senza mediazioni Sraffa con «Mirafiori», ossia la determinazione dei prezzi e della distribuzione del reddito (dato «un grado di libertà») con i concreti andamenti della lotta di classe. Consci della fallibilità nell'agire e nel pensare umani, essi hanno perciò sempre ritenuto, e tuttora ritengono, Marx un necessario e geniale «pasticcione», con cui non si può evitare il confronto· per dar conto dei tanti vizi e delle poche virtù del capitalismo. A partire dal 1960 però tale confronto non avviene più in modo inerme: ci si può andare armati del rigore sraffiano e di quella parte dell'analisi keynesiana. la domanda effettiva che. una volta sussunta alle acquisizioni di Sraffa. è capace di spiegare le crisi cicliche del sistema economico senza incorrere in «noiose» controversie categoriali. Il giudizio su Marx diviene così duplice. Condannata senza appello è la sua ossessione di voler determinare i termini quantitativi di scambio fra le merci sulla base del valore-lavoro; giudicata irrinunciabile è la sua insistenza nel voler fondare la critica del capitalismo sulla base dei concetti di sfruttamento e di feticismo. Attenzione, però: non si tratta di separare, civettando con Colletti rovesciato, il «Marx filosofo» buono dal «Marx scienziato» cattivo (cfr. Napoleoni, Valore, 1976; e L'enigma del valore, 1978). Una simile soluzione è giustamente considerata insoddisfacente nella tradizione orale modenese, anche se mai criticata (a quel che mi consta) a livello esplicito, in quanto sospettata di dar si conto di cos'è veramente l'economia ma di spostare il «cielo» della politica nell'universo indistinto della filosofia. Ciò accredita il sospetto che la tesi non venga condivisa perché ineffettuale politicamente. Fatto è che per gli autori qui in esame la questione sta proprio nel recupero del «Marx critico politico», ma ridotto e fuso con il terreno scientifico del keysraffismo. I sonni dei «giovani leoni» non sembrano invece turbati da incubi di cotanta ampiezza: la paziente «strategia del ragno», volta a connettere orditi tra loro distanti, a spiegare l'economia ai mandsti e il capitalismo agli economisti, insomma a irretire in qualche modo anche la «vecchia talpa» della politica, non li interessa direttamente. D el resto, se cosi non fosse, questi inconsapevoli e poco avvertiti nipotini di Popper si verrebbero a trovare in un bell'impiccio. Per loro. il discrimine, che specifica la scienza rispetto alla non-scienza, è soltanto il rigore logico-formale, inteso quale metodo assoluto e come tale totalmente inerente alla teoria. C'era una volta la teoria economica I pastiqjMM,!Jairx Di conseguenza. la storia dell'analisi economica è una storia «interna» di progresso lineare e cumulativo, attraversata e turbata da incidenti cronologicamente circoscritti. ma comunque protesa al raggiungimento della verità. Una verità che, essendo essa stessa ormai costretta nel «terzo mondo» delle idee, non può non essere unica, indiscutibile. I classici (Ricardo) e Marx l'hanno per alcuni versi approssimata, più o meno in ugual misura. Su di loro pesano però le deficienze analitiche note. I neoclassici, con una «cassetta di strumenti» più ricca, perdono glielementi di verità dei loro predecessori, An;ra Valentinowicz sviando definitivamente dal retto cammino. Il dirazzamento lo si coglie nell'introduzione di categorie inesistenti (il capitale come fattore della produzione), nella caduta in palesi circoli viziosi, nell'incapacità conseguente di dimostrare le stesse affermazioni di partenza (concorrenza perfetta e saggio uniforme del profitto, determinazione dei prezzi sulla base delle curve di domanda ed offerta). La teoria di Sraffa mostra lo slittamento di problema regressivo del programma di ricerca neoclassico, riporta la storia dell'analisi economica sul retto e «naturale» sentiero di crescita, corregge gli errori di Ricardo e Marx mostrando la potenziale J1rogressività della loro teoria, si avvicina (o forse coglie conclusivamente) la verità. Poiché tutto ciò dimostra fra l'altro che l'economia è scienza della quantità, per quale arcana ragione Produzione