• maggio INTERVISTA. l'aggressività contro fa natura e contro gli altri è naturale o culturale? I sarà possibile una scienza diversa, non aggressiva? Di questo e altro ci Ila parlato Giorgio Celli, etologo. In terza. I' comprensibile detestare gli uomini in nome degli animali? Una feffera. In terza. DISCUSSIONI. Sull'intervista a Giannozzo Pucci del numero scorso. Intervengono: sul "limite", Patrizia Genti lini; sull' "identità", franco Melandri; sul tema dell'aborto, Raffaele Barbiero. In seconda. I poi, di don Sergio Sala, il ricordo di Padre Turoldo e di Bafducci. POLITICA. Cos'è fa Lega? Iniziamo una discussione. L'intervista è a Renzo Del Carria, della Lega Toscana, ex "intelleffuafe di estrema sinistra", ma federalista allora e federalista oggi. Interventi di Rocco Ronclli, di Giovanni Tassani, di Massimo Tesei. In quarta e quinta. ASSOCIAZIONISMO EVOLONTARIATO. Una realtà enorme ma poco conosciuta. Ne discutono Piergiuseppe Bertaccini, caffofico, della "Paolo Sabini", franco Pardolesi del "Club forza forf l" e Gabriele Zelli, assessore. In sesta. AMBIENTE. I' giusto canalizzare i fiumi tagliando tuffi gli alberi? Ne discutono tre tecnici dell'ex-genio civile. In seffima, insieme all'intervento, per "lapidi", di Roberto Balzani e alla rubrica "un mese, una ciffà" di Andrea Brigliadori. RICORDARSI. Gli interventi alla "giornata di ricordo, di riparazione e di riflessione" sull'eccidio di ebrei del 44. Iniziamo con quelli di Liliana Piccioffo fargion, di Gianni Sofri, di Cesare finzi. I pubblichiamo il progeffo, in via di affuazione, per una sistemazione delle tombe al cimitero che renda onore alle viHime e ripari alla rimozione di un'intera ciffà. VIAGGI. Libero Casamurata ci parla del Kyber Pass e dei suoi guerrieri islamici e Stefano Guidi ci racconta come in Giappone si può "morire di lavoro". COSTUME. Le palestre: un mondo, anche strano, che va dal body building all'agonismo culturista femminile. Interviste a Fabio Gramellini, istruttore e ad Afbarosa femminella, campionessa di culturismo. I poi, di tuff' altro genere, un intervento "sul corpo" di Ivan %affini. In dodicesima e tredicesima. ALTRIANIMALI. La realtà da incubo degli allevamenti intensivi è raccontata da Roberto Marchesini. Vi dedichiamo la copertina. In quaffordicesima e quindicesima. ~y~~cLOanoressia, un tema difficile. Ne parla Viviana Venturi, psicoterapeuta. In ultima.
Quanto affermato da Giannozzo Pucci nell'intervista pubblicata nel numero scorso ha suscitato molteplici reazioni, di cui cominciamo a rendere conto con alcuni interventi. Resta certo che, a prescindere anche dalle convinzioni su come affrontarli, problemi come l'aborto, l'ingegneria genetica, la sessualità e la procreazione, il rapporto con la natura, sono al centro dell'attenzione di tutti. Vorremmo tenere aperta la discussione. Nei prossimi numeri torneremo su alcuni di questi problemi. IL CANTO E LA FERRA Giannozzo Pucci, nell'intervista apparsa sul numero scorso di "Una Città", dice molte cose ed appunto per questo parla di una sola: la questione dell'identità. Attorno a quysto problema gira tutta l'intervista; dalla sua visione dell'identità trae origine e senso quel che dice sull'aborto, sull'ingegneri·a genetica, sulla natura. Per Giannozzo Pucci la questione è, tutto sommato, abbastanza semplice: "l'identità è qualcosa (...)che ruota attorno alla trasmissione della vita" perché "nella nostra fisicità, nel nostro corpo, e' è tutto l'universo". Come per i neurologi, per cui la questione del pensiero si riduce, alla fin fine, ad una questione di attività chimica ed elettrica del cervello, così per Pucci tutto, nell'essere umano, si riduce alla sua corporeità. Una corporeità per cui il problema della morte, e quindi della vita, si pone solo una volta persa la condizione edenico/fetale originaria; quella in cui Adamo, che "non sapeva cosa significasse dover morire", appunto per questo" era libero ed ha scelto di mangiare il frutto proprio perché era libero". Come uomini abbiamo quindi perso la nostra identità, e la nostra libertà, originaria e, per non ricadere nell'errore di volere scegliere, non possiamo fare altro che limitare (anzi, far limitare "a livello istituzionale") la nostra possibilità d'agire, nella speranza di ritrovare quello stato fetale che sempre ricercheremmo. Per quanto enunci posizioni estreme e metta in luce questioni drammatiche alla fin fine il discorso di Pucci è, come si diceva, semplice, per molti versi consolatorio: ritornare alla madre terra, lasciarsi essere sperimentando le gioie dei limiti che essa pone, far ritornare le nostre radici dal pensiero, cioè dal regno della domanda e dell'incertezza, al regno del certo, al suolo, alle stagioni, quello in cui siamo veramente liberi perché, in fondo, non siamo costretti a scegliere. Ma è veramente così? Lo stesso Pucci afferma che "l'uomo è come un albero rovesciato( ...) E' come se avesse le sue radici nel pensiero" e se così è questo è ciò da cui occorre partire, questa è la stimmate che come esseri umani dobbiamo portare. Purtuttavia dire che le nostre radici sono nel pensiero non ci dice più di tanto, ci dice solo dove è la nostra identità, non quale essa possa essere. Ma se il problema è quello di una identità che attraverso il pensiero dobbiamo ricercare, allora è ben misera cosa indicare nella nostra biologia, nella nostra fisiologia, l'elemento fondamentale perché sarebbe come dire che lo zoppo o il cieco sono solo tali, che tutto ciò che sono si riduce unicamente, o principalmente, all'essere zoppi o ciechi. Ma proprio perché abbiamo "radici nel pensiero" ognuno di noi è qualcosa di irriducibile all'essere zoppo o cieco, macilento o atletico, miope o con la vista d'aquila. Da questa considerazione il pensiero, occidentale e non, ha preso le mosse ed ha cercato un elemento che gli desse il senso chiaro di questa "uscita" dalla biologia,. attorno a cui organizzare l'identità, con cui orientare un agire consapevole di essere tale. Il pensiero occidentale ha per molto tempo identificato nella razionalità, nel principio di non contraddizione autofondante, questo elemento cardine, attorno ad esso abbiamo creato il nostro "io"; un "io" che, ponendosi fuori dal mondo, si è dato gli strumenti per rapportarvisi. Ma è questo stesso principio razionale, che ci ha fatto ritenere "oggetto" a disposizione del pensiero tutto ciò che pensiero non è, che in un delirio di onnipotenza sta proprio ora mostrando pienamente il suo volto nefasto: la catastrofe ecologica ed quella antropologica sono alle porte, quella sociale è probabilmente già in stato avanzato. Pucci ha ragione nell'identificare nell'onnipotenza della razionalità la radice della crisi della nostra epoca, ma commette lo stesso errore dei razionai isti ed identi fica la metafisica del la razionalità con la capacità di pensiero; ad essa coniuga irreversibilmente la nostra identità, la nostra possibilità di essere e di agire. Ed è proprio qui che tutto il suo ragionamento, pur mettendo in luce problemi reali, si dimostra inadeguato ad essi. Sostituire alla razionalità un'idea di natura è solo cambiare il fondamento dell'agire umano, non il modo di rapportarsi con tale questione. Pensare che ogni scelta umana debba essere fondata su qualcosa di "oggettivo" è sfuggire al dramma che l'avere "radici nel pensiero" di per sè pone: quello che come esseri umani noi in qualche modo ci autofondiamo e questo autofondarci, che ci fa sentire il resto del mondo come "assenza" cui porre rimedio, è la sfida che al nostro pensiero, al nostro essere, al nostro agire si impone. Dice Bruce Chatwin ne "Le vie dei canti" che per gli aborigeni australiani "la terra deve prima esistere come concetto mentale. Poi la si deve cantare. Solo allora si può dire che esiste" perchè "il canto e la terra sono tutt'uno". Di questo canto, cioè di questo fare/dire dell'uomo, quel che soprattutto importa è la melodia, cioè il "senso" del canto: gli uomini possono ripetere le parole ed i modi con cui questa melodia è stata cantata in precedenza o possono decidere loro con quali parole e modi cantarla. Cantando essi viaggiano attraverso tutto il continente australiano, lo fanno esistere e si fanno