Una città - anno II - n. 10 - febbraio 1992

Solo poche parole per introdurre l'incontro di questa sera. Vorrei cominciare con parole non mie e che meglio di tutte danno l'idea di come quello che è accaduto al popolo ebraico sia incomunicabile. Credo che niente più di questo dia la misura della drammaticità di quello sterminio. Elia Wiesel ha scritto: "Chi non visse l'avvenimento mai lo conoscerà. Chi lo visse mai lo svelerà". Adorno ha scritto che "dopo Auschwitz non è possibile la poesia". David Rosenfeld, uno psicoanalista, ha riportato il racconto di una sua paziente che in un campo di sterminio fu incaricata di cremare i corpi dei bambini uccisi: "Dottore, se le dico che uccidevano centinaia di bambini ogni settimana, se scrivo il numero: un milione. Un milione di bambini così uccisi, lei crede, dottore, che le parole descrivano ciò che è accaduto?" Bonhoeffer, lo ricordava proprio Don Sala nell'ultimo numero di Una città, pensava che non si sarebbe dovuto più parlare di Dio per due generazioni ... Non si è arrivati a tanto. Tuttavia c'è stato chi ha dichiarato la propria impossibilità di credere dopo Auschwitz e c'è stato chi si è chiesto dov'era Dio. Ne "La notte" di Wiesel, ad Auschwitz viene impiccato un bambino. Qualcuno grida: "Dov'è Dio? Dov'è. dov'è in questo momento?". Ed io udii una voce dentro di me che rispondeva: "Dov'è? Eccolo, è stato impiccato". Dio dunque è morto, oppure, come dice Wiesel, è stato ucciso molte volte, ma non è morto? Prima di concludere vorrei però rientrare in gioco anch'io e insieme a me gli altri che non hanno una fede leggendo una frase di Leibovitz, un professore israeliano: "Dirò quello che ho da dire con molla chiarezza senza curarmi del dolore che posso procurare a molti, me compreso. lo non mi sento di dare alcun significato religioso all'Olocausto, allo sterminio di gran pane degli ebrei della nostra generazione. La Shoà è stata la conseguenza del mondo nella sua realtà. Nel mondo in cui viviamo il destino dei deboli e degli indifesi quando sono nelle mani dei malvagi è questo". Il problema dell'Olocausto non è quindi un problema teologico ma antropologico: come si può credere ancora nell'uomo dopo l'Olocausto? E adesso attorno a questo problema siamo chiamati tutti. Non è teologia, non è storia del passato, ma è presente, presente che ci pone di fronte a noi stessi. L'Olocausto ha una sua unicità storica, che gli ebrei hanno sottolineato con particolare sensibilità. Tuttavia c'è qualcosa che ci deve allarmare ancora di più: l'idea che possa ripetersi. introd11::.io11dei Massimo Tesei Debbo subito manifestare il mio profondo imbarazzo nel parlare del cosiddetto olocausto, quello che noi ebrei chiamiamo shoà. Perché il popolo ebraico vede nel laparola "olocausto" un tentativo di sacralizzare quello che sacro non è. Anzi, se c'è un momento nella storia umana in cui l'uomo è sceso al materialismo più spinto, un momento in cui si è stati più lontani da Dio, questo è il mondo di Auschwitz. Shoà è un termine ebraico difficile da tradurre, significa qualcosa di spaventoso. di clamoroso, di indescrivibile. E questo è il primo motivo di imbarazzo. Perché non credo che la mente umana sia stata programmata per immaginare qualcosa di così grosso, come quello che è successo nella civile Europa di poco più di cinquant'anni fa. Le nostre forze non sono sufficienti ad entrare in questo universo così spaventoso. Il secondo motivo di imbarazzo è che chi vi parla si sente un sopravvissuto, così come penso si sentano tutti gli ebrei di questa generazione. Ognuno di noi ha la sensazione di essere ancora vivo per un miracolo, per un segno del destino, per una imperscrutabile volontà di Dio. Qualche volta ci fermiamo a domandarci: "ma perché io sono vivo mentre una parte notevole dei miei parenti, degli amici, dei miei consanguinei. dei miei correligionari è stata vittima di una così atroce sofferenza, di una così atroce morte?". qualcosa di • incommensurabile e incomparabile Oggi c'è in atto un processo che va sotto iInome di revisionismo, per rivedere alla luce di nuovi falli, di nuove considerazioni, lo sterminio del popolo ebraico messo in atto dal nazismo. Per sminuire il significato di quanto è avvenuto, oppure per metterlo a paragone di altri stermini che purtroppo si sono verificati nel corso della storia dell'uomo, comunque non peggiore di quello perpetrato nel corso della cosiddetta