Alfabeta - anno II - n. 17 - settembre 1980

,: ., "" ~ ._ _________ ...._ _______________ __, dell'economia politica. Se tuttavia è questa la critica che va mossa a Napoleoni, quella cioè di aver fatto precipitare la scienza nel mondo della circolazione (e di avere in questo quadro accettato l'armamentario teorico dominante), non si capisce in quale modo la considerazione del denaro, della circolazione monetaria e delle «suggestioni» di Schumpeter e Keynes possa far pensare a Cafaro e Messori di risolvere il «rompicapo» del valore. Se è anche vero infatti che il denaro non è per Marx un semplice mezzo di scambio. tuttavia l'assunzione della forma-denaro da parte del valore comporta concettualmente che la determinazione del prezzo, in quanto diverso dal valore, sia stata già compiuta. In altri termini, sembrerebbe (almeno a stare alle poche indicazioni fornite) che l'ipotesi di Cafaro e Messori configuri uno slittamento dal problema di Marx e dei classici, piuttosto che una effettiva «soluzione». M a è poi vero che questa sol~zione non c'è. o che non è stata ancora trovata. e che anzi i vizi logici del procedimento marxiano rendono inservibile la teoria del valore-lavoro o la confinano nell'ambito delle «mere definizioni» (Vianello, in Alfabeto n. 13)? Qui in Italia su questa questione si è assistito negli ultimi anni a un curioso fenomeno di «autosuggestione» teorica. Il fatto che il valore-lavoro non sembri poi cosl essenziale, se ci si limita alla enunciazione di quelli che sono i semplici rapporti di scambio empirici tra le merci, si è trasformato per molti in una «incoerenza interna» - e conseguente «inammissibilità» - della concezione marxiana. Ci si è appigliati ad un algoritmo. ad una non conservazione di somme. sostenendone l'essenzialità nel processo marxiano. quando invece è stata ampiamente mostrata l'origine del collasso di quelle quantità totali. giacché nella circolazione - dove i rapporti di scambio assumono la forma di prezzi- i capitalisti si presentano come acquirenti oltre che come venditori. e dunque l'ordine delle determinazioni si inverte, « ... il prezzo determinerà il costo di produzione ...» (Marx.Lineamenti, Voi. Il. p. 478). Nella letteratura corrente è invece calato un velo non solò sulle vecchie indicazioni metodologiche di un Ro- ,dolsky. ma anche sui lavori più ag- ~iornati• di chi ha saputo coniugare 111ctododialettico e rigore formale 1 l'fr. per tutti: L. Meldolesi, in Saggi in ,,nore di A. Pesenti. Giuffrè, 1977 e I .aise-Pala-Valentino. in Note Economiche. Siena, 1977). o di chi ha cer- ,·ato di riformulare l'esposizione mar- , iana nei termini di più moderne acquisizioni epistemologiche (cfr. A. ( iianquinto. Critica dell'epistemolo- ~ia. 2• ed .. Marsilio). Si potrà ora "discutere su questo o quell'aspetto di tali formulazioni. ma ,embra comunque assai azzardato sostenere che la possibilità di sostituire le quantità di lavoro con le quantità fisiche. per quel che auiene soltanto alla determinazione dei prezzi fenomenici (possibilità che occulta tuttavia l'essenziale distinzione tra lavoro morto e lavoro vivo). implichi la necessità del collasso del sistema concettuale di Marx. Questo travisamento. insieme alla rimozione delle «soluzioni» indicate. appare allora per quello che è: un «decreto metodologico». un «accordo tra specialisti». per sua natura privo di fondamenti obbiettivi e dunque puramente convenzionale. Su tutte le obiezioni vale infatti, provocatoriamente. l'affermazione di Lakatos, secondo la quale «non c'è alcun criterio formale per la correttezza di una formalizzazione». Con ciò entra in crisi la predilezione stessa per le teorie formalizzate, giacché è ovvio che elementi di incoerenza interna possono sempre essere corretti. Ciò vale del resto anche per le teorie marginaliste. come giustamente ricQrda per altri versi Graziani (Rinascita. 