esistere. Col canto, e nel canto, essi trovano la loro identità e il senso e la libertà del loro agire al punto che, per loro, l'uomo non muore tanto quando la sua biologia muore, ma quando egli dimentica il suo canto o non può più cantarlo nemmeno fra sé. Per gli aborigeni il canto è il "tempo del sogno", cioè il momento in cui il cantante ha la piena percezione che il suo canto, le sue parole ed il suo modo di cantare, al meglio continuamente ricreano il mondo, e quindi sé stesso, in modo irripetibile eppure continuamente ripetuto. Forse cominciare a porci il problema di "come" e "cosa" "cantare" ci potrebbe aiutare ad uscire dal dramma che le parole di Pucci mettono in luce, ma che, forse al di là delle sue intenzioni, contribuiscono ad accrescere. Franco Melandri i I POI CHI LIMITE? Ho letto e riletto l'articolo "La gioia del limite•· apparso nel numero di aprile. L'interesse è stato vivo fino all"ultimo rigo, ma, ammetto, diversi passaggi mi hanno fatto ribollire il sangue. E mi vengono alcune considerazioni "a caldo". Non condivido praticamente nulla di quanto afferma !"amico fondamentalista Giannozzo Pucci; l'unica cosa che condivido è il senso di frustrazione ed insoddisfazione nei confronti del mondo in cui siamo, ma non mi trovo d'accordo con nessuno dei rimedi proposti. Intendiamoci, non sono certo una fanatica sostenitrice del "progresso•· della "scienza" o del capitalismo. Venerdì al giornale radio delle 8 è stato comunicato, direi con soddisfazione del commentatore, che nella Piazza Rossa scompariranno i vecchi simboli e faranno apparizione le pubblicità delle sigarette e della Coca-Cola. Mi sarei messa a piangere, non è certo questo il mondo che sognavo, non considero certo espressione di civiltà la pubblicità della "morte in pacchetto". Certo che fra tutte le specie presenti nel mondo l'uomo si è fatto largo a gomitate, instaurando un rapporto sbagliato e violento con la natura e l'ambiente, distruggendo senza limite non solo altre specie animali e vegetali, ma i suoi stessi simili. Vi ricordate Caino e Abele? Forse che loro avevano un limite? Il limite penso non sia mai esistito, l'uomo non è capace di darsi un limite, perché penso che violenza ed egoismo per primi non abbiano Limite. Mi sembra molto semplicistico augurarsi e ricercare un ritorno alle origini, al passato, al mondo bucolico e pensare che tutto il male venga dalla scienza. Mi sembra sinceramente un sogno un po' infantile. Forse che il mondo al tempo dei greci, dei romani o del medioevo era meno violento, la gente aveva più limiti? Certo le leggi erano più severe e si bruciavano le streghe. Io mi vedo già sul rogo ... Davvero non vedo un razionale in tutto questo, penso purtroppo che la natura dell'uomo sia fondamentalmente violenta, non credo certo che la colpa di questo sia degli scienziati, nonostante che anche in questo campo ci siano state delle aberrazioni. Dei limiti ci vogliono, la sperimentazione sugli embrioni è stata per fortuna abbandonata, proprio dagli scienziati che per primi si sono accorti che stavano giocando col fuoco: hanno richiesto l'intervento di comitati etici ed hanno preteso l'apertura e il dibattito su questi temi da parte di tutta la società civile. Credo che mai come in questi anni ci sia attenzione proprio nella comunità scientifica e medica verso l'uomo "in toto", si tende ad un recupero del dialogo con la persona "malata" dopo che questo era stato spezzettato in mille rivoli di specialità e branche diverse. Mai come in questi anni è vivo, almeno nella pratica e nella mente degli oncologi, il problema della qualità della vita, dell'accanimento terapeutico. Direi che proprio dalle sfere più alte e impegnate dell'ambiente medico e scientifico si è sentita l'esigenza di recuperare l'integrità dell'uomo come persona, sia da sano che soprattutto da malato, quando per forza di cose si trova "dipendente" da altri. lo penso che la più grande dote del l'uomo sia la curiosità: perché Adamo ha mangiato la mela? Era curioso di assaggiarla. Perché si è sviluppata la scienza? Perché l'uomo è curioso. E perché non si deve essere curiosi di sapere come fa una cellula maligna a metastatizzare? Curiosi di sapere dove è stata addormentata tanti anni in un corpo per poi svegliarsi ~ diventare peggio di una bomba atomica per il suo disgraziato ospite? Se non c'era qualcuno curioso di vedere perché le malattie si sviluppano, cosa c'entravano quegli animaletti che si isolavano dai liquidi infetti e si vedevano al microscopio, oggi ancora dovremmo combattere con malattie terribili come il vaiolo, la peste; i grandi flagelli dell'umanità oggi non esistono più! Dobbiamo buttare a mare la scienza con tutto quello che ci ha dato? Dobbiamo tornare a fare 15 figli non graditi e male allevati? Dobbiamo piuttosto fare figli per abbandonarli nella ruota? No, grazie. Proprio non ci sto. Meglio l'aborto clandestino perché almeno una rischia e paga di persona? Scusate, ma per me queste sono barzellette: non ho mai visto una persona fare una interruzione di gravidanza a cuor leggero e, tengo a dirlo, non sono certo una "abortista", ma non ho mai fatto obiezione di coscienza. In definitiva le idee esposte in questa filosofia fondamentalista non sono da me condivise per tre motivi: sono utopiche, generiche ed impossibili. Ma soprattutto concettualmente errate. Il limite non si trova tornando indietro, e poi quale limite? Ogni aspetto della vita ha un suo limite e ognuno deve trovarlo, prima di tutto dentro di sé. Poi io sono pragmatica: certo i limiti ci vogliono e io mi accontenterei di vedere rispettati i limiti di velocità e le limitazioni sul fumo! Patrizia Gentilini. dibaHiti di UNA ClffA 1 L'ABORTO giovedi, 21 maggio, ore2 I Circoscrizione Uno, via Maceri 22, Farli IL DRAMMA DELL'ABORTO La presente lettera, che vi prego di pubblicare come contributo ad un dibattito per me molto interessante, nasce dall'aver letto due interviste sul vostro ultimo numero dell'aprile '92 riguardanti il tema dell'aborto. L'argomento è sicuramente delicato. Lo sforzo che vorrei propormi è quello di fare un ragionamento pacato e logico partendo da alcune considerazioni etiche che ritengo essenziali. Il valore della vita è certamente un valore fondamentale. Se non si rispetta la vita degli esseri umani, ma anche dell'ambiente in cui vive l'uomo, ogni altro tipo di rivendicazione dei diritti cade nel vuoto e nel propagandistico. A questo punto è logico chiedersi quale sia il momento in cui insorge la vita. Lo spermatozoo e l'ovulo materno hanno in sé gli elementi per far nascere la vita, ma presi da soli non producono nessun mutamento vitale. E' l'incontro tra lo spermatozoo e l'ovulo che genera quel processo che, se portato a compimento, nella stragrande maggioranza dei casi porta alla nascita di un bambino. Il termine di tre mesi dal concepimento previsto dalla legge sul l'interruzione volontaria della gravidanza (n. 194/78) appare quindi arbitrario e non giustificabile. Ritengo quindi che sia necessario un superamento dell'attuale legislazione in materia. Questo però senza ignorare i problemi delle persone e senza voler ergermi a giudice delle coscienze altrui. Per essere più schematico e preciso delineerò per punti ciò che si potrebbe fare: I) ripensare molto criticamente la legge 194 senza criminalizzare penalmente chi abortisce; 2) una volta concepito un bambino bisogna studiare, per le madri che non possono/desiderano avere figli, la possibilità di portarli in istituti per immediati affidi temporanei o adozioni definitive, in modo da tutelare l'anonimato e, soprattutto, la vita del bambino; 3) impegnarsi ad investire risorse nella prevenzione: educazione sessuale, consultori familiari pubblici (aperti al contributo del volontariato), educazione alla contraccezione (su questo tema la Chiesa cattolica ha bisogno di uscire da alcune sue rigide posizioni; in ogni caso dovrebbe accettare la contraccezione, anche quella "non naturale", come male minore) ecc.; 4) intervenire sulla qualificazione della spesa sociale in modo da attivare una serie di servizi e di iniziative di solidarietà per accogliere la vita (ad esempio "case di accoglienza" per ragazze madri o donne in