di merci non dovrebbe coprire lo stesso oggetto di analisi di un Ricardo e di un Marx? Gli scritti di Graziani e Lunghini hanno il pregio di asserire che l'economia (politica) è una scienza sociale, volta ad analizzare la strutturale contraddittorietà e la natura storica del modo di produzione capitalistico. Come tale. essa deve, insieme, tener conto e dar conto degli antagonismi di classe, degli elementi di crisi (necessaria) presenti nella riproduzione del sisterna. in poche parole degli squilibri conflittuali che emergono nelle forme mediatamente sociali dell'agire di classi e frazioni di classe con diverso potere di disposizione. Poca cosa. si potrebbe pensare, dal momento che già era stata narrata con grande chiarezza, e dimostrata con dovizia di categorie analitiche, da Marx. Il fatto è che la pars destruens del ragionamento di Graziani-L1_mghini pone in luce come e perché una simile definizione di economia risulti assolutamente estranea a quanto si è finora venuto dicendo: né i giovani analisti, di Sraffa armati, né i loro fratelli maggiori, che rendono rigoroso il Marx economista (variabile dipendente) ponendolo uguale a Sraffa più «Keynes amputato» (variabili indipendenti). possono cioè avviare la ricostruzione dell'economia politica lungo le linee critiche di Marx. Anzi. se si trascurano per un momento le ragioni di empatia politica, i due gruppi sono riducibili ad unità: la sola prospettiva eh<' entrambi hanno aperta sul terreno dell'economia. ridotta a calcolo, è quella di costringere la complessità sociale entro le rigidità di «prognosi di tecnica sociale» (Krahl, Costituzione e iolla di classe, I 971, p. 378). U na questione di non poco conto consiste nello scoprire se ciò dipenda dall'insipienza degli esecutori o dal senso, che assume in quest'ottica, il paradigma sraffiano. La risposta, al proposito fornita da Graziani e Lunghini, è efficace, anche se non definitiva perché poco svolta nelle sue implicazioni positive. Se mal non interpreto il loro giudizio, si tratta dei limiti stessi che «la teoria economica pura» di Sraffa palesa, allorquando viene - propriamente o impropriamente - intesa come interpretazione dei meccanitmi di funzionamento del sistema economico. Tale critica è tanto più efficace. in quanto Lunghini «spende» le proprie argomentazioni secondo un taglio complementare a quello seguito dal primo autore. Ciò rende a fortiori esplicite le considerazioni di «C'era una volta la teoria economica». ostinatamente travisate dai critici (cfr. Vianello). Graziani pone un interrogativo, certo stravagante nel panorama economico italiano: quale nesso intercorra fra analisi teorica e «storia esterna>. Per colmo di scandalo, pare inoltre voler suggerire che è su tale nesso che si gioca la «scientificità» delle diverse proposte teoriche. Così facendo egli ha la «colpa» (grave) di «rompere le uova» in due panieri, che da prospettive diverse sempre più si vanno incontrando. Oltre a disturbare l'appagante sensazione di «vittoria» degli sraffisti, colpisce quelle riletture, tanto «alla moda», della storia del pensiero economico pronte ad impiegare, quale metro di giudizio, gli schemi epistemologici dell'ultimo Kuhn o, ancor meglio, di Lakatos. Come coniugare infatti la dinamica dell'economia con il lakatosiano falsificazionismo metodologico (sofisticato), se non eliminando la «storia esterna» previa la sua riduzione al «giudizio» del gruppo degli scienziati (il famoso «gruppo dei pari»)? E, così operando, come non concludere che, oggi. il solo «programma di ricerca> con «slittamenti-di-problema> progressivi è quello di Sraffa, data la regressività della (neoclassica) teoria distributiva di Keynes? Graziani non tocca, se non marginalmente e in un successivo intervento su Rinascita, la seconda questione a livello esplicito. Il suo obiettivo precipuo consiste nel porre in evidenza per quali ragioni l'elisione della «storia esterna> conduca necessariamente gli sraffisti ad un'«operazione pacificatrice» nell'ambito del pensiero economico. I poli della sua argomentazione sono molto chiari e sarebbe superfluo richi,imarli. Poiché