14/3/80). Torna allora probabilmente appropriata l'osservazione più generale di G. La Grassa, secondo la quale «la scienza· sociale cosiddetta borghese non è affatto irrealistica, ,né compie una pura opera di mistificazione ideologica. Al contrario essa può condurre ad una 'esatta' conoscenza della realtà, ma in uno solo dei suoi livelli. Il complesso rimane quindi oscuro, ed in questo senso la realtà può subire una sorta di distorsione» (op. c_it., pp. 125126). È in questo quadro che può apparire forse possibile concepire il sistema di Sraffa come condizione limite. come «caso speciale» del sistema di Marx (nel senso indicato ad es. dalle recenti considerazioni metodologiche di Sneed e Stegmuller). Diventa tuttavia essenziale, a questo punto. chiarire meglio quali sono gli elementi di oscurità e di distorsione di cui parla La Grassa, ovvero saggiare a fondo quelli che sono, come dice Lunghini, gli «effetti devastanti> delle formalizzazioni, tanto devastanti che lo stesso «posto di Sraffa» resta alquanto oscuro. È forse esemplificativo, a questo proposito, il riferimento in negativo ad una osservazione di Garegnani del marzo 1978 (Rinascita, n. 13): «Supponiamo che un servo della gleba debba spendere metà della sua settimana lavorativa sul campo del suo signore, mentre un secondo servo debba spartire a metà con il signore il proprio prodotto: diremmo che il primo è sfruttato e il secondo no? Chiaramente il fatto che nel primo caso il prelievo sia misurato direttamente in pluslavoro e nel secondo in plusprodotto, non fa differenza alcuna». Certamente, dal punto di vista strettamente contabile, non fa differenza alcuna. Ma in questo modo Garegnani si è già messo completamente sul terreno della distribuzione del reddito, cancellando con ciò, insieme alle «differenze», il problema stesso della struttura dei rapporti sociali. L a natura delle differenze è manifesta invece nell'ultimo lavoro di G. La Grassa. in cui viene tra l'altro sottoposta a critica una delle interpretazioni più comuni del marxismo, a proposito del nesso fondante i rapporti sociali. L'identificazione esatta di questo nesso appare ovviamente centrale, quando si pretenda di dar corpo ad una critica di tipo rivoluzionario. Il paradigma corrente. nella storia del movimento operaio. individua questo nesso nell'affermazione e nella generalizzazione della forma-merce e del mercato. Conseguenza necessaria di questa visione è la riduzione del processo di transizione alla regolazione pianificata della società. attraverso la statizzazione dell'economia. la dislocazione «razionale» delle risorse. o - al massimola definizione dei rapporti quantitativi tra le merci. in relazione ai « bisogni sociali». Nulla che investa immediatamente i rapporti sociali nell'ambito della produzione materiale stessa. Anche negli autori più moderni (Lippi. Napoleoni. Colletti, De Giovanni) La Grassa coglie una accentuazione di questo aspetto, sicchè il lavoro astrauo diviene tale non per il suo statuto di lavoro sussunto al capitale, ma in quanto livellato dalla necessità di assumere la forma di merce. Ciò comporta la capacità di descrivere al massimo il feticismo, la reificazione, la distribuzione sociale del lavoro, ma certamente implica una.sottodeterminazione della categoria del valore rispetto a quella del valore di scambio. La Grassa. che pure si riconosce nel solco della tradizione marxista, ritiene dunque necessario un mutamento di paradigma. che sposti il «centro di gravità» dell'analisi da/l'astrazione merce al lavoro astrauo. Seguiamo meglio questo passaggio. La Grassa insiste molto, e non da oggi, sulla necessità di analizzare il fenomeno della sussunzione reale del lavoro, piuttosto che quella formale. di privilegiare cioè il processo reale di astrazione del lavoro, piuttosto che quelloformale - di sua riduzione a merce. Si tratterà di vedere allora come il lavoro astratto diventi tale soprattutto nel suo rapporto concreto con la macchina, con l'incarnazione materiale - cioè - del dominio capitalistico. Da questa angolazione. i rapporti di produzione assumono un ruolo predominante rispetto alle forze produttive, che vengono in qualche modo struuurate proprio dalle esigenze di auto-valorizzazione e di dominio del capitale (11riferimento teorico è a Panzieri, oltre