

1911
se trovano che non è "coltura" occuparsi di Tripoli, ed è coltura occu–
parsi di Picasso; e se quest'indirizzo deve prevalere nella
Voce,
io ti
dichiaro nettamente che fino da questo momento mi distacco nettamente
da voi.
Per me è piu grande il delitto commesso spingendoci in Tripolitania,
che non sia quello di far passare per patriota italiano Burlamacchi, o
sporcare mezzo metro quadrato di tela futurista. Per me la coltura vera
oggi consiste nel parlare di Tripoli. Tutto il resto oggi non è coltura,
è
letteratura.
La
stessa questione meridionale
oggi
è letteratura.
Io
concepisco l'opera di un giornale di coltura reale e non letteraria in
un modo solo: via via che si presenta un problema nazionale, discuterlo a
fondo,
à
lungo, per creare la coltura nazionale.
Noi non possiamo in quest'opera di coltura fermarci dove vogliamo.
Non possiamo scrivere due o tre articoli su Tripoli, e poi non parlarne piu,
salvo a pubblicare in seguito un numero unico
inattuale.
Noi dobbiamo
continuamente dare una direzione agli spiriti, che leggono la
Voce
perciò.
Non possiamo lanciare di tanto in tanto un articolo per fare della
coltura,
e poi non occuparcene piu. Questo
è
sport
e noi dobbiamo fare dell'a–
postolato
continuo e sistematico.
Io
non credo ancora alla guerra. Le azioni del Banco di Roma sono
salite appena da centosei a centosei e tre quarti. Se la guerra scoppierà, dob–
biamo dichiarare che il paese deve oramai lasciare al governo e al naziona–
lismo ogni libertà d'azione, affinché risultino ben chiare le responsabilità.
Bisogna lasciar fare e tacere. Una sola cosa esigiamo: che si dica la ve–
rità. Per un solo motivo parleremo: per impedire che la stampa continui
a mistificare il paese. Per combattere queste mistificazioni dobbiamo oc–
cupare magari tutti i numeri, se sarà necessario.
Chi preferisce occuparsi della divinità di Gesu Cristo, è padronissimo;
ma noi non siamo con lui. Pubblicare
oggi
due articoli sul generale Go–
vone' e tacere nello stesso numero della
Voce
di ciò che piu c'importa, è
delitto.
Sembra a me che ci sia fra gli "amici della
Voce"
un duplice nu–
cleo: gli uni si
appassionano
agli articoli su Verbicaro e si
divertono
agli articoli su Picasso; . gli altri si appassionano e si cazzottano magari
per Picasso, e se ne infischiano di Verbicaro.
In
condizioni normali i due
gruppi convivono pacificamente, perché c'è posto per tutti. Ma ora l'equi–
librio è rotto. La faccenda tripolina, fra i grandi danni, avrà il vantaggio
d'aver dato a tutti il sentimento di ciò che sono. Nella
Voce
noi oramai
non vediamo che uno strumento di battaglia
attuale;
non escludiamo la
cos( detta coltura, ma vogliamo che compia
oggi e finché durano le con–
dizioni attuali
una funzione sussidiaria; gli altri si impennano a questo strari–
pamento di politica attiva (essi la chiamano spicciola) e invocano un
ri-
4
L.
AMBROSINI,
Il generale Govone,
in "La Voce" del 29 giugno e 10 agosto 1911,
rispettivamente alle pp. 599-600 e 627-629.
507