Una città - anno II - n. 10 - febbraio 1992

i J qualche anno, se è successo qualcosa di meglio. E' un momento di incertezza? Attualmente tutta questa grande chiarezza di idee non ce l'ho. Ho invece dei grossi dubbi. Dalla fine degli anni 70 agli inizi degli anni 80 ho vissuto il mio unico rapporto di coppia omosessuale che è durato quasi 5 anni tra strascichi e cose dette e non dette. Quando ho conosciuto Mauro avevo 18 anni ed eravamo alla fine del 76, abbiamo dato· una chiusura definitiva alla nostra storia nell' 81; lui si trasferì a Roma ma comunque questa storia non fu assolutamente interrotta ma rielaborata in altre collaborazioni e comunque andata avanti. Dall'8 I in poi abbiamo avuto un tipo di rapporto più costruttivo, mentre negli anni prima per una serie di confusioni personali sia sue che mie quello che abbiamo fatto sì, è stato di cercare di capirci, di metterci a punto, ma sicuramente non abbiamo costruito grandi cose, in qualche modo non ci siamo scoperti. Furono anni molto intimistici, i ricordi non sono quelli di grandi operazioni rispetto al mondo, quello che avevo fatto allora era trovar una casa, cercare un luogo fisico dove vivere questo rapporto che era tutto da scoprire. lo poi avevo delle confusioni incredibili, Mauro ne aveva più di me, pur essendo più grande era molto più ingenuo per cui c'erano un sacco di cose da capire. In quegli anni ho iniziato a costruire le cose del mio lavoro futuro, i primi progetti di arredamento, molte cose si stavano mettendo a punto in quel periodo. Questo comunque è un processo molto interiore, scollegato da quello che mi succedeva attorno. ora ho più tempo, ma le cose tristi succedono ancora Parliamo di Aids? Penso che abbiamo appena superato la grande paura, ma è comunque un problema parlare di Aids. Perché sono iniziati i lutti. A me sono morti degli amici, Mauro, altri a Bologna, era già morta della gente a Milano, una vera ecatombe. Ancora non si respira un'aria di solidarietà come in America, qualcosa si tenta, ma credo soprattutto a livello di sensibilizzazione. E' un momento strano, la malattia è diventata comune e gli articoli sulla stampa si sono diradati che è una cosa ancora più folle, un calo della guardia generale. lo me la vivo così. Dopo la morte di persone fondamentali e quindi dopo che la mia famiglia diffusa si è presa dei tagli, dei colpi di scure, penso di essermi messo in pensione da allora. Nell' 89 è morto Mauro, e a metà dell'89 ho iniziato a dare dei tagli alla mia attività di lavoro, l'ho praticamente dimezzata. Prima iniziavo a lavorare alle 7,30 del mattino fino alle 21,30 di sera, poi di sera facevo i viaggetti di controllo, ti assicuro che era veramente troppo. Sembravo un po' una macchietta, mi sentivo un bel single rampante come andava allora, ma in quell'anno mi sono anche sentito malissimo. Ad esempio quando Mauro ha iniziato a stare male, ed è stata una cosa velocissima, io ero talmente impegnato ad avere degli impegni, delle cose da fare, che non sono riuscito neanche a capire che questa persona, per me fondamentale, stava veramente male. Ho una serie -di ricordi a tappe, un incontro alla settimana con Mauro per quattro settimane che vuol dire quattro incontri, per cui l'ho visto sempre più deperire, stare male, finché una mattina mi hanno telefonato che era morto. Per me è stato un trauma assolutamente unico, perché mi sono sentito come se avessi passato degli anni a fare delle cose in una direzione assolutamente folle. Di trovarmi a non avere quel minimo di tempo per me e per la gente che comunque mi era vicina, non aver tempo per capire, per potermi avvicinare ad un dato reale, semplice come quello che una persona molto importante per te è in un periodo di bisogno, che veramente sta morendo, è stato terrificante ... Da allora ho iniziato a togliere mezz'ora di lavoro al giorno e ogni tre mesi ad evitare un nuovo impegno lavorativo per avere del tempo libero, avere degli attimi di pausa, di una riflessione