difficoltà, dove collabori il pubblico e il privato-sociale), soprattutto nelle zone più disagiate. E' infatti necessario sostenere la maternità e rimuovere le cause culturali e materiali che spesso portano ali' aborto e che lasciano la donna sola nella sofferenza e nella responsabilità delle sue decisioni. Solo sulla donna infatti ricadono spesso i problemi della maternità (doppio lavoro a casa e fuori, discriminazione nei luoghi di lavoro o difficoltà di assunzione perché la maternità può bloccare la carriera o è vista come un onere economico per le aziende); 5) l'autodeterminazione è valida solo se la donna è sola, ma in una prospettiva di superamento di tale stato non si vede perché il partner non deve poter incidere in scelte così importanti (il figlio è concepito in due); 6) sensibilizzare la gente attorno ai temi legati alla vita: nonviolenza, rispetto dell'ambiente, equilibrio e giustizia nel rapporto Nord/Sud del mondo. Queste questioni richiedono un nostro profondo mutamento culturale e delle scelte fondamentalmente diverse (minor consumi, energia pulita ecc.). Tutto ciò richiede una coerenza che parte, a mio parere, anche dall'accettazione della vita fin dal suo concepimento. Solo così si possono muovere giuste osservazioni a quei "campioni" della battaglia contro l'aborto che troppe volte danno l'impressione di combattere, tra le numerosissime forme di violenza contro la vita, solo quella di chi abortisce. Inoltre mentre sull'aborto esprimono spesso condanne assolute, diventano possibilisti, indifferenti o addirittura conniventi quando si tratta di affrontare le altre gravissime minacce ai diritti fondamentali dell'uomo. Prima di concludere vorrei delineare un altro problema vicino al tema dell'aborto: le sperimentazioni sugli embrioni. Le cellule dei feti sono utilizzate in esperimenti per curare alcune malattie. Siccome danno dei buoni risultati non è da escludere che avvenga quel mostruoso commercio con il Sud del mondo (donne che si lasciano fecondare per poi fornire il feto mediante l'aborto), che già oggi avviene per gli organi umani. E' necessario un enorme sforzo culturale per sconfiggere l'aborto e per superare quelle barriere ideologiche che mai servono a risolvere i problemi. La legge 194, nella parte relativa alla possibilità di interrompere la gravidanza, non può essere considerata una conquista e deve essere superata, anche perché pochi considerano l'aborto un valore per cui si possono trovare punti di incontro sui quali vincere il dramma dell'interruzione volontaria della gravidanza. Raffaele Barbiera UNA c,rrA' E' ANCHE MEMORIA Turoldo e di Balducci; il tempo della speranza. E delle battaglie civili;tra le prime, ilreferendum sul divorzio. Ed erano parole chiare, precise e decise quelle che ascoltavamo. La loro fede religiosa non separava ostilmente dal nostro tempo; riuscivano a trovare invece proprio nel Vangelo la potenza messianica della libertà. "Della fede nessuno è padrone I non potete mettere I il bavaglio al vento! I Dio è la mia pace I e tu, uomo-Cristo, I la mia sorte". Così, anche tramite loro, abbiamo imparato concretamente a trovarci accanto, laici e credenti, a conoscerci meglio. A capirci. avversari più numerosi: "pace" è una parola difficile e turba. Balducci ci raggiunse con isuoi "Vangeli della pace" e l'iniziativa dell"'Edizione Cultura della Pace". Turoldo "ribelle fedele" ci inquietava con il "Vangelo di Giovanni": "Uomini, dentro/non avete che morte I negli occhi e nelle mani". In due mesi, due uomini. P. Turoldo ed Ernesto Balducci ci hanno, a brevissima distanza l'uno dall'altro, lasciati e mipare giusto ricordarli qui, anche se rapidamente: fanno parte della nostra storia, di tanti di noi che proprio in loro hanno trovato la voce e la forza storica della speranza. Una città è anche fatta di memoria; e sia Turoldo che Balducci erano ben noti a Forlì, dove ilSalone Comunale e la Sala Albertini si sono più volte e regolarmente riempiti per ascoltarli. Ora liascoltiamo di nuovo, rimeditando la loro lezione di vita e pensando alla loro consonanza ideale. Accostati dai giorni della morte, ma più ancora vicini nelle vicende della loro vita e soprattutto ambedue sintonizzati sui problemi del nostro tempo. Quando chiesero a P. Turoldo chi era il prete, riconobbe la sua CO incapacità a rispondere (chi si stupisce?) e poi aggiunse: "lo sono tutti voi. Soprattutto la "condizione umana" è ilciclone implacabile del prete; e, dentro, Dioche lofulmina". Proprio questa condizione umana fatta di dolore e speranza, di lotta, invocazione e poesia è stata la sostanza di vita di questi due testimoni, che ancora sentiamo vicinissimi. P. Turoldo, un poeta; e Balducci ne ha vissuto la parola nella potenza liberatrice dell'utopia. Ilprimo personalmente impegnato già nella lotta di liberazione a Milano, la sua "patita città"; il secondo fu tra i primi a scontare con la condanna del tribunale la battaglia per l'obiezione di coscienza. Due diversi fronti, ma un'unica lezione; come dire che la libertà è insieme politica e coscienza. Ovviamente tutti e due incompresi e combattuti. Riprova che la loro voce non era ideologica e funzionale. Incompresi e combattuti proprio da quella Chiesa di cui pure erano preti. Il Vangelo è sempre più grande della Chiesa. E così sono stati presto allontanati dalle loro sedi e dai loro impegni. Eppure mai del tutto soli: "Padre Turoldo, vada avanti. Non c'è nessuna legge al mondo che possa impedire la carità". Così lo sostenne il cardinal Montini, lo stesso che, divenuto papa, riammise anche P. Balducci nella sua Badia Fiesolana. Era il tempo del post-Concilio, quando stava rinascendo una Chiesa migliore: non competitiva, non forte e sicura di sè, come un mondo a se stessa, ma "debole", leggera, libera. Ed è appunto stato questo il tempo in cui anche noi a Forlì abbiamo ascoltato la parola di Poi è venuto iltempo dell'impegno per la pace. Anche qui, oltre le strette ideologiche. "lo voglio sapere I se c'è un altro avvenire I se la pace è possibile I se giustizia è possibile I se l'Idea è più forte della forza". Il tempo in cui l'incomprensione ostile è divenuta più forte e gli E non poteva ovviamente dimenticare la sorte dei popoli della fame: non di sole armi si può morire. Anche dei disordini economici internazionali. E dinnanzi al recente flusso degli immigrati extracomunitari, invece delle perversioni razziste, Balducci reagiva affermando: "son venuti a chiederci il conto". Basta per noi la legge Martelli? E intanto ci avveleniamo con la cultura della separazione. Per questo, anche con la memoria di Turoldo e Balducci una città, "Una città", può tener desta la coscienza viva del nostro tempo. Sergio Sala
MINACCIA PER LA NATU , QUINDI PER SE STESSO istinto di aggressività, cultura e scienza nell'intervista a Giorgio Ceffi, etologo C'è chi dice che l'uomo è un parassita del mondo naturale, che non ha praticamente nulla che lo contrasti e ne limiti l'opera Secondo lei questo è possibile o no? L'uomo è stato alle sue origini all'interno del contesto naturale: era un animale tra gli animali; era in competizione con gli altri esseri viventi e occupava un certo tipo di nicchia che era solo la sua. Bisogna aggiungere, però, che l'uomo ha usato uno strumento che gli animali non avevano e questo è lo strumento culturale.L'uomo non ha solamente una trasmissione genetica delle informazioni che la specie acquisisce, ma anche un tipo di informazione culturale, la tradizione, che prima è orale e poi diventa scritta. Una potentissima tradizione scritta che consente di conservare le osservazioni e di trasmetterle di generazione in generazione. Alla fine di questa evoluzione culturale viene fuori il metodo scientifico, che mette l'uomo in un rapporto con la natura sempre più connittuale. L'uomo, da sempre, ha avuto un rapporto conflittuale con la natura, sappiamo benissimo che anche l'uomo preistorico ha fatto dei guasti. Per esempio sembra che le grandi pianure nordamericane dove cavalcavano gli indiani, Toro Seduto ed i Sioux, fossero in precedenza grandi boschi che sono stati distrutti dalle popolazioni locali con il fuoco per creare appunto delle grandi aree non boschive. Tutto sommato