Una città - anno II - n. 10 - febbraio 1992

fa comodo vedere il segnale sinistro negli altri enon vedere l'imbarbarimento della vita quotidiana, pensando magari di riuscire, noi, a rimanerne fuori? Allora, per esempio, quando il Papa dice "no alla guerra del golfo", quando parla di pace, mi lascia indifferente, mi provoca molto di più quando si scaglia contro l'Emilia grassa. E l'Emilia grassanon sonosolo quelli che tagliano le gomme, siamo un po' tutti noi. Noi non riusciamo a fare questo lavoro di indagine, sul giornale non ce n'è quasi traccia, ma sarebbemolto bello riuscirci. Seci riuscissimo non avrebbe sensoseparare i due livelli che dice Giorgio; poter farequesto tipo di autocoscienza, di sintomatologia, come la chiama Rocco, sarebbenon solo bello, ma necessario. ti di Rocco. Io non dico che dobbiamo prendere posizione, che dobbiamo schierarci, però mi pare che questi temi siano rimossi dal giornale; ho I' impressione che, sece ne dovessimo occupare, nel giornale scoppierebbe un po' il bubbone perché verrebbero fuori le cose più passionali. Diciamo pure che la bioetica ti cambia la vita e che è una cosa che va investigata, ma anche la mafia ti cambia la vita, cambia il tuo modo di vivere. Eormai,anche qui da noi, rischia di diventare parte del quotidiano. Massimo: Questa, anche secondo me, è unadi quelle questioni che non èche sul giornale nonci sonoperchési èdeciso che non ci devono essere. li fatto che non ci siano dipende, da una parte, da nostre difficoltà, dall'altra dal taglio che ha il giornale. Nel giornale hanno molta importanza le persone, non è che i problemi non ci siano, ma arriviamo ai problemi attraverso le persone. Rispetto alla mafia se ci fosse modo di fare un'intervista a un taglieggiatore o a un taglieggiato noi la faremmo più che volentieri, ma non è il caso che mj metta a fare io un articolo, facilmente verrebbe fuori la solita pappa. Gli esempi che fa Giorgio toccano questioni che sul giornale potevano benissimo esserci, ma quello che conta è l'insieme del giornale, cioè quello che sta dietro al fatto di scrivere materialmente gli articoli. Cerco di spiegarmj meglio. Se io avessi fatto degli articoli su C.L. che non voleva far vedere "Il muro di gomma", sulle gomme tagliate o sudon Ciotti (alla cui conferenza alcuni di noi, fra l'altro, non hanno partecipato per una serie di banali disguidi), nella sostanzanon ci sarebbedifferenza fra questi e gli articoli chepotevano essere scritti da Giorgio o da altri: quello che conta non è tanto questo, ma lo spirito che ci sta dietro e che è lo spirito di questo giornale. Tu vuoi parlare delle gomme che vengono tagliate, ma ti rendi conto di tutto quello checi va dietro? Sai che non puoi solo dire "Ragazzi non ci si comporta così! La critica va fatta alla luce del sole e non si va di notte a tagliare le gomme a una persona"; nella tua logica ci starebbe che parli delle gomme se ti metti a parlare anchedel piano Patrizia: Al di là del fatto che in redazione su certi temi ci siamo scannati, certe questioni, come la mafia o la questione morale, sono rimaste fuori dalla nostra indagine. Argomenti che non abbiamo scandagliato nemmeno col nostro taglio, per cui le uniche cose apparsesono stati gli interven- .