Una città - anno II - n. 10 - febbraio 1992

febbraio------------- IN SECONDA E TERZA. "Perché parliamo tanto di ebrei". E poi a partire dalle leHere di Calderoni e Turci del numero scorso un dibaffito su questo giornale. E Rocco Ronchi risponde alla domanda "di cosa si deve occupare un giornale politico ciffadino?" e sempre sul tema "giornale" un intervento di Beppe Ramina. IN QUARTA EQUINTA. "CiHadini ex-maffi". Nell'intervista a florence Ribot il racconto della bella esperienza di Cà del Vento di Imola e un servizio fotografico sulle stanze dove i residenti ora possono meffe_re quello che vogliono. IN SESTAESEff'IMA. Intervista all'insegnante Valeria Capelli, prima tappa di un viaggio nel mondo della scuola. In "avevo paura di non aver più nulla da fare" Morena Monti e Laura Zanni discutono del modo di affrontare il deficit, di normalità, dell'aiuto degli altri. Con un intervento di Fabio Strada. "la vita non è un bene di consumo" è l'intervista a Remo Bodei. SPECIALE 13 FEBBRAIO. In offava e nona, l'intervista a Beniamino Matatia e Cesare finzi, sui ricordi del 38 e del terribile 43, sulle piccole coincidenze o intuizioni che salvarono loro la vita e sulla sorte diversa di tanti zii e cugini. E in decima e undicesima il resoconto del dibaffito "Dio dopo Auschwitz", con le relazioni del rabbino Caro, di don Sala e l'introduzione di Massimo Tesei. IN DODICESIMA. In "partire per poter tornare" Maria Pia Dradi ci parla del suo "viaggio", durato 5 anni, in Perù e nella foresta amazzonica. E poi le" impressioni di viaggio" di Libero Casamurata: "piccoli uomini". IN TREDICESIMA. In collina negli anni 70. Un'esperienza di case collettive raccontata da Vittorio "Bob" Belli racconta. E ne "il fiume" di Silvano Galeotti l'epopea di una famiglia di sabbiaioli di un piccolo paese. IN QUAff'ORDICESIMA. "Anni per dimostrare che il mondo •••" è il racconto di Paolo Bianchi. Delle sue sconcertanti nostalgie, dell'immaginario omosessuale, degli amici scomparsi ••• IN QUINDICESIMA. "un'etica per il nulla" è l'intervento di Ivan %attini. In "domandarsi" le riflessioni di franco Melandri dopo il dibattito della Sala Albertini. E poi "odore di zolfo" di Benvenuto Occhialini e "Wagner e Israele" di Giorgio Bacchin. IN SEDICESIMA. "Da Annalena ". Antonietta Di Castro ci racconta dei due mesi passati dall'amica Annalena Tonelli, da 22 anni missionaria in Somalia a fianco dei poveri. Questa volta infuriava la guerra civile. 1anco

B PERCHE' PARLIAMO rANro DI EBREI Perché parliamo ranro di ebrei ce lo chiedono inmolti. Ma come sospettando che ranra insistenza da parte nostra celi qualcosa di tenebroso. Quasi fossimo lo11ta11i disce11de111i di quei marrani spagnoli che, obbligati a convertirsi, continuavano poi in segreto a celebrare il sabato. Qualcuno ha adombrato che questo "avvicinarsi" a Israele via Auschwitzfosse un eccesso dell'ormai imperante zelo da "sinistra in crisi". Un altro ha tagliato corto: "gli ebrei ora vanno". Ma è strano che sul finire del secolo si tenti di discutere di un avvenimento che ha segnato la storia de/l'umanità, avvenuto sollo gli occhi dei nostri genitori, mentre abbiamo ancora la possibilità di parlarne con gli ultimi testimoni? Epoi non basta aprire un giornale in q11esti giorni? E siamo veramente sicuri che scoprire una lapide ai martiri ebrei di Forlì e prima, casomai, parlarne nelle scuole, sia meno importante, e senza scherzare affatto, di una qualsiasi opera pubblica, che fosse pure la costruzione di un teatro da miliardi e miliardi? E importante non già da un punto di vista morale, che non ci sarebbe neanche da stare a discutere, ma proprio da quello della fu/lira qualità della convivenza, e quindi della vita, di una cillà. In questo numero intervistiamo due signori molto affabili, che abitano a pochi chilometri da Forlì, che annoverano parecchi familiari perdliii ad Auschwitz. Ci hanno spiegato di qua/Zie cose minute si n111rauna persecuzione e per quante, altrellanto piccole, si possa aver salva la vira. Ebbene a noi sembra strano che questi signori non siano mai stari invitati in una scuola superiore a parlare ai ragazzi, a tenere una grande lezione di storia. **** Il Rabbino dice che chiedersi cosa avremmo fallo in situazioni simili è la domanda principale. Ce la facciamo da tempo. Abbiamo passato serate a discutere cosa avremmo fatto sentendo il frastuono delle vetrine in pezzi del negoziante di sotto. Eil giorno dopo? E quando il negozio veniva riaperto da un altro esercente? Come ci ha spiegato il nostro amico che insegna a Princeton massime còme "non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a te" e "la mia libertà finisce eccetera eccetera" funzionano solo se tulli le rispellano. Che non basta non esser prepotenti. ma bisogna impedire Laprepotenza degli altri. E che per questo possano o debbano bastare i carabinieri non è solo un problema tecnico. Sempre a Princeton, afilosofia politica. discutono in aula cosa significhi politicamente quel che si farebbe in metrò imbattendosi in uno stupro di gruppo in allo. Quando ce Lo eravamo chiesto noi, uno ammise che forse avrebbe fatto finta di 11011 vedere, un altro che avrebbe fatto di 11111p0er intervenire per salvare se non altro il rispetto di sé, ma un terzo si lasciò sfuggire che si sarebbe messo a correre per andare a chiamare i carabinieri, e a correre forte ... Non parliamo poi di quando una maggioranza decide democraticamente di diventare prepotente, coi carabinieri a tenere l'ordine nuovo. In Germania ora c'è chi vuol far passare come una specie di resistenza antinazista la non-collaborazione di tanti tedeschi. Tipo che molti giovani continuavano ad ascoltare jazz. Che è vero, peccato che non sia stato sufficiente a non far portar via il compagno di st11di. E allora? Scendere mentre stavano distruggendo le vetrine poteva voler dire il /ager,forse lamorte sul posto, eprobabilmente senza ottenere alcun risultato visibile. Eppure il problema resta. Forse ci siamo ormai abituati ad una libertà slacciata da responsabilità non più richieste ad alcuno, forse 11011è LIII caso che si parli quasi solo di "diritti" mentre il sopruso imperversa e che parole come onore e disonore siano in totale disuso. Che in nome del cosiddetto "valore della vita•· il grido più nobile dell'uomo che si alza in piedi sia risuonato capovolto: "meglio schiavi che morti". Cos'è allora libertà? Sartre disse che il massimo di libertà ci fu solto l'occupazione na:isra quando per un francese decidere se salutare o no una persona conosciuta poteva essere questione di vita odi morte. Pensiamo che siano questioni lontane anni luce? **** Abbiamo giovani amici tedeschi. E abbiamo sempre discusso, cmche con accanimento, del carcutere dei tedeschi, della loro responsabilità collettiva, che avevano rimosso, che 11011avevano pagato abbastanza. Quasi a incitarli a scavare nella storia dei loro genitori, ad indagare sull'origine dei gioielli di famiglia, sui passaggi di proprietà della casa in cui erano cresciuti. E la più timida perplessità avvalorava il peggior sospetto. Ora ci risentiamo stonati. Accusare gli altri è sempre attraente, ma ancor più se dà occasione per squadernare delle carte in regola, con su scritto. nel caso in questione, "brava gente, 1101r1azzista, non antisemita". Ma 1101è1 forse vero che in tutta Europa, nel dopoguerra, la demonizzazione del tedesco sen,ì addirittura aripulirle, le carte di tutti? Basta andare a vedersi cosa amavano fare i patrioti lituani nelle