però ritengo frutto di un loro travestimento la critica-difesa di Vìanello. è forse bene riprenderli schematicamente, mostrando al contempo, con l'ausilio dello scritto di Lunghini. la loro adattabilità al secondo obiettivo polemico. Vediamo. dunque, quale sia per i due autori la procedura seguita dai «giovani leoni>, ma non soltanto da loro. Dal momento che la storia del pensiero economico è, in verità, una storia dell'analisi, l'unico modo per distinguere le diverse teorie è quello di provarne l'interna consistenza logica: gli assunti di base, proprio perché tali, sono sottoponibili a valutazione soltanto indiretta, ossia tramite il minuzioso controllo del loro svolgimento analitico o la loro corrispondenza con statuti epistemologici specifici. In quest'ottica la teoria neoclassica viene assunta a modello paradigmatico dell'economia borghese del 900, e viene essenzialmente ridotta al campo, certo importante ma non esaustivo. della teoria marginalistica della distribuzione. Quantomeno sul lungo periodo, che è la sola prospettiva di analisi giudicata rilevante. qualsivoglia determinazione di siffatta teoria si rivela però logicamente fallace. Il programma neoclassico, a prescindere dai suoi complessi legami con la sociologia liberal borghese e dalla sua (in)capacità di dar conto della «storia esterna>, viene perciò irrimediabilmente condannato. E Ricardo e Marx? Come già si è detto, anch'essi sono latori di un programma di ricerca regressivo; anch'essi dovrebbero pertanto subire la triste sorte, riservata ai loro successori. Fortunatamente però il loro errore. per quanto simile a quello neoclassico, non è «volgare>. Il loro programma è sì regressivo, ma può anche tornare in auge. Merito di Sraffa è di aver recuperato il «nucleo razionale> dei classici (compreso Marx, che è Ricardo più la teoria della crisi), adattando la forma della «cintura protettiva> e rendendola «non confutata>. Naturalmente il nucleo consolidato permane inalterato, purché si faccia giustizia di categorie che parevano essenziali e che invece non hanno alcun legame con lo schema analitico cruciale. La determinazione quantitativa della teoria del valore-lavoro è in proposito l'esempio tipico, come dimostra la formazione sraffiana dei prezzi e la costruzione «puramente ausiliaria> del «sistema tipo>. Definito in tal modo un nuovo e rigoroso programma, o meglio, reso rigoroso il programma dei classici, esso è pronto a recepire «spezzoni> dei programmi almeno in parte sconfitti, purché consoni alla propria «politica di ricerca> Anche in questo caso l'esempio disponibile è già noto: l'incorporamento della domanda effettiva di Keynes allo scopo di approfondire l'esame marxiano delle crisi cicliche. S e questo è il senso, anche se non la lettera, del ragionamento di Graziani-Lunghini, la conseguente critica ad una simile impostazione è scontata: chi così ragiona ha trasformato la storia del pensiero economico in una «gigantesca caccia all'errore>, prima, e in unpuu.le, poi, che annulla le differenti «visioni> delle varie impostazioni teoriche, nel senso che cancella le contrapposte interpretazioni della «storia esterna> e soprattutto la diversa spiegazione dei «conflitti sociali>. Affermare perciò che l'esito è un' «operazione pacificatrice> non è un'esagerazione, ma semmai un peccato di troppo «fair play>. In realtà, è lo stesso schema di Sraffa ad essere chiamato in causa. Esso è godibile per il suo nitore formale, ma inutilizzabile per la ricostruzione di un programma di critica dell'economia politica poiché espunge dal campo di analisi gli antagonismi, e ancor più la contraddittorietà, fra classi sociali, fra capitale e lavoro. Capitale-denaro e forza-lavoro non sono più i due poli contraddittori di un rapporto sociale complesso, che si risolve nella riduzione del secondo al primo mediante la
