Una città - anno II - n. 13 - maggio 1992

· r,co~ arsi IN MANIERA BANALE E SPAVENTOSA INSIEME, CERTECOSE SONO DIVENTATE NOZIONI l'intervento di Gianni Solri A differenza delle tre persone che parleranno qui stasera, Enrico Deaglio, Paola Di Cori, Fabio Levi, io non mi sono mai occupato professionalmente di questi temi -la storia contemporanea dell'ebraismo, la persecuzione. Certo, ho letto dei libri, non posso dire di esserne del tulio ignorante: 1u11avia, non mi considero uno studioso di questi temi. Allora voi mi direte: perché hai accettato di venire a recitare questa tua parte? In effeui ho avuto delle esitazioni. E posso dirvi in tutta franchezza in base a quali argomenti le ho superate. lnnanzitulto mi é venuta in mente una cosa che mi ha colpito negli ultimi tempi. La mia generazione, la generazione di chi oggi ha tra i cinquanta e i sessant'anni, credo sia stata l'ultima ad avere un'informazione, anche molto martellata, sul problema dello sterminio degli ebrei. Noi da ragazzi leggevamo il diario di Anna Frank, da studenti universitari andavamo a vedere molti terribili film e documentari. Insomma, c'è stato un periodo dopo la guerra, fino agli anni sessanta -ma non sto cercando di fare la storia reale del modo in cui la memoria di quegli eventi si sia modificata, sto solo ricordando io personalmente-, c'è stato un periodo, dicevo, in cui i media esercitavano molto fortemente la funzione della conoscenza e del ricordo. Dopo di allora, questa attenzione è venuta calando. In maniera banale e spaventosa insieme, certe cose sono diventate nozioni. Anche il fatto che sei milioni di persone vengano sterminate in un breve periodo con metodi scientifici, che è poi la shoah, può diventare una nozione. E quando una cosa diventa una nozione e null'altro, è come minimo inutilizzabile; ma c'è di peggio: può diventare qualcosa che non è solo inutile, ma che tende a perdersi. Le nozioni non sono, di per sè, conoscenza, non fanno veramente parte della vita della gente. Trovandomi io come insegnante (come, credo, molti di voi) in un contatto frequente - e angoscioso- con una conoscenza che va scomparendo, con una memoria che viene tradita, mi ha colpito che qui, nella vicenda di cui si parla stasera, non ci fossero sei milioni, o diciassette vittime, che non ci fossero solo dei numeri, ma anche nomi e cognomi. Purtroppo, non molto di più di nomi e cognomi. Le persone di cui sappiamo di più sono questi due coniugi polacchi, Amsterdam e Rosenbaum: ma anche di questi abbiamo solo un lungo e doloroso itinerario. Di tutte queste vittime dell'eccidio di Forlì del '44, le due che ci sono più note lo sono in termini che potrebbero essere quelli di un'agenzia di viaggi. Di tulti gli altri abbiamo quasi solo i nomi, a volte anche storpiati dalle scritture amministrative; in qualche caso le qual ifiche professionali. Sono quasi tutti nomi stranieri, che riecheggiano la Germania o la Polonia. Riecheggiano il mondo di Singer -sono un grande lettore di Singer, in pratica non riesco a finire le mie sere se non leggo qualche sua pagina, e questo dura da anni: per mia fortuna, Singer ha scriuo molto-, quel grande mondo perduto. E lasciano intravvedere sentimenti, e famiglie, religione e usanze, operosità economica e cultura, paure e angosce, destini personali appassionanti e tragici. Insomma, qui non ci sono solo numeri: ci sono persone delle quali vorremmo sapere di più. Una delle prime cose che mi sono venute in mente, quando Massimo Tesei ha avuto la bontà di venire a Bologna a raccontarmi questi tragici avvenimenti che erano stati scoperti dalla Saiani, e di cui gli amici che fanno questa bella rivista avevano pensato di parlare, è stata questa: che forse, parlando ad alta voce di queste persone come si sta facendo qui oggi, si poteva dar luogo a un'occasione perché altri che avessero ricordi su quegli eventi se ne sentissero invogliati a tirarli fuori. Se anche solo potessimo, alla fine di questa giornata, sapere qualcosa di più ... Voi direte: a cosa serve? Sono morti. Sì, sono morti, però c'è un problema fondamentale che è quello della memoria, della memoria come barlume di eternità, come conservazione di vita in qualèhe modo ancora dopo la morte. Nel mondo ebraico, per quel poco che ne so -vi ho già detto che non sono uno studioso del mondo ebraico, però ho letto un libro di un grande storico che si chiama