civilizzazione dei popoli dell'America del Sud, o degli stermini dei kmer rossi, degli stalinisti e così via. O peggio ancora. per volerlo negare. Qualcuno sostiene che icampi di sterminio nazisti siano stati una bella invenzione degli Ebrei. Che al massimo si sia trattato di campi di raccolta per persone, che poi morivano per il tifo, le pulci, i pidocchi e che il resto sia stata tutta un'invenzione della solita plutocrazia giudaica. E sentir dire che questa cosa non è nemmeno avvenuta è una cosa che a noi sopravvissuti crea una grande sofferenza, una profonda lacerazione. E anche grande preoccupazione perché non c'è soltanto qualche bella menteche inventa queste cose, ma ci sono delle belle menti che ci credono. Era stato sottolineato proprio ali' inizio che la shoà è qualcosa di incommensurabile e incomparabile, lo sterminio per eccellenza. Perché mai è avvenuto nella storia che un popolo abbia deciso, commesso e attuato praticamente, un tipo di stcnniniodi questo genere, con tanta sistematicità, con tanta scientificità dirci. La shoà è diventato il prototipo di tutti gli stermini della storia, ma non ha un termine di paragone con nessun altro episodio avvenuto nella pur millenaria storia di sangue dell'uomo su questo pianeta. E ci domandiamo: quali sono state le implicazioni, le conseguenze che la shoà ha avuto nella storia attuale? Sono certo che il mondo senza Auschwitz avrebbe preso una piega diversa. C'è chi sottolinea che chi studierà la storia del mondo nei decenni successivi al nostro dovrà creare una cesura: il mondo prima di Auschwitz e il mondo dopo Auschwitz. E' unpunto fenno, negativo, può rappresentare l'abisso al di sotto del quale non si può andare. Ma il mondo senza Auschwitz sarebbe lo stesso? E visto da un'ottica ebraica, cosa saremmo oggi se non ci fosse stata la shoà? La shoà che ha privato il popolo ebraico di più di un terzo dei suoi membri, moltissimideiquali facenti parti delle comunità ebraiche del l'Europa orientale, sterminate per il 99,9%, comunità che erano molto prestigiose nel campo degli studi, della ricercaechequindi avrebbero prodotto dei risultati straordinari nel campo della cultura. Che cosa saremmo noi ebrei oggi e quale apporto avremmo potuto dare al mondo se non fossimo stati privati di una parte così notevole dei nostri membri? Anche i rapporti col mondo arabo sono condizionati da quello che è successo. Ci si domanda quali sarebbero le connotazioni del conflitto che ha diviso lo stato di Israele dal mondo arabo se non ci fosse stato Auschwitz alle spalle degli ebrei, che li ha in qualche modo vaccinati, dando loro una sensibilità che forse non avevano. Perché non possiamo dimenticare quello che abbiamo subito. Si è verificato una cosa alla quale nessuno avrebbe potuto credere: qualcuno decise di sterminarci tutti. E' avvenuto e noi non possiamo dimenticare. E' una cosa che fa parte ormai dei nostri geni, del nostro patrimonio genetico. questo orribile misfatto si è verificato nel silenzio del mondo Noi abbiamo sempre di fronte. dentro di noi, Auschwitz. Non c'è famiglia ebraica in Europa la quale non conti tra i suoi parenti stretti, padri, madri, figli, fratelli, cugini, un numero notevolissimo di persone perdute. E parlo dalla mia ottica, dall'ottica cioè, di un ebreo italiano che deve la sua vita all'aiuto che la mia famiglia ha avuto da amici, anche molto modesti. di religione cattolica. Io debbo la mia vita al fatto che qualcuno ha aiutato la mia famiglia, che peraltro ha avuto delle grossissime perdite. ho perso mio padre, ho perso una quantità di zii, e sono stato tra i fortunati, perché l'Italia ebraica ha avuto, in una comunità di trentacinque. quarantamila persone, circa sette. ottomila che non sono ritornati dai campi di sterminio.Quindi una percentuale ragionevole, e scusatemi il termine, non certo paragonabile a quella dello sterminio dell'ebraismo polacco. Queste sono alcune com,iderazioni per capirsi. Certo non si possono misurare i morti con il metro comune perché ogni essere umano, secondo la tradizione ebraica, è un universo e chi saiva un essere umano saiva un universo, così come chi distrugge un essere umano, distrugge un intero universo. La shoà, quanto è avvenuto in Europa, è stato bene sottolineato ali' inizio, è un mondo di silenzio. E forse anche le vittime della persecuzione antiebraica, così come le vittime di ogni persecuzione, richiedono il silenzio. Ci