pubbliche piazze. Si portavano anche i figli piccoli, che non dovrebbero aver dimenticato lo spettacolo. (Leggere se interessa "Bei Tempi", editrice La Giuntina "). Allora scoprire l'eccidio di via Seganti, scoprire che in via Seganti c'erano italiani. che gli ebrei venivano anche arrestati da italiani. spesso su denuncia di italiani. che a Forlì funzionò 111p1iccolo campo di co11ce11tra111e11t1o0, 11 è stato cosa da poco. Ma più grave ancora è stato scoprire che noi 1101l1o sapevamo, scoprire che di questo eccidio Forlì non porta memoria. Abbiamo chiesto ai nostri genitori, abbiamo chiesto in giro. Nessuno ne sapeva nulla. Sette donne fucilate dovrebbero "fare notizia", ma per loro non c'è neanche una lapide in via Seganti. Al quartiere Resistenza, a meno che non ci sia sfuggita, non c'è via intitolata agli ebrei trucidati in quello che dopo le Fosse Ardeatine e il Lago Maggiore. è il terzo eccidio in Italia per numero di ebrei caduti. Una semplice dimenticanza? Ma app111110I.nutile trovare scuse. Abbiamo anche qui la riprova che lo sterminio degli ebrei in Europa è stato considerato una "cosa a parte". 11nfa11oche riguardava loro e che pilÌ di tall/o nonfaceva neanche notizia. Allora aveva ragione Hitler pensando che per gli ebrei si sarebbero sparse poche lacrime? Ed è quella indifferenza che/a impressione. Se poi si ha il sospello che da allora. in fatto di indifferenza, si siano fatti passi da gigante ... Da tu/lo ciò la decisione, un po· anomala per noi, di "impegnarci,. anche al di là del giornale. **** Un conoscente, anche in1el/ige111e. per niente razzista, parlando della giomata che stiamo organizzando è sca11a10: "gli ebrei? Non mi in1eressa110! ". Di lì a un minlllo, però. eremo state delle le parole "Rockfeller" e ''rabighi110"e le frasi "sparano sui palestinesi" e "puzzano". Q11es1'ultima cosa perché, in metrò a New York in pieno agosto, c'era LIII ortodosso con soprabito e colbacco di pelo. A parre che "perché puzzano" è da sempre una delle frasi preferire da ogni razza di razzista; a parte che per avere un 'idea di quanto sia relativo il conce Ilo di "puzzo" basta chiedere a w1 giallo. che per rau.a 11011 suda, cosa significhi per lui star di fianco ad un bianco qualsiasi. sia pur irrorato di Chanel. Ma ammesso anche che al nostro amico l'odore del signore "ortodosso" risultasse sgradevole, sarebbe il caso che prima di riempirci la bocca di indignazione antiraz:isra ogni volta che succede 1111 farwccio, ragionassimo sullo scenario che ci piacerebbe vedere entrando in 1m qualsiasi vagone di me1ropoli1a11aoccide11tale.Non è un problema da poco. Perché se poi la comunità che preferiamo è una comunità di eguali, co11 lo stesso odore. lo stesso cibo. gli stessi abiti, gli stessi dei. allora meglio dirselo chiaramente, ma avendo anche l'onestà di riconoscere che Hitler un problema in Europa ce l'ha risolto. Se altrimenti sia inevitabile 1111caomunità in cui ognuno è diverso dagli altri, dove. con tu/ti i rischi di perdita delle identità, si diffondano i matrimoni misti, oppure ancora. se sia possibile una "comunità di comunità", malgrado 1111te le tensioni che si potranno creare, • 2 UNA ClffA' sono i problemi che .1·1c111110 a1ta11a-glia11dogran parte del mondo. Ma mm era poi concesso che quel signore "ortodosso·• p11zzasse. Perché spesso decidiamo "pri111a ". Perché 1111col-• bacco di pelo in agosto puzza agli occhi già a venti 111e1rdi i distan:a. Niente di grave. 111sae poi, senza sapere nulla della storia de/l'ebraismo americano, decidia1110 che gli ebrei a111erica11siono /LIiiiRockfeller e se, senza mai aver co11osci1110 LIII ebreo, decidiamo che sono 111tti''rabighini", in questo peraltro confortati dal vocabolario dia/e/tale, affermare che in questo "decidere prima" ci sia 1111 piccolissimo, microscopico "prodromo di pogrom" sarebbe dire troppo? Forse sì, 111au11 problema c'è. Ovviamente il conoscente ha rige11a10 con sdegno l'accusa, considerata infamante. di antisemitismo. **** Alcuni di noi da sempre parteggiano con i palestinesi. E nel passato è capitato che qualcuno si sia 111essoa 111is11raroegni cosa che faceva Israele col bilancino, an:i. con la pesa usata per giudicare la Germania di Hitler. Ora al 111011deo.proprio dopo Auschwitz. non si può escludere più nulla, neanche LII/O Sterminio di palestinesi, ma neanche, visti i rapporti di forza nella regione, 1111 nuovo sterminio di ebrei. E che a sinistra questa possibilità quasi 111acroscopica non sia mai stata presa in considerazione fa pensare. Nona//'a111isemi1ismocasomai, ma a 1111 a111iamerica11ismotal111e11c1ie co da far dimenticare Auschwitz. Poi se si vuol giudicare, bisogna. essere esaui. L'abuso di parole che ad alcuni 1101c1osta nulla ad altri/a male. Allora Sabra e Chatila, che resta una delle pagine più nere del dopoguerra, andrebbe co1111111que paragonata a Marzabo110. Così come le stragi di Tali el Zatar e del Settembre Nero commesse da siriani e giordani. Mai ad Auschwitz. Ma la cosa che conta è chiedersi chi giudica chi. Allora un certo accanimento, /'asso/1110 disi111eressea capire anche cos'è Israele. la sua storia e la sua psicologia. un certo compiacime1110q. uasi 1111 · impazienza nel voler dare dei nazisti agli israeliani, di dimostrare che le vittime 1101e1rano 111egliodei carnefici. 11111q0uesto oggi suona 111p1o' sinistro. Meditiamo sul vivo compiaci111e11toche provava 1111SaS ancora sicura di sé. tronfia e ben saziata, dedita caso111aia qualche buon commercio di ricavati da sele:ioni, difronte al/a vili ima che in lolla per la sopravvivenza si abbassava a commeuere al/i disumani. **** Il signor Matatia al sindaco di quella che la sua famiglia un tempo considerò la propria comunità non chiede molto. Che venga tenuta pulita e leggibile la targa che sul ponte di Faenza ricorda chi lo costruì: la Brigata Ebraica che co111ba1tèa fianco degli alleati per liberare la Romagna. Ma non pare sia stato ancora acconte11ta10.Ma ci ha anche raccontato la sua amarezza per il fauo che i giovani. anche ebrei, 1101s1i i111eressi110 più di 1<1111q0uaello che successe allora. Al signor Ma1a1ia periodicamellle imbrauano le vetrine del negozio. E/ 'ultima volta. per la guerra del Golfo, insieme alle seri/te antiebraiche e alle minacce di morte, c'era anche 1111 ··cane israeliano". Ovviamente in nome dei palestinesi. E' stato a quel punto del racconto che il signor Ma1a1ia ha aggiunto con 1111pa11111dai orgoglio che quel "cane israeliano" infondo 1101g1li aveva dato fastidio. E al mo111e111d0i accomiatarsi, al/'i111ervis1a1riceha regalato una bo1tiglie1taco111w1i i colori delle terre di Israele. una di quelle cose che incantano i bambini. Allora /'i111ervista1ore. da sempre filopales1i11ese,si èfauo piccolo piccolo e si è sentito irrazionalmente corresponsabile di qualcosa. E sulla via del ritorno ha pensato a come sia/acile proclamare solidarietà ad 1111d0ei tanti popoli oppressi che ci sono al mondo quando non si rischia nulla. Meno che mai di dover leggere sui muri della propria città minacce di morte al proprio figlio. E che certo 11011lo dimenticherà. il moto d'orgoglio del/ 'a11~ia110sopravvis.rn10. del "cane israeliano" che era 1111 bambino quando perse dicio1to parenti ... CO UN GIORNALI Ad un anno dalla sua uscita, ci siamo ritrovati attorno a un tavolo a discutere del giornale. Con Giorgio Calderoni e con Gabriele AttilioTurci, di cui, la volta scorsa, avevamo pubblicato le lettere. Quella di Giorgio, inparticolare, moltocritica, sappiamo