metamorfosi del capitale (passaggio al capitale produttivo, dove la stessa capacità di lavoro è capitale variabile). Il capitale torna invece ad assumere la sua connotazione di oggetto materiale, anche al di là del suo decadimento come elemento unitario. In questo quadro è certamente corretto dire, con Lunghini, che il sistema economico è ridotto, nella sua rappresentazione analitica, a meccanismo invariante. naturale e permanente. Il funzionamento dell'economia è cioè assimilato a quello di una «macchina», che attende soltanto di essere conosciuta rigorosamente nei suoi «segreti». L a cosa è rilevante per più di una ragione. Oltre a confermare la riduzione della teoria economica al piano del calcolo quantitativo, essa svela anche la contiguità che esiste fra la deriva sraffiana e la «regionalizzazione» della scienza. Siccome quella data macchina è complessa, perché non scomporla nelle sue componenti, trattando i vari ingranaggi come subsistemi relativamente autonomi? Perché lasciarsi ancora abbagliare dalle tensioni metafisiche verso la totalità, dal momento che le singole parti potranno essere assemblate in un secondo momento? È cosi che il cerchio si chiude: la ricomposizione della teoria di Sraffa con spezzoni di altre elaborazioni diviene la corretta prosecuzione dello spirito di Produzione di merci: cli rapporto fra prezzi e distribuzione per una data tecnologia riguarda quello che possiamo chiamare lo 'scheletro' di un sistema economico: storicamente questo problema è stato al centro della teoria economica, e logicamente esso costituisce il 'nucleo' attorno al quale si sviluppa l'analisi di altri problemi, anche quando si elaborano teorie prive di un legame formale diretto con esso> (Roncaglia, Srafta e la teoria dei prezzi. 1975, p. 131 n. 2). Insomma: proprio perché «pura>, ossia svincolata dall'esame della complessità del sociale, la teoria di Sraffa è rotta a tutte le integrazioni ~on altre teorie economiche, che non ne alterino il rigore logico formale. Il recente intervento di Meldolesi ( «A proposito di Piero Sraffa», in il manifesto. 6 giugno 1980) non mi sembra voglia contrapporsi al tipo di lettura qui proposto. Esso tende invece a rafforzarlo, in quanto mette in luce le ragioni storiche che possono spiegare lo schema sraffiano. ma non certo la sua effettualità nell'interpretazione di un sistema economico storicamente dato. A mio avviso. è corretto sostenere che la riduzione della teoria economica a calcolo quantitativo coglie la tendenza propria a «tutta la cultura marxista a partire dal programma di Erfurt» (Meldolesi). nonostante talune rilevantissime eccezioni che oggi incominciano ad essere apprezzate (Rubin. Petry). Cosi come è corretto ricordare che l'ascesa di Stalin sanziona il realizzarsi della tendenza. nel paese a «socialismo reale», dello «sviluppo della ricchezza materiale sulla base della divisione del lavoro e dell'accumulazione accelerata» a scapito della «liberazione degli uomini». Ed è molto interessante notare che. per i suoi stessi dati biografici e per il suo sostanziale apprezzamento delle scelte sovietiche. Sraffa si pone all'incrocio fra questa tradizione teorica e le forme pratiche di realizzazione del «socialismo». Anche la riduzione sraffiana del Marx politico al saintsimonismo appare in questa prospettiva convincente. Se il concreto «dibattito sull'industrializzazione» e lo «scontro politico durante la Nep» già ·fanno emergere la crucialità delle funzioni tecniche e manageriali per il superamento della forma di proprietà e per la riproduzione dei rappo_rti capitalistici di produzione (cfr. Cacciari-Perulli, Piano economico e composizione di classe, 1975), il correlato teorico-politico di ciò non può essere Marx. ma SaintSimon che «aveva preannunciato l'avvento di una· rivoluzione politica e sociale contro le classi proprietarie guidata dai tecnici e dagli amministratori in collaborazione con i loro subordinati. gli operai, che avrebbero ottenuto una maggiore ricchezza materiale ma avrebbero dovuto ti,manere subordinati» (Meldolesi). Non credo. tuttavia. che sia lecito inferire da ciò che la «soluzione sraffiana» spiega questioni di così vasta portata. Essa si limita piuttosto ad evitare elementi di frizione fra la rappresentazione teorica dell'economia e la necessità di gestione del concreto sistema sociale. È perciò inevitabile concludere, con Lunghini. che