John Cage ixty-Two Mesostia Re Merce Cunningh.am Cramps, 1974 Angus Heriot Tbe Castrati in Opera ew York, Da Capo Press, 1975 pp.243, $2.95 Demetrio Stratos Metrodol'1l Cramps, 1976 Demetrio Stratos «Dal piano preparato alla voce preparata>, in Jobn Cage, Dopo di me il sileazio Milano, Emme edizioni, 1978 Demetrio Stratos Cantare la voce Cramps, 1978 Demetrio Stratos cO Tzitzcras o Mitzcras», in Fatan Cramps,1978 Demetrio Stratos cDiplofonie e altro», in D piccolo H.ans n. 24, Ott/Dic. 1979 '' Le corde vocali vibrano non per l'aria sospinta dai polmoni, ma per impulsi provenienti da centri cerebrali (R. Husson, 1951). La teoria neurocronassica di Husson, dopo molti esperimenti, non è 9tata del tutto accettata dalla fisiologia moderna; in realtà tutt'ora non si sa esattamente da dove venga la voce ...». Cito Demetrio Stratos che parla della voce, questo fenomeno in pane ancora sconosciuto, alla cui riscoperta e valorizzazione Stratos ha dedicato la propria attività di singolare musicista-fonologo. La voce. Cosa c'è dietro questa parola, e a che cosa essa viene ricollegata nelle sue accezioni più immediate? Al linguaggio parlato (con le sue infinite implicazioni), al canto, al «bel canto» (che è un'altra cosa ancora), e in ogni caso, in genere, ad un tipo di comunicazione umana facilmente decodificabile. ulla di tutto questo. però. interessava Demetrio Stratos, perché la lingua parlata. il canto, sono già il risultato di una codificazione. di una coagulazione forzata e restrittiva delle possibilità infinite e sconosciute della voce intesa come fenomeno vibratorio delle corde vocali. Antica davvero, questa violenta ed impositiva codificazione-castrazione della voce, ricordo amaro del momento in cui fu «donata» all'uomo la possibilità di trasformare il suo primordiale flatus vocis in parola. e distinguersi dagli animali. e trionfare. Antica davvero come la caduta di Babele, ultima torre di una libertà espressiva volutamente cancellata da una tirannica stigmatizzazione dei linguaggi. La voce studiata da Stratos è invece l'insieme delle potenzialità e degli effetti sonori che questo fenomeno vibratorio-fisiologico crea e scatena; è l'insieme delle perdute possibilità prebabiloniche di espressione e di comunicazione; è il recupero di una complessa vocalità pre-culturale, se per cultura intendiamo l'imposizione normativista di una classe dominante. Un ricupero attuato. però, ricostruendo a ritroso - con l'attenzione dello storico e la genialità dello scienziato - la mappa dei guasti e delle mutilazioni provocate alla voce dal processo di civilizzazione occidentale. Dice infatti Stratos: «L'ipertrofia vocale occidentale ha reso il cantante moderno pressoché insensibile ai diversi aspetti della vocalità. isolandolo nel recinto di determinate strutture linguistiche. È ancora molto difficile scuoterlo dal suo processo di mummificazione e trascinarlo fuori da consuetudini espressive privilegiate e istituzionalizzate dalla cultura delle classi dominanti». Inserendosi dunque in pieno nell'ormai diffusa polemica che addossa pesanti responsabilità alla cultura di classe occidentale, Stratos mette in luce l'assurda categorizzazione estetica dei suoni (anche quelli prodotti da strumenti musicali, oltre che dalla voce umana). Categorizzazione che, ancor oggi, sottolinea nettamente la distinzione tra suono ( egradevole all'orecchio») e rumore ( «sgradevole all'orecchio»); e che ha dato vita al codice armonico classico. Altri sistemi culturali, invece, essendo sfuggiti alle categorizzazioni Cantarleavoce razionalistiche che hanno incarcerato la voce tra le quattro mura di Soprano, Contralto, Tenore e Basso, han potuto conservare un ventaglio molto più ampio di espressività vocale, ed anche un vasto raggio di sperimentatività affidata di volta in volta