che aveva raccolto vari consensi fra i nostri lettori, nonché fatto discutere anche noi. Nella speranza che continui, riportiamo la discussione nelle sue parti essenziali. Libero: Fin dall'inizio ci si è rifiutati di ripetere l'esperienza dei giornali locali precedenti, soprattutto perché non ci pareva che fosse il momento di ricadere nel solito riportare quel che accade in consiglio comunale o parlare di manifestazioni di un certo tipo. Ci siamo trovati d'accordo di privilegiare l'aspetto dell'intervento sul sociale; abbiamo cioè creduto che, più che parlare dello scontro fra forze politiche, fosse interessante indagare su quelle associazioni o persone che in qualche modo operano su questo terreno; questo spiega le pagine sulla droga, sugli handicappati, sulla bioetica. Non vogliamo considerare la "politica" in quanto tale, anche se non manca, come nel caso del dibattito sulla "fine del comunismo". Certo si può obiettare che essa non ha sul giornale un rilievo sufficiente, data l'importanza dell'argomento. Alla domanda "dove vogliamo andare", secondo me si può rispondere riaffermando che si vuole dare senso, valore, ali' intervento sociale, anche se non c'è l'obbiettivo di uno sbocco politico o di un intervento sociale organizzato, né da parte del giornale né della cooperativa. Che poi le varie iniziative del giornale, la prevalenza sul giornale di alcune cose su altre, possano dare la sensazione di una intenzione specifica è comunque qualcosa che va oltre le intenzioni del giornale. Può anche succedere, come qualcuno ha detto, che finiamo per fare propaganda indiretta per Comunione e Liberazione, ma è certo che il nostro intento non è quello. Quel che da parte nostra è certo è il non voler escludere a priori nessuno, che non vuol dire farsi portavoce di tutti, ma indagare su tutto. Giorgio: su quanto Libero diceva ali' inizio è ovvio che non ci sono problemi, dò per scontato che iIgiornale, pur fatto da gente di sinistra, non è orientato nel senso di una politica partitica e si occupa di politica solo in un certo modo. Io vedo due piani: voi dissodate molto in profondità e questo è un lavoro indispensabile, a livello locale e non solo, ma forse non c'è bisogno solo di questo, io vedo anche la necessità di lavorare su un piano intermedio, è per questo che ho fatto quegli esempi nella lettera. Chiedo se il piano che propongo io e quello che scandagliate voi siano complementari in uno stesso foglio. Si parla spesso di "urgenze", urgenze etiche o morali, ed io ho l'impressione che dissodando così in profondità si rischi di perdere il tram, qualche appuntamento. lo sono ancora "fissato" su certe cose; sono ancora convinto che rispetto ad alcuni avvenimenti un po' di tempestività occorra. Questo mi pare il punto. Mario Tronti teorizza che per trent'anni bisogna solo studiare, forse questo lo può fare qualcuno, però le cose vanno avanti. Certo nella mia lettera la questione della religiosità era messa in una maniera un po' cattiva, ma mi pare di avvertire una punta di ricerca voluta, quasi una specie di "rifolgorazione a ritroso", un voler trovare compenso alle delusioni passate. Può essere solo una impressione mia, ma mi pare che ci sia il voler cercare le grandi risposte, le grandi cose, che si ripieghi su questo piano; mi pare che un filone illuminista manchi, che manchi un po' di razionalità. C'è tutto questo tormentone che va anche bene, ma che rischia di essere una sorta di "nostalgia" per cui si taglia di netto con quello che in qualche modo si è stati, con ciò da cui si proviene. Mi pare invece che questo legame ci sia bisogno di riaffermarlo ancora oggi. Il problema è vedere se sul giornale c'è questo spazio. Franco: Un anno fa l'interesse verso chi, animato da fede, andava nel sociale non era da parte mia molto convinto ed era motivato soprattutto dal fatto che si parlava del sociale. Oggi vale l'inverso; mi interessa molto di più cercare di capire perché nonostante la ragione (ed io sono uno di quelli che nella ragione ci ha creduto tanto perché, secondo me, era la cosa migliore che tutti avevamo e potevamo usare) c'è questo ritorno alla fede. Una fede che non è solo religiosità, che è comunque molto importante e si sta diffondendo, quanto fede in senso forte, cioè il bisogno di credere in qualcosa che, anche se non lo sai definire, diventa normativo per la tua vita. Questa questione mi si è evidenziata lavorando nel giornale e, pur essendb un agnostico non in crisi, è diventata uno degli interessi più sentiti che ho in questo momento, al di là che questa fede si esprima o no nel sociale. Continuo anche ad essere convinto che la politica sia il nostro destino, nel senso che, vivendo con gli altri in società, anche se noi non ci occupiamo della politica è la politica che si occupa di noi; tuttavia quel che ora possiamo fare mi sembra sia vedere cosa significa "politica" a tutti i livelli. E allora, per esempio, scoprire che, a fronte del venir meno della presenza di chi solo pochi anni fa era nelle piazze, sta crescendo più o meno sotterraneamente, spesso con le stesse persone, una aggregazione sull'onda della fede è per me ungrosso interrogativo, mi pare importante chiedermi, e chiedersi, perché invece di cercare di elaborare un "modo" diverso della politica, invece di interrogarsi più a fondo, tanta gente senta il bisogno di trovare una risposta forte. E questa è senza dubbio una questione politica. Quanto poi all'investigare su un piano intermedio c'è da dire che, secondo me, in ogni questione ci sono svariati aspetti, molti dei quali celati, ma che possono mettere in una luce diversa la questione più apparente e quindi cambiare il tuo agire nella realtà stessa. Per spiegarmi: sarei ben contento se venisse fatta piena luce sulle stragi, ma mi importa ancor più capire come può un essere umano, che certo non è "trinariciuto", mettere una bomba e poi la mattina farsi tranquillamente la barba; cosa lo anima? Cercare di rispondere a queste domande, o comunque renderle evidenti, mi pare abbia più significato che fare un corteo contro il razzismo; il che non vuol dire che il corteo non si debba fare, solo che è importante farlo sapendo il più possibile quale è il complesso di cose che sta dietro al motivo dichiarato per cui si va in piazza. Il "taglio" di "Una Città" è tutto qui, nel cercare, a volte certo prendendo anche degli abbagli, di guardare dietro alle cose. E, paradossalmente, per fare questo è necessario uscire dalla logica "emergenziale" proprio perché siamo nel1'emergenza. Gianni: Noi abbiamo fin dal1' inizio scelto di non fare un giornale localistico, scegliendo invece il locale come motivo di una riflessione più di fondo. Quando Giorgio nella lettera parla del comportamento dr Comunione e Liberazione bisogna dargli ragione se in un certo atteggiamento si riscontra un'intolleranza del tipo "bruciare i libri". Però mi interessa anche capire le motivazioni di questo comportamento. E allora, per dire, scoprirei che C.L. rifiuta drasticamente di porre al centro la questione morale ed io, paradossalmente, perché mi sento lontanissimo da C.L., sono d'accordo con loro. Perché mettere al centro di tutto il fatto morale non dice nulla. Sulle stragi chi è che si mobilita? I familiari, coloro che esistenzialmente sono stati colpiti. E qualcun altro, quasi tutti quarantenni come noi, che vissero quel periodo con grande passione politica ed esistenziale. E' una indignazione così pulita, da "cittadini"? Non c'entra anche tutta