Sraffa e lo sraffismo ci propongono una costruzione «neutrale». le cui «proposizioni potranno avere soltanto una funzione strumentale e subordinata rispetto a politiche economiche ...» e-aggiungerei io - a politiche sociali (leggi. per esempio. il saintsimoni_smo) del più vario segno. «Al rigore mortale dell'analisi corrisponderà così. tranquillamente. l'eclettismo disinvolto dei tecnici e degli specialisti» (Lunghini, cii.). I n tale quadro la replica di Vianello appare un poco disarmante. Con molta tenacia. egli ripropone infatti le stesse tappe, prese.di mira dai critici. Insistendo. bisogna dire. con molta evidenza. sulla «scolastica» sraffista. Non è mia intenzione ribadire ancora una volta perché Sraffa sia incompatibile con Marx o perché questo termine suoni un po' eccessivo se applicato al confronto fra Sraffa e i neoclassici (cfr. a puro titolo di esempio Napoleoni. Valore. pp. 169-178). Né tornare nella questione di come sia (im)possibile salvare il Marx qualitativo a scapito del Marx quantitativo. sostituito da Sraffa (cfr. Cafaro-Messori. La teoria del valore e l'altro. 1980). Mi pare che Vianello non colga la portata delle_argomentazioni di Graziani. Quest'ultimo non credo abbia in alcun modo voluto porre in discussione la «coerenza interna» di Sraffa e della sua rilettura dei classici. La questione sul tappeto è un'altra: se la critica «interna» ai neoclassici sia condizione sufficiente. oltrechè necessaria, per riavviare un programma di critica dell'economia politica. La conseguente valutazione. che viene data. sulla portata pacificatrice dello sraffismo equivale a rispondere negativamente all'interrogativo. Ne deriva che Vianello sbaglia quando cerca di ridurre il nesso fra analisi teorica e storia «esterna» a problema di «radici ideologiche». Non si tratta infatti della visione preanalitica, di cui parla Schumpeter, tanto cara ai neoweberiani menzionati da Lunghini. Si tratta invece, come ha cura di porre esplicitamente in luce lo stesso Graziani, della capacità analitica di incorporare e di spiegare la struttura e la dinamica di classe. ossia della capacità di avviare una critica (scientifica in senso sostanziale) della teoria economica. Inoltre. una simile posizione non comporta che. per essere scientifica nel senso appena detto. una teoria debba pure essere incoerente. Più semplicemente. posto che la coerenza interna non è condizione sufficiente per dar luogo ad un'adeguata interpretazione dell'economia capitalistica. può essere preferibile (anche se non soddisfacente) una teoria imprecisa ma volta allo studio dei rapporti sociali fra classi. di una teoria formalmente ineccepibile ma. sotto questo profilo, vuota. D'altra parte, il rischio di essere imprecisi è tanto più elevato quanto più si è interessati all'esame del concreto sistema sociale. Di ciò dovrebbe essere avvertito lo stesso Vianello. dal momento che anch'egli pecca di approssimazione quando, per esempio. si pone il problema di utilizzare Sraffa per l'esame del processo distributivo nella società capitalistica. Infatti. egli è costretto a trattare il salario quale variabile indipendente dimenticandosi che «appena si ammetta la possibilità di variazioni nella ripartizione del reddito nazionale. questo argomento perde gran parte della sua forza» (Sraffa. Produzione di merci. p.43) e si capovolge nella posizione contraria. propria a Sraffa. di assumere «come variabile indipendente il saggio del profitto». che. «essendo un rapporto. ha un contenuto che è indipendente dalla conosce112a dei prezzi ... » (ivi). D etto tutto questo, se ne deve forse concludere che la «trappola mortale» della coerenza logica ci lascia con una storia del pensiero economico che è una «storia di fallimenti»? Io credo di no. Ma non perché viva ancora nell'illusione di un Marx bell'è pronto per tutti gli usi. Il «ritorno di Marx» è certamente una tappa essenziale per la ripresa della critica dell'economia politica. ma deve avvenire in modo avvertito. filtrato dal recupero delle elaborazioni teoriche del '900. •Fra gli altri suoi pregi, lo scritto di Meldolesi pone in guardia dal