Una città - anno II - n. 10 - febbraio 1992

nizzarsi. Ci sono dei temi che riguardano la vita dei ragazzi che non trovano sbocco nella scuola. Era un po' come si faceva una volta, nei gruppi di studio, che servivano anche a questo. E' vero i ragazzi hanno tanti problemi e dovrebbero avere più possibilità di incontro. Ad esempio: la fatica di vivere è reale nei ragazzi. I ragazzi hanno anche bisogno di modelli adulti che dimostrino loro che la fatica di vivere ha un senso. Sarebbe già molto importante che gli insegnanti prendessero atto di questa fatica di vivere e poi ciascuno desse quello che può. Occorre accompagnarli nella scoperta di quelle che sono le urgenze più profonde della loro umanità. lo cerco di essere molto discreta coi ragazzi, ma vorrei che i ragazzi trovassero una risposta a questa loro fatica di vivere in tempi così difficili e vorrei anche che trovassero quella che ho trovato io. La stessa risposta per cui io le apparivo moderata allora. A me piacevano quei ragazzi che buttavano tutto nella politica, mi facevano tenerezza, li ammiravo per la grinta che avevano. Però ho sempre pensato che era un sogno, perché la politica non risponde a tutto quello che una persona cerca. Anche allora pensavo che l'unica risposta reale ai problemi dell'uomo sia Gesù Cristo, sia un'esperienza cristiana. E anche oggi io vivo questa esperienza e sono convinta che questo ideale risponde alla vita. Non credo di indottrinare i ragazzi. Io vivo lemie convinzioni nel pieno rispetto delle loro libertà. li rapporto è buonissimo, ma è drammatico. I ragazzi guardano,vedonoseunofabene il suo lavoro, se ama quello che insegna. Hanno bisogno, forse più di un tempo, di sentire una compagnia, di vedere l' insegnante come uno che ha voglia di fare loro compagnia nella vita. Mancano ai giovani dei modelli con cui confrontarsi. Io vorrei essere una provocazione positiva per i ragazzi. Non che loro debbano credere in ciò in cui credo io: però penso che sia importante per loro vedere un adulto che crede in quello che fa, che continua a cercare e a sperimentare la validità di una risposta. Ma le piacerebbe poi una scuola dove tutti gli insegnanti fossero come lei e testimoniassero la stessa cosa? Per dire il vero io mi trovo benissimo coi miei colleghi e il rapporto con loro mi arricchisce. Purtroppo però manca un progetto educativo. non un'eticlteHa, mauna • espenema clte apre a fuHoefuHi Nella sua scuola ipotetica il fondamento educativo sarebbe Gesù Cristo ... Un momento, noi abbiamo dei ragazzi di fronte, che dobbiamo cercare di aprire alla realtà. Dire cristianesimo non significa un'etichetta, ma un'esperienza che apre con simpatia a tutto e a tutti nella vita. La scuola "confessionale" è una scuola che indottrina senza liberare. lo penso ad una scuola di gente libera, una scuola con progetto educativo. Un progetto educativo cristiano? Sì, però bisognerebbe intendersi sul significato di progetto educativo cristiano: non un progetto che violenta le coscienze, ma un progetto che, tenendo conto della storia, della provenienza, della tradizione, aiuta iragazzi ad essere sé stessi. Una cosa che io ho imparato inCL, che ritengo estremamente giusta e che praticavo a quei tempi (adesso non c'è più occasione di praticarla) era che, di fronte a ragazzi del movimento studentesco o di famiglie comuniste, io dicevo loro: prendi sul serio quello che ti ha insegnato la tua famiglia, prendilo sul serio e confrontalo con la vita: solo se vedrai che non risponde a quello che cerchi allora potrai cercare altre strade. Anch'io rifiuto il concetto di scuola confessionale come si intende oggi. No, io parlo di una scuola dove si tirano su degli uomini liberi: questo, secondo me, è un progetto educativo cristiano. Uomini liberi in grado di fare liberamente le loro scelte. Certo ogni insegnante