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In alcune lavorazioni caratterizzate dal peso particolare della forza-lavoro

presente (presse, motori, meccanica varia e montaggio) i l numero d i ore

impiegate passa in media dall'indice 100 nel '48 all'indice 27 nel '57.

Grosso modo nello stesso periodo- i dat i forniti a questo proposito

dall'Olivetti confermano questa circostanza (13). A fronte di un raddoppio

della forza-lavoro complessiva dell'Olivetti fra il '41 e il '58, gli operai specia-

lizzati aumentano in assoluto di poco meno di tre volte e, considerando la

«bassa incidenza nei reparti produttivi degli operai specializzati, concen-

trati... nei servizi tecnici e in particolare nell'attrezzaggio», abbiamo anche

per questa via una ulteriore conferma del minor peso specifico che sull'occu-

pazione complessiva hanno gli operai addetti alla produzione «vera e pro-

pria». Mentre agli inizi degli anni '60 questa situazione era diffusa quasi

esclusivamente a fabbriche di grandi dimensioni, oggi è largamente diffusa

anche nelle aziende medio-piccole.

Per meglio comprendere i l senso dei dati esposti è opportuno tenere

presente che nella grande industria troviamo sostanzialmente t re t ipi d i

macchine:

a)

macchine universali

per lavori riparazione, aggiustaggio e proto-

tipi; tal i macchine sono presenti soprattutto nei reparti di attrezzaggio;

b) macchine (utensili e operatrici) automatiche e semiautomatiche

per lavorazioni in serie; si tratta prevalentemente di macchine «di produ-

zione» poste in linea e integrate in una sequenza preordinata; i l collegamento

è assicurato da nastri trasportatori la cui velocità imprime la cadenza del

complesso;

c)

macchine complesse

che incorporano un ciclo completo di lavora-

zione a diversi livelli di automazione: dai transfers agli impianti automatici

di smontaggio, al controllo numerico delle macchine utensili.

Il rapporto reciproco tra questi tipi di macchine e la modificazione che

questo rapporto produce nella struttura complessiva del lavoro in fabbrica,

costituiscono la linea di forza su cui si erige il potere del capitale all'interno

della divisione del lavoro. L a necessità della continuità e dell'unità del

processo complessivo trova la sua espressione più compiuta nella trasforma-

zione della macchina, da organo che agisce sulla materia prima trasforman-

dola, in sistema coordinato di macchine che oltre all'intervento sulla materia

prima effettua trasporti, trasmissioni, comunicazioni, controlla e regola tempi

e fasi di lavorazione. I l dispotismo si presenta finalmente depurato da ogni

connotazione soggettiva, s i afferma come razionalità, continuità e rego-

larità dell'intero processo. Non è più nè la forza-lavoro, nè la singola mac-

china a imprimere la cadenza complessiva del lavoro, ma l'insieme coordi-

nato delle macchine come intreccio rigoroso d i sequenze preordinate. E '

su questa base che la grande industria inizia la messa a punto e l'applicazione

su larga scala di macchine che rappresentano veri e propri impianti com-

plessi, dalle macchine transfers, al controllo numerico, ecc. Tutte le altre

operazioni non integrate in questi impianti vengono ormai eseguite da mac-

chine in linea. Si possono usare diversi indici per misurare le dimensioni

del fenomeno. I n primo luogo la dinamica della composizione del tempo

di lavoro nelle diverse operazioni. Già nel '60 si rilevava all'Olivetti di Ivrea

(13) L. Gallino, «Progresso tecnologico e d evoluzione organizzativa negl i stabilimenti

dell'Olivetti», Milano, 1960.

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