l'uomo ha sempre impattato, anche se certamente col metodo scientifico il suo impatto diventa molto più pesante. Leopardi, quando ne "La Ginestra" parla del Vesuvio, vede l'uomo in balìa delle forze naturali che se si risvegliano possono distruggere completamente le sue città. Nel XX0 secolo, con l'esplosione della prima bomba atomica, le cose sembrano quasi invertirsi. Anche se in realtà è soggetto ai tifoni, ai terremoti, al dissesto idrogeologico, l'uomo diventa addirittura una creatura che minaccia la natura, quindi se stesso. Si è impossessato di forze tali per cui ad un certo punto questa natura viene minacciata dal l'opera dell" uomo, l'uomo ne diventa prevaricatore in modo sempre più evidente ed a livello biosferico. E' possibile supporre che improvvisamente si verifichi un'inversione di tendenza e l'uomo ridiventi quello che era prima, oppure è possibile immaginare che l'uomo ad un certo punto trovi, attraverso la cultura che l'ha reso nemico della natura, la ragione per tornarne di nuovo amico? Cioè passare, dopo la soggiacenza antica, dalla dominanza attuale ad una sorta di alleanza futura. Speriamo che sia così, perché altrimenti l'uomo finirà per fare scomparire la natura attorno a sé e con essa se stesso. In questo nostro ritrovato amore per la natura si avverte qualche tendenza a una nuova alleanza, anche se questa tendenza mi sembra ancora molto debole. Si pensi, ad esempio, che l'uomo non sa rinunciare neanche quel tanto per adeguarsi alle targhe alterne. Se deve fare qualcosa, anche minimale, per cercare di allearsi di nuovo con la salvezza del pianeta, lo fa con riluttanza. Quindi, siccome per questa alleanza il sacrificio dovrà essere molto più grande, c'è da disperare nella posizione dell'uomo ... Il danno maggiore non deriva forse dalla cultura occidentale, dal mito del progresso, dello sviluppo, della scienza? E' una tesi condivisa e condivisibile; però non bisogna essere molto fiduciosi sul fatto che l'uomo sia un animale fortemente distruttivo solo in presenza di culture che ne facilitano la distruttività. E che, diversamente, sia meno distruttivo in culture che deprimono l'aggressività. Ripensi alla cultura dell'India, paese pacifista, con grandi personalità pacifiste, in cui la stessa dottrina induista è pacifista: si può dire che l'India sia un paese dove l'aggressività è inferiore che da noi? Mi risulta che abbiano ucciso molti loro governanti. Lo stesso Gandhi, grande pacifista, è stato ucciso da uno che pacifista non era di sicuro. Quindi non so se sia così vero che la causa principale sia della civiltà occidentale. Senza dubbio dobbiamo ammettere che ci sono due culture molto aggressive nel pianeta: quella occidentale e quella musulmana, che si somigliano molto. Entrambe hanno una forte componente individualistica e teologica: pensano che, rispetto a Lutto il resto dell'animalità, solo l'uomo abbia un rapporto privilegiato con Dio. Quindi l'uomo può anche distruggere il pianeta: è roba sua e ne fa ciò che vuole. E' vero che la cultura incide molto, però io credo che esista anche un' aggressività radicata nell'uomo che va al di là del condizionamento culturale. E' qualcosa che dobbiamo prendere in considerazione se vogliamo veramente fare qualcosa: esiste anche questo oscuro substrato, che Lorenz aveva chiamato "il cosiddetto male". Forse non è un istinto, esiste però una profonda predisposizione dell'uomo per I' aggressività. Allora dove cercare le cause di questa aggressività? Direi che bisogna cercare le cause culturali e le cause biologiche, fisiologiche. Sulle cause biologiche si potrebbe intervenire creando una cultura dove necessariamente ci sia una maniera agonistica, che però non comporti la distruzione del pianeta, di concepire la vita. Per esempio nell'impresa scientifica gli scienziati sono in antagonismo fra loro, gli sportivi sono in antagonismo, le imprese spaziali potrebbero diventarlo. Potrebbe essere che l'uomo trovi un modo per esercitare questa sua pulsione aggressiva profonda non necessariamente uccidendo il prossimo, facendo guerre, disboscando i monti o livellando i fiumi, ma positivamente. La competizione colloquiale, l'agorà dove le persone discutono e si battono a colpi di parole, è una cosa che impegna positivamente l'aggressività. Secondo me si può sperare di modificare la cultura, anche se non è facile, ed è necessario trovare i modi migliori per gestire il profondo impulso biologico per la distruttività, per l'aggressività. Lorenz parlava di "ridirezionare" l' aggressività, cioè darle direzioni non distruttive come potrebbe essere fare un due I lo, fare una grande conversazione o un grande scambio di invettive. Ma l'aggressività la si può coltivare o, invece, si può scegliere di coltivare altro? Il problema, senza voler fare il mediatore, si pone in una via di mezzo. E' indubbio che esista una base biologica dell'aggressività, cioè una predisposizione profonda e che, d'altra parte, la cultura contribuisce moltissimo nell' atti varia. Che ci sia questa predisposizione profonda è dimostrato ampiamente. Prendiamo i I caso delle Falkland. Queste isole fanno parte del vecchio impero britannico, anche se quasi nessun inglese le ha mai viste, alcuni non sanno neppure dove si trovino e i cittadini delle isole non sono considerati veri e propri inglesi. Bene, quando I' Argentina se le voleva annettere si è visto, dopo 40 anni di propaganda pacifista, la gente in piazza che chiedeva la morte degli argentini, che voleva la guerra. Gli inglesi sono diventati aggressivi senza che fosse necessario un lungo indottrinamento, questo cosa vuol dire? Significa che questa predisposizione c'è. L'uomo è predisposto ad ammalarsi di aggressivitàedèsufficienteche inventi qualche pretesto, anche specioso e labile come le Falkland, perché questa si scateni e la gente chieda il sangue. Si può obiettare che l'Inghilterra ha una cultura laica, individualista, e che forse manca di una cultura della dialettica interiore, intimistica, delle intenzioni, come ha una cultura cattolica ... Perché lei pensa che i cattolici siano stati meno aggressivi? Il cattolicesimo si è rivelato una delle più micidiali macchine da guerra che siano mai esistite. Se lei considera il fenomeno delle crociate scopre che la religione è stata un incentivo alla guerra, non una limitazione. Sono state fatte guerre di religione, che l'Islam continua a fare, e questo dimostra che una cultura intimista, cattolica, non è assolutamente una garanzia di niente. Anzi la cultura cattolica conserva in sé una maggiore intransigenza. Adesso c'è Papa Wojtila, che mostra apertura verso tutte le religioni, ma solamente quando ero bambino io, e c'era Pio Xl 1°, gli altri erano considerati veramente degli infedeli. E Pio XII0 forse ha avuto anche qualche pregiudizio verso gli ebrei. Insomma è proprio la controprova che c'è una oscura matrice biologica con cui dobbiamo fare i conti. Forse queste rinascite attuali di nazismo, di leghismo, hanno a che fare con un territorialismo aggressivo che può essere connesso con questa matrice oscura? Ci sono culture che la favoriscono e culture che non la favoriscono: la cultura nazista la favorisce in modo assoluto, perché premia la violenza personale, il superomismo, la guerra. Ma perché in certe zone questo territorialismo aggressivo si manifesta di più e in altre di meno? Questo non è facile dirlo. Il popolo tedesco ha avuto una tradizione filosofica di un certo tipo, è stato un popolo guerriero fin dalle origini, probabilmente gli può derivare anche dai Vichinghi. Le Leghe sono un fenomeno che non vedrei in modo estremizzato. Il razzismo è una delle attitudini degli uomini, che odiano la diversità perché è minacciosa. Perché quello è cosi? E cosa significa essere così? E cosa significa per noi non essere così? Ognuno pensa sempre che il proprio ~tile di vita sia quello più congeniale alla natura umana e quando qualcuno ha uno stile di vita diver~o si pensa che BibliotecaGino Bianco infranga quell'idea della natura umana. Il diverso mette in discussione le nostre certezze e questo ci inquieta. Allora reagiamo aggressivamente, come si reagisce sempre contro chi in qualche maniera ci mette in discussione e