che da anni mi stavo negando. Dopo Mauro ne è morto un'altro poi un'altro ... Ho iniziato a vivere una cosa che prima leggevo solo sui giornali, e mi sembravano articoli di colore, la descrizione di San Francisco, eccetera. E quando dico che mi sono messo in pensione è la verità. Ho pensato che stavo facendo delle cose che mi stavano allontanando troppo dai pochi dati reali dell'esistenza fra cui quello di avere alcune persone che mi sono estremamente care e indispensabili. Se il mio tempo lo indirizzo in lavoro, lavoro, dipendenti, espansione, business, soldi, sono cose che ti appagano molto ma che sono anche veramente lontane dai dati di base della tua vita. Nell' 89 sono stato troppo male, mi sono sentito la persona più folle, incosciente, irresponsabile di questo mondo. Adesso ho più tempo, ma le cose tristi succedono ancora. Adesso torno a Roma perché un altro amico carissimo è in fase semiterrninale ed anche questo è una sorta di viaggio nel dolore perché lui sta morendo. Ho lavorato anni per dimostrare e per dimostrarmi che il mondo era aggredibile, banale e stupido e all'apice di questa mia carriera rampante il fatto che mi siano morte queste persone così care ... Ci sono delle cose poi che non puoi motivare, tipo che voglio del tempo libero perché mi è morto un amko o perché ce n'è un altro che sta male, ma per me è così. Non si può solo lavorare nel mondo o non si può solo costruire inseguendo una propria allucinazione. Ci sono anche dei dati se vuoi banali ma reali che sono anche il morire. E non puoi prescindere da queste cose. Mentre nell'89 eravamo in pieno delirio di onnipotenza sempre tardo adolescenziale e cioè che non crescendo mai vai sempre avanti. E non credi alle malattie, e non credi si possa morire. Fra l'altro la cosa che mi ha sconvolto di Mauro è che lui non si è reso conto di morire. a cura di Fausto Fabbri e Carlo Po/etti S.T. ARTICOLI PROMOZIONALI GADGETS AZIENDALI Via M. Ferrari Bandini Buti n.15 Tel. 0543/780767 - FAX 0543/780065 47100 FORLI' UN'EflCA PER IL NULLA di Ivan %affini Perché, nella cosiddetta "lotta politica" (l'astuzia più grande del male è l'invito alla lotta", diceva Kafka) perché denunciare le piccole inadempienze, i piccoli soprusi, i piccoli scandali, e le meschinerie degli uomini? Tutto ciò forse va fatto, ma non è certo sufficiente perché la coscienza sia all'altezza del proprio domandare. La coscienza degli uomini chiede molto di più, vuole risalire la linfa fino ali' estremità della radice, ~uole sempre comprendere il momento in cui accade la trasmutazione alchemica che produce il cibo - cibo del corpo e cibo dello spirito. Si può ancora pensare di proporre un'idea di politica, (nel senso della "politeia" di Aristotele, dell'arte e della bellezza del vivere comune) che non denunci la radice del sopruso, che non renda conto, non con una teoria, ma con un' "esperienza vissuta", dell'esistenza, dell'esserci del sopruso e del luogo interiore di cui esso si nutre? Vi è in circolazione, sottilmente attiva, dissimulata fra movimentismo e integrazione, un'idea di prassi politica che a ben guardare mostra tutto il proprio dolore per essere divenuta orfana dell' ideologia. E' un'idea complessa, che può essere disegnata in questo modo: il Moderno (da Machiavelli, da Hobbes) ha cancellato la teologia politica, il governo dello Stato basato su valori trascendenti, sul binomio PotereReligione, mal' ideologia ci ha potuto proteggere con la sua "gabbia d'acciaio della razionalità" (l'espressione è di Max Weber), continuando a tenerci legati al Sacro, anche se secolarizzato nell'ordine della Tecnica. morta per sempre la possibilità stessa dell'ideologia (quasi come per un ultimo col po di coda della Modernità, che dopo aver divorato i contenuti dell'etica occidentale si sbarazza ora anche delle sue "tecniche"), restiamo comunque fedeli al nostro destino e periamo anche noi, ma nel compimento meccanico del nostro· dovere: denunciamo ancora il sopruso, facciamoci carico