Yerushalmi-, la memoria ha grande importanza. Il verbo zakhar, che vuol dire ricordare, nelle sue varie forme (e soprattutto nella forma imperativa zakhor, "ricorda", "ricorda o popolo d'Israele"), ricorre nella Bibbia non meno di 169 volte. Questa funzione della memoria non è del resto prerogativa del solo mondo ebraico (dove pure essa è fortissima, fino ad investire l'intera vita quotidiana). Senza fermarmi sul Foscolo, vorrei citare un vecchio film giapponese, di Kon lchikawa, L'arpa birmana. E' un film straordinario, intenso e dolente, che racconta di un soldato giapponese che alla fine della guerra l'intervento di Cesare Finzi si fa bonzo e dedica la sua vita -io ricordo male, perché lo vidi molto tempo fa, nei primi anni sessanta, e mai più- a cercare, per seppellirli pietosamente, i cadaveri dei suoi compagni morti in combattimento. Credo che la funzione della memoria sia una funzione molto importante perché -e questo chiude il primo dei miei puntinon ci sia, dopo la morte, una seconda morte. La memoria, insomma, è quasi un nostro dovere nei confronti dei morti. Salvare qualcosa di essi è una sorta di pietas della storiografia. In particolare quando ci si trova, come in questo caso, di fronte a morti particolarmente orrende e insensate. Una seconda cosa che mi ha colpito è come si possa ancora oggi, a distanza di tanti anni, di quarantasette anni da questi eventi, scoprire (o riscoprire) cose che non si sapevano. Da un punto di vista quantitativo, lo sterminio è stato molto studiato.C'è una letteratura sconfinata. E' stato studiato, come è ovvio, soprattutto da studiosi ebrei, ma non solo ebrei. Non saprei come commentarlo, ma trovo interessante questo: che l'iniziativa di Forlì sia· nata in ambiente non ebraico. Trovo questa cosa interessante, e anche molto bella (ognuno, poi, la giudichi come crede), perché mi sembra una testimonianza, una prova che il problema ebraico non è il problema degli ebrei, o non solo un problema degli ebrei, è un problema anche nostro, di noi "genti li", che riguarda tutti, che riguarda la nostra civiltà. E' curioso che ancora, a distanza di tanto tempo, e malgrado questa vasta storiografia, si debbano scoprire cose nuove. E questo pone il problema, che io a mia volta pongo alle persone che qui parleranno, della rimozione. So che su questo termine si può discutere a lungo, se sia più giusto parlare di rimuovere, di dimenticare, o di oblio, come preferisce Paola Di Cori. E' un fatto che un po' tutti, la sinistra e la destra, gli stessi ebrei, i non ebrei, perfino il Signor Perlasca, questa straordinaria figura di cui Enrico Deaglio ha ricostruito la storia, tutti insomma hanno avuto problemi di rimozione. Allora è necessario chiedersi il perché di questo, porsi un problema al quale, per la verità, risposte assai belle, importanti sono state già date da scrittori e testimoni come Primo Levi. Qui, stasera, sarebbe interessante affrontare il problema cercando di collegarne l'aspetto generale con la sua specificità forlivese, rispetto ai tragici eventi di cui stiamo parlando. Questo mi pare un secondo punto degno di interesse. Ed ecco un terzo e ultimo punto al quale anche Massimo Tesei ha accennato. Dicevo prima che la mia è stata una generazione cui veniva affidata, trasmessa la memoria dello sterminio. Però devo aggiungere subito una cosa: che le veniva affidata all'interno di una cultura e di una mentalità "progressiste". Cerco di spiegarmi. Sotto s0110, anche se non esplicitamente, ci veniva trasmessa l'idea che si trauasse di cose del passato, di un problema ormai chiuso. Mi spiego meglio. All'idea di progresso, da un punto di vista generale, culturale e filosofico, ormai non crede più nessuno da tempo. Sono stati scritti libri definitivi per smitizzare e combattere l'idea del progresso. E tuttavia, noi abbiamo continuato ad essere progressisti nella banalità quotidiana. Fino a cinque anni fa abbiamo pensato che le grandi epidemie -e cito un aspetto che è il più evidente, plateale e, ahimè, il meno "ideologico"- fossero finite nel diciassettesimo secolo, e che l'ultima fosse la peste del Manzoni. Ora sappiamo che non è vero. Davamo per scontato che le guerre di religione -le più terribili fra tutte- si fossero esaurite anch'esse nel Seicento, e con esse l'intolleranza. Credevamo che le nazionalità fossero un problema legato all'ascesa e ali' affermarsi