Una città - anno II - n. 10 - febbraio 1992

11 COSI DI UNA CASA , ... , ... 1611■•--•• .. •11 , ........ UH■ldt._ ... ••n• • ·-- t -- - t ,..,,. • •dno A ... • * d11 ............ , .................. .. ,, ......... , .••. ,., ............ .......................... .,.... . ... ,., . -~J>lfltmdio ti l!f,"llfd tip)r& ,~..- ,.. -~~~ .. ~.~~-. 1 .. ,.,..,., ... Mt. ,,. .. ~lofflO HUftti.. Mli(> ,.ri ........ t ..... mo fj ttn• t Jldltno f ftt,!Jf'I t w dt ltno ·~ f tftff<> • ttlro d Pffll ifY-ilUlff'nio j,.t ciw,uu J rt)t~hln• da CU('lrt t tavolino di lelno z am.iietu d-.. eutin• : M4te a.trait ....... '•' - - ..-- ~~· , -- -- to ~ - lto rl 8 UNA ClffA' CO Nel '39miopadreebbel'intuizionc di andar via. E nel '39 eravamo mio padre, mia madre, cinque figli e il sesto in arrivo, e nonostante tutto mio padre prese la decisione. E andammo a Genova, lo ricordo, con la sola indicazione di un consolato della Bolivia. In un periodo in cui non davano quasi più visti, perché troppa gente si radunava a Genova per andare in Sudamerica. Una delle cose che salvò mio padre fu la conoscenza dello spagnolo, il nostro spagnolo da sefarditi, uno spagnolo antico che ci si tramanda di padre in figlio. Fu grazie a questo nostro spagnolo che al consolato presero in simpatia mio padre. Dovette però fare iI bigi ietto di andata e ritorno. E gli fecero anche firmare una dichiarazione che si viaggiava per turismo. Figuriamoci, marito e moglie con 5 figli. E poi la nostra salvezza dipese anche dal fatto che mio padre era venuto in Italia nel '20 dalla Grecia e aveva mantenuto il passaporto greco. Così fu spinto a decidere anche dal fatto che, in teoria, le leggi razziali del '38 obbligavano gli ebrei cosiddetti stranieri ad andarsene. In teoria, perché poi, come tutte le cose all'italiana, si poteva restare. Soprattutto se i figli erano nati in Italia. Infine fu influenzato anche dagli amici che dicevano che ci avrebbero protetto, aiutato, eccetera e tutta quella compassione dette un po' fastidio a mio padre. Così decise per il Sudamerica. Siamo tornati nel '48 e allora abbiamo saputo cosa era successo. se non lto faffo nulla di male percfté mi devo nascondere? Lo zio invece? Mio zio Nissim stava abbastanza bene economicamente, aveva amicizie influenti, allora un po' ci si adagiava. Perché in Italia, nascondendosi, salvo qualche spiata ci si salvava. Salvo qualche spiata. Ma loro si sentivano sicuri. E non vollero neanche separarsi. O neanche scappare assieme lontano. Per esempio mia moglie, di Trieste, con la famiglia finì nelle Marche, in campagna, e un prete li aiutò. E invece anche mio cugino Roberto che aveva già programmato di andarsene in America, alla fine rimase. Insomma restarono tutti insieme a Bologna e nelle vicinanze. E furono presi. Il motivo per cui tanti non si sono salvati è semplicissimo: perché ragionavano "se non ho fatto nulla, se non ho fatto del male a nessuno, perché mi devo nascondere". Finzi. Non si aveva un'idea. Non si credeva. Il caso della mia famiglia è particolare. I miei zii erano di Bolzano e mio zio con mio cugino, Alberto, che aveva 17anni, furono presi la sera stessa dell' 8 settembre. Ed era rimasta soltanto mia zia con due figlie, una di 16, una bellissima ragazza, e una di 3 anni. E la mia zia aveva la possibilità di portare da mangiare in carcere. Fu avvisata, da un altro zio di Mantova, di venir via, o almeno di lasciar andar via le bambine, ma la zia voleva restare vicino al carcere e non voleva separarsi dalla piccola. La grande allora decise di rimanere anche lei. La mattina del 17 settembre sono passati i fascisti a prenderle e il giorno dopo, da Merano dove c'era un campo di concentramento, sono stati portati via. Fu il primo convoglio che partì dalr Italia, il 18 settembre. I miei cugini e i miei zii erano su quello. Noi lo abbiamo saputo subito e il 19 settembre eravamo già in fuga da Ferrara. Di fronte a quel1'evento mio padre e mio zio pensarono che non c'era più da fidarsi di nulla e presero la decisione. ciascuno di noi si è salvato per una serie di circostanze incredibili Eci siamo salvati a Mondaino, dove siamo rimasti nascosti, l'ultimo comune della provincia di Forlì, a sud di Rimini. Eravamo tre famiglie, lo zio di Mantova con i 4 figli, e da Ferrara noi in 4 e la famiglia dell'altro mio zio. Eravamo in IOa scappare. In una situazione in cui l'esercito italiano era sbandato e i tedeschi ancora non avevano preso piede si sperava di passare a sud. La prima notte ci siamo fermati a Ravenna, dove ci ospitò la famiglia Montanari, IOpersone, con