ci toglie la tranquillità; come reagiamo per il vicino di casa che urla troppo e non ci lascia dormire. Il fenomeno delle Leghe è un fenomeno ben diverso dal nazismo: il nazismo è stato un grande fenomeno di massa, quello delle Leghe è l'espressione di uno scontento generalizzato. Tornando alla scienza, è di per sé distruttiva o è concepibile una scienza rispettosa? La scienza è nata con la filosofia e con lo scopo di dominare la natura, quindi di per sé pone l'uomo in antagonismo con la biosfera, con gli animali, con gli elementi naturali. Si può perciò pensare che la matrice della scienza sia una matrice di dominazione. La scienza, però, ha anche un aspetto speculativo che mira a conoscere il mistero del mondo e ad annetterlo alla ragione. In questo senso la scienza non è aggressiva, però lo scienziato "puro" è sempre stato riunito, o gli ha fornito elementi, allo scienziato "applicato". Oppure è stato tutte e due le cose. Come Leonardo da Vinci che allo stesso tempo esplorava i fossili, fabbricava armi per i vari principi che lo pagavano o progettava opere idrauliche che presuppongono sempre una modificazioneattivadel mondo. Devo dire che nel nostro secolo è sorto un tipo di scienza differente, che è proprio la scienza dell'ecologia. La vera idea centrale dell'ecologia è questa: l'uomo può essere non aggressivo nei confronti della natura pur continuando sulla via della scienza. Perché l'alternativa fasulla è quella di abbandonare la scienza e darsi al misticismo, cosa che al momento attuale sta conoscendo anche un certo tipo di interesse e di seguito. Però questa non è una soluzione, è una dissoluzione. C'è già stata la magia sul pianeta, è stata probabilmente meno distruttiva della scienza, ma non ne può certo risolvere i problemi. Purtroppo oggi possiamo solo sperare che la scienza riso I va i problemi che ha posto, ma non li può risolvere di sicuro la magia. Alcuni hanno addirittura proposto di abbandonare completamente la scienza, ma al momento attuale questa è una cosa improponibile. Credo cioè non sia più possibile farlo perché ci sono cose che andrebbero avanti comunque e che dobbiamo tentare di fermare proprio con la scienza. Altrimenti devo pensare che la catastrofe sia già in atto. Allora c'è da sperare in una scienza non aggressiva? Tutto sommato, sì. L'ecologia almeno vorrebbe essere tale. Che poi ci riesca è un altro discorso. Io sono un pessimista che si comporta come se fosse ottimista. Perché in realtà siamo in una situazione da cui credo sia difficile uscire. Il XX0 secolo costituisce per il pianeta una ferita che potrebbe andare in cancrena più che guarire. Siamo di fronte a problemi gravissimi. L'effetto serra, che irreversibilmente crescerà, forse sarà la cosa che determinerà la morte del pianeta. Il buco nell'ozono, che irreversibilmente crescerà, porterà a gravi mutazioni che modificheranno l'assetto biologico del pianeta. L'immissione chimica di sostanze mutagene, cancerogene e teratogene nel pianeta continua in maniera sfrenata. Certo vediamo un aumento di sensibilità nelle persone riguardo alla salvaguardia della natura, però ho l'impressione che questo aumento di sensibilità sia più una posa che un desiderio reale di fare qualcosa. Come ho già detto, la gente per le targhe alterne brontola; se devono fare a meno per qualche giorno dell' automobile alcune persone pensano di non potere più vivere. E non si prospetta il disagio, ma solo qualche comfort in meno. Invece è questa l'idea vincente: l'uomo può sopravvivere soltanto se è disposto, per cominciare, a rinunciare a qualche comodità. Bisogna ripensare un po' a tutto. Ho anche un'altra speranza, che forse è del tutto insensata. Nel giro di cinque anni sono successi degli avvenimenti che pensavamo avrebbero avuto bisogno di secoli. Il crollo dell'Unione Sovietica, per esempio, é avvenuto nel breve giro di anni, mentre nella nostra idea sembrava un fenomeno di riconversione lenta, come una specie di dinosauro che avrebbe cambiato piano piano le sue scaglie. Ecco, potrebbe anche darsi che l'essere umano, improvvisamente, subisca una specie di mutazione culturale, non biologica, tale per cui diventi di colpo consapevole del rischio e si butti a far di tutto per salvaguardare l'ambiente, che poi è la sua casa. - effera------------------------- .. UMANI, DISUMANI E NON UMANI ' La vita di un uomo davvero per me non vale più della vita di un qualsiasi altro essere, eppure ogni giorno sono costretta a rispettare una legge sociale che mi impone il rispetto per l'uomo e, contemporaneamente, non posso fare nulla contro chi. leggermente e spesso volutamente, provoca la sofferenza di altri esseri e. di rinesso, la mia. E' forse giusto? lo non ho leggi per tutelarmi. non ci sono leggi che vietino veramente !"immoralità di certi atti. Devo fermarmi ed in silenzio raccogliere gatti vittime di incidenti stradali. specialmente il sabato sera. Dopo di che uscire il sabato sera è diventato per me una angoscia, ogni uscita mi riempie di amarezza. Certo, si potrebbe obiettare che io potrei anche stare a casa. In questo caso, però, che fine farebbe la mia libertà? E poi rimane comunque il fatto che gli uomini. esseri civili. rispettabili. intelligenti, non hanno tempo né voglia di fermarsi per un gatto. un cane. topo o riccio. passerotto o piccione che sia. che attraversa la strada. Noi diciamo che ·•ci'' attraversano la strada. Perché, non potremmo essere noi ad attraversare la loro? Quella striscia d"asfalto ha un significato solo per noi. Gli animali non corrono sui binari e non si saltano addosso l'uno con !"altro. Nonostante tutto non voglio sottolineare qui la sofferenza degli animali ma la mia. Visto che rispettiamo tanto il diritto di ogni uomo ad essere felice. perché non consideriamo che le azioni "violente" di certi uomini possono arrecare infelicità ad altri uomini e non solo agli animali che in primo luogo ne sono vittime? Certo è troppo pretendere che un umano possa arrivare a volere un mondo pulito dove la sofferenza come tale debba essere eliminata. Però magari si può pretendere che un umano capisca l'aspirazione di un suo simile alla felicità. Io sento profondamente ingiusta ogni azione contro il diritto alla vita e alla libertà di ogni essere. umano o animale che sia. Mi urtano allo stesso modo delle stragi di uomini le deratizzazioni fatte in città. mentre i bambini (che ipocrisia!) giocano nel giardino pubblico con i topolini di peluche. Mi disgustano i discorsi sui piccioni della piazza che vanno eliminati perché sporcano le '·opere d"arte dell"uomo··. Loro, opered' arte della natura. della vita. Un giorno mi è passata per la mente una cosa bella, una frase che può fare capire il perché di questo mio atteggiamento radicale. La grandezza e la bellezza di ogni essere stanno nella sua irripetibilità. Una cosa banale. una irripetibilità genetica. chimica, come si vuole. D'accordo. Eppure ogni essere è UNICO, unico ed irripetibile, ed ha perciò dalla nascita un infinito valore intrinseco. Basta questo. per me, a giustificare il massimo rispetto che dobbiamo alla sua vita. Se lo uccidiamo distruggiamo qualcosa che nell'universo è esistito una sola volta, è stato stupendo, e noi lo abbiamo distrutto per sempre, magari per farne dei crostini per gli amici a cena che non sono poi, magari, nemmeno piaciuti e sono finiti nell ·immondizia. O perché dovevamo andare in discoteca e non avevamo voglia di frenare davanti al gatto sulla strada. O perché ci piaceva tanto la pelliccia della nostra più cara amica e così I' abbiamo comperata anche noi. per non essere da meno. Oppure perché per quel nuovo rossetto che lui ti ha tanto apprezzato sono morti più di mille conigli. Ma che importa? NOI siamo uomini. NOI ne abbiamo il diritto. In realtà le leggi umane non sono state scritte per tutelare la morale. La morale che emerge dalla legge è una cosa ben diversa da quella che intendiamo solitamente. Si chiama morale e si parla di giustizia solo quando tanti uomini, vivendo pigiati. gomito a gomito. e conoscendo i comuni egoismi, le comuni bassezze, le comuni cattiverie e potenzialità malvage dettate dall'ingordigia. si tutelano così. perché non trovano altra limitazione che