del fatterello, in una parola, operiamo nella microconflittualità. Questo dice quell'idea di politica. Non avremo più un'etica, una filosofia della storia, cui agganciare la nostra denuncia, ma l'importante è la denuncia, non l'etica. Vi è qualcosa di romantico in questa idea, forse anche di eroico. Ma è l'eroe che muore ubbidendo a un generale folle. La sua azione è sì eroica, ma serve alla follia del generale. Non si tratta, è ovvio, dell'atto politico in sé, della sua legittimità e giustezza, ma si può dire, dell' "aura di umanità" che lo sostiene, dell'ambiente morale in cui esso prende forma e che vuole mostrare. Si tratta di un'idea, anche questo è ovvio, perdente fin dalJ'inizio, anche se non è certo questo il suo problema. Eppure occorre vedere chiaramente il suo limite: per denunciare il sopruso, in realtà occorre denunciare il Sopruso. La S maiusco la cambia molto. Se non è più possibile indicare, ideologicamente, il Moloch nella figura teorica (e retorica) del capitalismo (il Male) contrapposto alla Città del Sole del socialismo (il Bene), ciò non significa che le coscienze non chiedano più di rendere conto della radice del sopruso. Non c'è la risposta? (O qualcuno non ce l'ha, almeno per ora?) Poco male. E' il domandare stesso quando, impietosamente e anche senza paura della parola Spirito, va alla radice del sopruso che tiene aperta la possibilità del suo contrario. Se cessa il domandare, il sopruso come ideologia prende il posto al sole dell'etica. E il domandare dev'essere radicale, perché alle storielle non ci crede più nessuno. In altre parole, la domanda che giustifica la prassi politica deve rispondere alla questione: Cos'è il male, e perché fare il bene? Perché agire bene, dal momento che tutti pensano, in ODORI DI ZOLFO Sentiva vagamente di zolfo l'atmosfera che, la sera del 13 novembre, aleggiava per la sala Albertini al termine del dibattito "vergognarsi di essere stati comunisti?": un sentore evocato un po' dalle pene ultraterrene riservate ai peccatori che si sottraggono a tempestivi atti di costrizione, un po' dalla memoria dei roghi sui quali -in contesti storicoculturali meno garantisti degli attuali (ma pur suscettibili di resurrezione)- i riottosi al pentimento, assimilati a diaboliche streghe, sarebbero stati condotti a purificarsi per l'eternità. Ovviamente, il peccato in questione era quello d'essere stati comunisti o, ancor peggio, di esserlo tuttora, dunque responsabili, comunque, dei crimini consumati in nome del "comunismo": perciò non solo i militanti, simpatizzanti e i puroccasionali elettori del PCI, ma perfino quanti in qualsiasi modo fossero stati coinvolti nel disegno di affermare e realizzare gli ideali del socialismo, comprese quelle componenti della "nuova sinistra" che, nate dalla critica libertaria dei "socialismi reali" e da quella anticapitalistica delle "democrazie reali", erano cresciute su di un impegno coerentemente continuativo intorno a queste tematiche. Dunque, secondo gli anatemi espressi per l'occasione con inquietante veemenza (qualcuno ha ricordato Savonarola!), c'eravamo dentro proprio tutti: con il solo conforto, non proprio esaltante, di essere in molti a condividere tanta infamia. E-si sa-quando colpevoli sono quasi tutti, è un po' come se non lo fosse nessuno ... Certo, il dibattito non sembra essere riuscito a liberare la nozione di "pentimento" dalla connotazione deteriore che la legislazione emergenziale degli "anni di piombo" le avevano conferito, né -forse in carenza di premi?