tutti questi bambini, evitandoci il rischio di dover registrarci in albergo. Poi la mattina dopo siamo arrivati a Fano. C'erano rastrellamenti tedeschi, ma ancora cercavano prevalentemente soldati italiani, ma non ci fidammo ad andare oltre. E ci fermammo a Fano, in albergo. Ma nell'interno la valle era piena di sfollati e non si trovava posto. Così tornammo indietro fino a Gabicce dove avevamo fatto le vacanze estive. Affittammo una pensioncina che era già chiusa. Fatto sta che ci raggiunse anche il direttore del negozio di Mantova, Guido Vivanti, ebreo, che, non essendo della famiglia, prese alloggio nell'unico hotel aperto dove la sera si giocava anche a carte, e lui era un accanito giocatore, e dove c'erano anche ebrei slavi sfollati. Intanto mio padre e mio zio, che non si sentivano sicuri continuavano a cercare una possibilità. Si poteva traghettare, pagando dei pescatori, ma si era sparsa la voce che fosse diventato pericoloso perché degli ebrei, dopo aver pagato, erano stati poi "venduti" alla milizia dai pescatori stessi. Fatto sta che una sera questi ebrei slavi dissero a Vivanti che partivano, che avevano ottenuto carte di identità false. Lui chiese "chi ve le ha fatte?". "Quello che lei sta spelando tutte le sere". Che era poi il segretario comunale di Gabicce, nonché segretario del Fascio. I grandi fecero gran consiglio e poi andarono da questo signore. E lui rispose che non c'erano difficoltà. In pochi giorni avevamo i documenti. Molto intelligenti, fra l'altro, perché ci aveva domiciliato a Milano, nella via della Bianchi, che era stata distrutta da un bombardamento. E non ha voluto nulla, giusto i bolli. Naturalmente ci chiese di andarcene. E noi andammo verso l'interno. E anche lì ci accadde un episodio incredibile, evidentemente non era la nostra ora... Essendo che eravamo partiti in settembre, in fretta, non potendoci portare via molte cose, eravamo in abiti leggeri. A novembre io e mio cugino, che eravamo nell'età della crescita, avevamo bisogno di un cappotto. Mio zio era riuscito a procurarsi un taglio di stoffa e l'avevamo portato a un sarto di Cattolica che ci aveva detto che sarebbero stati pronti sotto Natale. Nel frattempo avevamo avuto i nuovi nomi, e ci esercitavamo a chiamarci con quelli. Quando è stato il momento di andare dal sarto mio zio si è sbagliato. Ha dato i nuovi nomi. Invece che Finzi e Rimini, che è il nome di mio zio. disse "Franzi e Ruini". E quello non trovò niente e si arrabbiò anche. A quel punto o facevamo la figura dei ladri, o dovevamo dire la verità. E infatti mio zio disse "guardi, per carità, non ci rovini, ma siamo Finzi e Rimini''. Lui si fermò un attimo a guardarci fissi e poi disse "Rimini? Non sarete parenti di Leone Rimini?" "Era mio nonno". "Che Dio vi benedica". Il nonno aveva salvato dal fallimento il padre di quel sarto. Capisce le coincidenze? E poi lui si fece in quattro per aiutarci. Capitare con un altro? Poteva voler dire tutto, la fine di tutto. Ciascuno di noi si è salvato per una serie di circostanze incredibili ... Matatia. A mio zio, uno di questi pezzi grossi che conosceva disse "ti salvo se mi dai un milione di lire". Un miliardo, due miliardi di adesso. E sembra che mio zio l'abbia presa in ridere, anche perché questo era un grande amico ... E invece ... Bisogna anche sfatare un po' la leggenda degli italiani, perché ci sono stati quelli che hanno fatto cose meravigliose, ma anche tanti che hanno denunciato gli ebrei. La famiglia di mio zio è stata consegnata da italiani. Non bisogna essere ipocriti, sono cose che bisogna dire. Sa, ci sono tanti ebrei che non vogliono dir nulla perché "tanto viviamo qua", ma bisogna dirle. Io sono uno che le deve dire. Perché per mio zio ci fu una spiata di italiani. Loro erano già in questa Savigno, erano già fuori Bologna, quindi si sarebbero potuti anche salvare. (Nissim Matatia e Camelia Hakim, con i.figli Matilde, Roberto e Nino furono deponati ad Auschwitz il 301-44. Solo Ninofu liberato, ma sopravvisse solo due mesi. N.d.r.) Un altro mio zio, cugino di mia mamma, è morto da partigiano, l'hanno fucilato vicino alla strada che da Cesena va a Cesenatico. E c'è un cippo dove furono fucilati dei partigiani, fra cui Isacco Hakim. Lui almeno, anche se non è una consolazione, è morto da partigiano. E sul cippo c'è il nome di battaglia "Shasha", Shasha Hakim. Caravita riporta la testimonianza del partigiano che era legato con Hakim, perché li avevano legati a due a due, e che si salvò per miracolo, perché Hakim gli cadde addosso e lo credettero morto ... guardavo il titolo del Corriere e • • m, venivano giù i goccioloni agli occlti Voi nel '38 eravate bambini. Che impressione vi fecero le leggi razziali? Finzi. Per me furono uno schok. Le conseguenze più grosse le ho subite dopo il '43, a tredici anni, ma non posso dimenticare il '38. Ho ancora sotto gli occhi, il titolo del Corriere della Sera che diceva delle leggi razziali e dei bambini ebrei che non potevano più andare a scuola. Ero andato a comprarlo per il mio padre e mentre tornavo a casa guardavo questo titolo e mi venivano giù i goccioloni agli occhi. Matatia. Ma tu avevi la possibilità di andare alla scuola ebraica di Ferrara, ma noi, io e mio fratello, da Faenza, per continuare gli studi, siamo dovuti andare a Bologna. Avevo 9 anni. Un periodo ospite di uno zio, un periodo dell'altro zio. E mi accorgevo che da uno zio ero il benvenuto, ma dall'altro ero di peso ... Finzi. Ricordo una scena di mia madre. Mia madre veniva da Mantova, a Ferrara aveva iniziato a frequentare la comunità, e l'associazione delle donne ebree, ma, andando ai giardini con la carrozzella, aveva fatto anche anche altre amicizie. In particolare con la famiglia dell'ingegnere dell'Eridania. E ci si trovava regolarmente, ora in casa loro, ora in casa nostra. E quell'anno, dopo l'estate, di ritorno dalle rispettive vacanze, quando mia madre telefonò per dire "siamo tornati, vediamoci", l'altra buttò giù il telefono. Era stata ingenua, e ci rimase malissimo. Matatia. Per noi il periodo in Sudamerica fu difficile. Parti- · re con cinque figli e la moglie incinta ... Ricordo mia madre all'arrivo, che vide degli indios e in particolare una donna che stava schiacciando i pidocchi del figlioletto. Scoppiò a piangere e disse che voleva tornare in Italia. Ebbe una crisi ... • Cl fu anclte un po' di • SClaC• callaggio E poi non c'erano tanti soldi, perché mio padre in I5 giorni aveva liquidato tutto, e da quel che ho capito poi, ci fu anche un po' di sciacallaggio, perché era stato costretto a vendere a qualsiasi prezzo. E il negozio mio padre l'aveva affidato ad un ambulante a cui allora mio padre forniva la merce, col patto che avrebbe versato l'affitto in banca. Non solo non versò nulla, perché denunciò subito che il negozio era di ebrei, ma per riottenere il negozio, 9 anni dopo, ci fu bisogno degli avvocati ... E noi abbiamo sempre avuto il sospetto che in tutte le difficoltà che ci fece il Comune, al momento di tornare, ci fosse qualcosa ... Finzi. Diciamo che la nostra vita, a parte i problemi di cui parlavo prima, a cui facemmo l'abitudine come a tutte le cose, non cambiò molto fino al '43. Ma dopo il '43, quando eravamo nascosti a Mondaino, io che ero stato fino ad allora abbastanza lazzarone, mi dissi che non dovevo perdere gli anni per colpa dei tedeschi. Scattò una molla particolare. Mi misi a studiare come un dannato e infatti riuscii a non perdere l'anno. C'erano altri sfollati, per latino andavo dal prete, l'italiano lo facevo da solo. E così, anche grazie ali' aiuto delle suore del posto, riuscii a salvare l'anno scolastico. Questa situazione cambiò il mio carattere. E quando tornai a Ferrara dentro di me era maturata una strana cosa, mi chiedevo perché avevo dovuto soffrire tanto per niente. La volontà di rimanere attaccato all'ebraismo insorse in me come reazione, e infatti poi cominciai a vivere in quel poco di comunità che era rimasta. Nel '48 poi la nascita di Israele fu un'altra fiammata ... Queste cose mi hanno portato poi al desiderio di farmi una famiglia ebraica ... Pensate quindi, dal '38 al '48, in dieci anni, cosa abbiamo vissuto. E prima? C'era antisemitismo? Matatia. E' un discorso molto difficile quello dell' antisemitismo. Qui da noi per esempio non esisteva. In certe zone del meridione dove non ci sono mai stati ebrei c'è antisemitismo, e questo è dovuto al cattolicesimo. Credono che gli ebrei abbiano ucciso Cristo o addirittura che abbiano la coda. Come? Non avete la coda voi ebrei? Finzi. Questo non solo nel meridione. Vi racconto un episodio della Ferrara del '43. Ferrara aveva una comunità discreta. Su centomila abitanti nel '20 c'erano circa 2000 ebrei. Nel '38 erano rimasti 700, ma erano pur sempre una comunità rilevante. E quindi nel '38 quando gli ebrei non poterono più andare a scuola, venne sviluppata una scuola media ebraica, dove c'erano già l'asilo e le elementari. Fecero anche le medie inferiori. Io ero del '30, avevo 13 anni nel '43. Feci la terza media presso la nostra scuola e poi

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==