porsi nella "macchina" della legge che è uguale per tutti. Solo uno stupido può cercare al di fuori si sé la propria morale. Un essere veramente morale non ha bisogno di leggi. Però cosl ci si autolimita e si diminuiscono i rischi. La PAURA ha fatto nascere la legge. Per questo bisogna tutelare i deboli. Perché un giorno magari potremmo esserlo noi o i nostri figli, non per altro. Così si capisce anche perché gli animali non sono tutelati dalla legge. A nessuno capiterà mai di avere per figlio un cane o un gatto o un maiale. Dunque, la sofferenza di questi esseri non ci toccherà mai più di tanto. Nostro figlio non sarà mai vivisezionato, mangiato o usato in laboratori di cosmetici per signore. Infatti ciò è proibito dalla legge. Però se accade che qualche umano subisca violenza o sevizie, subito la notizia fa il giro del mondo, appaiono articoli sui giornali, si grida allo scandalo, alla vergogna, alla "inumanità" o. meglio, alla "'BESTIALITA"' di certi delinquenti. A volte penso di essere fortunata a vedere così la vita. Penso infatti che solo così si possa apprezzare a fondo I" immenso fascino che essa possiede. Guardando le signore impellicciate scarrozzare con orgoglio i propri figlimi chiedo come possano essere convinte d'aver fatto un gran dono ai figli facendoli vivere se per loro la vita ha un significato così ristretto. Strano che esse non vedano i loro bambini come carne generata dalla carne e desti nabil.e.asvariati usi Cerrosi porrebbepen·sareche 1111 simile inrervellfo1101g1iavi a una qualchecausaanimalista.Manon può esserequesta lanosrrapreoccupazione, che vuole essere in11a11zir11qrtuoella di cercare di capire e discmere. E allora è umano che chi ama gli a11imalpi ossa arrivare a detestare quell'uomo che 11ehafatto 11110 scempio a11corpiù orrendo oggi. nel secolo dei lager e dei robot,di ieri, quando la violenza 1101e1ra ancora /011ta11daalla vira quotidiana della gente. E cosa sia oggi w1 allevamento industriale lo racco111iamaolle pagi11e 14 e I 5. Ma è veramentesolo unproblema di chi ama gli a11imali?Lorenz disseche, infondo. Chemobyl 11011 era servita a nulla, che altra cosa sarebbe stara se fosse capitato a Manhattan co11qualche 111ilio11e di morti. Perché allora sì, che ci saremmofermati a ripensare. Come porrà indietreggiare l'uomo? Come porrà co11rin11arae progredire co111i11ciandao "regredire"? E quale soglia potrà decidere pacificamente di 11011 varcare? Viene da pensare che la scienza, la cosiddetta "razionalità tecnologica". l'etica e le stesse grandi piuttosto che esseri generati da altri esseri. Nel disgusto che provo per certi umani ho perso anche il rispetto per i riti dell'uomo, per la religione che lo pone al centro dell'universo, per il culto dei morti ... Mi sembra assurdo fare tanti salamelecchi davanti a una tomba e poi divorare cadaveri di altri esseri facendo, magari, gli occhi languidi alla fidanzata oppure ridere felici ascoltando la radio in auto mentre si schiaccia un gatto le cui viscere rimarranno su11·asfalto spappolate ad un metro di distanza. Questo è contro la mia morale ed è ciò che mi ha fatto perdere la stima nell'uomo. Ormai la vita umana per me non vale più di quella di una zanzara. Non mi dispiace se muore un uomo. Davvero. Anzi, a volte vorrei che un'epidemia sterminasse la razza umana e ponesse fine a tanta crudeltà. Io non penso che l'AIDS sia stato mandato da qualcuno per punire i "peccati" umani ... Penso che sia la logica conseguenza di ciò che l'uomo ha fatto modificando senza scrupoli se stesso e il proprio ambiente in funzione dei propri egoismi. Laura Servadei religioni 1101p1orranno rivoltarsi i11modo indolore colltro quell'anrropocenrrismoche le ha i11formare.Che a un uomo 011niscienreed onnipotente, ormai disposto a "dialogare" co11l'animale, a riconoscerlo suo simile, all'unica co11dizio11edi avergli scoperchiato il cranio da vivo11ec/ hiusodi un laboratorio scientifico, prima opoi quel dolore verrà restituito. E 1101p1er una qualchegiustizia che meno che mai esiste in natura, ma per banalissima ··co11tro-i11dicazio11e ". Allora.forse, 11ed/ olore e nella compassio11eu, 11uomo caduto e disilluso potrebbe ripensare se stesso e quella "scala i11dusrria/e" i cui orrori 1101s1embra110avere limite. Allora in quella "cosa mammifera" chiusa per la vira in un box grande comelei.forse torneremo a riconoscere anche un volto. E negli occhi sofferenti della povera chimera, metà scimpanzè e metà uomo, che ci hanno guardato per pochi giorni, porremo rileggere con altri occhi le nostre, di chimere. G.S. UNA CITTA' 3
di politica SIMILI E DIVERSI, VICINI DI CASAE STATOLONTANO Federalismo e autonomia, stato centrale ed etnia. Intervista a Renzo Del Carria, ex-intelleffuale di estrema sinistra, da sempre federalista e oggi presidente onorario della Lega Toscana Renzo Del Carria, fiorentino, awocato civilista con la passione della storia divenne noto nei primi anni '70 per "Proletari senza rivoluzione", una ricerca sui movimenti di lotta delle classi subalterne italiane. Interessatosi poi al movimento verde ed alle tematiche federaliste (ha curato un volume antologico sul federalismo italiano "Gli Stati Uniti d'Italia", ed D'Anna) è stato fra i fondatori della "Lega Toscana", di cui è presidente onorario. E' stato candidato nelle liste della "Lega Nord" per il Senato. Lei divenne noto come intellettuale di estrema sinistra, come è arrivato alla Lega? A chi mi accusa di essere incoerente, e a me sembra di non esserlo, io rispondo che sono quello che sono sempre stato in questi trenta-quaranta anni: è cambiata la realtà intorno a me e doverosamente sono cambiate certe mie idee. Non posso più sostenere cose che sono in contrasto con quello che è successo in questi anni: il crollo del socialismo reale c'è stato ed uno che rispondesse oggi nello stesso modo in cui rispondeva trent'anni fa si troverebbe a dire delle grosse sciocchezze. Nel mio modo di vedere c'è un filone libertario che è rimasto: nel '70 scrissi un libro in cui facevo una disperata difesa del marxismo, in cui avevo sempre creduto; in questo libro affermavo che il marxismo continuava ad essere la migliore teoria politica e lo sarebbe stato anche in futuro, soprattutto se si fosse liberato dello statalismo, che poi ha portato alla rovina il socialismo reale sopprimendo il mercato ed ogni libertà individuale e collettiva. In questo libro parlavo anche della nazione, dell'etnia, come elementi per un recupero di un senso di socialità e collettività. Non voglio fare la mia autodifesa, il mondo è cambiato e sono cambiato anch'io, ma fin da vent'anni fa io ero federalista, autonomista; dalla sponda del socialismo collettivista e marxista sono via via passato a quella del socialismo proudhoniano, federalista. da quello colleffivista al socialismo federalista di Proudlton Una decina di anni fa, con altri che ora sono alla dirigenza della Lega Nord-Toscana, fondammo l'Alleanza Toscana, un' organizzazione più culturale che politica, proprio come recupero culturale e politico della toscanità. Col passare degli anni questa organizzazione, eravamo sempre un gruppo ristretto, divenne sempre meno culturale e sempre più politica, cambiò anche nome da "Alleanza Toscana" a "Lega Toscana". Il salto ci fu due anni fa, quando avemmo una serie di contatti con altre leghe che nel frattempo erano sorte al Nord; leghe fra cui la Lega Lombarda era la più forte e la Liga Veneta la più vecchia. Fummo portati a prendere questi contatti dal1 'esigenza di battere politicamente la ·concezione politica centralistica che ha sempre governato l'Italia: dallo stato sabaudo a quello fascista a quello democratico-parlamentare nato dalla Resistenza. E' inutile parlare di autonomia culturale se non si ha l' autonomia finanziaria; io posso fare una politica toscana per i toscani se tutti i proventi delle tasse pagate dai toscani li posso impiegare in Toscana, anche se una parte dovranno andare ad una confederazione più ampia. Se non si rovescia la piramide che da Roma si irradia su tutto, l'autonomia della regione Toscana è falsa perché le tasse le può imporre solo Roma, laquale distribuisce alle varie regioni secondo la sua ottica. In questo modo si favorisce, per