- ha incoraggiato i penitenti a pentirsi. Tuttavia -come da invito del moderatore- sulle cause e sulla consistenza del crollo dei regimi e dei partiti comunisti ci si è soffermati un poco; ma ogni possibile riflessione sulla necessità od opportunità di tentare la rielaborazione di un credibile progetto politico-culturale di sinistra, e di lavorare per la sua affermazione, è rimasta fuori campo. E' cioè restata inespressa la domanda forse più importante: la casa (che ci è crollata addosso) la possiamo -e dobbiamo- ricostruire? Secondo quale progetto? E con quali strumenti? Ecco un tema sul quale sembra ragionevole proporre che "una città" diventi stimolo e luogo per un confronto di largo respiro. Quanto alla categorica e irrevocabile condanna del comunismo, rivelatrice di incapacità -o rifiuto- a distinguerne le idealità libertarie ed egualitarie delle sue fallimentari realizzazioni storiche, a nulla sono valsi alcuni richiami alla coerenza con i criteri per i quali - ad esempio- il carico di sanguinose violenze che hanno deturpato il volto della rivoluzione francese e la storia della cristianità non viene considerato determinante per rigettare né i principi liberali né i valori cristiani. A proposito: a quando un dibattito sul tema "vergognarsi d'essere cristiani?". Benvenuto Occhialini l1otecaGino 1anco quest'epoca, che le cose siano nulla? Ogni interrogarsi al di sotto di questo orizzonte cade facile preda della modernità, anzi è già caduto. E nell'epoca dell'assenza della teoria, larisposta si trova in mare aperto, si può chiamare in vari modi, spiritualità, Dio, solidarietà, e chi più ne ha più ne metta: l'importante è che mostri la profondità vissuta che intacca l'anima, e già così sarà al di sopra di ogni sindrome del1'orfano, indipendentemente dai suoi contenuti. In altre parole ancora: la classe politica deve farsi carico in piena responsabilità e coscienza del nichilismo. Perché agire, perché la "politeia", dal momento che le cose sono nulla dal momento che la nascita non attende altro che la morte? Questioni solo apparentemente lontane dal problema della discarica, o della bustarella, o del giochetto di potere a scapito dell'elettore. Oggi, non c'è niente da fare la democrazia comincia ad essere sempre più contaminata da questo interrogare così lontano dal suo asettico formalismo, così anteriore ad ogni legalismo che inquadri la giustizia umana, così poco ortodosso per l'ufficialità massmediologica, eppure cosl pieno di senso, e così aggregante. Tutti i sommovimenti, etnici, politici, religiosi, chiedono senso, viècomeun'esplosione di una domanda di senso repressa troppo a lungo, o forse male incanalata. E la vecchia Europa non è finora per DOMANDARSI Una serata su "Dio dopo Auschwitz"; le parole di un rabbino e quelle di un prete. Parole che cercano di dire come, attraverso le idee, il senso profondo, il "sentire" di due culture e di due fedi millenarie, gli uomini tentino di spiegarsi l'inspiegabile, l'assurdo, la "shoah" appunto. Parole che, da un lato, lasciano all'uomo la totale responsabilità del1'accaduto, nell' insopportabile "silenzio di Dio" urlato da sei milioni di bocche ammutolite. Parole che, dall'altro, dicono il "dolore di Dio"; un dio accasciato dallo spettacolo immane di sei milioni di crocefissi non nell'attesa di una redenzione d'amore per tutti avvenuta ed annunciata, ma nel silenzio immoto e per ognuno solitario della scomparsa di ogni "senso" intelleggibile. Ma, dice un ateo, "Dio è un prodotto dell'uomo ed è all' infuori di un Dio che, come dice Nietzsche, è morto, come morto è ogni "senso" trascendente e metafisico, che l'uomo può trovare la risposta alle sue domande". Risponde il rabbino "Lasciamo stare Dio e parliamo di uomini, questi possiamo capirli, quello è troppo "oltre". E dice il prete"SeadAuschwitz un dio ha trionfato, quello è stato il dio della potenza e degli eserciti, questo dio inventato e voluto dagli uomini. Ad Auschwitz il Dio dell'amore soffriva e moriva coi milioni di innocenti immolati sull'altare dell'uomo che si credeva dio a sé rivelato. Ma Dio si può rivelare all'uomo attraverso il volto dell'altro uomo ed è questo Dio che noi dobbiamo cercare e possiamo trovare in ognuno. E' nell'amore per l'altro che si manifesta il nostro amore per Dio e l'amore di Dio per noi". Ma, in fondo, il Dio silenzioso del rabbino, che dal suo empireo ci guarda e ci lascia soli a fare i conti con la nostra "umanità"; il Dio