all'esecutore. Basti pensare alla vocalità collegata alla musica africana, oppure-per citare l'ultimo campo di indagine di Stratos. rimasto purtroppo incompiuto - alle forme vocali del teatro coreano P'ansori, oppure a quelle tutt'ora semi-inesplorate degli indiani d' America. Il maggior vantaggio per questi sistemi culturali non occidentali - che, lungi da una facile interpretazione naturalistica, fanno invece capo ad un complesso codice vocale e strumentale - è costituito dall'essere sfuggiti al sistema temperato, a quella scala temperata su cui in fondo vengono costruiti tutti gli strumenti; e quindi anche la voce dei cantanti. Capace di pensare e di muoversi soltanto entro una scacchiera fissa di toni e semitoni, il «cantante ben temperato», evidente nemico di Stratos, racchiude con gioia e soddisfazione le proprie emissioni vocali entro gli angusti limiti di un pentagramma (o parte di esso); e abbandona. anzi percepisce come negativo, qualsiasi sperimentazione vocale non codificata dalla norma. Gli operai dei camieri «Le11i11d»i Da11zica. e ontro tutto questo, Stratos si ribella sin dall'inizio degli anni settanta. quando decide di dedicarsi ad approfondite ricerche sull'uso della vocalità. e di dare contemporaneamente origine al gruppo di musica progressiva «Area». Con lui, si riafferma lo strumento-voce: «Oggi si parla della voce come di uno strumento difficile da suonare; ma contrariamente a qualsiasi altro strumento che può essere riposto dopo l'uso, la voce non si separa mai dal suo proprietario, e quindi è qualcosa di più di uno strumento ...». È chiaramente «qualcosa di più», dal momento che vive in prima persona la totalità delle espressioni vocali umane. Tutte, comprese ovviamente quelle «non temperate», comprese quelle «non an.istiche», e quelle che gli antichi greci cpre-Stratos» avrebbero definito barbare, mutuando dal sanscrito quel barbarah che significa balbettio. cioè una voce-lingua non corretta, non comprensibile, e dunque nemica. Comprese, infine, quelle espressioni vocali che Giancarlo Cardini definisce con arguzia cdi tipo 'sporco': mugolare, canticchiare, sospirare. soffiare, urlare (anche!) quasi per il bisogno di un'adesione più immediata, fisiologica, con la musica». Gigliola Nocera Inutile dire che anche e soprattutto per Demetrio Straros. cosi come per Giancarlo Cardini. le espressioni vocali «sporche» sono le più interessanti, le più adatte a rappresentare ciò che. per cosi dire. sta fuori della cornice invece che sulla tela, luogo canonico della creazione artistica. «Ormai i brutti suoni hanno diritto all'ascolto», afferma Lyotard. E ne hanno diritto, aggiumgiamo noi, perché in questa desemantizzazione di bruttezza e bellezza. ogni suono/ u11suono (come dice John Cage ammiccando a a rose is a rose di Gertrude Stein ). E questa desemantizzazione della voce. seguita a sua volta da una sua risemantizzazione su basi eterodosse, è stata l'operazione culturale. su cui Stratos ha costruito il suo far musica, le sue irripetibili performances. È l'operazione che oggi possiamo rivivere riascoltando i lavori da lui- incisi per la Cramps, ed alla realizzazione dei quali hanno partecipato vari musicisti ed intellettuali delle medesime convinzioni: da John Cage a Juan Hidalgo, da Walter Marchetti a Gianni Sassi, da Gianni-Emilio Simonetti a tutti gli «Area». Nella voce che esprime se stessa, dunque, non ci sarà più differenza tra «bel canto» e stonatura, tra gorgheggio e versaccio; e, naturalmente, non ci sarà neppure differenza tra maschile e femminile. All'interno di quest'ultima differenziazione, la Cultura storica aveva poi creato un principio di supremazia del maschile sul femminile, della voce-uomo sulla voce-donna. «Mulier taceat in ecclesia», aveva decretato San Paolo; e da allora fino a tutto il diciassettesimo