ritenere che tale filtro possa rintracciarsi in positivo nella storia del marxismo. come certo postulano gruppi non trascurabili di «studiosi-militanti». Fortunatamente rimangono pagine significative di buona scienza borghese. che devono essere riattraversate nella loro compiutezza, senza aspirare a improprie sintesi. La teoria complessiva di Keynes e quella di Schumpter non fungono da panacea, ma sono dense.di promettenti aperture. La teoria monetaria e la categoria di disoccupazione involontaria del primo. e il processo dello sviluppo economico, innescato dall'innovazione e dal credito. del secondo costituiscono proposte analitiche «indecise» ma in grado di porre almeno in discussione la dicotomia fra aspetti quantitativi e aspetti qualitativi. fra oggettività e soggettività. Esse cioè provano a saldare. seppure con talune deficienze di non poco conto: l'indagine del capitalismo come struttura e l'indagine degli antagonismi sociali (specie all'interno della classe dei capitalisti). Penso sia questo il grande insegnamento di Marx. cancellato dal marxismo ufficiale e da quanti vedono la teoria economica come «teoria pura». Al livello astratto dei rapporti sociali di produzione (il processo di reificazione). l'analisi marxiana ci fornisce ancora l'esposizione categoriale e le conclusioni più convincenti. E recenti rielaborazioni della teoria di Marx, tra loro molto diverse quando non contrapposte (scuola di Francoforte, strutturalismo francese. marxismo italiano degli anni sessanta), ci dotano di strumenti di interpretazione non banali delle sue opere e dell'evoluzione del suo pensiero. Al livello del reificato però non possiamo prescindere dal riferimento a Keynes e Schumpeter. che. ponendo soprattutto in luce i conflitti intracapitalistici. aprono un campo di indagine determinante: la necessità di saldare entro un reticolo analitico unitario le complesse interazioni fra il rapporto contraddittorio capitale lavoro e gli antagonismi delle diverse frazioni del capitale. Il «fairore» della polemica, spero graffiante ma m·ai offensiva, mi ha spinto a tralasciare i punti di dissenso, che mi separano da Graziani e Lunghini. Per problemi di spazio mi limito all'aspetto più incidente, che credo mi separi da Lunghini. Non condivido la sua positiva valutazione della posizione di Dobb. In particolare. mi pare che la teoria del valore-lavoro non possa essere trattata quale «approssimazione alla realtà». Almeno in Marx essa si fonda sul processo di «astrazione determinata». che non rappresenta un'opzione metodologica ma risulta dall'esposizione categoriale de li Capitale e dei Grundrisse: dalla forma di merce e scambio (denaro) al capitale in generale. e da questo alla molteplicità dei capitali. Per quale ragione sostengo che questo punto non è trascurabile. anche in relazione alle cose dette sopra? Perché. come mostrano gli stessi lavori di Dobb (Un libro che farà epoca. 1961) e di Sweezy. (La teoria dello sviluppo capitalistico. 1970). considerare la teoria di Marx fondata sul metodo delle «approssimazioni successive» costituisce il primo passo per separare gli aspetti quantitativi del valore dagli aspetti qualitativi. E, una volta perpetrata tale separazione. più 'nulla osta a intendere la determinazione sraffiana dei prezzi quale soluzione adeguata del problema marxiano della trasformazione. ossia quale approssimazione successiva dei termini di scambio calcolati in ore-lavoro. Lunghini. che proprio a tale posizione si contrappone. rischia perciò di contraddirsi se non assume in una chiave molto più critica le parole di Dobb. Stratag8Qiffllm8 decreti Gianfranco La Grassa D valore come astrazione del lavoro Bari. Dedalo libri. 1980 pp. 133".lire 5000 Graziella Cafaro e Marcello Messori La teoria del valore e l'altro (con una appendice sui nuovi epistemologi) Milano. Feltrinelli. 