U na piccola automobile sportiva s'arrampica lungo una serpeggiante autostrada di montagna, e il paesaggio tutt'intorno è di quelli che sembrano particolarmente vicini ai visi • degli dei: una cima dopo l'altra, una più alta dell'altra, e mantelli stupendi di boschi intatti; sono le Montagne Rocciose, siamo in Colorado. Potrebbe essere una scena di turistica spensieratezza - ma la musica che accompagna lo srotolìo delle immagini è curiosamente in contrasto: è una musica sinistra, freddamente percussiva (Béla Bartok ). che promette insidie. Basta questo contrasto semplice (o forse semplicistico) a creare una tensione, aguzzando l'interesse dello spettatore, mentre ancora sfilano i titoli di testa. È l'inizio di The Shining, l'ultimo film di Stanley Kubrick, che viene presentato dalla pubblicità come il primo film dell'orrore che sia al tempo stesso un film epico. La questione se e come il genere della storia d'orrore sia conciliabile con il genere epico evoca l'ombra di Polonio con le sue classificazioni ad oltranza - dunque non vale la pena di soffermarsi troppo su di essa. Ma alla domanda sostanziale si può ris.pondere chiaramente: The Shining è un film commerciale nel senso più piatto del termine. Domanda possibile: Ma allora, se è un film brutto, perché ne scrivi? È una domanda possibile, sl, ma non merita alcuna risposta; tuttavia è preoccupante che essa sia posta ripetutamente, e anche nei circoli dove si dovrebbe creare cultura. («Ma perché hai scelto di fare una conferenza su Pirandello, se poi ce ne parli male?» -è stato chiesto di recente a un mio collega, in una università statunitense). Più seriamente: i grossi film commerciali di oggi sono, fra i vari tipi di testi di finzione, quelli che forse più chiaramente mostrano come non esista una relazione univoca tra la complessità, lo spessore antropologico delle immagini nel testo da un lato, e il valore estetico del testo dall'altro lato. Nel senso che, in quella elaborazione segnica complessa che è uno spettacolo cinematografico, è prevedibile che si riscontri un giuoco complicato (appunto) di connessioni con altri, in senso latissimo, testi (letterari, storici, politici, psicologici, ecc.) nella cultura; sarebbe sorprendente che ciò non accadesse. Ma: il testo commerciale ci mostra all'opera una astuzia che sistematicamente degrada e corrompe queste connessioni. Ecco dunque la duplice sfida che si profila dinanzi al critico contemporaneo: il quale deve leggere anche il testo più brutalmente commerciale con l'attenzione acuta (oserei dire, con il rispetto semiotico) che esso obiettivamente richiede per la complessità della sua tessitura - e al tempo stesso deve discriminare fra un uso creativo e una corruzione commerciale di questa tessitura (e chi si arresta alla prima operazione è tecnico-semiotico o non - ma non critico). CircensCi,ircensi M a, parlavo di The Shining - espressione che è un modo popolare di riferirsi a quello che noi chiameremmo il dono della chiaroveggenza. Ciò che viene chiaramente spiegato, all'inizio del film, dal più anziano - il cuoco dell'albergo - al più giovane - il piccolo protagonista - dei due chiaroveggenti in questa storia. (Non è proprio il caso di gridare, con progressista indignazione, al cliché per il fatto che il cuoco è di pelle nera; eppure ... crudele irresponsabilità delle associazioni, diciamo così d'idee, ma in realtà di sensazioni in stato brado ... uno ha un bel ripetersi che l'accezione del verbo to shine cui pertiene questo gerundio sostantivo shining è quella intransitiva: «brillare, scintillare» ... il fatto è che insistentemente si ripresenta alla memoria l'accezione transitiva: «lustrare», soprattutto applicata al lustrare le scarpe ... una connotazione prosaica, dunque, che riduce di molto la drammaticità del concetto ...). Quanto al ragazzetto, il suo