esempio, la Val D'Aosta o la Sicilia sfavorendo le Marche o la Toscana ed in secondo luogo si mettono in condizione gli amministratori locali di fare una finanza allegra perché, siccome i soldi non sono loro, possono fare qualunque debito, poi ci penserà lo Stato a ripianare i debiti. La Lega Toscana, proprio per battere il centralismo romano, si pose tutti questi problemi e per questi motivi decidemmo di federarci con le altre leghe del Nord. La Lega Nord all'inizio era formata da sei leghe: toscana, lombarda, ligure, veneta, piemontese, emiliano-romagnola, poi la lega romagnola è diventata autonoma da quella emiliana ed in seguito ha aderito la Lega Friuli, quella trentina e quella della Venezia-Giulia. Parallelamente, sponsorizzate da tutti noi, ma in piena autonomia, si sono create altre leghe al centro e al sud che hanno fondato le costituende Lega Centro e Lega Sud e tutti insieme ci siamo presentati alle ultime elezioni. Dal punto di vista ideologico una cosa è l'autonomia, un'altra l'autonomismo; sono due concezioni diverse anche se legate. In Toscana, ad esempio, c'è il MAT (Movimento Autonomista Toscano) che propone di fare da soli, mentre noi siamo per il federalismo perché se ci fosse autonomia senza federalismo si andrebbe veramente verso un'atomizzazione politica e sociale. L'autonomia, una volta raggiunta, presuppone un patto di alleanza, un accordo che dia forma al federalismo. E' per questo che in Italia molti Cosa sono le Leghe? Il loro successo è dovuto essenzialmente alla critica ai partiti ed allo stato centralizzato o dietro a questa critica si celano la voglia di isolamento e la paura del nuovo, tipiche di società in crisi? La semplificazione cheattuano nella lettura del sistema politico nasconde risvolti autoritari? In che modo il loro sbandierato federalismo risponde alla crisi delle democrazie moderne? Sono veramente razziste o la difful.enza per il diverso che i leghisti spesso manifestano nasconde un irrisolto problema dell"'altro"? Da questi ed altri interrogativi nascono queste pagine, con l'intenzione di continuare un ibattito. ~ federalisti hanno aderito alla Lega Nord. Storicamente non è affatto una cosa strana: va ricordato che Cavour voleva fare l'unità del nord Italia, non dell'Italia intera. Quando poi Garibaldi ed i democratici gli portarono su un piatto d'argento tutta la penisola dovette cambiare atteggiamento, ma la sua idea era di unificare l'Italia del nord comprendendo al massimo anche la Toscana. Cavour voleva l'unità del nord, non dell'Italia intera Nel Risorgimento ci sono autori, come al solito non conosciuti e non pubblicati da decenni per una specie di censura, che già parlano delle tre Italie. C'è un'opera del piemontese Durando che prevedeva questa divisione, come pure un'opera del milanese Torelli. Tale idea delle tre Italie ha anche una legittimazione moderna sotto il profilo economico. Al fondamento dell'unità italiana sta la formazione, nell'800, del mercato unico nazionale, ma oggi questo mercato unico nazionale non esiste più. Oggi si creano mercati sempre più ampi, vedi il MEC, mentre per alcuni servizi il mercato unico nazionale è troppo grande. Lo stato, come è inteso in una concezione liberistica che per forza dovrà affermarsi, sarà ridotto ad essere un amministratore che fornirà dei servizi, cioè poste, fax, telex, telefoni, agli imprenditori, agli agricoltori, agli industriali. E per fornire queste infrastrutture gli stati di formazione ottocentesca sono da un lato troppo grandi, quindi inefficienti, dall'altro troppo piccoli e quindi inefficaci. Ecco perché la necessità economica delle tre Italie; naturalmente ci sono dei livelli, come la politica internazionale o quella militare, che saranno competenza della confederazione delle tre Italie o dell'Unione Europea. Le regioni, o nazioni come le chiamiamo noi, dovrebbero comunque avere tutte le competenze dell'aspetto economico diretto, mentre le maxi regioni, cioè le tre Italie, dovrebbero curarsi dell'aspetto finanziario e fiscale. Per il mio punto di vista, quello di un ex del '68, il federalismo è la forma più moderna, e libertaria, di teoria politica; è la forma poi itica più consona al 2000 perché recupera la libertà degli individui ed elimina la concezione dello stato centralistica ed autoritaria tipica della concezione hegeliano-tedesca. In fondo iIfedera Iismo non si basa sul diritto pubblico, ma sul diritto privato portato alle estreme conseguenze e parte realmente dalla base: dovrebbe partire dai condomini, dai rioni, dai villaggi. Inoltre il movimento federalista è veramente trasversale: ci stava il lìgliolo di Canapone (/'11/1i1110 granduca di Toscana, Leopoldo. 11dr) come l'anarchico Bcrncri o il socialista Lussu. Lo stesso Partito Comunista Italiano tenne, nel 1930 o 31. un congresso clandestino a Berlino in cui ci furono delle tesi. pubblicate a Parigi nella rivista teorica del partito '·Lo Stato Operaio'', in cui si propugnava la costituzione di tre ltalie: centro. nord e sud. FedeCO ralisti erano un ultrademocratico come il Cattaneo, un moderato come il Mamiani o un papista come il Rosmini ed è logico che fosse così: l'Italia non è mai stata unita. Certo oggi occorre tenere conto dei 150 anni di storia passati. La tradizione federalistica è senza dubbio importante, ma attualmente quasi tutti gli stati federali, dagli USA all'ex Unione Sovietica sono in crisi proprio sotto l'urto delle rivendicazioni nazionalistiche delle varie etnie. Non c'è allora il rischio di un paradosso: che basarsi sulle "nazioni", come fa anche la Lega Nord, porti non al federalismo decentralizzato, ma ad uno stato forte, l'unico che sembra in grado di poter far convivere le diversità etnicoculturali? Innanzitutto è certo che, man mano che una federazione procede nel corso dei decenni, il centralismo tende ad aumentare e a diminuire l'autonomia delle singole nazioni. Gli USA sono molto più centralisti oggi che non cento anni fa; pure la Svizzera è oggi, pur con le enormi autonomie ed indipendenze dei vari Cantoni, molto più centralistica della Svizzera del 1815, ali' epoca del Congresso di Vienna, quando venne costituita la Confederazione Elvetica. E la Svizzera di allctra era molto più centralistica della Svizzera costituita dai primi tre Cantoni. E' una tendenza dell'uomo al potere quella di centralizzare il comando nelle mani di una classe dirigente. Per me il federalismo è invece I' antistato; anche se, come diceva Proudhon, ogni associazione che assuma su di sé delle funzioni di indirizzo tende a diventare un "semistato" o sempre più uno stato. Non è quindi che una volta costituita una associazione federalistica ogni problema sarà risolto, ci sarà sempre una lotta fra il centralismo e la democrazia. etnia: il riunirsi di simili in confronto con altri diversi Quanto poi alla questione etnica bisogna capirsi su cosa si intende con "etnico". Noi abbiamo ereditato questa parola da una cultura che arriva fino al razzismo, ma "etnia" per me vuol dire il riunirsi fra loro di persone simili in confronto con altri che hanno una cultura ed un modo di essere diverso. E' il sentirsi toscano nei confronti di un lombardo, il sentirsi lìorentino nei confronti di un forlivese. Io ho una storia, un ambito geogralìco, diverso da te, ma questo non vuol dire che mi senta superiore o inferiore, sono solo diverso. E questa diversità non può di per sé portare all'urto fra nazioni. comunità o culture diverse; all'opposto gli urti fra comunità diverse nascono quando queste comunità convivono forzatamente porta a porta. Se uno è realmente autonomista lo si valuta dal momento in cui riconosce ad un popolo grande o piccolo lo stesso diritto che richiede per sé. Se io autonomista toscano non sono poi disposto a concedere 1·autonomia. per dire, a Palazzuolo cli Romagna che mc la chiede per motivi suoi. è inutile che mi spacci per autonomista perché voglio staccarmi da Roma ladrona. La stessa cosa in Jugoslavia: sbagliano i croati quando rivendicano l'autonomia per sé, ma non sono disposti a dare la stessa autonomia ai serbi della Krajna. Ma la situazione Jugoslava è assai complessa, in particolare per il ruolo che ancora gioca l'esercito, che è