fu il silenzio di sei milioni di martiri ebrei, associati a centinaia di migliaia di martiri di altre fedi religiose e di diversi credo politici, sterminati, non dimentichiamolo, da un mondo che si diceva civile. Ma non ci fu solo il silenzio delle vittime. Questo orribile misfatto si è verificato nel silenzio del mondo, e in questo silenzio del mondo, lasciatemelo dire con tanto dolore, ci voglio mettere prima di tutto il vano ver<,oi campi di sterminio. Questo non è stato fatto. Qualcuno dice che le considerazioni tattiche, strategiche non lo permettevano, qualcuno dice che non lo si è voluto fare, e non sta certamente a mc emettere dei giudizi. Sta di fatto che il mondo, anche quello civile, ha taciuto. Altro elemento molto doloroso, è che hanno taciuto le Chiese. I rappresentanti di tutte le grandi religioni, nonostante fossero stati sollecitati da più parti ad emettere la loro voce, non l'hanno fatto... Questo non significa che da parte di alcuni elementi del clero, e mi riferisco al clero cattolico, non ci siano state delle iniziative che vanno molto oltre l'eroico. Ma le Chiese in quanto tali hanno taciuto, e questo è doloroso. è morfo il dio elle era nel cuore delJI! assass1n1 E finalmente il silenzio di Dio. jl!· )ea1. ~)1112:ili ~;neati all 1ellno 3iai~allia 1t:. tu iaacco e tu Sarlills&O.l.~1, i.ate & l.G&o 1ÌÌ2.~.i678, q,ai•i doaicilicto Vi~ Vittorio L~,u,utlt 66.-- ---------------------------------------------·· l,~~m:aow•ce:1toqù&rantatrè add.1•., dl.s:e-'t>re -u1:• 1n .,•J._::,, 1.c 1•11~1:o 41 etuio~.--------,;:;,at:···--------·-•-------···--- Ko owttti ll:l lllt.O 3qi~o~e CJ.llv.. l ~to,.iv cui,.\.tclere t. }ii :t11'11 d.ellà all4d.etta 11ti,zione, rapp,rth,i::> al:~ c·o::.,e'..r...: % ( l,\IUtO Mt,:u«.---••••••••·•·••••-----•••·•·--•-----•-• •lle b46Ciai per l 'accertau:lltO d.ei 'r.u.i ii,oHli èi:,.. 'pp,ie~ d.t'11 ei,rei, Ji,eeeo l' e,Hti.:.i;int _!:~l 'e'treo i,o~ oi~to J&lleralinr.td, ab\1co p:rocedu¼ ~ ~d-t'i li~ &'l~C .~a osto d.~ t~e T/lll.1 eto d! 4ue p1m1 e tr ...!~•&••· -~~.t-9..A-d 1 cn1 è e~. çnao tutto il aot.erie.le ivi '!lllnw • ~!~_:_a:------------· silenzio del mondo ebraico. Lo dico, potete capirlo, con grande sofferenza. Mi riferisco alle comunità ebraiche del mondo, sia a quelle che erano soggette a persecuzione, anche alle comunità italiane che per un lunghissimo periodo non hanno capito che cosa stava succedendo e preferivano nascondersi dietro una specie di sbarramento psicologico: non si doveva sapere quello che stava succedendo perché la cosa era troppo grossa ed era insopportabile. E mi riferisco, soprattutto, al silenzio di quegli ebrei che forse potevano fare qualcosa e non l'hanno fatto. alle grandi comunità ebraiche dell' Inghilterra e dell'America, le quali hanno taciuto. forse perché non si sono rese conto, o forse perché non volevano recepire un fatto così importante. Gli stessi ebrei non hanno saputo gestire questo fenomeno e ledimensioni di questo spaventoso eccidio si sono rivelate soltanto al tennine della guerra. Il silenzio colpevole dellecomunità ebraiche, il silenzio colpevole del mondo, e va detto anche questo, il silenzio prudente di quella partedel mondo che si opponeva al nazismo. Molti dirigenti politici di quelle nazioni che combattevano contro il nazismo. sul tema dello sterminio degli ebrei in atto, nonostante si sapesse molto bene fin dal ·43 cosa stava succedendo. hanno pensato bene di non intervenire. Qualcuno sostiene che qualche bombardamento alleato mirato su determinate lince ferroviarie d'Europa sarebbe valso a salvare una media clidieci, quindicimila persone al giorno.solo interrompendo di qualche ora quel !lusso di carri. di convogli che da tutta l'Europa convergeTutti ci poniamo costantemente questa domanda: ma Dio dov'era? Erano assenti i popoli civili, erano assenti le comunità ebraiche, erano assenti le autorità religiose, ma Dio cosa faceva? Dopo Auschwitz c'è chi sostiene che Dio non esiste. Se Dio esistesse. non avrebbe acconsentito a una cosa di questo genere. Penso di poter affermare che quelli che erano atei, lo sono rimasti, e quelli che avevano una fede in Dio. l'hanno conservata, senza che ci siano stati significativi spostamenti da un campo all'altro. In questo senso, dal punto di vista ebraico. Auschwitz è irrilevante. Auschwitz non è un problema d Dio, è un problema dell'uomo. A questo proposito volevo riferirvi un episodio