la nostra storia? La stessa cosa può valere per don Ciotti; tu dici che forse noi lo abbiamo trascurato perché prima fa lavoro sociale poi è prete; ma io mi chiedo quanto conta realmente la fede in quello che fa? Ma potrei rivo)tare la domanda? Non è che per certa sinistra, quella sì folgorata sulla via del solidarismo cattolico, un prete valga solo se va dai drogati? E in quanto a valenza politica, non è che Don Femicelli ne abbia meno di don Ciotti. I carismatici, soprattutto nel mondo protestante americano, hanno cambiato molto. Ancor più, ovviamente, fondamentalisti ed integralisti. La "mora! majority" ed il fondamentalismo religioso sono stati i grandi elettori di Reagan, il reaganismo nasce quindi sull'onda di un fortissimo ritorno al puritanesimo e queste non sono sciocchezze. E allora se a Forlì ci sono trecento carismatici, non cambia niente che loro rifiutino qualsiasi discorso politico, come si fa a dire che non sono rilevanti? Poi l'esempio, che tu vedi come il più clamoroso, delle gomme tagliate: anche a me sembra un segnale sinistro, ma è il primo che vediamo? Non può essere che non siamo stati capaci di vedere gli altri o che spesso ci Ricordate! Questo è il punto decisivo. Al di là della vecchiaia, degli anni, della scomparsa del testimoni dlreHI. (Jean AmeryJ Nel settembre del '44, diciotto ebree ed ebrei furono fucilati a Forlì. Quel fatto, immaginato solo lontano da noi, è avvenuto anche da noi. E lo si è dimenticato. 1992. Forlì, via Seganti FORLI', 13 FEBBRAIO '92, GIORNATA DI RICORDO, DI RIPARAZIONE, DI RIFLESSIONE Alla mattina. Salone Comunale, ore 10 Incontro fra gli studenti medi e il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Ferrara e delle Romagne, Luciano Caro. Al pomeriggio. Sala Gandolfi, c. Diaz 45, ore 16. Dibattito su persecuzioni razziali in Italia ed eccidi. Parteciperanno Liliana Picciotto Fargion, Paola Saiani, Fabio Levi, Gregorio Caravita. Coordinerà Mauro Pesce. Alla sera. Salone comunale. Ore 21. Dibattit? su r~zzisn:io,antise?'itism~ e rimozion~ con Liliana Picciotto Fargion, Paola D1Con, Enrico Deagho, Dav1dMeghnag1, Fabio Levi. Coordinerà Gianni Sofri. UNA CITTA'. in collaborazione con: Associazione di AmiciziaEbraico-Cristianadi Forlì. Associazione ItaliaIsraeledi Cesena, IstitutoStorico Provinciale della Resistenza. Col patrociniodi: Comunedi Forlì. Provincia di Forlì. Facoltà di ScienzePolitichedell'Universitàdegli Studidi Bologna. Provveditorato agli Studi di Forlì.

fa comodo vedere il segnale sinistro negli altri enon vedere l'imbarbarimento della vita quotidiana, pensando magari di riuscire, noi, a rimanerne fuori? Allora, per esempio, quando il Papa dice "no alla guerra del golfo", quando parla di pace, mi lascia indifferente, mi provoca molto di più quando si scaglia contro l'Emilia grassa. E l'Emilia grassanon sonosolo quelli che tagliano le gomme, siamo un po' tutti noi. Noi non riusciamo a fare questo lavoro di indagine, sul giornale non ce n'è quasi traccia, ma sarebbemolto bello riuscirci. Seci riuscissimo non avrebbe sensoseparare i due livelli che dice Giorgio; poter farequesto tipo di autocoscienza, di sintomatologia, come la chiama Rocco, sarebbenon solo bello, ma necessario. ti di Rocco. Io non dico che dobbiamo prendere posizione, che dobbiamo schierarci, però mi pare che questi temi siano rimossi dal giornale; ho I' impressione che, sece ne dovessimo occupare, nel giornale scoppierebbe un po' il bubbone perché verrebbero fuori le cose più passionali. Diciamo pure che la bioetica ti cambia la vita e che è una cosa che va investigata, ma anche la mafia ti cambia la vita, cambia il tuo modo di vivere. Eormai,anche qui da noi, rischia di diventare parte del quotidiano. Massimo: Questa, anche secondo me, è unadi quelle questioni che non èche sul giornale nonci sonoperchési èdeciso che non ci devono essere. li fatto che non ci siano dipende, da una parte, da nostre difficoltà, dall'altra dal taglio che ha il giornale. Nel giornale hanno molta importanza le persone, non è che i problemi non ci siano, ma arriviamo ai problemi attraverso le persone. Rispetto alla mafia se ci fosse modo di fare un'intervista a un taglieggiatore o a un taglieggiato noi la faremmo più che volentieri, ma non è il caso che mj metta a fare io un articolo, facilmente verrebbe fuori la solita pappa. Gli esempi che fa Giorgio toccano questioni che sul giornale potevano benissimo esserci, ma quello che conta è l'insieme del giornale, cioè quello che sta dietro al fatto di scrivere materialmente gli articoli. Cerco di spiegarmj meglio. Se io avessi fatto degli articoli su C.L. che non voleva far vedere "Il muro di gomma", sulle gomme tagliate o sudon Ciotti (alla cui conferenza alcuni di noi, fra l'altro, non hanno partecipato per una serie di banali disguidi), nella sostanzanon ci sarebbedifferenza fra questi e gli articoli chepotevano essere scritti da Giorgio o da altri: quello che conta non è tanto questo, ma lo spirito che ci sta dietro e che è lo spirito di questo giornale. Tu vuoi parlare delle gomme che vengono tagliate, ma ti rendi conto di tutto quello checi va dietro? Sai che non puoi solo dire "Ragazzi non ci si comporta così! La critica va fatta alla luce del sole e non si va di notte a tagliare le gomme a una persona"; nella tua logica ci starebbe che parli delle gomme se ti metti a parlare anchedel piano Patrizia: Al di là del fatto che in redazione su certi temi ci siamo scannati, certe questioni, come la mafia o la questione morale, sono rimaste fuori dalla nostra indagine. Argomenti che non abbiamo scandagliato nemmeno col nostro taglio, per cui le uniche cose apparsesono stati gli interven- .--------------cli Rocco Ronclti B1 DI COSA SI DIVI OCCUPARIUN GIORNALI POLITICOClffADINO? Si rimprovera talvolta a queste pagine di volgersi all'assoluto invece che al contingente, di dare più spazio alle problematiche etico-religiose che alla denuncia delle piccole meschinità commesse talvolta proprio in nome di quegli stessi assoluti che qui si discutono. L'Esistenza, scritta con la Emaiuscola per sottolineare ironicamente l'astrattezza dell'espressione, sarebbe anteposta insomma alla vita quotidiana (incorsivo, come si conviene a ciò che veramente vale). Ciò che si sospetta è l'evasione, l'esodo, l'espiazione, infine, di un antico quanto imprecisato senso di colpa. E' un sospetto sintomatico. Esso rivela infatti come anche i più sinceri compagni di strada siano talvolta prigionieri di unpregiudiziocaratteristico dell'epoca della tecnica. L'Esistenza con i suoi problemi ultimi dovrebbe godere, si dice, di uno spazio meno esclusivo, più rispettoso delle altre esigenze che sarebbero, così si pensa, più concrete. Il pregiudizio consiste appunto nel considerare l'Esistenza un problema a parte o, per così dire, "a monte", appannaggio di una disciplina particolare (la filosofia? Le scienze umane?), competenza specifica di un ristretto e, soprattutto, autorizzato gruppo di tecnici. Dopotutto, nelle riviste a grande tiratura -quelle che danno !'"esempio editoriale"- ricerca religiosa o riflessione etica non occupano forse lo spazio misurato di una rubrica? E le riviste specialistiche, quelle che nessuno legge ma la cui autorità è indiscutibile, non sono forse del tutto indifferenti alle urgenze del mondo circostante? Ogni sconfinamento deve essere evitato: l'assoluto ai filosofi, i problemi di coscienza alla morale individuale, la verità oggettiva ai laboratori degli scienziati, la città