1980 pp. 104, lire 2500 «C'era una volta la teoria economica» in Alfabeta nn. 10 e 13. febbraio e maggio 1980 M olto opportunamente, nell'appendice sui nuovi epistemologi contenuta nel n.34 degli opuscoli Feltrinelli. M. Messori ha posto in evidenza la connessione stretta che corre tra il dibattito ormai pluriennale sui fondamenti della critica deireconomia politica e quello più recente sulla «crisi della ragione». M. Messori e G. Cafaro, coautrice del volumetto, partono da una critica den'epistemologia di ispirazione anglosassone per tornare a ragionare su Marx e la teoria del valore. Il punto di attacco è ovviamente quello sulla possibilità o meno di «ricondurre ad uno o più fattori teoricamente esplicativi la complessità delle relazioni presenti in un dato sistema reale». La tesi proposta è che l'individuazione di un centro. o momento ordinatore della complessità sociale non significhi affatto - nel marxismo - riduzione. collasso. eliminazione aprioristica. bensì ipotesi esplicativa principale,chenonpretendedi per sédi esaurire l'intera articolazione del reale, ma prova invece a dedurla. La simmetria, sul piano del dogmatismo teorico,. tra sistemi centrati e sistemi acentrati. è del resto evidente. La scelta non può essere appunto condotta a priori: metodo. struttura e oggetto della teoria nascono generalmente insieme, con l'avvertenza tuttavia che la necessità di pervenire a leggi , impone di per sé una gerarchizzazione dei fatti; i processi di riconduzione o di deduzione tra gli enti che le teorie introducono appaiono quindi non tanto connessi a ingiustificate impostazioni monistiche. quanto alla necessità stessa di fornire rappresentazioni legali della realtà. Partendo da questo tipo di considerazioni. Messori ipotizza che la crisi del pensiero classico invocata da un ampio settore della nuova epistemologia italiana discenda in realtà da uno strano processo di riduzione del pensiero classico al pensiero assiomatizzato. e da una analoga riduzione della metodologia scientifica al falsificazionismo metodologico di stampo anglosassone. Si tratterebbe in sostanza di uno stratagemma retorico. che consentirebbe di costruire fittiziamente l'oggetto della critica insieme alla critica stessa. I limiti connaturati all'assiomatizzazione. e la critica interna al falsificazionismo. verrebbero quindi scambia ti tout court con il collasso del pensiero occidentale. N on è qui possibile argomentare se questa fuorviante identificazione sia avvenuta effettivamente, oppure se l'analisi critica della cosiddetta ragione classica non investa problemi più ampi. per altro probabilmente già invecchiati rispetto all'effeitivo procedere della ricerca scientifica. Qui preme soltanto sottolineare che l'effettiva crisi del tentativo di definire standards di scientificità assoluti, e le riconosciute limitazioni connesse ai sistemi assiomatizzati, sdrammatizzano in un certo senso la discussione sullo statuto scientificodel marxismoe delle teorie economiche, riproponendo invece. al centro della discussione, problemi di merito piuttosto che di metodo. A questo proposito, se nel libro _di Cafaro e Messori la ricostruzione del dibattito recente sulla teoria del valore - e segnatamente delle posizioni «di compromesso» di C. Napoleoni - è condotto in maniera accurata e puntuale. non altrettanto conv·incenti appaiono le indicazioni di soluzione proposte. Qui infatti la dicotonia filosofia-scienza che Napoleoni vede nel giovane Marx e riproduce egli stesso è fatta giustamente risalire a una visione ontologica del reale, secondo la quale nel capitalismo si attuerebbe quell'inversione di giudizio che porta ad essere il lavoro un soggetto e l'uomo un predicato. Il «fallimento» della teoria del valo- "' re-lavoro è dunque per Napoleoni -~ iscritto e cristallizzato nella struttura gi, stessa del reale, giacché «quanto si è ~ oggettivatosi è anche perdutonell'og- ~ getto, nel senso che il compimento del rovesciamento tra soggetto e predicato all'interno della tòtalità del valore e, dunque. come risultato del processo di oggettivazione, lascia soltanto l'oggetto. la cosa. Il valore cioè distrugge la valorizzazione e diviene totalità» (op. cit., p. 44). I rapporti di scambio si sganciano quindi in maniera assoluta dalla determinazione in tempo di lavoro e la politica economica dalla critica
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