rimasto l'unica forza centralista del paese. La stessa cosa per la Catalogna che, con una politica meravigliosa, è ormai alle porte del- !' indipendenza. Ad ogni elezione ha appoggiato alle Cortes il governo centrale in cambio di sempre maggiori autonomie e ora sarebbe assurdo che i catalani non riconoscessero la stessa autonomia alla Comunidad Valenciana. Lo stesso nella drammatica situazione della ex Unione Sovietica: è assurdo, per esempio, che la Moldavia, ora indipendente, non voglia riconoscere l'autonomia alla repubblica dei russi di Tiraspol o ai gagauzi. Tutto questo è vero, ma, guardando le esperienze storiche, il federalismo sembra poter funzionare solamente dove parte dall'idea illuminista di un essere umano astratto, che dovrebbe riconoscersi nella "comune umanità"; come è successo negli USA sino a pochi anni fa, in cui gli immigrati erano piano piano assorbiti nella cultura anglosassone dominante. Quando invece il federalismo deve fare i conti con gli esseri umani reali, radicati in una certa cultura e in una certa storia, ecco allora che il federalismo sembra andare in crisi e succede appunto che i croati non vogliano dare l'autonomia ai serbi della Krajna, i moIdavi ai gagauzi ecosì via... Io ritengo che pensare che il federalismo possa risolvere questi problemi non sia utopia. Mentre il nazionalismo dell' 800 portò allo sciovinismo per cui alcune nazioni cercarono di schiacciarne altre, fino ad arrivare alla Prima Guerra Mondiale, credo che oggi, soprattutto con il mercato unico mondiale che si é creato, non ci sia più questa necessità di avviare una guerra imperialista per togli ere ad altre nazioni dei mercati nuovi. Oggi il mercato è unico. scontri clte nascono dal trovarsi dei vicini di casa diversi Gli scontri nazionalistici che ci sono oggi nel mondo mi sembra che nascano dal fatto che uno si ritrova ad avere uno diverso di lìancoacasaequindi si tratta, un po· come fanno gli animali. di dirimere questioni di territorio. di usodelrhabitat. Faccio un esempio. qui vicino, a San Donnino, c'è una grossa colonia di cinesi, saranno duemila a fronte di un migliaio cli sandonnincsi. Questi cinesi non hanno mai disturbato nessuno, per cui ci si è accorti di loro solo quando sono nati alcuni problemi pratici. A San Donnino si lavora il cuoio ed anche questi cinesi si sono messi in quel tipo di lavorazione: questa lavorazione del cuoio però inquina moltissimo e produce molta spazzatura per cui ad un certo punto i mille sandonninesi hanno cominciato a lamentarsi e si è creato un movimento di massa contro questi cinesi. La gente diceva: perché se io impianto una fabbrica per la concia della pelle devo avere un tot di metri quadri, un certo numero di finestre, permessi dall'ufficio igiene, dei vigili del fuoco eccetera e questi cinesi no? Questa contestazione non nasceva dal fatto che questi sono gialli, ma dal fatto che non rispettano delle regole che valgono per tutti gli altri. Ed infatti la cosa si è risolta imponendo a questi cinesi di rispettare le norme; se non si fosse fatto così, trattando i cinesi come tutti gli altri residenti, si sarebbe attuato una specie di razzismo alla rovescia. Che è quello che può succedere sull'onda di questa cultura che viene dal solidarismo cattolico, che finisce per fare un razzismo alla rovescia. Questi tipi di scontro fra comunità diverse, anche quelli che avvengono in Jugoslavia, sono comunque cose di nessun conto se confrontati con i macelli dell'800 e del '900 quando si trattava di conquistare un mercato e l'egemonia nel mondo economico. Per questo, oggi più di ieri, il federalismo può essere concretamente la forma del domani. Ma non è proprio dalla vicinanza porta a porta di persone diverse, dovuta al mercato unico che si è creato nel mondo moderno, che nascono il nazionalismo ed il razzismo odierno? Un razzismo che sembra trovare spazio anche nella Lega? A me pare che il mito di un Bossi razzista o delle Leghe razziste sia stato creato dalla televisione, da trasmissioni come "Samarcanda". Di razzisti nella Lega io non ne conosco, neanche fra l'elettorato. Certo, in generale, c'è un problema dovuto alla maggiore mobilità di tante popolazioni, ed è un problema che è tale sia in ambito federalista che in ambito centralista; io credo che si possa cercare di risolvere con la graduale assimilazione degli immigrati ad un certo habitat culturale. Faccio un esempio antichissimo: Firenze, nel Tardo Impero, era una cittadina e fu praticamente invasa dai levantini, tant'è che hanno ritrovato molti templi ad Osiris e ad Iside, ma nel mille tutta questa gente si era amalgamata ed a Firenze c'erano solo fiorentini. Con i tempi e con la velocità con cui le cose succedono nel mondo sarà ancora possibile questo? Il problema vero è che, se queste emigrazioni saranno di massa. poco importa che gli immigrati vengano dal l'Africa o dalla Norvegia: se ci sono dieci posti da avvocato o da netturbino e di avvocati o netturbini ne arrivano trenta allora veramente la società esplode. In America l'immigrazione massiccia sta facendo fallire il cosiddetto "melting pot". Ma anche questo fallimento non riporta alla questione di come posso mettermi daccordo col mio vicino di casa che, tanto per dire, è il fondamentalista islamico ... Posso mettermi d'accordo innanzitutto rispettando il suo fondamentalismo islamico e chiedendo che egli rispetti la mia cultura cristiana. occidentale ... Questo vuol dire che la stessa USL a cui ambedue paghiamo i contributi dovrà fare l'infibulazione alla donna somala, se questa glielo chiede? Se la donna somala è maggiorenne e cosciente, sì. L'importante, per me, è che l'islamico o il confuciano rispettino la mia libertà ed io rispetti la loro e che certe leggi di convivenza, come il non uccidere o una regola per la circolazione stradale,siano rispettate da tutti. Il fatto che poi, anche dopo due o tre generazioni, il cinese continui ad essere confuciano e l'arabo ad essere islamico non vuol dire nulla; è come il caso dei tedeschi del Volga, che dopo trecento anni che vivono in mezzo ai russi ancora parlano tedesco. Se succederà questo vorràdire che a Firenze ci sarannodei fiorentini islamici o confuciani. Per concludere: guardando le leghe dall'esterno pare che si stia creando una specie di rapporto previlegiato fra il "popolo delle leghe" e Bossi. Il cittadino che vota Lega sembra conoscere solo Bossi e non il segretario della Lega della sua regione o della sua città. Tutto questo non le sembra preoccupante; non potrebbe in futuro portare alla riedizione di ''un popolo, un duce"? Questa è un'immagine che hanno creato giornali e televisione; la verità è che c'è una forte leadership federale, costituita dai dieci segretari delle dieci leghe che formano la Lega Nord. il l,ossismo l'ltanno creato da televisione e stampa Nell'ambito della Lega Toscana c'è una enorme democrazia a livello comunale, provinciale, interprovinciale, ma e' è anche una riconosciuta leadership a due o tre leader storici. Questo forse dipende anche dall'accerchiamento a cui sono state sottoposte le leghe. La prima Lega che nacque fu la Liga Veneta e dopo pochi mesi aveva già un seguito di massa; quando si presentò alla elezioni ebbe un successo clamoroso, indelle zone raggiunse il 30-40 per cento. A quel punto il partito principe in Veneto, la Democrazia Cristiana, prese alcune centinaiadi democristiani, li immise nella Liga Veneta e sei mesi dopo la Liga Veneta fu scardinata, spaccata in duecentomila pezzi. Si è riavuta solo ora. con le ultime elezioni. Di fronte a questo la Lega Nord si dette uno statuto che è molto rigido perché stabi Iisce una serie, forse non molto democratica, di livelli che fanno da filtro. Quando uno si iserive alla Lega Nord prima è socio. poi, dopo tot mesi o anni, diventa socio militante, poi diventa socio con diritto di voto eccetera. Da questo nasce la leadership forte. ma il Bossi capopopolo. il bossismo, l'hanno creato la televisione e la stampa legate ai partiti romani. E tutto questo è logico, la nostra è una società delrimmagine. del sembrare, e quindi diventa vero quello che il mondo delrimmagine vuole far passare. ■
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