agli esperti dei problemi locali e ai professionisti della denuncia (i giornalisti?). Trasgredire questi limiti vuol dire esporsi al ridicolo. Tutti però convengono nel definire "epocale" la crisi che viviamo. Ma questo che altro significa se non che ad essere irrimediabilmente scosse sono le fondamenta stessa della nostra vita? Le risposte possono allora consistere in semplici aggiustamenti dell'esistente, in una nuova sistemazione di concetti invecchiati? Se è la cornice a non tenere, occorre allora andare in profondità, "rifare tutto" cercando, come scriveva Marx, di essere "radicali". Altrimenti, come di fatto accade con leghismi, "trasversalismi" ed ecologismi da amico degli animali, si rischia soltanto di contribuire involontariamente con il proprio chiasso e con i propri stucchevoli sdegni morali allo sfascio e al fascismo prossimo e venturo (bisogna riconoscere che "sfascismo" è un'espressione eca Gino che coglie nel segno). Illudersi di rispondere ad una crisi che viene da lontano con rassicuranti chiacchierate sul "ritorno del cittadino" e sull'estensione della democrazia reale vuol dire evadere effettivamente quelle responsabilità che in linea teorica (ed elettorale) si dice invece di voler assumere. Seguendo la strada dei piccoli aggiustamenti, differendo costantemente il faccia a faccia con le questioni ultime, ci si troverà ben presto in un vicolo cieco. Lo dimostra, tra l'altro, la paradossale situazione algerina. Là infatti democrazia e stato di diritto si sono difesi dal cosiddetto "fanatismo" religioso con il colpo di stato e la violazione flagrante del diritto, rivelando così tutta l'impotenza e la contraddittorietà della pratica democratica. A chi ritiene che volgere lo sguardo all'Esistenza sia una fuga dalla realtà, si deve dunque obiettare che, se la crisi è epocale, essa obbliga gli uomini di buona volontà a spogliarsi dei propri owi saperi per esporsi nudi ad un confronto radicale con l'essere - l'essere dell'altro, ad esempio, la sua differenza, la violenza strutturale che questo rapporto implica. Che si parli dunque di Dio, della morte, della malattia, delle situazioni-limite della vita, che si rifletta sull'esperienza poetica, che si demoliscano i pregiudizi dello scientismo e dell'utilitarismo, se si vuole effettivamente tornare a fare politica in modo concreto. Perché l'azione politica, anche quella più quotidiana, ha bisogno di essere illuminata da una domanda sul senso. Altre strade non sono date, bisogna dirlo con franchezza, a meno che non si creda veramente alle insulsaggini di un Popper o alle ricettine liberaldemocratiche oggi in voga presso una intellettualità stanca di cercare. La misura dell'autenticità di questa esperienza non sarà data dai suoi contenuti, ma dal rigore con cui si atterrà al proprio nulla, dalla capacità cioè di sottrarsi a quella domanda, apparentemente inoffensiva, che paralizza ogni ricerca. Essa chiede con voce sommessa ma ferma: "Chi sei? Esibisci la tua identità! Solo cosi potrò riconoscerti". Domanda maliziosa che, come la innocente constatazione del bambino di fronte al re nudo, spezza l'incantesimo di un dialogo possibile. Se tale è, come credo, il compito elementare che attende chi non si sia rassegnato al "nuovo ordine mondiale", non ci sarà allora da stupirsi se questi si dimostrerà poi, agli occhi del mondo, goffo, impacciato e sostanzialmente inutile. Degli innamorati, e del loro parlare a vuoto nel tentativo di dire l'essenziale, si può infatti sempre ridere. 1anco regolatore, seèda lì chequesto fatto origina, e ti sembrerebbe che il tuo pezzo zoppichi se non parlassi del piano regolatore inquadrandolo nella questionepolitica più generale. Ma questa non è la scelta che abbiamo fatto noi, perché alla fine, un passettino per volta, non ti troveresti più questo giornale, nel quale ci può anche stare un pezzo sulle gomme tagliate, ma ti ritroveresti il vecchio "L'altra città", quello che si faceva prima che lo facessimo noi. Cioè il giornale che, attraverso un po' di conoscenze, denunciava tutto quello che succedeva in città; denunciava, poi qualcuno faceva il saggio, qualcuno faceva il "fondo" politico, esi faceva rientrare un po' tutto nel quadro della sinistra che denuncia, che va avanti, che ha ragione. Noi siamo partiti da lì per non rifare quel tipo di giornale, senzaavere le idee molto chiare, senzavoler esserel' organo politico di un gruppo, senzaavere una linea in senso tradizionale, che deve affermarsi. Per questo si può prendere un numero del giornale e trovare che un sacco di cose mancano; si può prenderne un altro e avere l'idea che al fondo del gruppo che lo fa ci sia una crisi mistica terribile, ma questo avviene perché nonè lo strumento di un gruppo politico omogeneo, che ha la sua strategia e che usa il giornale per presentarla. Questo è uno strumento di dibattito, di approfondimento, di riflessione e quindi cerca di scavare, di scandagliare, di girare attorno alle cose per vederle un po' da tutti i lati. A Forlì a me non sembra che ci siano stati altri tentativi come questo,e secondo me vale la pena che ci sia uno strumento come questo, che ti lascia delle cose. Io ho fatto dieci anni di politica e non rimpiango né la scelta di Lotta Continua né quello che ho fatto in quegli anni: sono abituato che un po' di bilanci li faccio e per fortuna ci sono stati quegli anni lì, nonostante gli errori. Però, facendo il bilancio delle cose che mi restano, vedo che da questo anno in cui facciamo il giornale delle cose grosse mi sono rimaste, per esempio la questione degli ebrei. Per un altro potrà non essere così, ma per me è una questione grossa, che in dieci anni di militanza non mj si era mai posta; mi rendo conto oggi di non aver mai capito molto né degli ebrei né di Israele. Se avessimo fatto il giornale tradizionale, attento ai problemi della città, noi degli ebrei non avremmo mai parlato, perché, senon ti metti in uncertomodo, con una certa ottica, a scavare al fondo di certe cose, quali sono i problemi della città che ti spingono ad affrontare la questione degli ebrei? Nessuna. Però, per me, questa è già da mettere nelle cose positive chemi ha datoquesto giornale. E tutto questo perché il giornale è fatto in un certo modo. A dire la verità non volevo fare una difesa del giornale. mi è venuta così... Paolo: Peròè sintomatico che un territorio di indagine come può esserequel lo del le gomme tagliate non sia mai stato visto dalla redazione come un territorio da affrontare col taglio del giornale. Questo deve far capire che probabilmente la domandadi Giorgio ègiusta. E cioè: è un territorio che può esserevisto, indagato, scandagliato, con le armi e le metodologie di un giornale come questo? E' giusto provarci, abbiamo tentato, ma fino ad ora abbiamo lasciato lì. Cosavuol dire questo?Io certeesperienzenon le ho fatte, vengo daesperienze completamente diverse, e la cosa che mi affascina e mi rimaneè i I puntaresul problema della memoria, che è il dato culturale che, secondome, tiene su tutto il giornale. Ho fatto vedere una copia del giornale ad un mio zio sacerdote e la prima cosache ha detto è stata "Con tutti i problemi che ci sono andatea parlare di ebrei? Se volete parlare di razzismo ve li faccio conoscere io quelli che hanno i problemi di razzismo!" E' vero, però è anche vero che, probabilmente, il recupero della memoria è, forse, la chiave che può far sìche fatti di razzismo sempremeno succedano. Partire daquesto forse serve anche in chiave