della borghesia nell'O1tocento, e che ne rimanessero soltanto pochi residui. Oggi sappiamo che le guerre di religione e l'intolleranza, le nazionalità e le etnie, lungi dall'essere problemi del passato, che la storia avrebbe "superato", sono tra i protagonisti dei nostri anni, non solo nel nostro mondo euroccidentale giudaico-cristiano, ma in tutto il mondo. Qualcosa di simile vale per l'antisemitismo. Lo sterminio, pur nella sua indicibile, inenarrabile essenza, nel suo essere qualcosa che, secondo alcuni studiosi, addirittura trascende la storia (essendo questa incapace di spiegarlo), non è stata una lezione sufficiente per sempre, come in fondo noi credevamo. L'antisemitismo è tuttora presente. Il che vuol dire -pensiamo ancora per un momento alla nostra mentalità progressista, della mia generazione, ma credo anche della successiva- che non ci sono problemi che la storia risolva una volta per tutte. Anche il problema dell'antisemitismo non è un problema risolto. Di recente, in televisione, abbiamo visto dei giovani -e la cosa è anche per questo più intrigante, più inquietante- sostenere le tesi pazzesche, assurde di quegli studiosi (si fa per dire) che, in Francia ma anche altrove, hanno scritto che i campi di sterminio non sono mai esistiti. Sempre di recente, su molti giornali abbiamo letto di un'indagine fatta a Milano, in una scuola media superiore: le cose che gli studenti hanno scritto sugli ebrei -una incredibile mistura di ignoranza, di pregiudizi e di razzismo vero e proprio- sono cose che aveva- ' -- • < •.._,..,. , ~.... ~ ... .._/ mo sperato, e creduto, di non incontrare mai più. Si può trovare tutto ciò folle o deplorevole, ma non si può negare che faccia parte del panorama generale della nostra cultura. E, ovviamente, c'è di che preoccuparsene. Vorrei aggiungere che non c'è solo l'antisemitismo, perché accanto ad esso crescono altri razzismi, vecchi e nuovi. Auschwitz è un unicum nella storia, lo sterminio degli ebrei è un unicum. Tuttavia, ci sono anche punti di contatto con altri razzismi. Questo, comunque, è il terzo punto. C'è la commemorazione, il risarcimento, c'è il meditare sulle forme, i modi e le ragioni della rimozione. Ma credo che oggi sia anche importante un richiamo a meditare sul razzismo e su dove il razzismo può portare. Con questo, ho finito la mia introduzione: che, come vi avevo detto, serviva solo a spiegare perché mi ero permesso di accettare il gentile invito degli amici di Forlì a venire a "moderare" questo incontro. E' il bozzetto del progetto per dare una sistemazione diversa alle tombe delle donne ebree nel Cimitero Monumentale di Forlì. Allualmente le tombe sono in un angolo alto dell'ossario, senza stella e senza data e nulla può far ricordare che furono uccise nel '44. Il progetto è frutto della collaborazione fra il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Ferrara e Romagne, Luciano Caro, l'assessore Gabriele Zeli i e il direttore del Cimitero, Patrizio Lostritto e dovrebbe essere attuato a breve. La, mia vuole essere una testimonianza, molto commossa, di quello che so, per averlo passato sulla mia pelle e sullapelle di tanti miei parenti. Vorreiringraziare chi ha organizz,atoquesta giornata. Non si deve, non sipuò dimenticare quello che è statofatto. Non sipuò andare contro la realtà storica. E' necessario, è bene, per tutta l'umanità, che rimanga un ricordo storico vero, non unpezz,odi storiamessa in un libro e chepuò essere dimenticata facilmente. Anche quando gli ultimi testimoni diretti, quando noi saremo scomparsi.Debbono rimanere i segni di quello che è realmente successo, nella realtà italiana, in ognipaese, in ogni città. Eccoperché credo che sia estremamente importante, anche se sono passati più di quarant'anni, quasi cinquanta, dagli eventi che sono stati oggi ricordati, che questa memoria , venga mantenuta, che si faccia qualche cosa per ricordare quello che è avvenuto, che si faccia qualche cosa per ricordare i nomi di quelli che sono defunti. Nella nostra morale, nella nostra etica,finché c'è il ricordo dellapersona, questa non è morta. Il lavoro della dott.sa Fargion, nome per nome, brevissima storia per brevissima storia, riporta alla vita migliaia di persone che sono defunte e questo è en e lo SCORGO/~ndamtale di tutti noi. Grazie. o eca 1no 1anco UNA CITTA'

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==