caso psicologico è più complicato, poiché alla sua chiaroveggenza s'aggiunge una forma di possessione ovvero sdoppiamento (qui Kubrick riprende un filone divenuto ormai tradizionale): attraverso la sua bocca, parla un immaginario compagno di giuochi dalla sinistra voce rauca, grottesca. Sia ben chiaro: questo folklore dell'extrasensoriale non è qui citato con tono di condiscendenza supercigliosa, al contrario - la situazione di partenza ha belle possibilità, e questo è vero anche della trama, qui concisamente incapsulata. Una giovane coppia con bambino è assunta per custodire un grande albergo tra le montagne (l'Overlook Hotel) che durante l'inverno resta vuoto e completamente isolato dal resto del mondo. In questo albergo enorme e lussuoso «ci si sente» (come dice il vecchio folklore toscano): e, per primo il fanciullo chiaroveggente, poi il marito, infine (e solo durante l'ultima fuga disperata) la moglie, vedono apparire spettralmente (ma con ben reale aspetto di carne, ossa, e sangue) la famiglia del precedente guardiano (marito e moglie, e due figliuolette gemelle) - il quale, impazzito nell'infernale solitudine invernale, aveva massacrato la famiglia prima di uccidersi- e (in alcune immagini allucinaPaolo Valesio te. tra la kermesse mondana e la notte di Valpurga) quelli che erano stati gli ospiti dell'albergo, in stagioni eleganti ormai sepolte da anni. Lo spettro del guardiano omicida. in effetti, agisce come cattivo genio del suo successore, esortandolo ad imitarlo. Il cuoco veggente (avuta la premonizione ancor vaga di ciò che si prepara) si affretta dal suo ritiro di Miami all'albergo fatale, ma viene abbattuto a colpi d'accetta dal protagonista oramai allucinato. il quale rivolge poi la sua furia contro la moglie e il figliuolo. Essi tuttavia riescono all'ultimo istante a sfuggirgli, e balzati su uno spazzaneve escono dal cerchio incantato dell'Overlook Hotel, mentre l'uomo - solo. e smarrito in un giardino-labirinto - muore di gelo. Una tale storia (che Kubrick ha tratto da uno dei soliti romanzetti preconfezionati) ha in sé tutte le possibilità di sviluppo fantastico e d'approfondimento che le derivano dal suo essere obiettivamente erede di una tradizione, non antica ma addirittura arcaica: poiché ciò che viene alla luce qui non è soltanto il retaggio (di astuzie espressive, di passaggi, d'immagini) del feuilleton gotico; ma, alle spalle di questo, l'alta follia della poesia romantica; e, ancora più indietro, gli archetipi della fiaba e del mito. Valga un solo esempio. In una delle poche scene di questo preteso filmdell'orrore in cui emerga veramente un riflesso d'orrore (ed è anche - punto interessante - l'unica scena erotica in tutto il film), il protagonista entra in una stanza che dovrebb'essere come tutte le altre deserta, avvertito - da un confuso racconto della moglie - che una folle vecchia è stata intravista là dentro. È una bella donna, invece, quella ch'egli trova intenta a bagnarsi: la quale esce nuda dalla vasca, con la calma seduttrice d'una sirena - e l'uomo la contempla con diretta avidità quasi infantile (come di fronte a una chicca), subito l'abbraccia. Ma ecco vediamo larghe chiazze verdastre e lividi squarci aprirsi lentamente sulla pelle di lei: ed egli s'accorge che sta baciando un cadavere putrefatto. Q uello della bella magata che si rivela poi essere decrepita e putrida è un mito antico le cui tracce ancora emergono chiare in tante fiabe e leggende, e che viene rielaborato letterariamente in tante opere (la sirena dantesca, ecc. ecc.). L'antichità - e il lungo uso artistico- nulla tolgono alla forza di questo archetipo; anzi gli danno una profondità sempre di nuovo eccitante - a patto che chi suscita questi fantasmi abbia il çoraggio di giuocare il giuoco fino in fondo. L'autore invece che (come qui Kubrick) abbia deciso di