--------------cli Rocco Ronclti B1 DI COSA SI DIVI OCCUPARIUN GIORNALI POLITICOClffADINO? Si rimprovera talvolta a queste pagine di volgersi all'assoluto invece che al contingente, di dare più spazio alle problematiche etico-religiose che alla denuncia delle piccole meschinità commesse talvolta proprio in nome di quegli stessi assoluti che qui si discutono. L'Esistenza, scritta con la Emaiuscola per sottolineare ironicamente l'astrattezza dell'espressione, sarebbe anteposta insomma alla vita quotidiana (incorsivo, come si conviene a ciò che veramente vale). Ciò che si sospetta è l'evasione, l'esodo, l'espiazione, infine, di un antico quanto imprecisato senso di colpa. E' un sospetto sintomatico. Esso rivela infatti come anche i più sinceri compagni di strada siano talvolta prigionieri di unpregiudiziocaratteristico dell'epoca della tecnica. L'Esistenza con i suoi problemi ultimi dovrebbe godere, si dice, di uno spazio meno esclusivo, più rispettoso delle altre esigenze che sarebbero, così si pensa, più concrete. Il pregiudizio consiste appunto nel considerare l'Esistenza un problema a parte o, per così dire, "a monte", appannaggio di una disciplina particolare (la filosofia? Le scienze umane?), competenza specifica di un ristretto e, soprattutto, autorizzato gruppo di tecnici. Dopotutto, nelle riviste a grande tiratura -quelle che danno !'"esempio editoriale"- ricerca religiosa o riflessione etica non occupano forse lo spazio misurato di una rubrica? E le riviste specialistiche, quelle che nessuno legge ma la cui autorità è indiscutibile, non sono forse del tutto indifferenti alle urgenze del mondo circostante? Ogni sconfinamento deve essere evitato: l'assoluto ai filosofi, i problemi di coscienza alla morale individuale, la verità oggettiva ai laboratori degli scienziati, la città agli esperti dei problemi locali e ai professionisti della denuncia (i giornalisti?). Trasgredire questi limiti vuol dire esporsi al ridicolo. Tutti però convengono nel definire "epocale" la crisi che viviamo. Ma questo che altro significa se non che ad essere irrimediabilmente scosse sono le fondamenta stessa della nostra vita? Le risposte possono allora consistere in semplici aggiustamenti dell'esistente, in una nuova sistemazione di concetti invecchiati? Se è la cornice a non tenere, occorre allora andare in profondità, "rifare tutto" cercando, come scriveva Marx, di essere "radicali". Altrimenti, come di fatto accade con leghismi, "trasversalismi" ed ecologismi da amico degli animali, si rischia soltanto di contribuire involontariamente con il proprio chiasso e con i propri stucchevoli sdegni morali allo sfascio e al fascismo prossimo e venturo (bisogna riconoscere che "sfascismo" è un'espressione eca Gino che coglie nel segno). Illudersi di rispondere ad una crisi che viene da lontano con rassicuranti chiacchierate sul "ritorno del cittadino" e sull'estensione della democrazia reale vuol dire evadere effettivamente quelle responsabilità che in linea teorica (ed elettorale) si dice invece di voler assumere. Seguendo la strada dei piccoli aggiustamenti, differendo costantemente il faccia a faccia con le questioni ultime, ci si troverà ben presto in un vicolo cieco. Lo dimostra, tra l'altro, la paradossale situazione algerina. Là infatti democrazia e stato di diritto si sono difesi dal cosiddetto "fanatismo" religioso con il colpo di stato e la violazione flagrante del diritto, rivelando così tutta l'impotenza e la contraddittorietà della pratica democratica. A chi ritiene che volgere lo sguardo all'Esistenza sia una fuga dalla realtà, si deve dunque obiettare che, se la crisi è epocale, essa obbliga gli uomini di buona volontà a spogliarsi dei propri owi saperi per esporsi nudi ad un confronto radicale con l'essere - l'essere dell'altro, ad esempio, la sua differenza, la violenza strutturale che questo rapporto implica. Che si parli dunque di Dio, della morte, della malattia, delle situazioni-limite della vita, che si rifletta sull'esperienza poetica, che si demoliscano i pregiudizi dello scientismo e dell'utilitarismo, se si vuole effettivamente tornare a fare politica in modo concreto. Perché l'azione politica, anche quella più quotidiana, ha bisogno di essere illuminata da una domanda sul senso. Altre