secolo, seguendo la ricostruzione storica di Angus Heriot. la cristianità forni un genuino «alibi mu icale» per l'esi tenza dei cantanti castrati. Uomini alla ricerca, come nel mito platonico degli androgini. dell'altra «metà» smarrita, ai quali la cultura dominante imponeva di ricuperare, a prezzo altissimo, il «femminile» perduto. In chiesa, cosi come del resto su qualsiasi palcoscenico, era dunque la voce-uomo a dominare, manifestando i tanto al maschile quanto al femminile; perché solo dalla voce-uomo nascesse. ancora una volta. il suo indispensabile complemento biblico: la voce,donna. All'abolizione di ogni differenziazione tra vocalità maschile e femminile corrisponde, in Stratos, anche quella tra vocalità infantile e vocalità adulta; le «Criptomelodià infantili» che fanno parte di Camare la voce non rappresentano la distruzione di un mondo fiabesco operata attraverso una ripetizione straniata (sul piano timbrico e semantico) delle tiritere della nostra infanzia. Rappresentano semmai un esempio polemico di narratività vocale basata su principi del tutto diversi da quelli che danno luogo. nel mondo degli adulti, alla voce-da-fiaba. Quest'ultima. assieme alle tante «voci» prigioniere delle categorie canore e dell'estetica del suono, rischia di non comunicarci più niente: «La voce è oggi nella musica un canale di trasmissione che non trasmette più nulla». annota Stratos per Il piccolo Hans. «La musica che si ritrova attraverso la 'forma-voce' ed i suoi environments. allontana il problema-voce, 'dimenticata nella custodia della laringe' (cfr. G.E.Simonetti) a causa di una pretesa oscurità ed inaccessibilità nel fondo del pensiero». E invece Stratos libera la custodia della laringe; e lo strumento-voce, la sua voce. fuoriesce da quest'ultima come dal vaso di Pandora, pronta ad eseguire il mai dimostrato, a dire il mai dello. a sdoppiarsi e moltiplicarsi in «diplofonie, triplofonie e altro». e antare la voce, dunque: Ma come fare ascriverla? In che modo Stratosscriveva la propria voce? Di lui non ci restano libri teorici, né manuali di quella che definirei una «neumatica vocale»; non ci restano partiture, intese nel senso classico del termine. Solo appunti. ricchissimi, complessi. ma ancora in attesa di un lavoro di sviluppo. di una decodificazione pubblica. A volte. come nel caso di «Appunti per un discorso sulla voce», pubblicati su I/ piccolo Harrs. s'è dovuto ricorrere alle annotazioni di allievi che seguirono le lezioni da lui tenute al Conservatorio di Milano nella primavera del 1979. Probabilmente. scrivere la voce doveva apparire al greco Stratos cosa assurda e folle; come pretendere di scrivere quella tragos odé, quel canto del capro che diede origine alla tragedia greca. « Il nostro lavoro si collega con la follia. La gente rimane sconvolta. perché la voce può ricamare strani meccanismi sulla mente. e si può arrivare a provare disgusto, follia». È vero. Cosi come è folle il tentativo di scrivere l'alfabeto della voce. Tutte le avanguardie artistiche si sono misurate con il problema della scrittura; ma in grado di molto minore per quel che riguarda il versante della voce. Per essa non è mai esistita una neumatica musicale e strumentale. Dal tempo dei codici miniati ad oggi, la parte vocale, il «testo» è stato sempre inserito, con strategica accortezza di amanuense, negli spazi lasciati liberi dalla prepotenza delle note. In questo vuoto residuo, in questo bianco estraneo al pentagramma e quindi alla creazione musicale, la parola (e con essa il suo strumento esecutore. la voce). ha subilo un secolare asservimento, una impietosa sillabazione; è stata vittima di sincopi, crasi, apocopi forzate. ma obbedienti alle esigenze degli strumenti cui quella parola. e la sua voce, si andavano appoggiando. Ecco perché, per Stratos, la voce in