commercializzarsi completamente non potrebbe far ciò se non avesse appreso per bene il trucco di scagliare il sasso e poi celare la mano. Voglio dire che l'esitazione con cui le dita di un autore di questo tipo toccano molle così profonde nella nostra struttura dell'immaginario non deriva da goffaggine o ingenuità: è una mossa di conformismo calcolato- calcolato a che lo spettatore non sia spinto ad usare la sua immaginazione, integrando ed approfondendo; il testo dell'immaginario è cosl corrotto in spettacolo circense. Perché, se l'archetipo della giovane seducente che è vetusta e marcia di dentro si riducesse alla forma che ho appena delineato, non ci toccherebbe tutti (ipocriti lettori, simili, fratelli) cosl a fondo come in effetti ci tocca. La forza insidiosa di quell'immagine evoca invece la dialettica di unheimlich (il sinistro come ciò che non è casalingo, familiare) e heimlich (ciò che è insieme intimamente vicino, casalingo, e segreto) che può scatenare l'orrore. (Sono le categorie del seminale articolo freudiano del I 9 I 9; il quale purtroppo tende a disperdere in un vento di genericità i suoi semi analitici - così che ogni prosecutore è astretto alla sua propria responsabilità, quando riprende questi strumenti). Ciò che desta propriamente orrore, infatti, non è il contrasto in sé bensì il fatto che questo contrasto rivela l'altro volto (quello morto, dunque sinistramente estraneo) di una persona conosciuta ed amata. È solo comprendendo questo che ci rendiamo conto di quale sia una delle fondamentali strutture mitiche annidate dietro questo apparente aneddoto della moderna filmografia orrifica: è il mito di Orfeo ed Euridice. Il cui vero dilemma è, nella versione vulgata, nascosto; e per coglierlo bisogna - per così dire - guardare di lato: per esempio, a quella versione giapponese in cui il principe-semidio Izanami s'avventura fin dentro le caverne di Yomi"(ilnostro Ade) per riprendersi la sposa morta (questi semidei sono mortali) Izanagi, e sorprende la sua amata distesa nella sua tabe: un cadavere livido e putrefatto. Atterrito egli fa per ritrarsi, ma la «morta> lo ha veduto e lo aggredisce feroce: per il fatto stesso d'aver veduto la corruzione del suo corpo egli l'ha svergognata, ed ora lei vuole ucciderlo per ridurlo alla medesima putrefazione (lzanami sfuggirà a stento alle unghie mortali di lei). Ecco perché ad Orfeo fu proibito di rivolgersi in dietro a guardare la sua sposa; altro che dolce contemplazione della bellezza! Egli non doveva volgersi per non svergognarla osservando il segreto della corruzione fisica, dello stato cadaverico, di lei (e il castigo di Orfeo è un'eufemizzazione della morte, che sarebbe stata la sua punizione originaira). Questa tensione intorno alla donna viva/morta può dar vita a compromissioni, mescolanze ancor più conturbanti, sulle quali il maggior Romanticismo mette alla prova la sua visione metamorfica della realtà. Come in quel sogno che Shelley (nel lungo poemetto La rivolra del/' Islam) attribuisce all'eroe Laon, il quale sognando vede la beJlissima fanciulla amata, Cythna - ma quantum mutata dal suo stato normale! «Una forma femminile, ma ora macilenta e fredda e livida, I ricetto di variocolorati vermi, I pendeva in quel luogo; io trassi la sua guancia pallida e smunta I verso le mie labbra secche - ma quale mai scintillio animava / quegli occhi opachi come corno? A chi apparteneva quel corpo avvizzito? / Ahimé, ahimé! Sembrava che lo spettro di Cythna ridesse in quegli sguardi, e che la sua carne fosse tepida I Sotto i miei denti!. ..