che a Mao e Bettelheim). D'altra parte. la frantumazione del processo di produzione, già all'origine necessaria per rendere possibile l'espropriazione del plus.prodotto e per «mascherare» la natura del profitto, diventa il processo elettivo di sviluppo del capitale. Per tale via si approfondisce il rapporto di sfruttamento, sia dal punto di vista del rapporto di valore che da quello del puro dominio. La frantumazione dei processi concreti di produzione, che le forme di concentrazione finanziaria non contraddicono. rimanda del resto alla necessità di apparati di mediazione sempre più complessi, che si sviluppano nella sfera della circolazione. Da ciò discenderebbe anche la maggiore complessità dello Stato e l'illusione della funzionalità del decisionismo. L, analisi di La Grassa non si ferma dunque alla ridefinizione del lavoro astratto. bensì descrive il processo sempre più approfondito di astrazione del lavoro che accompagna lo sviluppo capitalistico. La sua è dichiaratamente una visione dinamica, il cui indicatore fondamentale non è più il classico saggio del profitto, bensl il saggio del plusvalore, la cui tendenza all'aumento sarebbe iscritta nel movimento stesso dello sviluppo. II collasso del sistema non risiede più perciò nella marxiana caduta del saggio di profitto, bensì nell'aumento dell'entropia del sistema, che l'autovalorizzazione del capitale sollecita in modo quasi fisiologico. Qui la formulazione è in realtà più ipotetica e qualitativa che analiticamente mostrata. La Grassa lo ammette, ma insiste nel proporre un diverso angolo prospettico, consapevole delle importanti conclusioni che in tal modo è possibile trarre. Il processo di transizione al comunismo assume ad es. tutt'altra prospettiva rispetto a quella tradizionalmente consolidata, anche se nel ribaltamento tra rapporti sociali e forze produttive si perde quel «processo di storia naturale» in cui Marx vedeva iscritta la necessità stessa del comunismo. Il rifiuto invece di qualsiasi parallelismo aprioristico tra logica e storia, la negazione del fatto che la classe operaia, in se stessa, debba rappresentare la negazione dello sfruttame,nto, implica il fatto che tutto il peso della trasformazione venga assunto dalla-critica della scienza economica, in quanto critica della conoscenza del reale dal punto di vista della circolazione, in quanto sconnessione della società capitalistica. in quanto apertura di nuovi campi di possibilità per la transizione stessa. La forzatura dell'asse concettuale di Marx è qui evidente e ammessa: si tratta tuttavia. per questa parte, di aspetti già condivisi da altre linee di pensiero, mentre per il resto si tratta soltanto della formulazione di una linea di ricerca e non certo conclusioni. Appare ad es. da definire meglio in quale modo si concretizzi realmente l'approfondirsi dello sfruttamento, sotto che connotati e con quali implicazioni. Perché se è vero che la fenomenologia mostra il moltiplicarsi di figure e di connessioni sociali, il processo di astrazione reale del lavoro è pur sempre il modo in cui si dispiega una forma di lavoro sempre più lontana dai particolarismi e dall'cidiotismo» dei mestieri. spesso connessa con funzioni di controllo su un processo automatico. Come è noto, del resto, che lo sviluppo della produttività sociale, a cui sono connessi i movimenti del plusvalore relativo, è senz'altro all'origine dell'approfondirsi dello sfruttamento, ma è anche il motore che contrae il lavoro necessario, e con ciò l'obbiettiva necessità del lavoro. Le connessioni della produttività del lavoro con l'aumento della composizione organica, con i movimenti del saggio del profitto e col deperire della valorizzazione stessa, sono poi troppo noti perché ci si debba tornare ad insistere. Tutto questo per dire, concludendo, che se anche l'orizzonte in cui siinuove La Grassa dà conto non solo delle «rimozioni» della scienza economica, ma anche degli errori prospettici interni alla sua critica, la ricerca può dichiararsi tutt'altro che chiusa.

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