significativo attribuito a un ebreo vittima di un altro tipo di sterminio. pur non di queste dimensioni. Lo sterminio di cui vi parlo. del quale celebriamo ilcinquecentenario, è la famosa cacciata degli Ebrei dalla penisola iberica, che risale al 1492. Anche quello è stato un momento della storia del popolo ebraico particolarmente penoso. In Spagna e in Portogallo gli ebrei. che avevano costituito delle comunità notevolissime, sono stati posti di fronte a un'alternativa alla quale bisognava rispondere nello spazio di pochi giorni: o vi convertite tutti o ve ve ne andate, o vi facciamo fuori. Si racconta di un esule. forse una per. ona che poi avrà dato vita ad una delle comunità italiane, visto che le comunità ebraiche italiane sono quasi tulle costituite dai discendenti di coloro che sono scappati dal la penisola ibcrica, il quale. dopo una vita travagliata, dopo aver visto perire sotto i suoi occhi la moglie, i figli e tutti i parenti, in un momento di sfogo si sia rivolto alla divinità, dicendo: "Signore Iddio, tu fai di tutto per portarmi a non credere in te, ma non cc la farai. Io continuo a credere in te. Se il tuo scopo è quello di mettermi alla prova perché io ti rinneghi, lavori sul vuoto". Si racconta di un altro personaggio, questo invece vivente nel nostro secolo, un famoso rabbino di un yeshivah, una scuola talmudica polacca, il quale ha avuto un destino simile. Sopravvissuto dopo aver visto morire la sua numerosissima famiglia, ha scelto un'altra strada. Dopo la liberazione, nel '45, si è trasferito in terra d'Israele, ha portato là la sua scuola talmudica e ha rifiutato, e rifiuta tuttora che è vecchissimo, di nominare, anche solo nelle preghiere di commemorazione, i suoi congiunti morti assassinati. A chi gli ha chiesto il fondamento di tutto ciò, visto che invece fa parte del rito ebraico commemorare i propri congiunti, lui ha risposto con grande riluttanza: "i morti sono troppo sacri perché noi possiamo nominarli. Questi morti fanno parte di unadimensionecheèal di fuori della nostra realtà umana, il solo nominarli è già una forma di contaminazione. Tullo quello che posso fare è cercare di mandare avanti la tradizione ebraica nella mia scuola. Il nazismo voleva sopprimere il popolo ebraico, l'idea stessa dell'ebraismo, io voglio portarla avanti con lo studio." Perché grazie a Dio questo stenninio messo in atto dal nazismo non ha avuto successo. E' andato molto avanti, ha ottenuto la soppressione fisica di milioni di esseri umani tra i quali, come è stato ricordato, un milione di bambini, ma non è riuscito in quello che era il suo intento: il popolo ebraico è tuttora vivo e proiettato nella storia del mondo, nel suo futuro. E' stato citato quel passo del libro "La notte" di Wiesel nel quale. vedendo impiccare un bambino, qualcuno esclamava: "Ma dov'è Dio?'' e qualcuno che era presente, oppure una voce interna dell'autore risponde: "Ma Dio è lì. Dio è colui che in questo modo è ucciso, è dentro questo bambino che è ucciso". Ma c'è un'altra versione che sostiene: è vero, Dio è stato ammazzato in quel momento, ma è stato ammazzato il Dio che è nell'assassino. Dio è in ognuno di noi. E' l'assassino. chi si è reso responsabile di questo orrendo delitto, che ha ucciso il Dio che è in lui. Non ha ucciso Dio, Dio non ha bisogno di noi per continuare ad esistere. Qual è il Dio che è morto? E' morto il Dio che era nel cuore degli assassini. elle Dio impari elle cosi non si deve fare Ea proposito di qual è il corretto rapporto che ognuno di noi deve avere con ladivinità, vorrei concludere con una specie di midrash. Il midrash era di solito una storiellina non di carattere storico, una specie di favoletta dalla quale si vuole ricavare un significato, un insegnamento. Si racconta che una sera in una comunità ebraica doveva cominciare la celebrazione del giorno del Kippur. Il giorno del Kippur è il giorno più severo, più solenne del la tradizione ebraica, nel corso del quale gli Ebrei confessano a Dio le loro colpe e chiedono perdono per quanto hanno commesso di male nell'anno che è trascorso, ed è un momento di particolare solennità alla quale sono richiamati anche quegli Ebrei che di solito sono lontanissimi dalla tradizione. Un momento che vede riunita tutta la comunità nella propria sinagoga. in preghiera. Ma il rabbino non arrivava. Erano tutti molto stupiti, il rab-

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