personalmente può avere fatto le sue scelte. Se un insegnante vuole tirare su della gente così, per me può stare lo stesso in una scuola del genere anche se non si dichiara cristiano. Certo si fa fatica ora ad immaginare una scuola così. Può darsi che si creino anche tentazioni di confessionalismo, però credo che la via rischiosa della libertà di educazione sia da tentare: per un motivo democratico e per dare un'anima alla scuola. Dove c'è un vuoto educativo si insinua il vuoto di valori della società. Mi va bene la testimonianza dell'insegnante, il progetto educativo ... anche cristiano, ma non come fondamento di una scuola. Dovrebbe essere il fondamento della scelta di quell'insegnante, che se la gioca con gli studenti, con coerenza, ma con la garanzia che il pluralismo è rispettato all'interno della stessa scuola. Ribadisco: quello che intendo io per educazione è aiutare i ragazzi ad entrare nella realtà, positivamente. Questo non significa che l'insegnante debba essere asettico, ma che deve essere rispettoso del carnmino altrui e della storia altrui. E questo si fa proprio non essendo asettici, ma essendo se stessi, vivendo un'apertura piena di simpatia per la diversità degli altri. Questo è il difficile per gli insegnanti, e penso anche per i genitori. Cosa possono fare gli studenti per uscire da questo ruolo passivo nella scuola? lo vedo che gli studenti che vivono un'esperienza insieme ai loro compagni, nella scuola, sono capaci di stare inmodo diverso anche a scuola; di studiare in modo diverso. Uno non è prima di tutto "studente". Un ragazzo è una persona che ha un destino e che deve avere uno scopo per vivere. Gli studenti che fanno un'esperienza significativa insieme, nella scuola e fuori, sono capaci di dare un senso diverso alle cose che fanno: al loro rapporto con i compagni, coi professori, con lo studio. Come insegnante potrei dire: "studia!", ma non è questo. Il vero problema dell'uomo, studente o insegnante, vecchio o giovane, è perché si alza la mattina, perché va a scuola, perché gli capitano le cose. ABBIAMO IL CONfO CORRINfl POSfALII C/C N. I 2405478 lnte•tato a Coop. UNA ClffA'arl via Arlo•to 27 fori, ABBONAMEN10 A I O NUMERI: 20000 LIRE ABBONAMEN10 SOS1ENl10RE: 50000 LIRE Una Clffa è In vendita a Ce•ena alla 111,rerla OEOALUS, via Aldini, 2 Gli abbonati che non ricevono il giornale o che lo ricevono in ritardo sono pregati di darcene notizia. Noi paghiamo un abbonamento postale per poter spedire i giornali e abbiamo piacere che il servizio funzioni come si deve. I giornali vengono spedili lutti contemporaneamente e i ritardi che si verificanon fra una zona e l'altra della città sono da imputare esclusivamente alle Poste. Quindi, avvisateci. Vi recapiteremo subito il giornale e avremo elementi per reclami circostanziati. Telefonate al num.64587, Massimo o al 67077, Marzio. Insomma, bisogna sapersi orientare nella vita: questo manca ai ragazzi. Dopodiché la giornata diventa una serie di atti, più o meno faticosi, slegati fra loro. Quando invece fanno un'esperienza che dà unità alla loro vita, le cose cambiano; e cambiano anche per la scuola. Perché i ragazzi in altri tempi vivevano inmodo diverso cose come l'assemblea, il Comitato Base, ad esempio? Perché avevano un ideale, ideale o sogno, comunque qualcosa in cui credevano. Se i ragazzi non hanno qualcosa in cui credere veramente, vivono alla giornata. Ma questo è il problema un po' di tutti inquesta società. •• sono p1u disincantati, più lontani dai sogni Anche molti insegnanti non hanno niente in cui credere ... Allora è difficile dire che cosa si dovrebbe fare. Rimangono leesortazioni moralistiche, ma io al moralismo non ho mai creduto, perché il moralismo è dire: "devi fare così","il tuo dovere è studiare" senza dare le ragioni. E' importante invece dare delle ragioni. Un ragazzo