politica. Io credo che questa sia la scommessa,per il resto il problema che pone Giorgio è un problema aperto e spinosissimo. Gabriele: Stamattina ho aperto "Cuore" e sono rimasto impietrito leggendo le paginecon l'inchiesta su chi era Valpreda, ecc. Era arrivato anche "Una Città" e mi è venuto spontaneo pensareche questa fosse una risposta. Mancano degli spazi di memoria e, sotto questo profilo, nel giornale c'è stato un cammino che mi fa dire che la cosa ha cominciato a prendere corpo in un modo estremamente interessante . Sapete che ho nutrito grosse perplessitàali' inizio, ancheper la storia precedente,che avevo vissuto più che altro di riflesso. Oggi però credo che un giornale di questo genere, che non ha fini elettoralistici e non ha altri obiettivi che porgere un servizio alla città, passi di mano in mano e si faccia leggere da persone anche ideologicamente diverse. Ciò che ciascuno ne può ricavare è la sensibilità, anchesediversa per ognuno. Anche il fatto di atteggiarsi ad ascoltare è importante, il recupero della curiosità verso alcuni argomenti non ècosada poco, come è i nteressanteil tentativo di rifondare le radici attraverso la memoria. Non so cosa ne verrà fuori e sicuramenteèun processolungo, però non avrei fretta. E anche l'apparente assenza di linea, che io ho semprecriticato probabilmente anche per la mia storia personale, a questo punto diventa il momento fortee fondante perché, sesi va ad analizzare, in effetti una linea non è che non ci sia: c'è un percorso, c'è un metodo ed io credo che la cosa fondamentale sia il metodo, il modo con cui si fanno le cose. Giorgio: Non vedo contrapposizione fra quello che dico io e le altre cose che sono emerse, conservo però delle perplessità quando c'è una unidirezionalità; i piani sono abbastanza distinti, ma credo che occorrano entrambi. Ognuno ha il suo pallino: io ho quello dell'abdicazione. Credo che l'abdicare sia stato un po' il nostro errore, la nostracolpa. Una volta per motivi ideologici, perché non bisognava votare, non bisognava starenelle istituzioni ecc., oggi permotivi di riflessione personale noi continuiamo ad abdicare e intanto decidono tutto gli altri. E il fatto che decidano tutto gli altri non riguarda solo noi, come dice Hans Jonas è una responsabilità enorme nei confronti delle generazioni future. Questo è il punto: le cose che oggi si fanno o non si fanno hannounaconseguenzaimmediata sulle generazioni future, che non conosciamo in volto, esattamente come non conosciamo in volto i sei milioni di ebrei sterminati. Oggi io vedo dei baratri alle porte: l'andare al fondo delle cose, la memoria, sono indispensabili, ma possonocolmare questi baratri? Può bastare solo questo di fronte alle urgenze dell 'oggi? Io ho qualche dubbio, mi sembra ci sia una obbiettiva sfasatura nei tempi. LETTURENOTTURNE? do di rimettere in gioco la volontà soggettiva, la capacità di estraniarsi dal mondo per confrontarcisi, comprenderlo ericrearlo. Leggendo alcuni numeri addietro le numerose riflessioni nate dallo sgretolarsi dell'Unione Sovietica, ero rimasto piuttosto perplesso per quell'arrovellarsi attorno alla fine di un regime da lungo tempo auspicata. Non mi consolava neppure la constatazione che, pur giustificata dalla grave smemoratezza che proviamo nel ricordare gli estinti, venissero a sovrapporsi ricordi di adolescenza, desiderio di comunismo e URSS. La ragione di tanta desolazione risiede altrove, ovvero nel fatto che, assai più che la crisi delle utopie comuniste, sia da tempo fuorigioco la politica, l'idea cioè che, attraverso un impegno civile di ampio raggio, sia possibile migliorare e modificare l'esistenza delle persone, la salute del pianeta, la vita degli altri animali. Qui la mia riflessione trova un punto di coincidenza con quanto ha scritto sull'ultimo numero di Una Città Giorgio Calderoni, col quale ho condiviso anche la sceltadi far parte di un Consiglio Comunale (io a Bologna, Giorgio a Forlì; io coi Verdi e Giorgio col Pds): il che in buona sostanzasignifica lavorare suquestioni quotidiane, lasciando spesso sullo sfondo o nelle letture notturne i temj di più largo respiro e di idealità. Nonostante questo, il giudizio sull'utilità di questo mensile diverge: per spiegarmi mi servo di unesempio. Si parla molto, in queste settimane, di recessione e di come rilanciare occupazione ed economia: assieme a pesanti ipotesi di ristrutturazione del costo del lavoro e a qualche cenno chic sul terziario avanzato, ciò che sostanzialmente non viene messo in dubbio è la bontà del mododi sviluppo consolidatosi nell'ultimo mezzo secolo; non entra in discussione il tragico sfruttamento del sud del mondo; di ripensare alle relazioni S.T. PRODUZIONE OROLOGI DA PARETE E TERMOMETRI Via M. Ferrari Bandini Buti n.15 Tel. 0543/780767 - Fax 0543nB0065 47100 FORLI' tra gli umani ed il complesso del pianeta non se ne parla. Peraffrontare questequestioni -e, in buona misura, anche le scelte amministrative di fondo: investire 50 miliardi nel '92 percostruire un nuovo asse viario o in altra maniera, per esempio?- mi sono venuti in soccorso alcuni materiali che appartengono, per così dire, alla filosofia: il pensiero economico di Schumacher (Piccolo èbello); alcuni testi che si occupano di epistemologia; riflessioni, condotte con amici, sul buddismo ed altro. Intendo dire che il pianeta e il nostro Paeseenoi stessiabbiamo necessitàdi nuovi punti di partenza dai quali guardare obiettivamente il mondo nel quale viviamo comprendendone i limiti. le brutture e gli aspetti positivi; in altri termini vedo necessaria un'attività di ricognizione, catalogazione e rielaborazione che abbia come oggetti prevalenti la creazione di filosofie o spiritualità in graDa questo punto di vista, pur nei limiti che appartengono ad ogni esperienza, vedo in Una Città il senso di un percorso che è personale ma pubblico, filosofico ed eterodosso fino ali' eclettico mache, trattandosi di un giornale "povero" e a diffusione orizzontale, si incontra immediatamente con la città, i suoi umori, i bisogni. In altre parole, è come se la necessità che molti di noi vivono di ritrovare la propria posizione nella vita, di esseresocialmente utile eattivo, venisse scandagliata nel luogo migliore, ovvero sotto gli occhi di tutti offrendola generosamente a chiunque, fornendo i tanti punti di vista, i sentimenti, i bisogni che appartengono a quella vicenda complicata e complessa che sono le nostre individuali esistenze. Beppe Ramina. ALIMENTINARMONIACONLANATURA Frutta e verdura, formaggi, pane, biscotti integrali, latticini, pasta, prodotti senza zucchero e/o sale, alimenti e cosmetica prima infanzia, detersivi ecologici, cosmesi naturale, macrobiotica, ecc... MINIMARKET Via Ravegnana 81/c Forlì - Tel. 796039 UNA CITTA' 3