d'amore del prete, che tocca all'uomo continuamente cercare perché perderebbe la speranza e l'immagine di se stesso se questa ricerca venissa interrotta; il Dio morto dell'ateo, la cui scomparsa ci obbliga a capire che la ricerca di "senso" trascendente è una follia, non sono tutte delle risposte, dei tentativi di porre comunque un qualcosa di certo, fosse pure la certezza di una assenza, al fondamento del nostro vivere? In tutto questo mi pare che da parte del rabbino, del prete ed anche dell'ateo ci sia un grande desiderio di cessare, in qualche modo, di porsi le domande radicali per poter cominciare a rispondersi; risposte magari tormentate, incerte, provvisorie, ma comunque risposte. A me pare invece che -proprio perché uomini, cioè esseri "contingenti", fatalmente legati ad un tempo e ad un luogo, finiti- la fatica che non possiamo non fare sia quella di continuamente interrogarci. Interrogarci non con la speranza di trovare una qualche risposta ultimativa o certa, insomma un Dio, ma con la consapevolezza che ad ogni WAGNIR I ISRAl11 Richard Wagner è uno dei maggiori compositori di opere liriche della storia della musica. Il famoso accordo nel Preludio I del "Tristan und Isolde" è alla base della musica contemporanea. Compositori di origine ebraica come Mahler, Schoenberg e Berg hanno costruito la nuova musica atonale partendo dalle arditezze cromatiche del musicista di Lipsia. Ma non bisogna dimenticare che Wagner è uno dei precursori del nazismo perchè antisemita(Mimeed Alberico, esseri spregevoli, avidi dell'oro del Reno, il mito del Cristo ariano nel Parsifal), acceso nazionalista (nel "Meistersinger von Nuernberg" contrappone la sana e sobria arte tedesca a quella latina, frivola e corrotta, nel "Lohengrin" esalta la figura Un amico prete che non può credere ad inferni di alcun genere, alla mia domanda "e Hitler?", ha risposto: "io me lo immagino in paradisoche passa la sua giornata a lustrare le scarpe agli ebrei''. Sottintendendo certamente che a quel lavoro nessuno l'avesse costretto. Allora ho pensato che nel regno dell'amore infinitononpuò non imperversare il rimorso che non è pena da poco. Cosicché la giustizia, senza la quale a mio modo di vedere non c'è più religione. è salva in extremis. Un altro amico raccontava come al suo paese il capo dei fascisti avesse torturato orribilmente il capo dei com\jnisti prima di buttarlodal ponte sulgreto del fiume. Ecome, dopo essere fuggitosubito dopo la liberazione, fosseritornato, anni dopo, a vivere in paese. Enonsi sa se per sceltao perché le dell'imperatore Enrico I (876936) che combattè gli Ungheri e spinse i Tedeschi all'Est). Ai tempi del m Reich la sua figura e la sua opera furono molto celebrate e soprattutto -ciò interessa per le recenti polemiche sulla proibizione permanente in Israele delle sue musiche- veniva ammannita a tutte le ore del giorno ai deportati nei lager. Si può essere contrari alla decisione dei padri fondatori d'Israele in nome della libertà d'espressione, della libera fruizione delle opere d'arte, dell'enorme valore culturale ed artistico che la grande musica wagneriana possiede, ma essere favorevoli per rispetto verso la tragedia storica di un popolo, ancora traumatizzato dali'Olocausto. Giorgio Bacchin armi erano sepolte da tempo, ma la gente lo lasciò vivo. Solo che nessuno mai, per anni e anni, gli rivolseuna parolache una.Finché alla fine lo trovarono impiccato, suicida, a quel ponte. Amiomodo di vedere, redento. Allora si potrebbero condannare le esecuzioni delle opere di Wagnera essere preceduteda due parole del direttore che recitino più o meno così: "questa musica accompagnò il calvario di molti . uomini.Chiedoscusa"?E potrebbe una città autocondannarsi esponendounalapideconsuscritto ·'la città che fu indifferentechiede perdono"? Sarebbe giusto? Sarebbe mai possibile? Purtroppo temo anche che senza religione nonci siapiù giustizia,e che la fine dell'ultima fede, con la sua "teodicea" sia pur tutta terrena,ci