può muoversi nella vita se è convinto che facendo quella cosa costruisce se stesso e dà il suo contributo per gli altri, per la società. I tempi sono cambiati, ma un ragazzo secondo me ha ancora bisogno di queste cose. Cos'è la felicità nella vita? Capire che sei in cammino verso la realizzazione di un ideale. Sì, basta poco per suscitare nei ragazzi una voglia di autenticità, di verità, di bene, il desiderio di essere utili. Gli adulti, come sanno e come possono, devono testimoniare un ideale, non fare paternali. Vorrei ricordare a chi eccede in paternali una frase di Pasolini che più o meno suonava così: "Sec'èqualcunoche ti ha educato non l'ha fatto con le parole, ma attraverso il suo essere". E' l'essere che conta. A scuola, come ovunque, si comunica solo ciò che si è. E' bello stare tra i ragazzi, perché col loro bisogno richiamano anche noi adulti all'essere, al destino, al bisogno di verità, di giustizia, di dialogo. Anche i ragazzi di oggi, che sembrano così lontani dagli ideali. In realtà essi sono più disincantati, più lontani dai sogni, hanno una grande voglia di concretezza. Odiano la menzogna, anche se non sanno bene cos'é la verità. Rispetto al razzismo? I ragazzi che fanno esperienza di rapporti belli e reali fra loro, in cui sono accolte anche le diversità fra le persone, sono poi capaci di capire le più grandi diversità, quindi è importante che i ragazzi facciano queste esperienze. Enel nostro piccolo noi possiamo aiutarli a spalancare il cuore, a vivere quest'atteggiamento che è ragionevole perché risponde al bisogno di profondo che abbiamo dentro. I giovani sono antirazzisti, ma hanno bisogno di essere educati. Sui grandi temi sono tutti antirazzisti, poi magari nella classe vivono delle divisioni. Importantissimo è il lavoro dell'insegnante, che deve far loro capire le contraddizioni che vivono. a cura di Massimo Tesei UNA ClffA' Hanno collaborato: Rosanna Ambrogelli. Giorgio Bacchin. Paolo Bertozzi, Patrizia Belli, Roberto Borroni, Barbara Bovelacci, Giorgio Calderoni, Libero Casamurata, Laura Cerini. Fausto Fabbri, Graziano Fabro. Rodolfo Galeolli, Liana Gavelli, Marzio Malpezzi, Silvana Massetti. Alice Mclandri, Franco Mclandri, Benvenuto Occhialini. Carlo Polelli, Giovanna Pondi, Linda Prati, Vero Ravaioli, Rocco Ronchi, Gianni Saporeui, Fabio Strada, Massimo Tesei, Gabriele Attilio Turci, Livia Zanni, Ivan Zattini. Foto di Fausto Fabbri. Progetto grafico: "Casa Walden" Fotoliti DTP: SCRIBA /11 coperti11aI.mo/a, Càdel Vento. Cameradi u11residente. B1 l1otecaGino Bianco intervista a Remo Bodei Ad un recente convegno abbiamo avuto l'opportunità di incontrare il filosofo Remo Bodei. Ne abbiamo approfittato per porgli qualche domanda sulle tesi del suo ultimo libro, "Geometria delle passioni", Feltrinelli. I.A VITA NON I' UN BINI DI CONSUMO Io porrei una premessa: nel passato, dal punto di vista individuale, si tentava di controllare le passioni in modo da essere padroni di se stessi; le passioni venivano considerate cieche, qualcosa che faceva perdere il controllo di sé. Invece, dal punto di vista politico, le passioni venivano utilizzate per un motivo opposto: per il controllo. Quello che a me sembra è che in società con sviluppo lento, come erano quelle del passato anche recente, pensiamo alle nostre campagne, la guerra contro lepassioni era una guerra "di posizione", una guerra di trincea nel senso che si cercava di ricacciarle indietro. Oggi invece, nel tipo di società in cui viviamo, siamo passati dalle passioni ai desideri. Noi, purtroppo, non facciamo più tante distinzioni, ma, fin dall'antichità, da Cicerone, il "desiderio" non era altro che una passione rivolta al futuro, ad un bene futuro. Noi siamo passati da una logica di contenimento delle passioni ad una logica di rincorsa dei desideri, alla rincorsa delle soddisfazioni: dei beni di consumo, delle esperienze che, per quanto riguarda il futuro, riguardano qualcosa di sfuggente. Quindi noi, invece di vivere nel presente o nel soddisfarci, come era prima, di quello che si aveva, si cerca continuamente quello che non si ha. Questo da un lato ha certamente dei vantaggi, ma dall'altro porta grandi frustrazioni. E' proprio quest'ultimo atteggiamento, la logica di un desiderio che non si riesce a soddisfare appieno e le volte che si soddisfa ne rimaniamo insoddisfatti, che crea una sorta di egoismo in cui uno rischia di murarsi, di chiudersi in se stesso, nei propri desideri, nelle proprie passioni. Una sorta di individualismo sfrenato, a cui noi non possiamo più contrapporre quell'altruismo, quell'interesse generale, quel bene pubblico che prima si riusciva ad imporre politicamente attraverso un controllo centralizzato; pensiamo ai giacobini della rivoluzione francese e alla rivoluzione russa. Noi non ci contentiamo che ci dicano come dobbiamo essere felici e che ci tengano a "stecchetto". Ma non ci si può contentare, credo, nemmeno di questo tipo di individualismo sfrenato che è fatto di frustrazioni ... La speranza è che si capisca che in fondo, avendo un egoismo lungimirante, non miope, una concezione del bene pubblico in cui noi lo compiamo anche nel nostro interesse .. Una sorta di "virtù' repubblicana"? Anche, detto in altri termini, in fondo è questo. Cioè comprendere che noi non possiamo vivere di una rincorsa continua, come cani con la lingua di fuori, per avere qualche cosa che appena abbiamo è subito consumata. Però non potendo usare più, non dovendo usare più la violenza perché, come diceva qualcuno, "tutto si può fare sulle baionette tranne che sedercisi sopra", siamo costretti, (questo è un fatto politico oltre che un fatto di cultura), a creare un tipo di situazione in cui la gente, attraverso le istituzioni, attraverso la convinzione, capisca che non sia soddisfacente vivere così, in questo modo di "consumo di vita", perché la vita non e' un bene di consumo. Secondo me, quando si capisce questo si capisce che si sta meglio insieme e che si vive meglio inun mondo in cui le persone sono più sicure, più contente e che facendo baldoria inun lazzaretto, in un' ospedale o in un cimitero non so cosa si riesca a fare. Il problema riguarda l'aumento enorme delle aspettative rispetto alla propria esistenza. E se è l'effetto naturale dell'aumento della complessità e di ciò che essa comporta: l'aumento delle possibilità che, insoddisfatte, si trasformano in frustrazioni. Il problema si risolve nella diminuzione delle aspettative, nell'accontentarsi? No, io direi che l'esistenza di aspettative è la testimonianza di maggiori libertà, al plurale, e di maggiori possibilità. Però c'è questo: noi confondiamo queste maggiori libertà, una sorta di ebbrezza, con l' assenza di vincoli, senza renderci conto che in realtà i vincoli non si devono mettere, ci sono. Un esempio: una volta la TV intervistava un bambino, gli chiedeva cosa voleva diventaLorenzo Gazzoni & C. s.n.c. 47100 Forlì - Via Mariani, 6 Tel. e Fax 0543/53661 ~ SERCOM s.r.l. TECNOLOGIA E ARTE NELL'ARREDARE NEGOZI 47100 Forlì - Zona industriale Via Correcchio, 21/A Tel. 0543/722330 - Fax 725483 l.durlmaSPI\ BIZERBR IICll'fALA T\#11' IIITAU.JCMf re da grande, e lui rispondeva: l'ingegnere, l'esploratore, come se fosse possibile a tutti arrivare ad essere tutto. Se uno cresce con queste idee si trova davanti a batoste terribili; ma questo sarebbe il meno, uno crescendo impara quali sono i confini tra il reale e il possibile, capisce che il reale è sempre una porta più stretta, se non vuoi battere la testa contro gli stipiti sai dove passare. Però il problema è anche diverso perché viviamo in una società che favorisce questi desideri. Non è la solita storia, un