intervista a Florence Ribot, dell'Associazione Cà del Vento---------- CITTADINI EX· ATTI lm_ola_in: _un parco di alberi secolari. al centro della città. l'Ospedale Ps1chia1ncoOsservanza. 500 persone ancora ricoverate. Molti reparti. Alcuni immutati da sempre. allri in viadi Lrasformazione.Un reparto dal 1991, trasformato nella struttura e nella sostanza. è dive111atala residenza di 21 persone dimesse. la loro casa. Una comunità autonoma. falladi persone di nuovo libere di scegliere, che hanno iniziato un cammino lungo e faticoso di riappropriazione di capacità, volontà, desideri. voglia di farcela che da persone deprivate. totalme111ederesponsabilizzate, le sta portando, a volte anche dolorosamente. a vivere da cittadini. Otto operatori lavorano insieme a loro. Abbiamo intervistato Florence Ribot, responsabile dell'Associazione Cà del Vento. Che cos'è Cà del Vento? E' un'associazione, nata nel 90, fonnatadacinadini di Imola e da un gruppo di persone ricoverate ali' ospedale psichiatrico Osservanza che, dopo una serie di contatti presi sia dati' equipe medico-sociale che dagli educatori che operavano ali' interno dei reparti, aveva accettato l'idea di ripartire da capo con una vita organizzata diversamente in una struttura per persone dimesse. Quali problemi avete avuto nel portare qui queste persone? Le persone alle quali la cosa è stata proposta erano più di 50 e alla fine soltanto 21 hanno accettato, alcune spontaneamente, altre con l'accordo di fare una prova, con la possibilità di tornare indietro. La proposta è stata fatta a persone con una certa autonomia, che all'interno dei reparti si erano salvate minimamente un loro spazio; alcuni in posizione di forza rispetto agli altri ricoverati e con rapporti privilegiati col personale, potevano avere qualcosa da perdere, perché da uno status privilegiato andavano in una situazione aperta che proponeva i rapportj così come sono nella società. C'era anche la paura di non poter fare a meno dell' organizzazione manicomiale, della rassicurazione che dava, anche se a prezzi grossissimi. Andare ad abitare a Cà del Vento era un tragitto che si faceva all'interno dello spazio fisico del parco dell'ospedale Osservanza, e questo, che oggi è un enorme handicap, è stato per tante persone un elemento di rassicurazione: si cambiava, ma non tanto. Dacosa nasce l'associazione? Nasce da quello che si chiama il "progetto Valerio" per il superamento del manicomio, che è stato prodotto dal la direzione dell'ospedale quattro anni fa. Valerio è il nome di un signore emblematico che, ricoverato dall'età di 8 anni in varie strutture, tenuto a lungo legato perché si picchiava e diventato cieco senza che i medici avessero sospettato problemi agli occhi, a poco a poco, sotto la guida del dott. Antonucci che gli aveva strutturato un accompagnamento, ha ripreso a camminare e a riappropriarsi delle funzioni del proprio corpo. Era forse la persona più handicappata di tutto I' ospedale. Secondo questo progetto, quattro anni fa, sotto la direzione del dott. Venturini, si sono cominciati a predisporre strutture e servizi per la dimissione delle persone. Qui a lmolac'erastataunafasemolto favorevole già prima della legge 180 del '78, con moltissime dimissioni, poi tutto ha avuto una battuta d'arresto, la legge non è stata applicata e le sole persone che uscivano erano quelle che mori vano. Cà del Vento è una delle prime strutture per dimessi e rientra in un progetto che prevede anche molti cambiamenti all'interno dei reparti. In base a che cosa vengono decise le dimissioni dall'ospedale alla Càdel Vento? Le persone vengono dimesse se hanno una situazione possibile verso la quale andare. Quelle rimaste dentro sono quelle considerate, per luogo comune, un residuo, per cui il manicomio è l'unica condizione di vita possibile. Invece si sta dimostrando che le persone che sono qui dentro hanno ancora delle possibilità, forse sono mancate la creatività e la volontà di farle accedere a queste possibilità. Chi aveva una famiglia e una casa propria verso cui andare è già stato dimesso, ma chi è ancora qui ha da un minimo di venti fino a quaranta, cinquant'anni di pe1manenza. E' ovvio che i legami con l'esterno sono molto allentati; per molti le sole possibilità diventano le case di riposo per anziani oppure strutture per problemi specifici di handicap. Cà del Vento vuole essere una soluzione, provvisoria o definitiva. Uscire vuol dire uscire per un'altra vita. All'inizio si pensava potesse essere un passaggio, perché il salto dal reparto a una situazione completamente autonoma era troppo grosso. Allora qui si è impostata la vita il più possibile vicina al quotidiano, per cui ognuno deve rispondere a delle responsabilità, ha un ruolo, si riconosce una sua identità di persona, distinta da quella degli altri. persone clte si sfanno "svegliando" Quali sono le difTerenze tra l'ospedale e la vita a Cà del vento? Il reparto non è fatto in base ai bisogni degli utenti, ma del1' istituzione stessa. Ci sono delle gerarchie, il primario, il medico, l'infermiere fino al ricoverato, quello debole e quello forte. L · individualità della persona è "legata", la struttura stessa non ha luoghi privati. Qui invece ognuno ha la propria camera, arredata secondo il proprio gusto e ne è responsabile. Abbiamo strutturato alcuni strumenti che sono le assemblee su argomenti vari, più una specifica per i menù. Lavorare qui significa essere molto in empatia con le persone, però significa anche far nascere delle conflittualità. Uno dei nostri obbiettivi è che per tutti ventuno emergano delle opportunità, perché anche tra di loro c'è una grossa competitività per cui, ad esempio, se un qualsiasi lavoro relativo alla gestione domestica è compito di una persona che se lo è preso proprio come ruolo, diviene difficile per un'altra accederci. Qui rinforzano la loro personalità e prendono consapevolezza della propria forza e capacità a contrattare, e questo serve anche nel rapporto col fuori. Ritrovare una libertà ad agire e a pensare porta a riproporre i modelli che ci offre la società, compreso anche quello di voler emarginare il più debole. La differenza, rispetto ali' istituzione, consiste nel fatto che in buona parte agiamo in modo che le persone gestiscano da soli i loro rapporti; e questo in certi momenti li mette in crisi. E' un passaggio, però necessario. Loro non si sono scelti, ci sono persone che non sono mai state accettate del tutto, o altri che era difficiCoop. Cento Fiori I.AB. ART. fITOPRl:PARAZIONI ViaValDastico, 4- Forlì Tel. 0543/702661 - Estrattiidroalcolicini diluizione t : 10da piantafrescaspontaneoa colti~atasenza l'utilizzdoiprodottdi isintesi. - Maceradti gemme. - Opercodliipiantesingole formulazioni conmateriaprimabiologicao selezionata. - Produzionsiuordinazione le sopportare e questo fa che le cose non siano semplici. All'inizio avevamo scelto di lasciare un'autoregolazione dei rapporti, ora vediamo che in certi momenti c'è la necessità di dare un supporto, di intervenire nelle questioni che si vengono a creare, sennò ci troveremmo alla legge della giungla. Però questo deriva anche dal fallo che qui c'è gente che si sta '·svegliando", che si sta riappropriando del suo essere persona, attraverso un evoluzione sempredinamkacon tutti gli aspetti positivi e negativi che questo comporta. • • com,nc,a a interrogarsi sul tempo clte lta passato qui Come fate coi soldi dei residenti? Quello che abbiamo fatto già nel primo anno è stato di ridare in mano alle persone la gestione del proprio patrimonio, perché quando erano ricoverati nei reparti c'era un ufficio di gestione del denaro per cui uno non accedeva al proprio conto in banca ecc. Ora ognuno ha il proprio conto in banca ed è lui il firmatario. Ci sono delle persone che fanno le operazioni come credono. Ci sono alcune persone che sarebbero nella stessa situazione, ma ci chiedono di accompagnarli perché sentono una responsabilità troppo pesante. Alcune persone invece che, non essendo mai state abituate alla gestione di più di mille o duemila lire al giorno, hanno fatto fatica subito a totalizzare l'entità del loro patrimonio, e magari se hanno a disposizione I 00.000 lire al giorno spendono