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stratificazione degli studenti. E' quindi facilmente comprensibile che l'univer-

sità ( e qui d i nuovo prendiamo l a situazione torinese come indicativa d i

una tendenza) nei confronti del primo gruppo di studenti, le cui richieste

di cultura sarebbero relativamente compatibili con l'attuale struttura univer-

sitaria, non compia nessuna operazione semplicemente perchè non riesce

nemmeno a identificare un gruppo particolarmente disgregato, quando non

siano gli studenti stessi a trovare una forma di coesione, ma in questo caso

in modo chiaramente corporativo (gruppi d i studenti che lavorano tut t i

nello stesso ufficio e che non accettano studenti «estranei», ecc.). Al secondo

gruppo di studenti l'università non offre niente, all'infuori di spazi casuali

e sempre più esigui che consentono l'aggregazione spontanea d i studenti

politicizzati, i n ogni caso con l a copertura, spesso passiva, d i docenti d i

sinistra. Ma è nei confronti del terzo gruppo che funziona tuttora in pieno

l'operazione descritta nel Rapporto.

4. Che cosa significa nei confronti del terzo gruppo, che costituisce la

maggioranza degli studenti, l'operazione d i volontaria carenza culturale e

professionale di queste facoltà? I n realtà nel Rapporto i l problema profes-

sionale di queste facoltà è impostato in senso politico e non tecnico; non si

tratta dell'aderenza della preparazione universitaria a i programmi ministe-

riali dei vari ordini di scuole, bensì dell'uso, anche elementare, degli stru-

menti di discipline quali la linguistica (come controllo di un fenomeno parti-

colarmente evidente in una società in ristrutturazione sociale come quella

italiana), la psicologia', la sociologia, la storia della scuola, le tecniche delle

comunicazioni di massa, ecc.: discipline che non attengono necessariamente

ai contenuti dell'insegnamento, ma forniscono strumenti d i analisi e d i

comprensione del sistema sociale e del contesto specifico in cui si muove

l'insegnante nei confronti sia dei suoi allievi sia dell'istituzione scolastica.

Se questa analisi viene rimandata a l momento del tirocinio professionale,

essa assume facilmente i l carattere di un'esperienza, nel migliore dei casi,

individualistica e paternalistica, a senso unico dall'insegnante all'allievo;

mentre l'acquisizione d i questi strumenti deve andare d i par i passo con

l'identificazione «in fieri» del proprio ruolo sociale e professionale. Ma, nel

momento in cui la disoccupazione degli insegnanti si profila come un feno-

meno ormai prossimo, la mancanza di questa capacità minima di analisi di

una realtà sociale assume un carattere ancor più pericoloso a scadenza

immediata: di un contributo, per quanto riguarda l'aspetto sovrastrutturale,

a quella tendenza corporativa che è l'inevitabile contraccolpo della disoccu-

pazione della piccola borghesia.

Ma un'analisi, sia pur documentata, delle carenze dell'istituzione univer-

sità-facoltà umanistiche sarebbe negativa se tendesse solo a dimostrare i

limiti e i rischi di un funzionamento di questo genere; mentre questa analisi

dei caratteri di un tipo di professionalità deve aver invece l'intenzione d i

provocare una presa di coscienza che non si situi all'interno di una logica

corporativa ( in cui possono rientrare i discorsi più diversi, da quello della

riforma dell'università a quello della disoccupazione degli insegnanti), ma

si ponga invece l a problematica più• generale della riorganizzazione della

divisione del lavoro.

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