po' moralistica, della società dello spreco, della società dei consumi: nessuno tornerebbe indietro a mangiare l'aringa appesa al filo; il problema è un altro: è se si può generalizzare questo benessere. Noi siamo circondati da masse umane di affamati che stanno venendo qua, dove le cose ci sono. Personalmente sono per accoglierli, ma dandogli i diritti, la qualità di cittadini. Se vengono tutti così, è come una barca dove ci si sta finchè non affonda. A me non piacciono quelli che fanno certi discorsi ... C'è un'ottima legge in economia, !"'ottimo pareti ano", cioè che si può favorire qualcuno, un gruppo o altro, fino a quando questo non danneggia l'insieme. Bisogna far capire alla gente che ci sono forme di vita sociale in cui non si deve penalizzare nessuno, per esempio gli immigrati. Noi abbiamo uno spreco tale che ... Tutti noi abbiamo problemi di peso, abbiamo un'eccesso di calorie, non è una cosa moralistica il fatto che si può condi videre di più con gli altri. Questa condivisione non deve essere una cosa da irresponsabili, tipica di certe aree culturali, quelle che hanno l'idea della beneficenza, che non hanno l'idea di una vita sociale complessa. Il problema, quindi, non è di abbassare le nostre aspettative, ma di alzarle, possibilmente insieme, in modo che tutti trovino più soddisfazione. Non bisogna avere un'etica del sacrificio perché questa può durare solo per certi periodi; si vede cosa sta succedendo in Russia, come dopo la rivoluzione francese cui è seguita la più sfacciata forma di ostentazione della ricchezza; ma nello stesso tempo non si può avere l'etica del gaudente che canta sull'orlo del vulcano, oppure, per fare una battuta, come se .. . Cristo cantasse, portando la croce sul Golgota: "si va sulla montagna". li problema è che ciascuno deve sapere quali sono i diritti e le possibilità che ha guadagnato. Queste sue libertà se le deve giocare bene, anche nel senso di non bruciarsele, come Don Giovanni che, nel concetto di "uomo estetico" di K.ierkegaard, a forza di fare sesso come sport alla fine non gode più. C'e in fondo questa estetizzazione della nostra vita, ma estetica non nel senso della bellezza, ma come sensi, cioè uno tende a soddisfare certe cose e gli manca quel rigore che viene dalle scelte morali o etiche. Quindi quel che va bene è una cultura del limite? Si, la cultura del limite o la cultura delle cose non negoziabili. Non si possono fare compromessi tutta la vita con se stessi e con gli altri, le cose poi vengono come mazzate: la morte, la malattia. Davanti ad esse non funziona più nemmeno il vecchio sistema della consolazione religiosa e cioè che tutto quello che è cattivo diventa buono: passate tranquilli questa valle di lacrime e Dio ve ne renderà merito Per terminare: il nazionalismo è passione, ragione o desiderio? Bisogna distinguere. Il grosso difetto dei micronazionalismi che si vedono ora è quello di riprodurre i meccanismi di oppressione degli stati che prima li controllavano a livello pantograficamente ridotto, secondo me questo è un nazionalismo negativo. Diverso è iJcaso delle popolazioni che hanno una identità nazionale come, per esempio, i baschi, che non si devono inventare una storia come quelli che hanno perso una lingua e se la devono immaginare. Il problema è complicato; quello che è serio è la richiesta di identità collettiva e quindi la passione di stare fra chi si somiglia. Quello che invece è pericoloso è questa miscela fra nazionalismo, fondamentalismi religiosi ed egoismo di gruppo a cura di Paolo Bertou.i e Giovanni Orlati . . . . - . ~,::::-::__~_;_:- ~ · 0KJ1~·W6lt Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRIDr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 Tutta la scelta chevuoi Vialedell'AppenninJ1J6, 3 - Forlì UNA CITTA' 7

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