lasci inereditàundebito con niente all'altezza della domanda, poiché, si sa, è figlia dell'esclusione della domanda, dell'aver messo epocalmente fra parentesi il nichilismo e dell'averlo fatto vivere nel le espressioni artistiche, nel mondo poetico che già per Platone era l'insidia mortale per la Repubblica dei filosofi. Chi vuole proporre un eroismo che rimandi, fino alla fine, il problema del nichilismo, lasci almeno il domandare a chi comincia a vederne l'inesorabilità, anche, e soprattutto, per guidare la prassi. Finiamo allora ancora con Kafka, un "impolitico" più rivoluzionario di tanta politica orfana: "quando una volta si è accolto in sé il male, esso non pretende più che noi si creda in lui". passo solo nuovi dubbi si porranno a noi. Si dice che il nichilismo -cioè la consapevolezza che il nulla è alla base e alla fine di ogni sforzo umano- sia il nostro destino e questo fatto spaventi e spinga, in fondo, alla fede. Ma io penso anche che un nichilismo che si accetti come risposta alla fin fine sia anch'esso una fede, un tentativo di mettere a tacere il dubbio che il vivere pensando continuamente ripropone. Forse il nichilismo più "spaventoso" non è tanto quello che accetta il "nulla" come risposta, cercando di trarre da esso la forza di vivere, quanto quello di vivere il nulla, cioè vivere interrogandosi continuamente, nonostante sappiamo che il nulla è la fine e l'inizio di ogni nostra domanda, perché nessuna risposta che vada oltre alla nostra "contingenza" e alla nostra finitezza noi possiamo dare. Fare del nulla non una risposta, ma una domanda è forse una sfida troppo grande? Una sfida al cui fondo può solo stare la pazzia, una fede-rifugio o un "lasciarsi vivere" menefreghista? Non lo so, ma credo anche che non,,accettando niente come risposta certa, inesauribilmente continuando ad interrogarci sul nulla che noi siamo, ma che non può desiderare di accettarsi come tale, potremo veramente esistere. Esistere non perchè una qualche risposta, pur terribile, ci fa vivere a partire da lei, ma perchè nel continuo interrogarsi sapendo di non potersi rispondere definitivamente sta il rischio, e quindi il piacere, della vita. F.M. la vittima che non potremo mai più saldare. E allora forse la facilitàcon cui i vivisi arroganodiritti come quello del perdonoal carnefice, lo scempio che si è fatto di una parola come "pentimento" o lo scherno che accoglierebbe la sola pronuncia, peraltro ormai improbabilissima, della parola "penitenza",nonsianoche piccoli sintomi di quanto quel debito sia insolvibile e quindi in qualche modo da rimuovere. Inevitabile allora considerare spazzatura i corpi morti. Sempre l'amico prete scherzava che "chissà se esiste, però Dio è tanto bello". Allora sulla scia della sua bella fantasia, mi sono immaginatoche dopo anni e anni di gelido silenzio qualche ebreo rivolga la parola al lustrascarpe taciturno.Echepianopianosi trovino a discutere, a raccontare, che so, di quando le decisioni prese a quella riunionead altissimo livelloa Berlinonel tempo di due giorni si tramutarono nell'impossibilità di partire per la coppia di lontani, anonimiebrei che dopo tante discussionial tavolodi unacucina si erano infine decisi alla fuga... E che poi si accalorino, discutano accanitamentee che il lustrascarpe, arrivato a sostenere, imprecando, le fondatepossibilitàdelle sue soluzioni finali, si fermi attonito, imbarazzato di fronte all'ebreo che ormai in silenzioaveva seguito sorridendo la sua sfuriata. E che dopo tantissimi anni ancora, a qualcuno che gli dica, con una mano sulla spalla, "adesso basta a lustrar scarpe", lui, con la stessa caparbietà che non ammette repliche, poiché se c'è una cosa che neanche in paradiso può cambiare è il carattere, risponda "va benissimo così". Per chi poi non crede alle favole resta la brutta certezza della prescrizione che sopraggiunge. Che tutto annulla e pareggia. E farà dimenticare. G.S. UNA CITTA' I 5

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