strade non sono date, bisogna dirlo con franchezza, a meno che non si creda veramente alle insulsaggini di un Popper o alle ricettine liberaldemocratiche oggi in voga presso una intellettualità stanca di cercare. La misura dell'autenticità di questa esperienza non sarà data dai suoi contenuti, ma dal rigore con cui si atterrà al proprio nulla, dalla capacità cioè di sottrarsi a quella domanda, apparentemente inoffensiva, che paralizza ogni ricerca. Essa chiede con voce sommessa ma ferma: "Chi sei? Esibisci la tua identità! Solo cosi potrò riconoscerti". Domanda maliziosa che, come la innocente constatazione del bambino di fronte al re nudo, spezza l'incantesimo di un dialogo possibile. Se tale è, come credo, il compito elementare che attende chi non si sia rassegnato al "nuovo ordine mondiale", non ci sarà allora da stupirsi se questi si dimostrerà poi, agli occhi del mondo, goffo, impacciato e sostanzialmente inutile. Degli innamorati, e del loro parlare a vuoto nel tentativo di dire l'essenziale, si può infatti sempre ridere. 1anco regolatore, seèda lì chequesto fatto origina, e ti sembrerebbe che il tuo pezzo zoppichi se non parlassi del piano regolatore inquadrandolo nella questionepolitica più generale. Ma questa non è la scelta che abbiamo fatto noi, perché alla fine, un passettino per volta, non ti troveresti più questo giornale, nel quale ci può anche stare un pezzo sulle gomme tagliate, ma ti ritroveresti il vecchio "L'altra città", quello che si faceva prima che lo facessimo noi. Cioè il giornale che, attraverso un po' di conoscenze, denunciava tutto quello che succedeva in città; denunciava, poi qualcuno faceva il saggio, qualcuno faceva il "fondo" politico, esi faceva rientrare un po' tutto nel quadro della sinistra che denuncia, che va avanti, che ha ragione. Noi siamo partiti da lì per non rifare quel tipo di giornale, senzaavere le idee molto chiare, senzavoler esserel' organo politico di un gruppo, senzaavere una linea in senso tradizionale, che deve affermarsi. Per questo si può prendere un numero del giornale e trovare che un sacco di cose mancano; si può prenderne un altro e avere l'idea che al fondo del gruppo che lo fa ci sia una crisi mistica terribile, ma questo avviene perché nonè lo strumento di un gruppo politico omogeneo, che ha la sua strategia e che usa il giornale per presentarla. Questo è uno strumento di dibattito, di approfondimento, di riflessione e quindi cerca di scavare, di scandagliare, di girare attorno alle cose per vederle un po' da tutti i lati. A Forlì a me non sembra che ci siano stati altri tentativi come questo,e secondo me vale la pena che ci sia uno strumento come questo, che ti lascia delle cose. Io ho fatto dieci anni di politica e non rimpiango né la scelta di Lotta Continua né quello che ho fatto in quegli anni: sono abituato che un po' di bilanci li faccio e per fortuna ci sono stati quegli anni lì, nonostante gli errori. Però, facendo il bilancio delle cose che mi restano, vedo che da questo anno in cui facciamo il giornale delle cose grosse mi sono rimaste, per esempio la questione degli ebrei. Per un altro potrà non essere così, ma per me è una questione grossa, che in dieci anni di militanza non mj si era mai posta; mi rendo conto oggi di non aver mai capito molto né degli ebrei né di Israele. Se avessimo fatto il giornale tradizionale, attento ai problemi della città, noi degli ebrei non avremmo mai parlato, perché, senon ti metti in uncertomodo, con una certa ottica, a scavare al fondo di certe cose, quali sono i problemi della città che ti spingono ad affrontare la questione degli ebrei? Nessuna. Però, per me, questa è già da mettere nelle cose positive chemi ha datoquesto giornale. E tutto questo perché il giornale è fatto