musica - asservita ad una parola di già subordinata al testo musicale - rischia di non comunicare più nulla. Anzitutto perché nel suo asservimento al testo. alla lingua. e quindi nella sua reificazione. la forma-voce «si perde espressionisticamente come grido. fodero di un contenuto in cui la lingua si depone al pari della spada del significato» (Gianni-Emilio Simonetti). Inoltre. perché il suo ulteriore asservimento neumatico ad un pentagramma occidentale temperato. ne decreta il totale assoggettamento .:stetico e «fisico» a quest'ultimo. La voce di Demetrio Stratos, che oltrepassa volutamente i limiti della comunicazione per sfociare a volte nel «gioco autistico» di Ivan Fonagy, si stempera invece nel divertimento neumatico dell'oralità. È la stessa oralità ricuperata dalle avanguardie storiche nella poesia sonora; quell'oralità che spingeva Artaud a non «scrivere» il suo urlo. e Kun Schwitters a non redigere la partitura musicale dei suoi poemi fonetici. Varcata la soglia della pertinenza linguistica, della compostezza semantica. e fatte esplodere anche le unità minimali. il fodero si fa spada, e la voce non ha più bisogno di un codice neumatico che creerebbe, proprio in quanto codice, un nuovo limite al di là del quale esiste nuovamente la wilderness, il peccato, l'indicibile. Ecco perché la partitura per voce sola di John Cage, Sixty-Two Mesostics Re Merce Cunningham, eseguita da Stratos, è formata semplicemente dalle parole del testo, scomposte e ricomposte in modo tipograficamente straniato. per fornire all'esecutore un gioco suggestivo di asperità grafiche. Ecco perché la ricetta della bizantina donna-medico Metrodora («Come gridare e produrre qualsiasi suono con la voce»), diventa semplicemente - nelle mani di Stratos - una riscrittura del testo attuata su carta (forse casualmente) millimetrata. Impossibile pentagrammare Metrodora; impossibile «scrivere la voce» di «O Tzitzeras o Mitzeras», piccolo gioiello dell'antologia di poesia sonora Futura. Sl. su ciò di cui non si può parlare. è meglio tacere, e anche Cage «tace». cosi come fu costretto Sch6nberg a «tacere» sull0Sprechgesa11g, e a spiarlo semplicemente dal nascondiglio delle sue «istruzioni per l'uso». Q el che Stratos ci ha lasciato di scriuo della sua voce. sono le suggestive spettrografie ottenute con il V. l.S. (Voices ldentification System), unico documento tangibile delle sue diplofonie e triplofonie, dei suoi fischi glottici doppi, dei suoi yodel da 880 Hz. Tullo il resto è affidato, come nei poemi omerici, all'oralità di un'unica testimonianza che oggi la tecnologia discografia ci permette di riprodurre benjaminianamente all'infinito. E a chi. a questo punto, dovesse diligentemente porsi problemi di «aura», diligentemente si risponderà che la voce-Stratos continuerà all'infinito a «ricamare strani meccanismi sulla mente». e magari a provocare «disgusto. follia». Proprio come la vocalità, definita pericolosamente selvaggia, degli schiavi americani; cui fu presto proibito di cantare nella mitica Congo Square perché la loro espressività musicale, la loro africanità vocale, veniva intuitivamente decodificata come estranea alla grazia di Dio. lontana da ogni rassicurante rigore contrappuntiMico; ma soprattutto, in definitiva, libera da qualsiasi sottomissione all'Establishme111. È questo il crinale su cui la voce mette in gioco se stessa, ed è vivendo su di esso che Demetrio Stratos ha potuto affermare: «Se una 'nuova vocalità' può esistere dev'essere vissuta da tutti e non da uno solo: un tentativo di liberar i dalla condizione di ascoltatore e spettatore cui la cultura e la politica ci hanno abituato. Questo lavoro non va assunto come un ascolto da subire passivamente, ma 'come un gioco in cui si ·rischia la vita'».
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