>. li eufemizzazione per cui questa scena è presentata sotto veste di sogno non ci trae in inganno sulla ben reale violenza alla quale è qui data voce: e che- mescolando desiderio ed ostilità nella comunione cannibalesca - mostra come il poeta ottocentesco (e nemmeno in uno dei suoi testi più belli) abbia tanto più coraggio mentale del regista hollywoodiano, anche se quest'ultimo opera in tempi che ingenuamente si pretendono rotti a tutte le audacie. Ma appunto, è questione di coraggio: il poeta, anche nell'eccesso di una descrizione non completamente controllata che sfiora il grottesco, dimostra un'integrità mentale e fedeltà alla sua visione a cui il cineasta in questo caso ha rinunciato fin dall'inizio. Perché, insomma: la misteriosa donna in questo breve episodio del film non è poi tanto misteriosa; essa incarna la nostalgia amorosa del protagonista (il cui matrimonio, lo si capisce da altre scene, è già naufragato), e al tempo stesso è il «doppio> demoniaco ed omicida proprio di quella moglie, che per il resto del film ci viene presentata come una santarellina. Ma tutto questo potenziale viene C.Ortesta Narciso Sta sempre a ridosso fra tillli i richiami e le ossa le finte, il riposo sul fianco, nel fiato s'annega fra palpebre più chiare scoprendo cime puntute o arcuate del lago credendo il battito leggero e le mani o il chiaro andirivieni, lontano da tulle le piste e ingoiato. Qui sbiàncati pantano e inumidisci la culla appia/lita a fior d'acqua per tanti suoi tremori, o tanti atri infanti che mozza lui ricco di parole e poi in mezzo a loro li seduce. Lettera al padre scivola, abbàssati, prima di salpare: ti aprirò le lettere più antiche, i fazzoletti orlati mentre si abbassa il sole e io non posso tra le querce incipriate e tra i casse/li di questi nudi tarli ci/ladini pensare al sole che insieme alle dolci pieghe abbandoniamo contro l'alba invernale, nelle drille strade in corsa che afferriamo· sapendo che verrà il pane quotidiano D gatto Pamino gli squarci disegnati, i diluvi cupi balzano traballano zittiti: mite sia il tuo risveglio con verdi luccichii. La mano si accosta e ti regala turba di onde, un ricciolo di coda, lontano stia dalla camera la rabbia e il rumore. Adesso Pamino non morire su scarpe prodigiose incollato senza tenerezza alla punta degli occhi boccheggia e poi vedrai quante ali di carta se spingi tra voce e sudore ai tremuli ginocchi sopportando il peso del corpo e i gesti lenti qui con più paura ti lamenti in cerca di tu/la la pazienza o forse un forte colpo di vento ti stacca non ti vedo più portarmi i tuoi livori e ti gonfi da sola, snudandoti fra rigide fessure o parlando dei quattro cantoni dove vanno appena agili a posarsi le tue ragioni ognuna rivestì il suo abito 'di piume e divenne uccello come prima la ragazza colpendomi debole si trovò e magra tra i rami superati in snellezza -- I l'acqua e i suoi piedi in prima fila con scaglie si getta nella mota agitandosi il lago o in riposo ha lasciato quei boschi di panno II da questa pupilla e dal cavo, sottile si tinge se affonda di regni venati la bava dove si slaccia più calda giù a fondo, allenta pipistrella lD la coltre sia composta nei traiti misurati da corolle: qui si tiene alla soglia contro una stirpe dolce di vento e si sfiata nelle palpebre macchiai~ il cane IV .. «ci sono lupi in questa sala?» Tagliole dai tesi piedistalli hanno fatto quieti i miei paraggi. Affonda, bisturi (o stiletto!) nel caldo della marmotta. V l'orto contro il predone a sua difesa cacciatori esemplari ha reclamato ma se strangola, caccia o divora erbivori di steppa o il bestiame l'animale da preda passa alla guerra al lupo assomigliando VI fertile ed inclinata nella sua successione, di erba si nutre scacciando la povertà di fresco e it riparo dall'acqua - uccisa e laccata - per la tua pelle per la rondinella calma per questo è fortissima la luce che s'è ammaestrata. Di questoleisa ogni contesa carponi in 1utte le volre sie/late: che a questo lei giunse berciando e straziando. Ma tacciano i coltelli veri se la pelle è malata.
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