in un certo modo. A dire la verità non volevo fare una difesa del giornale. mi è venuta così... Paolo: Peròè sintomatico che un territorio di indagine come può esserequel lo del le gomme tagliate non sia mai stato visto dalla redazione come un territorio da affrontare col taglio del giornale. Questo deve far capire che probabilmente la domandadi Giorgio ègiusta. E cioè: è un territorio che può esserevisto, indagato, scandagliato, con le armi e le metodologie di un giornale come questo? E' giusto provarci, abbiamo tentato, ma fino ad ora abbiamo lasciato lì. Cosavuol dire questo?Io certeesperienzenon le ho fatte, vengo daesperienze completamente diverse, e la cosa che mi affascina e mi rimaneè i I puntaresul problema della memoria, che è il dato culturale che, secondome, tiene su tutto il giornale. Ho fatto vedere una copia del giornale ad un mio zio sacerdote e la prima cosache ha detto è stata "Con tutti i problemi che ci sono andatea parlare di ebrei? Se volete parlare di razzismo ve li faccio conoscere io quelli che hanno i problemi di razzismo!" E' vero, però è anche vero che, probabilmente, il recupero della memoria è, forse, la chiave che può far sìche fatti di razzismo sempremeno succedano. Partire daquesto forse serve anche in chiave politica. Io credo che questa sia la scommessa,per il resto il problema che pone Giorgio è un problema aperto e spinosissimo. Gabriele: Stamattina ho aperto "Cuore" e sono rimasto impietrito leggendo le paginecon l'inchiesta su chi era Valpreda, ecc. Era arrivato anche "Una Città" e mi è venuto spontaneo pensareche questa fosse una risposta. Mancano degli spazi di memoria e, sotto questo profilo, nel giornale c'è stato un cammino che mi fa dire che la cosa ha cominciato a prendere corpo in un modo estremamente interessante . Sapete che ho nutrito grosse perplessitàali' inizio, ancheper la storia precedente,che avevo vissuto più che altro di riflesso. Oggi però credo che un giornale di questo genere, che non ha fini elettoralistici e non ha altri obiettivi che porgere un servizio alla città, passi di mano in mano e si faccia leggere da persone anche ideologicamente diverse. Ciò che ciascuno ne può ricavare è la sensibilità, anchesediversa per ognuno. Anche il fatto di atteggiarsi ad ascoltare è importante, il recupero della curiosità verso alcuni argomenti non ècosada poco, come è i nteressanteil tentativo di rifondare le radici attraverso la memoria. Non so cosa ne verrà fuori e sicuramenteèun processolungo, però non avrei fretta. E anche l'apparente assenza di linea, che io ho semprecriticato probabilmente anche per la mia storia personale, a questo punto diventa il momento fortee fondante perché, sesi va ad analizzare, in effetti una linea non è che non ci sia: c'è un percorso, c'è un metodo ed io credo che la cosa fondamentale sia il metodo, il modo con cui si fanno le cose. Giorgio: Non vedo contrapposizione fra quello che dico io e le altre cose che sono emerse, conservo però delle perplessità quando c'è una unidirezionalità; i piani sono abbastanza distinti, ma credo che occorrano entrambi. Ognuno ha il suo pallino: io ho quello dell'abdicazione. Credo che l'abdicare sia stato un po' il nostro errore, la nostracolpa. Una volta per motivi ideologici, perché non bisognava votare, non bisognava starenelle istituzioni ecc., oggi permotivi di riflessione personale noi continuiamo ad abdicare e intanto decidono tutto gli altri. E il fatto che decidano tutto gli altri non riguarda solo noi, come dice Hans Jonas è una responsabilità enorme nei confronti delle generazioni future. Questo è il punto: le cose che oggi si fanno o non si fanno hannounaconseguenzaimmediata sulle generazioni future, che non conosciamo in volto, esattamente come non