I00.000, se hanno I 0.000 spendono 10.000. La linea è quella di dare il più possibile autonomia alle persone, però riteniamo di farlo quando è possibile, cioè quando funziona, per non arrivare a degli estremi per cui alla fine dovremmo invece intervenire noi in tutto e per tutto. Questo da parte vostra e da parte loro è considerata una cosa importante? Importante sì, intanto significa arrivare a palpare in mano il proprio patrimonio, a ricevere i propri estratti conto per cui non si bara più con loro, magari come si faceva ... Tra l'altro con alcuni è il lavoro contrario che si fa, cioè quello di incentivarli a spendere i propri soldi, perché sono abituati a risparmiare per risparmiare, oppure a non avere alcuna occasione di spendere. C'è qualcuno che magari ha 40 milioni ed esita a spendere 500 mila lire per farsi una vacanza. C'è anche un signore, che ha un patrimonio di una pensione che si è accumulata così, negli anni, senza toccarla mai, ma è molto timido nello spendere i propri soldi e con una preoccupazione del futuro che non è razionale, mentre quella pensione continua ad arrivargli ... GAIA Pest Control igiene ambientale • Disinfestazioni • Derattizzazioni • Disinfezioni • Allontanamento colombi da edifici e monumenti • Disinfestazioni di parchi e giardini • Indagini naturalistiche 47100Forlì - viliMeucci,24 (Zona flldustrillle) Te/. (0543)722062 Telefax(0543)722083 questo signore adesso fa ancora molta fatica a darsi il piacere di comprarsi qualcosa. Ma tutto questo serve a mellere nelle loro mani i loro estraili conto. Il rapporto con le medicine? Tra adesso e due anni fa, il livello di consumo delle medicine è calato molto, proprio perché c'erano delle terapie lasciate così da tanti anni, che davano l'idea che lui stava buono. E l'abitudine che le persone avevano non era quella di poter discutere sulle medicine. E neanche poi se gli si cambiava la terapia non è che si parlasse con l'interessato. Qui invece adesso c'è un medico che procede diversamente, che è molto presente e che pone la cosa proprio su un piano di contrattualità. Questa contrallualità ci ha messo un po· di tempo ad instaurarsi. Non abbiamo fatto una scelta a priori di dire no alle medicine o sì alle medicine perché, intanto, se prima prendevano le medicine, devi anche essere in grado di proporre qualcos'altro, e comunque devi permettere alle persone stesse, e agli altri che ci vivono insieme, di poter convivere. Qui ci sono 21 persone. Quello cui si tende è rendere la gente alliva, fare propria la propria vita, cercare insieme la soluzione ai problemi. a volte dibaffiti un po' pesanti sulla 180 E ultimamente abbiamo visto maggiore fragilità nelle persone che forse erano più stabilizzate nel passato. Stando qua, avendo ripreso in mano una serie di cose della propria vita che invece nell'ospedale non c'erano, uno comincia anche a pensare, a riflettere, a interrogarsi sul tempo che ha passato qui dentro, a che punto è della propria vita, che cosa potrà fare. E quindi queste sono cose che determinano delle grosse fragilità ... ad esempio c'è un signore che per questo sta pagando un prezzo molto duro. Noi lo aiutiamo, lo sosteniamo con forza pensando che questa può essere una cosa costosissima per lui in termini di sofferenza che porterà, però, a un gradino superiore. E non c'entra il discorso delle medicine in più o in meno, ma proprio di cose che sono successe. il modo di vivere i rapporti con i compagni. con un amico in particolare. e poi con la famiglia o con gli operatori qui o anche con qualcuno fuori perché attraverso varie iniziative cominciano anche a conoscere delle persone fuori, sperimentano anche calore e comunque reciprocità dei rapporti. etc. Prima. diciamo. c ·era anche più una delega all'ambiente in cui ~i era e una certa passività per Iorza era la condizione poi per continuare a vivere in un ambiente manicomiale. E ci può essere della nostalgia verso il "prima"? Verso l'ospedale di prima? Direi che il termine nostalgia non mi sembra appropriato. Qualcuno in certi momenti ha avuto dei ripensamenti perché comunque qua magari ti trovi a dover affrontare delle scelte, delle questioni che invece in una situazione tutta determinata non hai. C'è qualcuno che continua a stare qui, ha fatto la scelta di stare qui, ma che continua a difendere la situazione del manicomio, dicendo che è quella dove lui è stato più sollevato in tutta la sua vita. E a volte entriamo in dei dibattiti anche un po' pesanti sulla 180 perché una dei residenti ce l'ha a morte con Basaglia, e dice che per lei la possibilità di essere in manicomio è stata una salvezza perché prima aveva una situazione di inferiorità, di complesso, di timidezza nel mondo e che stando con gente messa peggio di lei si è trovata sollevata. A volte può vedere in noi operatori, la gente così che ha curato questo progetto, dei rompiscatole, gente che vuole rimellere in discussione degli equilibri, poi, però, qui sta assumendo un ruolo di leader per certi aspetti, quindi ... Per il resto, direi che adesso, e forse è già diverso da un anno fa, dall'inizio quando ci sono state delle persone che avevano grosse esitazioni, paure che magari di fronte a certe piccole difficoltà hanno pensato che aveva fatto male a decidere di venire qui. Ora questa cosa riemerge ogni tanto quando uno ha una contrarietà particolare, magari se si tarda a cenare o non c'è più questa roba da mangiare, capita di dire che queste cose in reparto non succedevano però... persone che abbiano rimesso in discussione la scelta direi che non ce ne sono. E quali sono le prospettive concrete? Che uno possa porsi proprio come un cittadino. Però non è dello che questo sbocchi per tutti in un progetto di ritornare a vivere "fuori", dal momento che vogliamo rispettare anche le scelte delle persone. Alcuni si sentono troppo distanti, hanno una grande paura e forse temono di rischiare di perdere il nuovo equilibrio. Per questo motivo adesso lavoriamo per favorire l'emergere dei loro desideri, per confortarli e per dare alla gente gli strumenti per realizzarli. Quindi dal progetto originario, che vedeva Cà del Vento come momento di passaggio per andare altrove, si è giunti alla considerazione che le persone passano a Cà del Vento per cambiare, ricaricarsi di possibilità, dopodiché decidono se è questa la loro sistemazione, oppure se ne individuano altre. Ad esempio un signore ha pensato che gli piacerebbe ritornare alla casa di riposo del proprio paese, qualcun altro di poter andare ad abitare fuori, in una casa propria e per questo ha fatto domanda di casa popolare, magari con altri. Anche perché vivendo in una situazione più attiva si creano delle amicizie, mentre in un reparto vivono insieme quaranta individui che non interagiscono. Altri si sono costruiti una possibilità di lavoro diventando soci di una cooperativa per la manutenzione del verde, sia del parco del l'ospedale, sia facendo lavori all'esterno. Alcuni frequentano la scuola per conseguire la licenza elementare. un altro, pur lavorando nella cooperativa del verde, sta conseguendo il diploma di terza media tramite i corsi pomeridiani delle 150 ore. E' possibile un recupero totale? Dipende cosa si intende per recupero totale. Pensare che tutti ventuno potranno un giorno andare ad abitare da soli non ha senso. Per loro la protezione è importante e noi l'avevamo sottovalutata. L'ospedale garantiva una protezione totale, addirittura da

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