conosciamo in volto i sei milioni di ebrei sterminati. Oggi io vedo dei baratri alle porte: l'andare al fondo delle cose, la memoria, sono indispensabili, ma possonocolmare questi baratri? Può bastare solo questo di fronte alle urgenze dell 'oggi? Io ho qualche dubbio, mi sembra ci sia una obbiettiva sfasatura nei tempi. LETTURENOTTURNE? do di rimettere in gioco la volontà soggettiva, la capacità di estraniarsi dal mondo per confrontarcisi, comprenderlo ericrearlo. Leggendo alcuni numeri addietro le numerose riflessioni nate dallo sgretolarsi dell'Unione Sovietica, ero rimasto piuttosto perplesso per quell'arrovellarsi attorno alla fine di un regime da lungo tempo auspicata. Non mi consolava neppure la constatazione che, pur giustificata dalla grave smemoratezza che proviamo nel ricordare gli estinti, venissero a sovrapporsi ricordi di adolescenza, desiderio di comunismo e URSS. La ragione di tanta desolazione risiede altrove, ovvero nel fatto che, assai più che la crisi delle utopie comuniste, sia da tempo fuorigioco la politica, l'idea cioè che, attraverso un impegno civile di ampio raggio, sia possibile migliorare e modificare l'esistenza delle persone, la salute del pianeta, la vita degli altri animali. Qui la mia riflessione trova un punto di coincidenza con quanto ha scritto sull'ultimo numero di Una Città Giorgio Calderoni, col quale ho condiviso anche la sceltadi far parte di un Consiglio Comunale (io a Bologna, Giorgio a Forlì; io coi Verdi e Giorgio col Pds): il che in buona sostanzasignifica lavorare suquestioni quotidiane, lasciando spesso sullo sfondo o nelle letture notturne i temj di più largo respiro e di idealità. Nonostante questo, il giudizio sull'utilità di questo mensile diverge: per spiegarmi mi servo di unesempio. Si parla molto, in queste settimane, di recessione e di come rilanciare occupazione ed economia: assieme a pesanti ipotesi di ristrutturazione del costo del lavoro e a qualche cenno chic sul terziario avanzato, ciò che sostanzialmente non viene messo in dubbio è la bontà del mododi sviluppo consolidatosi nell'ultimo mezzo secolo; non entra in discussione il tragico sfruttamento del sud del mondo; di ripensare alle relazioni S.T. 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Intendo dire che il pianeta e il nostro Paeseenoi stessiabbiamo necessitàdi nuovi punti di partenza dai quali guardare obiettivamente il mondo nel quale viviamo comprendendone i limiti. le brutture e gli aspetti positivi; in altri termini vedo necessaria un'attività di ricognizione, catalogazione e rielaborazione che abbia come oggetti prevalenti la creazione di filosofie o spiritualità in graDa questo punto di vista, pur nei limiti che appartengono ad ogni esperienza, vedo in Una Città il senso di un percorso che è personale ma pubblico, filosofico ed eterodosso fino ali' eclettico mache, trattandosi di un giornale "povero" e a diffusione orizzontale, si incontra immediatamente con la città, i suoi umori, i bisogni. In altre parole, è come se la necessità che molti di noi vivono di ritrovare la propria posizione nella vita, di esseresocialmente utile eattivo, venisse scandagliata nel luogo migliore, ovvero sotto gli occhi di tutti offrendola generosamente a chiunque, fornendo i tanti punti di vista, i sentimenti, i bisogni che appartengono a quella vicenda complicata e complessa che sono le nostre individuali esistenze. Beppe Ramina. ALIMENTINARMONIACONLANATURA Frutta e verdura, formaggi, pane, biscotti integrali, latticini, pasta, prodotti senza zucchero e/o sale, alimenti e cosmetica prima infanzia, detersivi ecologici, cosmesi naturale, macrobiotica, ecc... MINIMARKET Via Ravegnana 81/c Forlì - Tel. 796039 UNA CITTA' 3

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